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Autore: mars_gold    19/02/2017    0 recensioni
"Questa vita è così ingiusta, da ad alcuni ciò di cui non hanno bisogno e nega ad altri ciò che li fa vivere... Con noi due l'universo ha avuto un gran senso dell'umorismo, non c'è dubbio, ma almeno una cosa buona l'ha fatta: ci ha fatti incontrare."
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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~~Le ore passarono veloci, dopo anni e anni di solitudine e libri finalmente ero immersa tra le persone: tra le loro parole, le loro azioni, le loro abitudini, i loro vestiti... Era come se mi avessero svegliato da un incubo e mi avessero detto “Vedi tutto questo? Questa è la vita vera”, e, in un certo senso, lo era. Mi sentivo rinata.
Verso le 10 della mattina scoprii di avere un’ora buca, così chiesi a una dei tutor di farmi fare il giro della scuola. L’interno, come l’esterno d'altronde, era veramente ma veramente incredibile: c’erano un sacco di aule, laboratori scientifici e linguistici, ampie sale conferenze, sale computer, una specie di teatro, una palestra enorme, la piscina interna e, ovviamente, la biblioteca: non era grandissima ma gli scaffali erano disposti in modo da ottimizzare tutto lo spazio disponibile, inoltre c’erano mezza dozzina di tavoli in cui poter comodamente sfogliare i libri.
Appena ci misi piede cosi subito a farmi la tessera (avevo la tessera di tutte le biblioteche della città, farmi mancare quella della mia scuola era un sacrilegio). Il tutor parlò al mio posto alla bibliotecaria, una cara signora di mezza età dai capelli color carota, la quale mi disse che la biblioteca era aperta tutte le ore scolastiche, sia mattutine che pomeridiane. Magnifico.
Qualcosa mi diceva che avrei passato lì dentro la maggior parte del mio tempo.
L’ora successiva la passai in classe alle lezione di matematica.
Gli insegnanti mi piacevano quasi tutti (forse perché essendo nuova e muta mi trattavano tutti con estrema gentilezza. Forse, ma proprio forse, eh), la mia preferita rimaneva quella di Letteratura ma anche gli altri non erano male, quello di matematica però non riuscii a sopportarlo... aveva una particolare predilezione per lo stridio orribile che facevano a volte i gessi sulla lavagna.
Secondo lui era “affascinante” e “aiutava a mantenere alta la concentrazione”. Roba da non credere.
“Con questo biglietto io dichiaro che sono muta ma non sorda e che ci terrei ad avere buoni l’udito e la vista ancora per un bel po’ di anni.”  Scrissi su un foglio che passai a Lily, la quale si sforzò di non ridere cercando di nascondersi la bocca con le mani.
-Domani porto via i tappi per le orecchie, avevo dimenticato quanto il professor Marty adorasse quel rumore. – Mi sussurro continuando a trattenersi dal ridere.
Il problema fu che così facendo fece ridere me. E quindi lei scoppiò definitivamente.
Il professore si infuriò come un matto, facendo scattare il suo magnifico gesso per riportare l’attenzione. E noi scoppiammo a ridere di nuovo facendoci regalare una nota sul registro... cose che capitano.
Durante la mattinata, comunque, scoprii che la maggior parte dei miei compagni della classe di Letteratura avevano i miei stessi corsi: in pratica Lily, Jackson e un altro paio di ragazzi mi seguirono per tutto il tempo facendo a turno a chi mi stava dietro.
Sembravano la versione in miniatura dei miei genitori, anche se qualcosa mi diceva che avessero paura che mi perdessi o una cosa del genere (e il fatto che fossi finita in uno sgabuzzino più di un paio di volte non aveva assolutamente nulla a che fare con questo, ovviamente).
Lily poi oltre a rimanermi vicina non fece altro che aiutarmi e parlarmi, chissà come ero riuscita a starle simpatica fin da subito.
Mi disse che l’aveva colpita il modo in cui mi ero diretta alla lavagna per presentarmi, forse avrei dovuto iniziare a prestare più attenzione al modo in cui camminavo, a quanto pareva avevo una dote nascosta.
In realtà ero abbastanza convinta che le fossi stata simpatica dal modo in cui avevo risposto a tutte le domande che mi avevano fatto, l’avevo vista: l’avevo fatta morire dalle risate. A quanto pareva ero pure brava a far ridere le persone.
(Sì, in quel giorno la mia autostima era salita parecchio.)
In ogni caso quelle prime ore non sarebbero state così belle se non ci fosse stata lei e, anche se era un po’ prematuro, in cuor mio già speravo che nel tempo potessimo riuscire a diventare grandi amiche; lei aveva una personalità unica ed era stata così gentile e disponibile che a stento riuscivo a crederci.
