Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: simocarre83    20/02/2017    2 recensioni
Secondo racconto che parte dopo l'epilogo del primo. quindi se volete avere le idee chiare sarebbe, forse, il caso di leggere anche il primo. Ad ogni modo, una brutta notizia che presto diventano due, due vittime innocenti, loro malgrado, nuovi personaggi e purtroppo nemici che compaiono o RIcompaiono. Ma sempre l'amicizia che ha, come nella vita, un ruolo fondamentale.
Genere: Drammatico, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
SENTIMENTI RIMOSSI

Aveva mangiato troppo, in quei due giorni. Bene, ma troppo. E per quello sapeva che l’unica soluzione a quella sensazione era la solita. Così, il martedì sera, a cena, aveva parlato di quello con suo padre e sua madre, e il giorno seguente Giuseppe sarebbe andato in piscina. Chiese a Simone se voleva accompagnarlo e questi rispose immediatamente di si. Anche a lui piaceva tantissimo andare in piscina, e l’influenza, nelle settimane passate, gli aveva fatto perdere un po’ il ritmo.
Suo padre era molto eloquente con gli sguardi. Sapeva di potergli far capire tutto. Uno sguardo lanciato nei suoi riguardi gli aveva fatto capire di dover fare quel sacrificio. Sbuffò. Vistosamente anche lui. E Simone lo guardò seriamente. Lui, con aria di sfida guardò suo padre. Non voleva cedere a quella lotta. Poi, optò per l’ubbidienza. Decise però di riprendersi anche la “rivincita” su suo padre.
“Dai! Venite anche voi due in piscina!? Ci divertiremo!” disse, rivolto a Roberto e Francesca. Perché sapeva che suo padre aveva pensato solo a Roberto. Sapeva anche che lui avrebbe pensato volentieri solo a Francesca. Solo che il piano fallì. Miseramente. Almeno per Giuseppe.
“Guarda! Ti ringrazio, ma domani mi sono già messa d’accordo con Maria e Anna per ritornare in centro e comprare un po’ di cosine interessanti” disse Francesca.
-Peccato!- pensò Giuseppe. Ci teneva alla sua risposta affermativa. Parecchio. Confidava, almeno, in un ulteriore sbuffo di quell’antipatico di Roberto, così almeno per quelle tre ore si sarebbe potuto divertire in santa pace senza quel buffone tra i piedi.
Anche Michele con lo sguardo sapeva essere eloquente. Quando Roberto sbuffò, tutti compresero che anche lui non aveva poi tutta questa voglia di andare in piscina. E Michele comprese più che chiaramente il motivo: non doveva correre buon sangue tra i due ragazzi. Bastò però uno sguardo un pizzico più eloquente.
“E va bene! Ma non ho neanche un costume!” disse, sbuffando ancora.
“Non è un problema, Giuseppe sarà felice di prestarti uno dei suoi!” rispose Simone.
“Ma non ci penso neanche!” Un’occhiata pietrificata colpì Simone in quel preciso istante. Proveniva da Giuseppe, suo figlio.
Il gioco di sguardi tra lui e suo figlio, l’aveva fatto propendere per entrare nella discussione, mettendo fine a quella scena pietosa. E anche un po’ imbarazzante. Giuseppe, a questo punto pienamente infastidito da quella situazione, si alzò e se ne salì in camera sua. Lasciando tutti interdetti. In silenzio. A guardare Simone. Tutti tranne Roberto, che guardava, disinteressato a tutto, davanti a lui. La cosa che a Simone dava veramente fastidio, era l’atteggiamento di Giuseppe. Si stava veramente comportando da immaturo. L’aveva notato per tutti e tre quei giorni. Da quando si erano visti per la prima volta, sabato sera, avevano continuato a stuzzicarsi, con sguardi, battutine, piccoli dispetti. Qualche volta aveva lasciato perdere, ma a volte, tra una cosa e l’altra, coinvolgevano anche gli altri, e con non poche ripercussioni sulla calma e la tranquillità di quei momenti. Ma ora stava decisamente esagerando. E questa volta, con le buone o con le cattive, gliel’avrebbe fatto capire. Fu allora che un leggero sguardo di intesa passò tra Simone e Michele. E un leggero cenno affermativo di entrambi, li convinse ancora di più che la situazione sarebbe dovuta finire quella sera stessa. Ciascuno, per quanto di propria competenza.
Mentre Maria e Francesca si dedicavano al riassetto della cucina, Michele chiese a Roberto di salire in camera con lui. Francesca, scorgendo all’orizzonte il probabile senso di quell’invito, scoprì quanto preferiva, veramente, starsene ancora un po’ in cucina a dare una mano a Maria. Inoltre Michele avrebbe preparato la roba da portarsi via il giorno successivo. Giuseppe era già andato in camera sua a guardare la televisione. L’altra famiglia se ne andò. Anna avrebbe accompagnato Simone J il giorno dopo a casa di Maria per le nove, in modo da permettergli di andare in piscina. Giuseppe invece voleva andare a letto presto, vista la levataccia del giorno seguente per il volo.
Simone, dapprima, diede una mano a Maria e Francesca, poi optò per sistemare quella situazione anche lui, come aveva dimostrato di stare facendo anche Michele. Così salutò Francesca e salì anche lui le scale, bussando pochi secondi dopo alla porta della camera di suo figlio.
“Avanti!” disse la voce dall’altro lato della porta.
Giuseppe era sdraiato sul letto a guardare la televisione. Simone entrò e chiuse dietro di sé la porta.
“Parla a bassa voce, prima di tutto!” disse.
E quando suo padre incominciava così erano guai. Gli era capitato poche volte, ma tutte le volte l’aveva pagata cara.
“Ti sembra corretto il modo in cui ti sei comportato prima? E del modo in cui ti sei comportato in questi tre giorni con Roberto, che cosa te ne pare?” disse Simone.
Giuseppe, deciso ad arrivare in fondo alla questione, da ragazzo, pur sempre bravo, ma pur sempre adolescente, si alzò dal letto.
“Non mi sta simpatico, Roberto, non si era capito?” disse.
“E perché?!” chiese suo padre.
“Fa l’asociale. Fa il superiore. Non vuole mai parlare con me, non ha neanche una volta rivolto la parola a Simone. Come si permette? Noi lo ospitiamo! Lo trattiamo benissimo, e lui in tutta risposta, quando lo invito a venire in piscina con me, sbuffa. Sbuffa! Ma ti rendi conto? Neanche gli avessi chiesto di studiare matematica! E ogni volta che ho cercato di incominciare a parlare con lui, sempre la stessa storia! Mi risponde a monosillabi, poi prende e si allontana! Mi spieghi che cosa gli ho fatto? Pensi che non me ne sono accorto che la prima cosa che ha fatto quando è entrato in questa casa, sabato sera, è stato sbuffare? E che lo fa ogni volta che io, tu, la mamma, addirittura suo padre, gli diciamo qualcosa? Ma chi si crede di essere? Io al posto suo le avrei già prese, sia da te che dalla mamma, se avessi fatto una cosa simile. E invece, Michele vede suo figlio che si comporta così e non gli dice neanche niente?!” disse.
