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Autore: Urban BlackWolf    20/02/2017    1 recensioni
Michiru è determinata. Determinata a riprendersi ciò che le appartiene, che è suo dalla nascita. Ne va della sua stessa sopravvivenza, del suo benessere fisico e mentale.
E questa volta quella meravigliosa bionda che è la sua compagna, anima nobile, essere irrequieto, fortezza per il suo spirito e gioia della sua vita, non potrà aiutarla. Dovrà addirittura essere ferita, lasciata in disparte, relegata all'impotenza, perchè questo genere di lotte si debbono combattere da soli.
Ma la donna amante delle profondità oceaniche, non sa di avere un piccolo angelo custode venuto dal passato che la guiderà nei percorsi intrigati e dolorosi dei sui ricordi; Ami, giovane specializzanda in medicina, tenterà in tutti i modi di restituirle la libertà di sogni perduti. -Sequel dell'Atto più grande-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Ami/Amy, Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Richiesta di aiuto

 



“Ami... vorresti aiutarmi?”

La straniera avanzò di un passo sentendosi avvilita. Non le era mai costato chiedere aiuto, ma questo valeva per Haruka, Giovanna e per pochissimi altri. Con le persone estranee o con le quali aveva scarsa confidenza, non era altrettanto facile. E mai lo sarebbe stato pienamente. Estremamente indipendente, Michiru tendeva ad affrontare la vita a modo suo e supportata da un carattere forte, riflessivo e testardo, si era sempre trovata vincitrice negli scontri più o meno pesanti che l'esistenza le aveva messo davanti.

Ma questa volta era diverso. Sapeva di non potercela fare da sola e spinta dal sottile legame che l'aveva unita ad Ami in un passato ai suoi occhi ormai lontanissimo, cedette all'ovvietà di una forzata quanto impellente richiesta di sostegno.

“Io veramente... non saprei.” Disse la specializzanda scambiando una rapida occhiata con la sorella rimasta immobile accanto alla porta.

A Michiru il gesto non sfuggì, ma non disse nulla. In effetti Ami aveva un'indole particolarissima, che per molti versi andava a cozzare con la sua, ma conosceva parte della storia della sua famiglia e non avrebbero perso tempo nel ricercare qua e la nel passato dei Kaiou, le cause del suo malessere.

“Non sei stata tu a criticarla come medico!?" A Khloe quella richiesta non piaceva. Le puzzava di fregatura.

“Che cos'hai in mente, Kaiou?”

“Nulla di ciò che credi, Mizuno. Non ho intenzione di giocare con la mente di tua sorella manipolandone la fiducia in se stessa... come qualche ora fa mi hai simpaticamente fatto notare.”

“Cosa? Khloe che cos'è questa storia?!” Chiese Ami intuendo che per l'ennesima volta la sorella non fosse riuscita a restare al suo posto.

Quanto le dava fastidio che, inconsciamente o meno, Khloe la considerasse ancora un cucciolo bisognoso di cure ed attenzioni. Lo aveva fatto anche alla fine della sua ultima relazione, quando aveva letteralmente preso a pugni l'uomo del quale Ami si era innamorata.

“O andiamo, lo sai che mi preoccupo. Come sai che questo è il mio modo di volerti bene, perciò non darmi addosso la croce.”

Michiru sorrise, ricordando una frase che qualche mese prima aveva detto ad un'altra sorella maggiore, allora completamente fuori controllo: il sangue è più denso dell'acqua. Quella tenerezza le fece ricordare del perchè, anni addietro, si era innamorata di Khloe. Quando voleva era di una dolcezza disarmante.

“Michiru ascolta..., ripeto a te quello che ho già detto a mia sorella. Tra lo studio e la pratica c'è un abisso ed anche se è una frase scontata, io sono riuscita a capirla veramente solo dopo che ci siamo parlate. Ammetto di avere avuto la pretesa di poterti aiutare, ma ora non credo di averne le basi. Vedi, per quel che ho potuto capire il problema che ti affligge è radicato in profondità. Te lo stai portando dietro da anni, tanti anni e sono convinta che qualche collega abbia già tentato di scardinare la tua sofferenza. Visto gli scarsi risultati ottenuti, cosa ti fa pensare che potrei aiutarti proprio io?”