Non avevo mai avuto una “migliore amica”, le uniche persone che potevano avvicinarsi a quel ruolo erano i personaggi dei libri, ma, come diceva il mio più grande mentore Albus Silente: <>.
Avevo intenzione di prendere quella frase alla lettera.
Basta sogni, basta illusioni, volevo la vita vera.
Dopo aver preso la nota, Lily e Jackson decisero che era inutile prestare attenzione alla lezione e quindi iniziato un giro di scommesse per tutta la classe su quale fosse il mio “lato nascosto”: c’era chi puntava sul fatto che magari fossi un asso negli sport (ahahahah poveri illusi, l’unico sport in cui ero brava era il salto sul divano), altri pensavano che di notte scappassi nei casinò per giocare a poker (non era poi una cattiva idea), altri ancora che potessi nascondere un amore per il metal (uhm... anche no).
In verità ero piuttosto convinta di non avere un “lato nascosto”, vivevo una vita tranquilla, senza eccessi né talenti particolari, l’unica mia peculiarità era che fossi muta, cos’ è, avrei potuto essere un mimo infallibile? Campionessa di “perde chi parla per primo”?
Comunque mi divertii davvero un sacco a vederli sulle spine, e a sentire le cavolate che sparavano, sarebbe stato un vero peccato distruggere i loro sogni.
Così tra risate e ramanzine arrivò in fretta l’ora di pranzo e ci dirigemmo tutti verso la mensa.
Nella calca degli studenti affamati persi di vista Lily e Jackson ma non me ne preoccupai troppo, ormai ero abbastanza sicura di sapermi orientare.
Presi il corridoio a destra, gli studenti attorno a me spintonavano e mi pestavano i piedi.
E io non potevo parlare.
Merda.
Un ragazzo grande e grosso mi fece quasi inciampare, andai a sbattere lo zigomo contro un portachiavi di uno zaino.
Ahia. Cercai di ritrovare l’equilibrio.
Qualcuno dietro di me mi spinse di nuovo.
Ma che avevano? Non mangiavano da due giorni? Perché così tanta fretta?
Sentii una ragazza bionda alla mia destra urlare:
“Muoviti Philip, o ci rubano tutta la pizza, sai che ne fanno pochissima!”
Incominciò anche lei a spintonare.
Ecco il motivo! Beh, ora li capivo meglio, la pizza era la pizza, insomma!
Comunque stava iniziando a mancarmi l’aria lì in mezzo, non volevo spingere nessuno o dare fastidio, non mi erano mai andate a genio quel genere di cose; così cercai di allontanarmi e dirigermi verso l’altro corridoio. Non avevo molte pretese per il cibo, per il momento mi bastava solo mettere qualcosa sotto i denti.
Lo stesso ragazzo di poco prima, quello grande e grosso, mi spinse di nuovo.
Questa volta persi completamente l’equilibrio, cercai di aggrapparmi a qualcosa, qualsiasi cosa.
Ma caddi a terra. E gli studenti non si fermarono.
Alcuni mi scavalcarono, altri mi pestarono le mani. E io non potevo dire una parola.
Digrignai i denti per il dolore. Cazzo, alzati! Alzati! Alzati! Mi dissi velocemente.
Ci provai, la mano mi faceva un male cane. Avevo le lacrime agli occhi. Sbattei velocemente le palpebre.
-Hey, tutto bene? – Disse qualcuno sopra di me. Come cazzo facevo a rispondergli?
Qualcun altro mi pestò di nuovo la mano.
Aprii la bocca in automatico per urlare ma ovviamente non produssi alcun suono.
Vaffanculo.
-Hey gente! Questa tipa se gli fai male non dice niente! – Esclamò la stessa voce di prima.
ODDIO. Panico.
Mi era già capitata un’esperienza simile e no, grazie, gentilissimi, ma non ci tenevo a ripeterla.
Vidi alcuni che si voltarono verso di me. Mi imposi di alzarmi mentre il mio cuore iniziò a battere più velocemente.
Riuscii a mettermi a sedere ma qualcuno mi pestò il piede destro, volontariamente.
Alzai di scatto la testa. Era un ragazzo moro con gli occhiali quadrati e una camicetta bianca e blu.
Oh, se gli sguardi potessero uccidere sarebbe morto sul colpo.
Cercai di togliere il suo piede dalla mia caviglia con le mani. Il ragazzo cominciò a ridere.
-Perché non parli? Deve fare male, perché non parli? – Continuai a cercare di togliere il suo cavolo di piede.
Dio, le mani mi facevano così male.
Era una fortuna che fossi muta, perché se avessi potuto dal voce ai miei pensieri i Santi sarebbero caduti ad uno ad uno
Mi guardai attorno il cerca di aiuto. Il mio zaino era distante da me, così come il mio telefono e il ragazzo continuava a ridere e ridere e ridere e ridere e ridere.
