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Autore: Daleko    19/02/2017    1 recensioni
Questa è un'originale però non è un'originale. Lo so che come espressione sembra non avere senso, ma proseguendo la lettura della storia diventerà sempre più chiaro cosa io intendessi dire.
Questo racconto più verificare effetti "WTF?" indesiderati (oppure no). Assumere in piccole dosi.
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Per un terribile momento pensai di trovarmi alla presenza di zombie veri e propri, zombie di quelli che una volta erano i miei genitori e che ora, nel pieno della loro vita, ciondolavano per casa con pelle ingrigita e pagliuzze dorate nelle iridi.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Bisogna cambiare la Storia

1.
 
I loro occhi ambrati m'inquietavano un po', non promettendo niente di buono. Per un terribile momento pensai di trovarmi alla presenza di zombie veri e propri, zombie di quelli che una volta erano i miei genitori e che ora, nel pieno della loro vita, ciondolavano per casa con pelle ingrigita e pagliuzze dorate nelle iridi. Non ero molto propenso a rivolgere loro la parola e qualcosa mi suggeriva fosse meglio uscire dall'abitazione; in fondo perché rischiare una reazione sgradita? Non avrei voluto dover uccidere i miei parenti e sono sempre stato poco incline al ripulire le macchie di sangue. Uscii di casa richiudendo piano la porta dietro di me, poi trotterellai giù per le scale infilando la giacca a vento che stringevo nella mancina.
Abitando al sesto piano di un appartamento di periferia sono abituato a camminare parecchio per arrivare all'aperto; spesso mi perdevo nei pensieri dimenticando il piano a cui mi trovavo scoprendomi così prima del previsto (o molto dopo) a destinazione. Quel giorno in cui cambiò la Storia mi ritrovai più a disagio di quanto immaginassi. Giacca a vento chiusa, sneakers leggere sulle scale sudicie, continuavo ad agitare la mano destra nei capelli non pettinati. Ho sempre adorato il moro della mia chioma ribelle, se così si può chiamare un taglio di media lunghezza; non riuscivo però a compiacermene su quella scalinata apparentemente infinita mentre, infossando sempre più la testa nelle spalle, tentavo di non attirare l'attenzione delle persone intorno a me. Sembrava che gli appartamenti fossero stati svuotati dai loro inquilini, accorsi a ciondolare sui ballatoi con i medesimi occhi ambrati e la stessa pelle cinerea. Non mi sembrò vero di giungere finalmente in strada: uscii nella speranza di trovare aiuto e mi ritrovai invece nel pieno della Fine del Mondo1.
Il cielo era azzurro, gli uccelli volavano felici e nell'aria si diffondeva il profumo dei fiori trasportato dal vento. L'estate volgeva al termine e la brezza rendeva necessaria una giacca come la mia. Sembrava una tranquilla giornata di fine agosto e sarebbe anche potuto esserla, non fosse stato per gli zombie confusi che si muovevano senza meta per la strada. Rimasi interdetto; il mio primo impulso fu quello di ritornare a casa, ma rientrare in quel bordello infernale mi sembrò un tentativo troppo sfacciato di sfidare la sorte. Ripresi la mia postura ingobbita per rimpicciolire il mio svettante metro e ottanta di statura e m'incamminai, maledicendo la mia stirpe per l'altezza e poi ringraziandola per le gambe lunghe, nel caso avessi avuto bisogno di fuggire.
Mi dirigevo verso il centro nella speranza di capirne di più e dapprima non riconobbi la giovane Rei. In realtà si chiamava Angelina Mariarachele, ma il suo nome le provocava istinti omicidi e nessuno poteva darle torto, così tutti la chiamavano Rei. Diciott'anni appena, un metro e poco più, bella presenza, corto caschetto rosso naturale ben tenuto, sboccata come un camionista veneto appena licenziato. La vidi di spalle e anche se la sua andatura sembrava appena più rapida del movimento zombie-style 2, preferii un prudente giro di ricognizione per osservarla da avanti. La pelle era biancastra come al solito, il che non aiutava la risoluzione dei miei dubbi, ma gli occhi erano rimasti azzurri e in più erano gonfi e arrossati dal pianto. Ottimo segno, considerata la situazione in cui ci trovavamo. «Yo» le dissi semplicemente avvicinandomi, alzando una mano in segno di saluto e tenendo la voce a un tono abbastanza basso e rilassato. Il pomo d'adamo prominente che mi ritrovo non fece in tempo a riabbassarsi che Rei, terrorizzata, era già saltata all'indietro con sguardo spaventato. Sfilai anche l'altra mano da tasca, tenendole entrambe davanti al petto mentre lei scoppiava di nuovo a piangere con un terribile verso acuto. Si fiondò su di me e mi abbracciò tremante. «Ale, in che cazzo di situazione di merda siamo?» singhiozzò fra le mie braccia. Sì: era proprio Rei. Le accarezzai i capelli. «Non lo so, sto andando in centro a vedere se riesco a capirci qualcosa. Vieni con me?» le chiesi con tono vagamente soffocato; la sua testa nel mio stomaco mi stava bloccando il respiro. Si spostò e mi osservò con occhi pieni di lacrime. «Andiamo con la metro? Con tutti questi fottuti mostri?» domandò in tono flebile. Le sorrisi. «Chi vuoi che la guidi, la metro? No, andiamo a piedi. Dài, forza» la incoraggiai a camminare con me. Ci volle più di un'ora per raggiungere il punto che mi ero prefissato; per fortuna non ci fu nessuno scontro, e per ancor più fortuna Rei non mi chiese cosa stessimo andando a fare. Non ne avevo in realtà la più pallida idea.


 
1 Forse "Fine del Mondo" è un'esagerazione, ma non capita di certo tutti i giorni di poter scrivere di avvenimenti di questo tipo. Cercate di capirmi.
Licenza poetica.
 
   
 
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