Per tutto il tempo Simone rimase con lo sguardo fisso su suo figlio, in piedi a un paio di metri da lui, con le braccia conserte. Poi gli chiese solo una cosa.
“Sfogato?!” disse, non mollando mai il contatto visivo con gli occhi di suo figlio.
“Abbastanza” disse, Giuseppe, a voce più bassa di prima. Ma quello che pensò era molto diverso.
-Ecco! Adesso le prendo! Me la sono andata a cercare! È un sacco di tempo che non mi succede, ma ora le prendo! Mannaggia a me’ e a quando mi è venuto in mente di tirare fuori il discorso della piscina!-. Questo fu quello che pensò Giuseppe, mentre indietreggiò, perché vide suo padre che, lentamente si stava avvicinando a lui.
“Bene!” e dicendo quello mise le mani sulle spalle di suo figlio, ormai alto come lui, e, con quel pizzico di forza in più che ancora aveva, lo spinse, non tanto dolcemente, a sedersi sul letto.
“Bene! Così adesso stai zitto per qualche minuto e ti spiego perché fa così!” disse, con un tono che non lasciava adito a dubbi, a Giuseppe, di aver oltrepassato un punto tragico.
Simone prese la sedia dalla scrivania di Giuseppe e la posizionò davanti al letto. Si sedette e cominciò.
“Ciò che ti sto per dire, è esattamente quello che, la settimana scorsa, Michele mi ha raccontato, mentre lo riaccompagnavo alla stazione dei pullman per farlo scendere a Matera. Non mi invento nulla” disse guardando suo figlio negli occhi.
“Immagina che domani mattina, quando la mamma torna a casa dall’aeroporto, dopo averci accompagnato a Bergamo, ti dica di non sentirsi tanto bene. E che va a stendersi sul letto. Sei solo in casa, e ad un tratto senti la mamma che urla, forte, come non l’hai mai sentita urlare. Corri immediatamente in camera da letto e lei, con gli occhi fissi davanti a sé, ti dice che non ci vede più. Immediatamente chiami lo zio Vito. E gli racconti quello che è successo. Lui ti dice che sta arrivando. E che sta arrivando anche un’ambulanza. Tu cerchi di rassicurare la mamma che è tutto a posto, quando, per sbaglio scivoli vicino al letto e ti siedi sulle sue gambe. Le chiedi scusa, ma lei ti risponde ‘scusa per che cosa?’. E ti accorgi che ha anche perso l’uso e la sensibilità delle gambe. Dopo neanche cinque minuti, arriva l’ambulanza. Sono stati i cinque minuti peggiori della tua vita. In quei cinque minuti la mamma ha vomitato due volte e ha perso completamente il controllo della vescica. Quando arriva l’ambulanza la portano di corsa in ospedale, mentre tu, appena arriva lo zio Vito gli dici tutto quello che è successo. Arrivati in ospedale, riesci finalmente a chiamarmi e in preda al panico puro, cerchi di spiegarmi che cosa è successo. Io ti dico che potrò arrivare, viste le avverse condizioni meteo, a Milano, solo nel pomeriggio. Mentre tu sei ancora solo con lo zio Vito, un medico vi dice che l’improvviso cambiamento delle condizioni della mamma è dovuto a un tumore al cervello, ormai diventato incurabile, e quel medico deficiente, ne parla così anche davanti a te, non solo davanti allo zio. In mezz’ora la tua vita è cambiata. La sera stessa quando arrivo io, i medici ci dicono che dobbiamo riportarla a casa, perché hanno troppi pochi posti a disposizione per gestire questi ultimi tre mesi di vita”
Giuseppe aveva da un pezzo abbassato lo sguardo e non aveva più il coraggio di guardare in faccia suo padre. Che avvicinò la mano al mento di suo figlio e lo tirò su.
“Se ritieni di essere una persona abbastanza matura da giudicare il comportamento di Roberto, abbi anche il coraggio e la maturità di guardarmi negli occhi quando ti parlo!” disse.
“Passi i successivi mesi, che intanto sono, con qualche cura palliativa, diventati sei, a fare i turni con tuo padre, giorno e notte, a far mangiare, far bere, lavare, pulire, vestire, cambiare, tua madre, che intanto è diventata quasi una larva, per le cure. Ha perso tutti i capelli e ti guarda, perché una volta superata la crisi la vista le è tornata, senza neanche riconoscerti. Intanto, in quei pochi momenti di lucidità che ha, nei pochi casi in cui non ha molto bisogno della morfina, dice a tutti che preferisce morire, piuttosto che continuare a vivere in questo modo. E poi, finalmente, se così si può dire, un giorno di giugno, quando ormai non ti ricordi neanche che solitamente vai a scuola, perché sono sei mesi che non vai a scuola, un giorno, entri in camera da letto e vedi tuo padre che piange, tenendo la mano della mamma, mentre un monitor, ancora collegato, non da alcun segnale di vita. In tutto questo perdi anche l’anno di scuola e magari i tuoi amici che ti hanno visto sempre di più allontanarti da loro. Di botto, tuo padre prende e ti porta a Matera, bella quando sei in vacanza, ma vorrei vedere con la scuola e il divertimento, se e quando avrai voglia di divertirti, rispetto a Roma. Vedi tuo padre che è sempre più impegnato al lavoro e quando è a casa è stanco e nervoso. E ti sgrida anche solo se ti cade una briciola a terra. E poi ti chiede scusa perché l’ha fatto e ti fa regali, che però ti costano troppo in termini di sentimenti. Poi un giorno, un paio di anni dopo, ti prende e ti porta fuori a mangiare un panino. E ti racconta che quando era un ragazzo della tua stessa età, ha quasi scatenato una guerra tra bande e che probabilmente questi adesso si vogliono vendicare, come se non bastasse quello che gli hanno fatto ventitré anni fa. E che adesso dovete prendere e lasciare tutto a Matera, dove forse ti eri abituato quasi a vivere, e dovete ritornare a Roma. Poi una mattina torni da un giro con i tuoi vecchi amici di due anni prima e vedi tuo padre, seduto al tavolo, con tua zia, che dispiaciuti ti dicono che la situazione si è complicata e che ora devi partire e passare qualche giorno a Milano, con delle persone che neanche conosci, a casa di un vecchio amico di tuo padre. E magari, a Matera, hai anche lasciato l’unica persona nella tua vita che ti abbia dato una certa gioia in quegli ultimi due anni, la tua ragazza, che tuo padre non conosce ma che era l’unica che veramente ti capiva. Come ti sentiresti?”