Già, cosa? Michiru aggrottò la fronte puntando lo sguardo in un punto non meglio identificato della stanza.

Sembrò ragionarci sopra qualche secondo per poi rispondere con tutta la sincerità che sentiva nel cuore. Tornando a guardare la donna più giovane dovette per forza di cose argomentare la sua richiesta e provò con una semplice parola, a farle comprendere che se qualcuno avesse mai potuto aiutarla, questa sarebbe stata solo lei.

“Empatia.” E lasciò stare cose come la loro conoscenza, o l'impellente necessità di mettere un punto a quella storia.

“Empatia.” Ripetè la specializzanda rimarcando lentamente la sua dote più grande e pericolosa.

“Ok Michiru, possiamo provare, ma...”

“Ami no!” Intervenne Khloe.

“... ma dovrai fare quello che ti dico e quando te lo dico. Non per offenderti, ma il medico sono io e non voglio ritrovarmi una “paziente” che cerca di elevare le sue scarse e frammentarie nozioni di psicologia mettendole sullo stesso piano di quelle di una professionista solo perchè apprese da un'esperienza soggettiva. Che ne dici? Puoi riuscire a farlo? Puoi riuscire a fidarti così tanto di me da consegnarmi il tuo io lasciandomi fare il mio lavoro senza batter ciglio?” Chiese serissima lasciando intendere alle altre due donne di essere tornata in modalità “medico”.

Michiru sbattè le palpebre stupita per confessarle poi che quanto meno ci avrebbe provato.

“No. Non ci devi provare. Ci devi riuscire. Altrimenti non andremo da nessuna parte. E non dovrai avere fretta, perchè queste cose possono risolversi in due giorni, in due anni, come ... mai.”

Nel sentire quelle parole il primo impulso di Michiru fu quello di ringraziare e voltarsi per tornare in camenra a fare i bagagli, ma l'intelligenza, l'amore per Haruka, la voglia di riavere il suo equilibrio, di riprendersi il sonno, le schiacciarono l'orgoglio.

“Va bene.” Disse comunque convinta che avrebbe avuto margini di movimento.

Ben presto la dottoressa Kaiou avrebbe altresì compreso che con Ami Mizuno le contrattazioni non sarebbero mai state prese in considerazione.

 

 

“Assolutamente NO. Io non la prendo!” Meno di due ore ed il primo scontro tra dottore e paziente stava vedendo il suo apice nella stanza di quest'ultima.

Seduta sul letto con i pugni chiusi sulle gambe, Michiru non poteva che guardare con gli occhi iniettati di sangue la capsula bianca e blu che Ami le stava mostrando.

“Non è niente di trascendentale Michiru. Per favore.”

“Ti ho già detto di no!” E le nocche se possibile divennero ancor più bianche di quanto non lo fossero già.

La più giovane stava cercando di mantenere la calma, ma la testardaggine di quella donna stava rasentando la stupidità. Se queste erano le premesse, sarebbe stato meglio farla finita subito ed amiche come prima.

“Ascoltami. Ho capito che non vuoi prendere nulla che ti faccia perdere lucidità e ti ho anche spiegato come, per ora, non serve che io ne conosca il motivo, ma prima di tutto hai bisogno di dormire e questa capsula è l'unica cosa che può darti un po' di tregua e riallineare le tue funzioni cognitive.”

“Non sono una pazza!”

“Certo che non lo sei! Ma devi riequilibrare il sonno, la veglia e lo stato di coscienza, perchè lasciatelo dire, ora sei iper attiva.”

Ami s'inginocchiò di fronte alla donna. Michiru era quasi terrorizzata da quel piccolissimo oggetto. La vide iniziare a respirare più velocemente. Troppo velocemente.

“Stai andando in iperventilazione. Calmati...”

“Non posso perdere il controllo. Non posso perdere il controllo....” Iniziò a dire come un mantra serrando gli occhi e provando a respirare più lentamente.

Ami ne fu colpita. Quella donna aveva un notevolissimo autocontrollo. La signora Kaiou; ecco chi le aveva insegnato a non perderlo mai.

Qualche altro secondo e la straniera riaprì gli occhi tornando a guardarla. “Ti prego, Ami.”