Scoppiai a piangere. Più per il fastidio e l’impotenza che altro.
Era il mio primo giorno a scuola e già stavo piangendo. Volevo urlare. Volevo che questo ragazzo sparisse. Volevo che tutti la smettessero di fissarmi a metà tra lo stupito e il divertito.
Li odiavo. E odiavo me perché stavo piangendo.
-Blake. – Il ragazzo moro voltò la testa verso destra. Seguii la direzione del suo sguardo.
Un altro ragazzo con il mio stesso colore di capelli (wow) si stava avvicinando. Era abbastanza alto e il suo fisico asciutto era avvolto da un giubbino di pelle nera con sotto una maglietta di un grigio scuro. Adoravo quella tonalità di grigio.
Avrei sicuramente sorriso se non fosse stata per quella situazione.
Il ragazzo prese il tipo moro, Blake, per la spalla e lo scostò con un sorriso forzato sul viso.
Liberò il mio piede e persi completamente l’interesse per i due ragazzi, persi l’interesse per qualunque cosa.
Mi strinsi subito la caviglia tra le mani. O.Mio.Dio. Il dolore.
Sentii i ragazzi parlare ma non ci badai, mi asciugai velocemente le lacrime. Dovevo alzarmi da terra, subito.
Il ragazzo con la maglietta grigia si chinò verso di me, non me ne resi conto finché non mi ritrovai un paio di occhi dello stesso colore della maglietta davanti al viso.
Smisi di respirare. E mi dimenticai del dolore alla caviglia.
Erano così...belli. Come le giornate di pioggia in primavera, come le copertine dei libri coperti dalla polvere, come le perle nelle conchiglie, come le ali delle tortore, come....
-Stai bene? – Mi chiese.
Ripresi a respirare.
Annuii. Alzai lo sguardo e mi resi conto che gli altri studenti erano spariti. Quando avevano parlato li aveva fatti andare via.
-Non mi sembra che tu stia bene. – Scossi la testa e mi asciugai di nuovo le lacrime dal viso.
Che figura di merda. Mi sentivo una bambina.
Il ragazzo mi porse una mano e mi aiutò ad alzarmi. Una volta in piedi saggiai il piede destro, il dolore tornò, faceva male ma non così tanto come pensavo.
Mi voltai verso il ragazzo. Mi sorrise, un sorriso sincero, non falso come quello che aveva rivolto a Blake.
Sorrisi a mia volta, con il cuore che batteva ancora a una velocità un po’ troppo elevata.
Non sapevo cosa dire, o meglio, cosa fare. Avrei dovuto ringraziarlo, avrei voluto ringraziarlo. Potevo prendere il cellulare, dovevo solo dirigermi verso lo zaino ma non volevo spostarmi. E non per il piede.
-Alexandra! – Mi voltai di scatto. Vidi un paio di codini scuri corrermi incontro.
Per il sollievo quasi mi misi a piangere di nuovo.
-Che è successo qui? Tutto bene? – Lily aveva quasi gli occhi fuori dalle orbite mentre mi osservava scupolosamente.
Risi e ridere eliminò tutta la tensione accumulata prima. Sembrava solo un incubo successo a qualcun altro.
Annuii e le lanciai un’occhiata da “dopo ti racconto”.
Il ragazzo prese il mio zaino e me lo porse. Gli sorrisi di nuovo e sillabai un “grazie”.
Sorrise anche lui.
-Blake. – Disse a Lily a mo’ di risposta. Il suo sguardo si rabbuiò subito.
-Qualsiasi cosa abbia fatto la pagherà. – Fu il suo commento.
Okay, se i miei sguardi avrebbero dovuto uccidere, i suoi avrebbero dovuto incenerire qualsiasi cosa in un secondo per l’intensità che avevano i suoi occhi.
-Contaci. – Approvò il ragazzo. Mi lanciò un’occhiata, come ad assicurarsi che stessi bene, poi si allontanò dirigendosi verso la porta da cui era uscita Lily.
-Ora mi scrivi quello che è successo? – Mi chiese, c’era ancora una nota di preoccupazione nella sua voce.
Presi in mano il cellulare ma prima di spiegarle tutto c’era una domanda che dovevo farle:
“Chi era quel ragazzo?” Scrissi. Lily scoppiò a ridere e scosse la testa facendo andare avanti e indietro i suoi codini.
-Quello... quello era Ryan Blueblood. – Mi rispose continuando a ridere.
Ah. Magnifico.
Il ragazzo più figo della scuola mi aveva appena vista piangere.
Davvero Grandioso.

 

   
 
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