Giuseppe ormai lo guardava con uno sguardo spento, instabile.
“Ma io non sapevo…” fu l’unica cosa che riuscì a balbettare.
“Beh! Adesso lo sai! Sabato, quando sono arrivati, ti ho chiesto una cosa. Una sola cosa. Essere gentile con lui. Pensi che te l’abbia chiesto per insegnarti le buone maniere? Tu non puoi neanche lontanamente immaginare come possa sentirsi lui, in questo momento. Quanto possa sentirsi solo. Quanto possa sentirsi debole. Quanto possa odiare come si sente. Vivere, crescere senza la mamma è la cosa peggiore che possa succedere ad un bambino prima ed un ragazzo, come è lui adesso. Quando ti ho visto prima metterlo in quella situazione imbarazzante, ho pensato che se ci fossi stato io in quel momento, al posto di Roberto, all’età di Roberto, ti avrei preso a pugni! Mi sono sentito in imbarazzo per te!” rispose suo padre. Poi si alzò. Anche Giuseppe si alzò dal letto. Con particolare sforzo, ma si alzò. Suo padre si avvicinò a pochi centimetri dal suo volto.
“E la prossima volta che ti comporti così male non te la cavi con così poco! Pensaci la prossima volta che ti capita di voler esprimere un giudizio su una persona! Ti sei comportato in modo indecente! Hai dimostrato di essere ancora un bambino, tradendo in parte anche la stima che nutro nei tuoi confronti! Pensaci!” disse.
E senza neanche voler aspettare la risposta di suo figlio si voltò. Fece qualche passo avanti, prese computer, consolle dei videogiochi e cellulare del figlio. “Questi non ti serviranno, almeno fino a che Michele, Roberto e Francesca rimarranno qui” fu la sentenza. Poi si fermò, si voltò nuovamente verso Giuseppe. Lo guardò negli occhi, nuovamente.
“Scusami papà!” fu la risposta di Giuseppe. Che stava quasi mettendosi a piangere.
“Non sono io quello a cui devi chiedere scusa! E, per inciso, quello che ti ho raccontato, non vale solo per Roberto, ma anche per Francesca. E te lo dico solo una volta, sperando che il messaggio passi chiaramente: non scherzare con i suoi sentimenti. Altrimenti ti faccio veramente passare la voglia di scherzare! Buonanotte!” disse. E senza neanche aspettare le scuse di suo figlio, se ne andò. Uscito dalla cameretta di suo figlio, vide Roberto, al fianco della porta, che aveva la testa abbassata e che lo guardava con una faccia da cane bastonato che la metà bastava. Un leggero accenno di sorriso da parte di Simone riuscì a stemperare la tensione. Parlarono qualche secondo a bassa voce, per poi tornare ciascuno nella propria camera. La sera, quando sua moglie salì in camera, gli raccontò ciò di cui avevano parlato e le chiese di fargli sapere come andavano quelle due giornate in casa, senza di lui e senza Michele.
Giuseppe rimase a dir poco stravolto per tutte le cose che gli aveva raccontato suo padre. Erano circa le nove e mezza, quando era finita quella conversazione. Non ebbe neanche la forza di spogliarsi. Si sdraiò così sul letto e rimase in balia dei suoi stessi pensieri.
Ciò che gli aveva detto suo padre rimbombò nella sua testa. Erano parole pesanti come macigni. La verità era che non aveva visto quella situazione dal giusto punto di vista. Suo padre gli aveva detto di essere buono. E lui fino a quel momento era solamente stato giusto. Che poi… la giustizia, lo sapeva, richiede anche la conoscenza di tutti i fatti. Lui in realtà, dei fatti reali, di come erano andate veramente le cose, era completamente all’oscuro. Fino a quella sera. Poi, quando suo padre gli aveva raccontato quella storia si era come svegliato. Si era sentito un verme. Sapeva benissimo quanto suo padre stimasse la sua intelligenza, quanto tenesse in altissima stima la sua razionalità, ma anche i suoi buoni sentimenti. E la cosa peggiore che avesse potuto sentire nella sua vita, l’aveva sentita quella sera: suo padre aveva perso parte di quella stima che nutriva nei suoi confronti. Suo padre si era sentito in imbarazzo per lui. Era stato spaventoso sentirgli dire una cosa simile. Avrebbe tanto preferito prenderle. Eppure suo padre non l’aveva fatto. Qualche sberla gli avrebbe fatto male, ma l’avrebbe definitivamente portato a chiudere quel discorso. Invece, contrariamente alle altre volte, suo padre l’aveva lasciato li a macerarsi in quel senso di colpa. Senza volerlo ascoltare. Senza voler sentire le sue ragioni. E sapeva anche che di ragioni valide per il suo comportamento, effettivamente non ne aveva. E tutto quel peso per due giorni, praticamente un’eternità. Perché sarebbero tornati il giovedì sera. Verso le tre, poi, come era accaduto in quasi tutte le altre occasioni, anche quella notte portò consiglio. E Giuseppe, leggermente rinfrancato da quel pensiero, si convinse che c’era una sola cosa che poteva fare. Fu addirittura felice di preparare la sveglia. E infatti, la sveglia l’aveva messa alle cinque. Era una sveglia che vibrava e appoggiandola sul letto, all’ora giusta, si svegliò, senza che gli altri si accorgessero di niente. L’aveva comprata per quando, qualche volta, si svegliava prima del solito per finire di studiare qualcosa e non voleva svegliare i suoi genitori.
Quando si svegliò, fuori dalla sua camera sentì già i movimenti delle persone che salivano e scendevano animatamente le scale. Era giunto il momento di sistemare metà delle cose combinate fino al giorno prima. Lasciò la porta semiaperta. Un segnale che suo padre conosceva fin troppo bene. Perché quando Giuseppe lo faceva significava che voleva parlargli. E infatti, certo del fatto che Giuseppe avesse colto ormai pressoché completamente il senso dello scambio di idee del giorno prima, avendo cinque minuti di tempo prima che tutti fossero pronti per la partenza, aprì lentamente quella porta ed entrò. Per “non destare sospetti” le luci erano spente, ma Simone poteva scorgere chiaramente la sagoma di suo figlio in piedi vicino alla finestra che guardava il paesaggio completamente ghiacciato che a quell’ora si presentava fuori casa loro, in quel periodo dell’anno.
“Dimmi!” disse Simone.
“Ti devo chiedere scusa!...” disse Giuseppe, solo per essere fermato da suo padre.