Una supplica che all'altra scivolò addosso neanche fosse acqua. Zero contrattazioni.

“Ti garantisco che non è un medicinale forte. Non riposi da così tanto tempo che non ne hai bisogno. Perciò stai tranquilla, ok?!”

Voglio Ruka! Pensò Michiru ingenuamente chiedendo di poterla chiamare.

“La vorresti sentire ora? - E ad un assenso alzò le braccia sorridendo. - Non c'è nessun problema, anzi, mi sembra un'ottima idea.” Incoraggiò rialzandosi ed aspettando che finisse di calmarsi.

“Metto questa sul comodino, ma bada di non giocare sporco. Se non la prenderai me ne accorgerò quando tra una mezzoretta tornerò a vedere come stai. Chiaro?”

“Sono sufficientemente intelligente per aver compreso che è per il mio bene.” Ringhiò sommessamente ed aspettando che uscisse, afferrò il cellulare componendo il numero.

 

 

A Giovanna vibrò la tasca della giacca. Seduta sulla neve aspettando che Haruka tornasse da una pista nera che lei, in tutta franchezza, si era rifiutata categoricamente di fare, stava godendosi il sole e l'aria frizzante di quel giorno di fine inverno. Coprendosi gli occhi dalla luce cercò di vedere sul display chi fosse e una volta riconosciuto il numero dal prefisso straniero, rispose con entusiasmo.

“Pronto... Michi!”

Dall'altra parte una voce stanca, ma rincuorata dal sentire l'aria di “casa”. “Giovanna. Come stai?”

“Io bene, ma... la tua voce... Tutto apposto?” Giò era stata messa a conoscenza dalla stessa Michiru di quella “fuga” e conoscendo a larghi tratti la storia del rapporto tra l'amica ed il padre, aveva intuito, anche con l'aiuto di Haruka, che quel momentaneo allontanamento era l'ultima carta da giocarsi per tornare ad avere una pace interiore che quel legame aveva per vari motivi incrinato.

“Diciamo che è più dura di quel che credessi, ma tu? Voi? Cosa state facendo?” Dio quanto voleva parlare con la sua bionda.

“Siamo a Nara e credo che la tua donna stia cercando d'impossessarsi di tutta l'eredità prima del tempo.” Disse Giò provando a farla ridere. Ci riusciva sempre.

“E' un bel posto, ma non farti portare sulle piste nere, intesi?” Consiglio' non potendo evitare l'apprensione che sentiva di avere quando la risonanza della competizione che quelle due avevano dalla nascita risuonava incontrollabile.

“Ci ha già provato. Guarda ho dovuto puntare i piedi, anzi i tuoi sci e farmi riaccompagnare a valle da una moto slitta. Ruka è completamente fuori di testa! Comunque, è un po' che ci siamo lasciate e dovrebbe essere in contatto visivo tra qualche minuto. Puoi aspettarla?”

“Certo che posso.” Disse aggiungendo di raccontarle qualcosa. Una cosa qualunque.

Sospirando l'altra obbedì. Kaiou era crollata e dopo tutte le traversie che aveva dovuto affrontare durante la malattia di Haruka a Giovanna sembrava strano che fosse accaduto ora e non qualche mese prima.

“La tua donna si comporta con me come se fossi... una bambina di dieci anni. E' arrivata ad allacciarmi gli scarponi come se non fossi in grado di farlo da sola. Mi controlla anche quando vado nel bagno dei rifugi, perchè convinta che scivoli sui gradini e mi spacchi la testa. Credo che abbia paura che non veda gli alberi e ne centri uno. Per non parlare dello skilift! Tanto ha detto, tanto ha fatto nel cercare di farmi capire quando sganciarmi, che mi ha confuso le idee facendomi ribbaltare su un montarozzo di neve prima che mi venisse addosso e cascasse anche lei. -Sospirando continuò più lentamente. - Parliamo poi del fatto che essendomi innocentemente puntata alla fine di una pista non riuscendo piu' ad andare ne avanti ne indietro, ha avuto la bella idea di darmi un pò di spinta e calcolando male i tempi della mia reazione nel non voler più muovere un passo da dov'ero perchè esausta, mi ha fatto andare a sbattere contro un paio di americani. Pure grossi! Kaiou... la tua Ruka s'è trasformata in una... balia gialla ed aggiungerei anche alquanto pericolosa!” Concluse sentendola ridere piano.

“Grazie Giò, mi ci voleva... Come vorrei essere li con voi.“ Ammise dolcemente continuando ad immaginarsi Haruka e Giovanna appallottolate tra la neve.

“Lo vorrei anche io e non soltanto perchè vorrebbe dire che stai meglio, ma anche perchè per quanto possa fare, Ruka è sempre tanto triste.” Ammise vedendola arrivare scodando di gran carriera.

Che cazzona, si disse prima di alzarsi agitando a mezz'aria il cellulare.

“Michi sta arrivando. Vedrai che andrà tutto per il meglio. Tieni duro e mi raccomando, chiama sempre se serve, ok?” Salutò guardando la bionda alzarsi gli occhiali a specchio sulla testa rivelando così i suoi pazzeschi smeraldi.

“Pronto amore?”

“E se non fossi stata io?” Chiese Michiru divertita.

“E chi vuoi che mi passi quella casinista di Giovanna? Come stai?”

“Non lo so...” Ed iniziò a spiegarle per sommi capi che cosa stava succedendo ed al sentirsi dire - ma questa Ami sa quello che fa? - alzò le spalle poggiando poi pesantemente la fronte sul palmo della mano.

“Non ho altre alternative Ruka. Lei mi conosce, o meglio, conosce parte della mia storia ed ammetto che ha un modo del tutto nuovo di approcciarsi alla psiche delle persone. Potrebbe anche essere una buona cosa. Comunque ora come ora è tutto quello che ho.”

“Ok...” E la bionda non riuscì a dire altro.

”Non aveva ancora pienamente accettato quell'alzata d'ingegno ed anche se stava facendo di tutto per cercare d'immedesimarsi nella compagna per riuscire a capire, ancora provava moti di rabbia per essere stata esclusa. Non sapeva neanche dove fosse e aveva promesso che non glielo avrebbe più chiesto. Naturalmente si tenne questo turbine di emozioni per se anche se sapeva che Michiru intuiva benissimo quel disagio.

“Ora ho un compito sai?”

“A si?! E sarebbe?”

“Dormire.”

“Mmmmm....”

“Con l'aiuto di una capsulina.” Disse prendendola tra il pollice e l'indice.

Haruka comprese al volo anticipandone il desiderio. “Vuoi che rimanga con te finchè non ti addormenti?”

Michiru strinse i denti. Come riusciva quella donna a farla sentire sempre tanto amata?!

 

 

Khloe sospirò seduta sul letto scansando una ciocca di capelli dal viso di una Kaiou addormentata. Era impareggiabilmente bella e finalmente sembrava che su quel volto pallido fosse tornata una momentanea pace.

“Ce la farai a liberarla dai suoi tormenti, sorellina?!” Chiese alzandosi aiutandola a coprirla con la sovra coperta.

”Ami era dubbiosa, ma sapeva cosa fare. Aveva elaborato una serie di “sedute” che avrebbero cercato di farle fare il punto della situazione. Da li in avanti, la specializzanda avrebbe deciso il da farsi andando praticamente “a braccio”.

“Non so, non ho l'esperienza per dirti nulla, ma ci proverò con ogni mezzo. Su questo puoi starne certa.” Assicurò sfilando dalla destra di Michiru il cellulare per posarlo sul comodino.

Uscirono subito dopo lasciando che la donna ricaricasse finalmente le energie.

Come un orso riemerso dal letargo invernale, Michiru scese giù da basso circa tredici ore dopo, convinta di essersi persa una fetta di vita. Con nella bocca un retro gusto amarognolo che ricordava sin troppo bene essere la scia di un sonnifero, si affacciò alle porte della cucina di buon mattino non trovandoci che Agapi. Guardandosi in torno con aria assente cercò di ricordarsi cosa fosse accaduto. La discussione con Ami, l'accettazione del suo metodo, la telefonata ad Haruka. E poi? E poi... l'oblio; benedetto e rigenerante.

“Buongiorno àngelos, come mai tanto mattiniera?” Chiese sorridendo Agabi intenta a preparare la colazione.