“Ti ho già detto che non sono io quello a cui devi chiedere scusa!”
“E invece sì! Cioè: anche tu! Perché è vero che ho giudicato una persona solo dalle apparenze, senza conoscerla, ma non ho tenuto conto neanche dei tuoi sentimenti in questa cosa! Mi dispiace di averti ferito e di essermi comportato male anche con te, mettendo i miei interessi e le mie idee al di sopra di tutto il resto senza considerarne le implicazioni! Sono stato arrogante! E mi dispiace di aver tradito la stima che nutri nei miei confronti! Ti prometto che mi sforzerò di migliorare!”
Simone si bloccò. Ma solo per un attimo.
“Bene!” disse, adesso ben più rilassato, e anche un pochettino sorridente. “Vedo che come al solito la notte ti porta consiglio. E mi fa piacere che tu abbia colto fino in fondo tutti i ragionamenti dietro a ciò che ti ho raccontato ieri” poi si avvicinò a suo figlio. Gli mise una mano sulla spalla. “Michele piangeva mentre mi raccontava tutto quello che gli è successo in questi due anni. Tutto quello che ha vissuto lui e tutto quello che hanno vissuto Roberto e Francesca. Non possiamo neanche lontanamente immaginare come si senta Roberto. E per quanto riguarda Francesca…”
“Ma come hai fatto a capire… si insomma, a capire di Francesca?” chiese stupito Giuseppe.
“Mi ricordo che alla tua stessa età quando andavo a casa dei nonni e mi vedevo con la mamma, tuo zio Vito, per prendermi in giro si avvicinava con un fazzolettino e me lo passava davanti alla bocca, dicendo di volermi asciugare la bava!”
Una risatina scappò a Giuseppe.
“Hai preso da me!” disse Simone.
Anche se non poteva distinguerlo chiaramente, poteva quasi sentire le guance di suo figlio avvampare, per quel mezzo imbarazzo che quell’ultima frase gli aveva riservato. Ma era vero. Probabilmente, pensò, si poteva veramente vedere ad un kilometro di distanza che le piaceva.
“È che Francesca è così diversa da suo fratello!” disse.
“Per forza! È una ragazza. Roberto è un ragazzo. Siamo troppo diversi, anche in queste situazioni. Vedrai che con il tempo capirai. Intanto, credo che i tuoi tentativi di sistemare quello che hai combinato ieri non finiscano qui! Sbaglio?” chiese, cambiando discorso, Simone.
“No! Non sbagli! Appena sarà sveglio voglio parlargli! E chiedere scusa anche a lui!” rispose suo figlio.
“Bene! Vedrai che questo cambierà le cose. Di parecchio!” confermò suo padre.
Si abbracciarono per salutarsi e Giuseppe augurò a suo padre buon viaggio. Sull’uscio della porta, però, Simone si bloccò, si voltò e tornò nuovamente indietro.
“Oggi, quando sarete in piscina, fai in modo di farlo stare calmo e non litigare con nessuno!” gli disse, sempre sottovoce.
“Come mai mi dici ciò?” disse sorridente e ormai completamente rilassato Giuseppe.
“Non vorrei mai trovarmi al posto di colui che ha la pessima idea di insultare la madre di Roberto, come purtroppo molti hanno l’abitudine di fare. E nel caso, se ci riesci, fermalo!” rispose, seriamente, Simone.
Giuseppe capì al volo la richiesta di suo padre.
“Farò il possibile!” gli disse, tornando anche lui immediatamente serio.
“Grazie! Anche a nome di Michele, che probabilmente non si rende neanche lontanamente conto di questo particolare!” gli disse Simone. Questa volta era lui che sorrideva.
Giuseppe ricambiò il sorriso e poi vide suo padre allontanarsi e uscire dalla sua stanza. Era profondamente felice di essere riuscito a far la pace con lui in quel momento. Così lo sapeva lontano ma dalla sua parte.
E si concesse altre due ore e mezza di sonno.
Alle 8 si svegliò nuovamente e corse in cucina a fare colazione. Un sorriso di sua mamma gli fece capire che sapeva tutto, compresi gli ultimi sviluppi. E la tavola apparecchiata anche per lui, con la marmellata di arance sul tavolo, che era la sua preferita, gliene diede conferma. Di solito, quando sua mamma ce l’aveva con lui, si doveva arrangiare, almeno per qualche giorno. Mentre, adesso, era tutto pronto. Erano ancora solo in due in cucina. E sua mamma, gli si avvicinò.
“Ti è andata bene! Visto che potrebbe servirti, oggi, tuo padre mi ha confermato che la punizione è ridotta!” gli disse. Riconsegnandogli il cellulare, “E la consolle puoi utilizzarla, ma solo se in compagnia di Roberto” gli disse.
Giuseppe ringraziò sua mamma, e con la mente, anche suo papà, anche se ormai era già in viaggio.
“E, per intenderci, per riottenere il computer, sappi che forse solo un processo di beatificazione in vita sarebbe sufficiente!” gli disse, strappandogli anche un sorriso.
Per le otto e un quarto, la cucina si animò di gente, e alle otto e mezza tutto era finito.
Prima che Anna arrivasse a casa con Simone, per le nove, Giuseppe sapeva di avere ancora una cosa da fare.
“Roberto, puoi venire su così ti do il costume?” chiese.
“Va bene!” disse quest’ultimo finendo l’ultima fetta biscottata con la nutella. E alzandosi. Lo seguì dopo essersi sciacquato le mani.
Giuseppe entrò in camera.
“Permesso!” sentì esclamare dalla porta. Era Roberto. Era, stranamente di buonumore e, non riusciva a capirlo bene neanche lui, più gentile.
Giuseppe decise di rompere gli indugi. “Puoi chiudere un attimo la porta?” chiese. Si era preparato per filo e per segno quello che voleva dirgli. Roberto ubbidì facendo qualche piccolo passo avanti. Come era successo anche con suo padre, più di tre ore prima, Giuseppe si fermò un attimo a osservare fuori dalla finestra. Un debole sole aveva fatto la sua comparsa illuminando il paesaggio e facendo rifulgere la brina in tutto il suo candore.
“Volevo prima di tutto chiederti scusa!” disse, di colpo. E, effettivamente, Roberto sgranò gli occhi. Poi cercò di parlare, ma Giuseppe lo bloccò. “Aspetta! Fammi finire!” disse “Sono stato un idiota a comportarmi da maleducato con te. E sono stato insensibile. Vorrei provare a conoscerti un po’ meglio e magari provare a diventare amici, visto che in questi giorni stiamo vivendo sotto lo stesso tetto. Possiamo?!” chiese.
“Ok!” rispose l’altro.
A Giuseppe bastava. Sapeva di non potersi aspettare più di tanto da quel ragazzo in quel momento. Allora concluse indicandogli i tre costumi che c’erano sul letto.
“Scegli quello che vuoi poi indossalo direttamente, così non perdiamo troppo tempo arrivati in piscina. Io ti aspetto giù! Credo che Simone stia per arrivare!” concluse e passò davanti a lui, uscendo e chiudendo la porta dietro di sé.
Effettivamente cinque minuti dopo, mentre Simone e Anna erano appena entrati, Roberto stava scendendo con lo zaino, tra i primi oggetti del contendere dei due. Salutò rispettosamente Simone e Anna, poi chiamò un attimo Giuseppe in disparte. Andarono in cucina, momentaneamente svuotata.
“Dimmi tutto!”
“Volevo chiederti anche io scusa per come mi sono comportato con te in questi giorni. È che ancora, per la testa, ho tante cose. Prendi questo per esempio” disse, mostrandogli lo zaino “Era di mia mamma. Non permetto, di solito a nessuno, neanche a Francesca, di usarlo. Per questo motivo me la sono presa tanto con te, l’altra sera. Comunque vorrei anche io provare a conoscerti e diventare amici!” disse, cercando anche di sorridergli.
E lì, Giuseppe, per la prima volta, capì il vero significato di quello che gli aveva detto suo padre. Che la sua iniziativa a chiedergli scusa e trattarlo dignitosamente avrebbe sortito effetti eccezionali. Allora fece quello che, a quel punto, gli riusciva benissimo. Porse la mano al suo coetaneo.
“Piacere, Giuseppe!” disse sorridendogli.
Un Roberto, piegato in due dalle risate, gli ricambiò allegramente, la presentazione.
“Piacere! Roberto! Ma puoi chiamarmi Roby!” rispose.
Indubbiamente quella giornata stava, contro ogni pronostico, incominciando molto meglio di quanto avesse potuto anche solo lontanamente immaginare il giorno prima.
Mezz’ora dopo i tre erano in piscina. E le prime due ore proseguirono tranquillamente. Giuseppe si accorse del fatto che Roberto sapeva nuotare abbastanza bene, e anche il fisico lasciava trapelare un po’ di allenamento, ma quando provarono a fare una gara un po’ più seria, Roberto non ebbe scampo. Tanto che finì addirittura per complimentarsi con Giuseppe. Simone era ancora troppo piccolo per cimentarsi con loro. Passarono gli ultimi minuti a nuoticchiare amabilmente. Poi Giuseppe vide Simone avvicinarsi velocemente a lui.
“Oh! Guarda chi è arrivato! Dici che è il caso di rimanere?” chiese.
Giuseppe si protese al di sopra della sponda della piscina e, effettivamente, vide i tre che stavano arrivando.
Claudio, Alessandro e Jonathan, i tre più forti della piscina. E anche quelli che, appena potevano, li prendevano in giro. Soprattutto Simone, per la sua statura e perché era ancora un po’ esile. Giuseppe aveva sempre preferito lasciarli perdere. In questa situazione, poi, sapendo anche un po’ del carattere difficile di Roberto, decise che era sicuramente meglio andarsene.
D’accordo con gli altri due uscirono dalla piscina. Erano sul bordo quando, purtroppo, si avvicinarono i tre.
“Ciao ragazzine! Che fate, il bagnetto?” disse Claudio, scatenando l’ilarità degli altri due.
Giuseppe e Simone proseguirono nella loro camminata, senza voltarsi neanche. Roberto, invece, no. Era davanti rispetto a loro due, e lo videro rilassare completamente le spalle. Giuseppe si accorse che, in quel modo, sembrava almeno di un paio di anni più piccolo. Poi, però, vide anche che Roberto si voltò.
“Non è che per caso ce l’avete con noi?” chiese.
“E con chi sennò? Avete visto altre ragazzine in piscina?!” disse Jonathan.
Giuseppe prese il polso di Roberto. Ma questo era irremovibile. Ebbe, per un attimo, l’impressione che lo guardasse con una faccia particolarmente gentile; seria, ma buona, incapace di fare del male. Fu quasi per curiosità che rimase ad ascoltare quello che aveva da dire Roberto.
“A Matera, dalle mie parti, si usa fare un gioco in casi del genere. Si fa una scommessa. Il più forte di noi, contro il più forte di voi. Chi perde, per una settimana, si ferma dopo l’orario di chiusura della piscina a pulire gli spogliatoi, comprese le docce e i bagni. L’addetto alle pulizie fa da testimone e si impegna a far rispettare la scommessa. Ci state?” disse.
A Giuseppe parve strana quella proposta. Capì che era quasi impossibile essersela inventata al momento. Così elaborata. Così precisa. E poi non sapeva che Roberto andava in piscina anche a Matera. E gli venne un dubbio. Simone lo guardava preoccupato, ma Giuseppe gli sorrise. Per rassicurarlo e perché, in fondo in fondo, aveva iniziato a ricordarsi chi aveva a fianco, e aveva capito quello che stava succedendo.
Dall’altra parte, però, gli altri tre no.
“Bene! E chi sarebbe il più forte di voi tre?” disse immediatamente Claudio. Certo di avere la vittoria in mano.
“Io! E tu saresti il più forte di voi tre?!” disse Roberto. Simone si voltò verso Roberto, per dargli dello scemo, ma un piccolo cenno del volto di Giuseppe gli fece cambiare idea. Allora, un leggero sorriso, comparve anche sul suo viso. Sorrise, senza saperne neanche il motivo, dal momento che fino a qualche minuto prima, Roberto, contro lo stesso Giuseppe, aveva perso una gara.
“Tu saresti il più forte? Con quelle spallucce delicate?” chiese sprezzante Claudio.
“Perché? Hai paura?” rispose di nuovo Roberto.
“Paura? E di chi? Di una femminuccia?” continuò Claudio, mentre gli altri due lo spalleggiavano in continuazione.
“Facciamo così! Perché invece di una settimana non ci giochiamo un mese di pulizie gratis?” disse Claudio.
“Eh! Non sono sicuro! Io tra una settimana circa me ne vado!” disse Roberto, rendendosi ancora più debole.
“Torni in Africa, eh?” disse Alessandro.
“Facciamo così!” propose Giuseppe “Se vinci tu, io e Simone puliamo per un mese, se vince Roberto, voi tre pulite per un mese. Ci state?”.
Simone si voltò verso Giuseppe. Ma ancora una volta lo sguardo sicuro di Giuseppe gli fece capire che valeva la pena fidarsi di loro. Il fatto è che si voltò verso Giuseppe anche Roberto. Incredulo.