Efficientissima, quella piccola donna rotondetta sarebbe riuscita a sfamare con la sola forza dei suoi avambracci un'intero plotone di fanteria.

“Ma..., non si è svegliato ancora nessuno?” Chiese sedendosi al grande tavolo posto al centro dell'ambiente. Avrebbe voluto aiutarla, ma sentiva di avere ancora bisogno di cinque minuti.

“Alexios è già andato al mercato del pesce, mentre le mie figlie...” Lasciò così intendere che non erano ancora rotolate fuori dalle lenzuola.

Strano, ricordava Khloe un tipo mattiniero. Nascondendo il viso nell'incavo delle dita, la straniera sospirò notando come si sentisse la testa pesante anche dopo una doccia. Ecco un'altra cosa del perchè odiasse quel tipo di farmaci. I postumi di una sbornia, che non aveva mai “assaporato” fino in fondo, le avrebbero dato sicuramente meno fastidi.

Sentì le mani di Agapi strofinarle energicamente le spalle e guardandola ne afferrò una d'istinto. “Mi manca mia madre.” Disse improvvisamente stupendosi di quella tenera confessione.

“Allora perchè non la chiami?”

“Perchè sarebbe... inutile. - Desolata abbassò gli occhi. - Non ha piacere a parlare con una figlia come me. Credo proprio di essere una gran delusione.” E rise amara.

Non si erano sentite neanche per il Natale appena trascorso e non lo avrebbero fatto neanche per il compleanno di Michiru, che sarebbe caduto da li a breve.

“O che sciocchezze! Come puoi essere una delusione?! Chi non vorrebbe una figlia come te?” Disse convinta con un leggero moto di stizza nel tono della voce.

Talentosa, affabile, bene educata, Michiru Kaiou avrebbe fatto la felicità di qualsiasi genitore.

“Mia madre...” E purtroppo era vero.

Non si trattava di nichilismo, ma di uno sguardo duro e ben consapevole su una realtà che per molti versi aveva visto i natali proprio all'interno della famiglia Mizuno. Michiru ricordava esattamente cosa Flora Kaiou le aveva urlato contro quando aveva sub dorato che tra lei e la figlia più grande della servitù c'era qualcosa di troppo intimo: non ti permetto di giocare a fare l'invertita! Ricordati che sei una Kaiou! Hai nel cognome che porti il tuo retaggio! E quando anni dopo erano rimaste sole, Michiru era esplosa non riuscendo più a tenere nascosto quello che era, ovvero una semplice donna che voleva, sentiva, provava a vivere la vita e l'amore a modo suo.

Agapi si sedette un attimo sulla sedia accanto e continuando a sentire la mano dell'altra nella sua, gliela strinse forte costringendola a guardarla negli occhi. “Non lo vuole proprio accettare, vero?”

“No.” Rispose semplicemente, capendo così che la donna sapeva della sua omosessualità.

Sarebbe stato bello avere una madre come lei ed un padre come Alexios. Per loro la primogenita era sempre stata perfetta, pur non rispecchiando pienamente i canoni stereotipati di una figlia.

“Come avete fatto ad accettare Khloe? Non l'avete mai, non so, messa in discussione per la sua sessualità?” Osò chiedere spinta dall'innocente desiderio di conoscere anche la prospettiva di altri genitori.

La donna illuminò allora il viso con un sorriso carico d'amore materno, rivelandole che sia lei che il marito non avrebbero mai scambiato quella peste della figlia per tutto l'oro del mondo.

“Mi sono chiesta tante volte se l'accettazione che Alexios ed io abbiamo sempre avuto nei confronti di Khloe fosse dettata dal fatto che non sia figlia unica, che le aspettative sul naturale allargamento di una futura famiglia, si sarebbero potute comunque concentrate su Ami, ma sono convintissima che l'avremmo “accettata” anche se fosse stata l'unica. Con questo però non voglio assolutamente giudicare tua madre, anche se mi risulta oltremodo difficile credere che non ti ami.”