“Ok!” rispose Claudio “Ale, vai a chiamare Gianni! Così la facciamo sul serio, questa garuccia facile facile!”. Alessandro corse via.
“Dove è andato?” chiese Roberto a Giuseppe.
“È andato a chiamare l’allenatore. Che è anche il gestore della palestra! Così pensa di poterci umiliare fino in fondo!” rispose quest’ultimo.
“Ti fidi così tanto di me?” gli chiese Roberto, quasi stupito per quel comportamento.
“Si!” rispose Giuseppe. Sorprendendo ancora di più Roberto.
“Ma se mi hai appena conosciuto! E sei stato proprio tu a battermi un quarto d’ora fa!?” chiese ancora Roberto.
“Ti ho appena conosciuto, ma questo non significa che in assoluto non abbia mai sentito parlare di te!” rispose Giuseppe, sorridendogli. “Comunque grazie per avermi fatto vincere nella gara di prima!” disse, facendogli l’occhiolino. Mentre Roberto ricambiò il sorriso, Simone, ancora più sorpreso, rimase ad ascoltare quella conversazione.
“Ecco il nostro allenatore, che può certificare la vostra sconfitta”
Appena Gianni, il loro allenatore, vide Roberto, lo riconobbe subito. Anche se, in tutto quel tempo Roberto, aveva cercato di non far vedere la sua vera massa muscolare. Però, sorridendo a Giuseppe, Gianni gli fece capire che una punizione come quella, per l’arroganza dei tre, sarebbe stata l’ideale.
Roberto e Claudio si predisposero ai blocchi di partenza.
La gara era un semplice 200mt stile libero. Gianni fischiò il via.
E non ci fu storia. Giuseppe e Simone esultarono, quando Roberto terminò la gara circa due secondi prima di Claudio. Che, avvilito ed incredulo, uscì dalla piscina. Appena terminata la gara, appena Roberto uscì dall’acqua, Gianni si avvicinò a lui.
“È un piacere conoscerti! Perdona la loro arroganza, per piacere. Credo che nel prossimo mese avranno modo di pentirsene appropriatamente!” disse sorridendo.
“Ma come è possibile?!” disse urlando Claudio, mentre gli altri due, sconsolati, lo trattenevano dal gettarsi addosso a Roberto, per nulla spaventato.
Fu Gianni ad intervenire “Tu, anzi, voi siete degli ignoranti! Non l’avete neanche riconosciuto? Ah già! Due anni fa ti sei fatto sconfiggere da quello di Brescia ai campionati regionali. Altrimenti le avresti prese da lui. È stato il campione italiano juniores nei 200mt stile libero. Almeno informati, stupido!”
Simone, incredulo, osservò Giuseppe, che, un po’ meno incredulo, sorrideva a Roberto.
“Da quando lo sapevi?” chiese Roberto a Giuseppe.
“Oh! Mi è venuto in mente quando ti sei fermato ad accettare la sfida. Allora ho collegato il nome con il titolo!!” rispose Giuseppe, sorridendo.
Poi si voltarono verso l’orologio, e videro che era quasi mezzogiorno. Erano in ritardo. Quindi, rispettosamente, salutarono e andarono negli spogliatoi a farsi la doccia e vestirsi. E mentre erano negli spogliatoi, riuscirono anche ad approfondire la conoscenza reciproca.
Paradossalmente, per come Giuseppe lo conosceva fino alla sera prima, fu proprio Roberto a incominciare la conversazione.
“Il nuoto mi è piaciuto da sempre. E a parte l’assenza dalle gare per quei sei mesi che sai, è stata l’unica cosa che mi ha permesso di tirare avanti, anche durante quel periodo. Quando avevo qualche momento libero, piuttosto di pensare alla malattia e alla morte di mia mamma, mi rinchiudevo in piscina e facevo vasche su vasche!” disse.
“Anche io sono così! Se ho qualche problema o qualche pensiero, la piscina è l’unica cosa che mi permette di rilassarmi o pensare seriamente a quello che faccio” rispose Giuseppe. Poi però si bloccò. E quando si fermò e osservò Roberto insistentemente, anche Roberto si rese conto della gaffe che aveva fatto.
“Scusa, ma cosa ne sai tu del fatto che io so dei sei mesi?!” chiese confuso Giuseppe.
Roberto fissò silenziosamente Giuseppe. Poi però quello sguardo non riuscì a reggerlo e dovette confessare.
“Ieri sera, mentre eravamo in camera, mio padre mi ha sgridato molto severamente per quello che era successo. Per come mi stavo comportando. E ho capito che avevo sbagliato. Poi mi sono permesso di dirgli che pensavo che tu fossi solo un ragazzino viziato. Allora lui mi ha detto che avrei dovuto spiare e sentire quello che tuo padre sarebbe venuto a dirti, per averne una conferma. Dapprima non capivo, ma mi sono appostato e appena ho visto tuo padre entrare in camera tua mi sono avvicinato e ho seguito tutta la vostra conversazione. Prima quello che hai detto su di me, mi ha fatto capire che avevo sbagliato a comportarmi così con te. Poi il modo in cui ti ha sgridato, quello che ti ha detto tuo padre, mi ha fatto capire che avevo anche giudicato male la tua educazione e la disciplina dei tuoi genitori. Quando sono risalito e ho raccontato a mio padre quello che avevo sentito, mio padre mi ha raccontato la storia del tuo. E lì ho capito che avevo proprio sbagliato tutto. Allora per prima cosa sono andato a chiedere scusa ai tuoi genitori. E poi mi sono riproposto di fare tutto il possibile per chiederti scusa per primo. Ma non ci sono riuscito perché quando mi hai chiamato in camera tua per il costume, non mi hai fatto parlare” disse Roberto, rispondendo e chiarendo definitivamente i dubbi di Giuseppe.
“Ecco perché stamattina eri finalmente di buonumore!” rispose Giuseppe.
“Sento che, come ci siamo detti questa mattina, questa potrebbe essere veramente l’inizio di una bella amicizia!” confermò un Roberto ormai più che sorridente.
“Ma che bel quadretto!” si sentì esclamare da dietro la loro fila di armadietti. E Claudio, Alessandro e Jonathan uscirono allo scoperto.
“Non vi è bastato pulire bagni, docce e spogliatoi per un mese?” chiese Roberto.
Giuseppe si accorse di come, per quanto in una situazione difficile, Roberto mantenesse sempre un’espressione rilassata. Era incredibile come non lasciasse trapelare né paura né preoccupazione. Ma neanche rabbia o nervosismo.
“Che trio! Due inetti e un buffone!” aggiunse Alessandro.
“Ma si può sapere che cosa volete da noi?” chiese Roberto. Serio, ma pur sempre pacifico.
“Farvi male! Ci avete umiliati ed ora tutti rideranno di noi! In più anche Gianni ci ha sgridato!” disse Jonathan.
“Ah! Beh! Ha fatto bene! Così la prossima volta imparate a fare i bulli con persone che ritenete più deboli di voi!” rispose Roberto.
“Voi siete più deboli di noi!” puntualizzò Claudio.
“Non si direbbe! Anzi devo parlare con Gianni, perché se mi ha preso il tempo, credo di aver fatto almeno il record provinciale. E quasi quasi glielo faccio omologare!” incalzò Roberto.
Giuseppe si stava quasi divertendo ascoltando quella conversazione. Quando, in tre, quattro secondi, tutto cambiò.
Claudio: “Sai come le chiamano dalle mie parti le persone come te?”
Roberto: “No! Come?”
E lì Claudio disse proprio quello che non doveva dire.
Roberto: “Vediamo se avete il coraggio di ripetere quello che avete detto!” disse.
“Non è questione di coraggio!” disse Claudio “Se tuo padre non è sicuro di essere il tuo vero padre, non è colpa nostra!”.
Giuseppe ancora non aveva capito bene quello che stava succedendo. Ritornò alla realtà solo quando sentì Roberto parlare.
“Non potete neanche lontanamente immaginare che cosa avete fatto!”
A quel punto Giuseppe capì. E sperò che quella poca amicizia che era riuscito a coltivare con quella persona bastasse. Si voltò rivolgendosi a Roberto. E parlandogli dritto negli occhi.
“Stai calmo! Roby! Per favore non perdere la calma! Andiamocene! Sono dei poveri ignoranti che non sanno controllarsi! Dimostragli di essere diverso!” disse. Quasi implorandolo. Purtroppo, però, Roberto aveva cambiato espressione. Non era più buono. Non era più calmo. L’espressione era peggiore. Molto peggio di quella che aveva anche la sera stessa in cui era arrivato a Milano.
“Pensi di farci paura solo perché abbiamo insultato la tua mammina? E adesso cosa fai, vai a casa a piagnucolare da lei?!” aggiunse Claudio.
“Ma volete stare zitti e farla finita una buona volta?” intervenne Simone, che aveva, poco a poco, incominciato a rendersi conto della situazione. E non gli piaceva per niente.
I tre ragazzi si avvicinarono a Roberto, Giuseppe e Simone. Lentamente. Sorridendo vittoriosi per quello che erano riusciti a fare.
Giuseppe, intanto, aveva entrambe le mani sulle spalle di Roberto e cercava di attirare la sua attenzione.
“Lasciali stare! Fallo per te! Non scendere al loro stesso livello!” implorò Giuseppe. Poi si voltò verso i tre.
“Per favore! Anche voi! Lasciatelo stare! E andatevene!”
“Cos’è? Stai cercando di difenderlo da noi? Tu?” disse, sarcasticamente, Alessandro.
“No scemo! Sto cercando di difendere voi da lui! Ve ne volete andare, si o no?!” chiese sempre più nervosamente Giuseppe.
“Spostati!” gli disse Roberto.
“No! Non lo faccio!” rispose Giuseppe.
“Ti ho detto di spostarti! Ormai è troppo tardi! Almeno non farti del male!” rispose Roberto.
“No! Tu sei migliore di loro! Non abbassarti al loro livello! Non posso permettertelo!” disse Giuseppe. Fermo e deciso.
C’è da dire che fino a quel momento, Roberto, non si era mosso di un millimetro. E le braccia erano rimaste distese ai fianchi. Fino a quel momento.
Perché, proprio in quel momento, Roberto prese i polsi di Giuseppe e con una facilità straordinaria lo spostò spingendolo addosso a Simone. E si lanciò addosso a Claudio, colpendolo al volto. Questi incassò il colpo, ma subito dopo gli altri due bloccarono Roberto. Trattenendolo contro gli armadietti.
“Hai osato colpirmi? Ti sei permesso di colpirmi?” chiese Claudio.
Roberto continuava a guardarlo non distogliendo un attimo lo sguardo dai suoi occhi e cercando di divincolarsi, sotto la stretta di Alessandro e Jonathan. Che non lo mollavano.
Claudio gli sferrò un pugno nello stomaco che per qualche secondo gli fece mancare il respiro.
In quel momento Roberto ebbe paura di quello che stava accadendo. Forse perché si era accontentato di colpirlo una volta, forse perché non aveva considerato l’effettiva inferiorità delle loro forze. Per un istante, e per la prima volta rispetto a tutte le altre volte che l’aveva fatto, si chiese se ne valeva veramente la pena. E si diede dello stupido per non aver seguito l’invito di Giuseppe a rimanere calmo. In fondo, fino a quel momento, era da solo contro quei tre.
Vide Claudio che stava caricando il pugno e capì che aveva mirato al volto, questa volta. Chiuse gli occhi aspettando quello che ormai sapeva essere l’esteso dolore allo zigomo, o il pungente dolore all’occhio, o il peggiore, il dolore accompagnato al formicolio al naso dovuto all’immediata perdita di sangue. Solo che l’unica cosa che udì fu un tonfo. Riaprì immediatamente gli occhi. E davanti a sé non vide nessuno. In piedi.
Giuseppe si era gettato addosso a Claudio, placcandolo, nel senso rugbistico del termine. E l’aveva fatto cadere a terra. I due si stavano azzuffando. Qualche centesimo di secondo dopo sentì il braccio destro libero. Simone si era gettato al collo di Alessandro e gli aveva fatto perdere la presa su di lui. Appena se ne accorse, Jonathan gli sferrò un colpo sul naso. Cercando di stordire Roberto. Senza riuscirci. Il pugno del braccio libero andò immediatamente a colpire Jonathan, che stordito barcollò e si accasciò a terra. Poi un altro diretto colpì anche Alessandro, che intanto stava cercando di colpire Simone contro gli armadietti. Facendogli male alla schiena. Anche se gli tirò anche una testata che lo colpì sulla sopracciglia. Stordendo anche lui. Poi vide che, colpo contro colpo, ma anche Giuseppe stava facendo la sua parte con Claudio.
Fu solo a quel punto che arrivò Gianni, preoccupato dalle urla che stava sentendo. Separò Claudio da Giuseppe.
“Ma si può sapere come cavolo vi è saltato in testa di fare a botte?”
“Mi ha insultato!” disse Roberto.
“Non è una scusa accettabile!” urlò, mentre anche Alessandro si stava rialzando.
“Ha insultato sua madre! Poi l’hanno preso in tre contro uno e Claudio gli ha tirato un pugno nello stomaco. Allora l’abbiamo difeso!” disse Giuseppe, che, cosciente della situazione sapeva come salvare Roberto, almeno lui, da quella situazione.