Michiru sospirò pensando che Flora si era persino rifiutata di conoscere Ruka. Quattro anni e mai una visita, solo sporadiche telefonate e gioco forza era stato che Michiru avesse suo malgrado dovuto fare una scelta; o vivere a modo suo o vivere secondo il perbenismo di una società ristretta ed ottusa. Non si erano riavvicinate neanche quando ad Haruka era stata diagnosticata la leucemia e Michiru si era ritrovata sola, senza la possibilità di una valvola di sfogo, di un conforto, di un aiuto. Almeno fino all'arrivo nella vita sua e della compagna, di Giovanna Aulis.

“Giorno mà. - Khloe entrò nella cucina stropicciandosi un occhio con alle spalle la sorella. - O Kaiou, sei qui?!” Chiese guardandola di sottecchi notando il suo essere leggermente più riposata.

“Si parla del diavolo...” Disse la madre alzandosi dal tavolo pronta per ricominciare le sue faccende.

“Forza muovetevi voi due. Ci sono i clienti da servire ed i pasti per il pranzo da iniziare a preparare.” E seguita anche da una pensierosa Michiru, tutte e quattro iniziarono ad animare il cuore pulsante del Re del mare.

 

 

Michiru guardò incredula l'oggetto che Ami le stava porgendo. Un violino. Era il primo pomeriggio e le due donne avevano deciso di comune accordo d'iniziare l'opera decostruttiva a danno della piramide difensiva che la straniera aveva innalzato attorno alla sua psiche. In campo medico, Ami non era mai stata un tipo tradizionalista, ed anche se trovava nelle radici della psicoanalisi basi di conforto e tranquillità, la sua smisurata smania di conoscenza la spingeva a continue sperimentazioni. Così non aveva neanche preso in considerazione il “classico” lettino, una stanza chiusa o una serie di domande prestabilite, scegliendo per Michiru un approccio più naturale. Nel vero senso della parola.

Dandole appuntamento sul tetto del Re del mare, era sparita chissà dove lasciandola lungamente alla goduria del sole e della brezza capricciosa che era solita alzarsi verso le due del pomeriggio. Così dopo aver legato per svariati minuti le sue iridi blu a quello della distesa d'acqua che si apriva sul Pireo, Michiru iniziò ad avvertire nell'anima una pace che non sempre riusciva ad ottenere lontano da esso. Almeno fino a quando lo strumento musicale non l'era apparso stretto per la tastiera.

“Guarda cosa ho trovato?” Disse Ami entusiasticamente non sapendo cosa di li a breve avrebbe scatenato.

Alzando le sopracciglia, l'altra guardò con ritrosia il legno laccato facendo istintivamente un passo in dietro fino ad urtare il muretto del terrazzo. Che strano, si disse provando a ricordare da quanto tempo non aveva più avuto occasione di guardare un violino così da vicino.

“Cosa dovrei farci?”

Ad Ami non sfuggì la durezza di una voce generalmente sempre piuttosto musicale. Non badandoci alzò a mezz'altezza l'archetto e lo strumento aspettando che l'altra li prendesse.

“Non avrai scelto la carriera musicale, ma amatorialmente lo suoni ancora, corretto?” Chiese convintissima che la rinuncia di Michiru fosse stata dettata solo dall'ombra dei successi della carriera materna. Dovette ricredersi.

Michiru sorrise tristemente accarezzandolo. Quante ore aveva trascorso ad esprimere se stessa nelle note prodotte da quell'incredibile oggetto. Un amico. Il suo migliore amico.

“Suonare uno strumento musicale è un'attività che coinvolge completamente una persona, sia nei suoi aspetti psichici che motori. Dar vita alle note è il punto terminale di una lunga storia personale. - Mosse lo strumento verso l'altra incoraggiandola ad afferrarlo. - Forza Michiru, fammi sentire qualcosa.”

“Vorresti iniziare dalla fine per arrivare al principio?!”

“In verità è più la voglia di sentirti nuovamente, ma si... diciamo che il mio metodo è questo.”

Il medico non si sarebbe mai immaginata ritrosia. Michiru le voltò le spalle tornando a guardare il mare poggiando le mani sulla mensola in pietra. “Non posso.”

“Anche se non ci si esercita da molto tempo il corpo non dimentica. Non aver paura di fare una figuraccia. Ti ho portato qui per questo. E' il punto più solitario della struttura.”

“Non si tratta di paura, ma di... impossibilità fisica.”

Per nulla convinta l'altra incalzò. “Michiru, spero che non vorrai mettere sempre tanta ostinazione nelle idee che propongo. L'utilizzo del violino potrebbe aiutarti molto a ...”

“Non posso più suonare!” Urlò girandosi di scatto mostrandole la mano sinistra.

“Non ricordi che fui operata?”

“L'incidente? Ti ha menomata così tanto?” Chiese riabbassando lo strumento dispiaciuta.

“Certo, l'incidente.” E non potè trattenersi dal ridere.

“Guarda Ami. Osserva bene la mia mano. Ora ti mostrerò il perchè della fine della mia carriera.” Ed afferrando quasi con rabbia lo strumento, si portò la mentoniera sotto al viso impugnando l'archetto. Un gesto che non compiva da anni e che le venne naturale come fare un passo. Avvertì chiaramente un tonfo doloroso al cuore. La mano sinistra dalla presa decisa, ma gentile sotto al capotasto. Le dita sulle corde. Un respiro e Michiru lasciò che il crine scivolasse verso il basso. Ed Ami comprese. Alla prima sollecitazione l'anulare sinistro venne scosso da un leggero tremore saltando perdendo presa e costringendo così la donna a fermarsi di colpo dopo una sola, vibrante, cristallina nota.

“Mi dispiace. Non credevo che quella pallonata fosse stata tanto violenta.”

“Pallonata? A... è vero! E' stato questo che i tuoi hanno voluto raccontare alla piccola Ami. Che la signorina si era fatta male durante l'ora di ginnastica. Ma non è andata proprio così e visto che stai continuando a prendere mentalmente appunti da quando sei qui, è ora che tu sappia che uno dei traumi della mia giovinezza, della mia vita, è stato causato dalla violenza di mio padre e non da un banalissimo incidente scolastico.”

 

 

Non avrebbe voluto dirglielo così. In tutta onestà non avrebbe proprio voluto dirlo a nessuno. Neanche ad Haruka aveva spiegato per filo e per segno quello che era accaduto il pomeriggio di quel giorno, al ritorno da scuola, quando per salvare la madre aveva frapposto il suo corpo, se stessa, il suo futuro, all'ira di Viktor. Ora erano li, sul tetto della pensione, sedute sul lastrico solare con la schiena poggiata all'intonaco del parapetto, Michiru che raccontava come si erano svolti i fatti ed Ami che ascoltava, in maniera più coinvolta di quanto non avrebbe dovuto. Così la specializzanda iniziò ad avere basi solide per il suo lavoro, ricordando il prima persona flash del passato quali ad esempio, le improvvise ritrosie di Michiru nello stare sola con il padre, i suoi pianti disperati tra le braccia di khloe, la protezione di Agapi, che cercava di non perderla mai di vista, gli sguardi guardinghi di Alexios, sempre pronto all'intervento e i ritorni improvvisi dalle tourne della signora Flora. Man mano che Michiru raccontava Ami ricordava.

“E cosa provi per tuo padre?” Le chiese guardandola negli occhi aspettandosi di vederli lucidi, sbagliandosi nuovamente.

“Con molta probabilità Michiru non era mai riuscita a sfogarsi realmente, a lasciarsi tutto alle spalle e quella rabbia, quel dolore, quell'insieme caotico di emozioni, erano montate in lei, ingigantendosi e cristallizzandosi in una corazza che la stava portando al soffocamento.

“Non lo so.” D'impulso mentì senza capirne il motivo.

Ami la illuminò rassicurandola di non aver paura. “Dovrai letteralmente picconare la tua scorza protettiva Michiru. Ora come ora è soltanto una prigione. Perciò inizia con il cercare la verità, perchè mentendo a me, menti a te stessa.”

La donna più grande tornò a fissare il cielo ammettendo l'ovvietà del suo amore. “Non mi spezzo' il tendine con consapevolezza. Non fu colpa sua. Io amavo mio padre. E lo amo ancora.”

Sincera fino allo sfinimento Michiru poggiò la fronte sulle ginocchia esausta. Quanto tempo era passato da quando si erano sedute? Dieci minuti? Un'ora? Un anno?

“E per tua madre? Ora che sei adulta e che puoi capire meglio i suoi atteggiamenti nei confronti tuoi e di Victor, cosa provi?” Ma a quella domanda l'altra non seppe rispondere. Forse per onestà, per caparbietà, testardaggine, o presumibilmente per stanchezza.

“Va bene. Per ora è meglio smetterla qui. Penso che per oggi sia sufficiente.” Disse Ami rialzandosi e porgendole la mano.

“Ora sarà meglio rilassarsi un po'. Ho un'idea per farti scaricare tutte le energie negative accumulate. Ma avremo bisogno anche dell'aiuto di mia sorella. Spero non ti dispiaccia Michi.” Ed afferrandole la mano la issò letteralmente da terra.

“Cosa hai in mente di farmi fare?”

“Visto che il mare ti piace tanto e che la temperatura non è proprio bassissima...”

Afferrando a Michiru luccicarono gli occhi.

 

 

Seduta sul banco di legno della barca a motore con la quale Khloe portava i turisti in giro per le isole, Michiru lasciò che la mano toccasse l'acqua avvertendo un brivido. Aveva freddo e la muta che aveva stretta a fasciarle il corpo le dava fastidio e la faceva sentire nuda di fronte alle donne che stavano viaggiando accanto a lei, ma si sentiva anche viva, curiosa ed impaziente. Ami l'aveva in qualche modo “premiata”, ed ora erano dirette tutte e tre in uno dei parchi marini più belli della zona. Poco turistico ed in genere battuto solamente dai sub più esperti e dagli studiosi, conteneva sul fondo reperti archeologici quali antiche fondazioni ellenistiche, navi affondate durante la Grande Guerra, ed una quantità sterminata di pesci e coralli.

Ipnotizzata dal rumore del motore e dallo sciabordio dell'acqua sulla prua, Michiru non potè che ritrovarsi a pensare all'ultima vera vacanza fatta da lei ed Haruka a Santorini. Il sole brillante, i colori nitidi dalle incredibili sfumature, gli odori delle erbe che crescevano sui crinali che si univano a quelle medicamentose presenti nei giardini dalle case di calce bianca e blu. I suoni del vento che si univano a quelli prodotti dalla gente del luogo nel porto e nelle piazzette con i caffè all'aperto. La voce del suo immenso padre blu, che a volte urlava, ed altre le sussurrava leggermente, andando dalle orecchie al battito del suo cuore, donandole energia, stupore e meraviglia.

Amore mio, ma quanto può essere bello il mare!” Aveva detto durante quella vacanza alla sua bionda per poi correre come una bambina verso il bagnasciuga.

Io penso che sia tu a renderlo tale Michi. Senza di te sarebbe solo un'enorme pozza d'acqua.” Le aveva risposto dissacrante una Haruka per niente colpita da quella vastità.

E aveva riso Michiru, osservandole i capelli corti arruffati dalla salsedine, il viso cotto dal sole, la schiena incandescente coperta da una camicia di lino e la sabbia che ormai si era fatta strada dappertutto provocandole irritazioni varie ad ogni passo. Ma la sua Ruka l'amava troppo per non farle fare almeno una vacanza l'anno in una località balneare e se lei si piegava a metter su quelle tenaglie chiamate scarponi e quelle trappole che erano i suoi sci, l'altra usava la stessa cortesia lasciando che si trasformasse quasi in una sirena ogni qual volta i suoi piedi andavano a toccare un bagnasciuga.

Mi manchi, anima mia. Pensò avvertendo la barca rallentare fino a fermarsi accanto ad un arco roccioso che spuntava fuori dalle onde per quasi quattro metri.

Khloe gettò l'ancora mentre Ami preparava le bombole d'ossigeno. Era arrivato il momento di immergessi lasciando i problemi, le ansie ed i ricordi fuori dal suo elemento.

 

 

 

 

Note dell'autrice: D'accordo, d'accordo, ho capito. Qui Haruka mi sta diventando un po' troppo “panchinara” e credo che stia iniziando a scalpitare per volere entrare in campo a”giocare”. Ma il titolo di questa fanfiction è “il viaggio di una sirena”, non “donne e motori, gioie e dolori”, perciò....

Naturalmente sto scherzando. A presto.

 

 

 

 

   
 
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