Gianni si fermò un attimo a pensare. Poi si rivolse nuovamente a Roberto.
“Per stavolta non prendo nessun provvedimento nei tuoi confronti. Perché sono un vecchio amico del tuo allenatore e conosco la tua storia. Ma vedi di controllarti!” disse “Voi invece tornate a casa ma sappiate che più tardi telefonerò ai vostri genitori e lascerò che siano loro a sgridarvi a dovere. Così imparate a prendervi a botte nella mia piscina!”
Poi si rivolse a Claudio, Alessandro e Jonathan. “E voi, filate a farvi la doccia, e poi nel mio ufficio che ne riparliamo!” disse serio, rivolgendosi contemporaneamente a Roberto e facendogli l’occhiolino. I tre, ubbidientemente, si defilarono entrando nelle docce.
“Scusaci per il nostro comportamento!” disse Giuseppe, assumendosi anche la responsabilità di parlare a nome di Simone.
“Andate a casa!” redarguì Gianni, mandando via anche loro.
Presero le borse e uscirono. Dieci minuti a piedi di mutismo completo e furono a casa.
“Possiamo evitare di far sapere a mia mamma quello che è successo?” chiese Simone.
“A che serve?! A parte che hai un taglio sul sopracciglio, ma poi oggi pomeriggio Gianni la chiama e le cose peggiorano!” Rispose Giuseppe.
“Beh! Anche tu hai un occhio nero! E io ho sicuramente un livido sulla pancia! E non smette di uscirmi il sangue dal naso” aggiunse Roberto “Tanto vale dire la verità!”
Giuseppe tirò fuori le chiavi di casa e aprì. Entrarono e ancora, pur essendo quasi le dodici e mezza, non c’era nessuno.
“Cerchiamo di addolcirle preparando la tavola e sistemando un po’?” chiese Giuseppe “Con mia mamma di solito funziona!”.
I tre dapprima lasciarono la roba al loro posto. Poi incerottarono il sopracciglio di Simone, misero un po’ di crema sull’occhio nero di Giuseppe e anche un po’ di cotone nella narice destra di Roberto, nel tentativo di fermare l’emorragia. Poi corsero immediatamente ad apparecchiare e a scaldare l’acqua per la pasta. Finirono giusto in tempo per l’arrivo di Maria, Anna e Francesca.
Simone e Roberto corsero, l’uno in bagno e l’altro in camera di Giuseppe a prendere la roba, senza farsi vedere da Anna e Francesca. Maria entrò in cucina, mentre Giuseppe le dava le spalle, rivolto verso la pentola con l’acqua.
“Oh! Che bello! Avete addirittura apparecchia…” e si fermò perché suo figlio, girandosi, fece vedere come era conciato.
“…to” disse, cambiando completamente espressione. Anna e Francesca, vedendo Giuseppe, corsero immediatamente a vedere come stavano Simone e Roberto.
“Calma, mamma, posso spiegarti!” disse Giuseppe cercando di non innervosirla di più. Sapeva come lei era assolutamente contraria a queste cose.
“Non puoi! Devi! E cerca di essere convincente! Altrimenti te le do e ti faccio dare il resto da tuo padre domani quando torna!” disse, seria.
Giuseppe spiegò a Maria come erano andate le cose, omettendo la cosa più importante, il motivo per cui avevano fatto a botte, quando, dopo pochi minuti, Anna, scendendo le scale, porse il cellulare a Maria.
“È Gianni! Vuole parlare con te” gli disse.
Giuseppe era avvampato dal nervosismo e dall’imbarazzo di doversi giustificare con sua madre. Era più facile farlo con suo padre; con sua mamma era bello parlare quando aveva qualche problema, non quando lui li causava a loro. Comunque dall’espressione sul viso di Anna capì che, negli ultimi minuti, qualcosa era cambiato.
Maria salutò l’allenatore di nuoto di suo figlio e mentre gli spiegava che suo marito era sceso in Basilicata per una questione urgente e che avrebbe potuto parlarne tranquillamente con lei, salì le scale e scomparve al piano di sopra.
“Vado a chiamare Simone, in camera tua. Vai a chiamare Roberto e Francesca in soffitta. Scendete tutti qui che dobbiamo parlare!” disse Anna.
Ubbidientemente Giuseppe eseguì.
Mentre saliva le scale che portavano in soffitta, Giuseppe riuscì a scorgere Francesca e Roberto, seduti sul letto. Francesca stringeva forte in un abbraccio fraterno Roberto che piangeva disperatamente fra le sue braccia. L’imbarazzo impedì a Giuseppe di salire ulteriormente le scale.
“Francesca, Roberto, potete per favore scendere? Ci vogliono parlare!” disse, scendendo qualche scalino.
“Arriviamo!” rispose premurosamente Francesca “Arriviamo subito!”
Giuseppe scese le scale, e si allontanò non appena udì i due che si alzavano e Roberto che andava verso il bagno. Francesca comparve subito dalla cima delle scale. Facendogli segno di aspettare. Giuseppe si fermò, mentre Francesca scendeva a sua volta.
“Roberto mi ha raccontato! Anche se sicuramente i nostri genitori non condivideranno appieno quello che è successo, volevo ringraziarvi, per come avete difeso e siete accorsi in aiuto di Roberto, e per come hai cercato di fermarlo!” disse e in un impeto di gratitudine, l’abbracciò, amichevolmente.
Giuseppe rimase fermo e in silenzio per tutto il tempo, subendo quasi esanime l’abbraccio di Francesca. Svenendo, ma dalla gioia, la seguì mentre scendevano le scale e andavano in cucina. A quel punto sua madre avrebbe potuto dargliele, pure suo padre, avrebbe potuto perdere il computer, il cellulare, addirittura i videogiochi, fino alla maggior’età, ma niente poteva impedirgli di essere felice.
Anna e Simone aspettavano già in cucina. Roberto scese le scale pochi secondi dopo l’arrivo di Maria.
“Allora, l’allenatore di nuoto di Giuseppe mi ha spiegato la situazione!” disse Maria, “venendo a conoscenza di tutti i particolari, anche lui ci ha chiesto di essere abbastanza indulgenti con voi. D’altra parte l’avete fatto per una buona causa, e lo stesso Gianni, mi ha raccontato la cattiveria con cui vi hanno trattato i tre con cui avete finito per azzuffarvi. Diciamo che per il momento lasciamo perdere e ne parliamo con i vostri padri. Insieme decideremo poi se e come sistemare le cose!”.
E la situazione, per almeno qualche ora, si sistemò. Simone, Giuseppe e Michele, avevano infatti avvisato che molto probabilmente per tutta la giornata sarebbero stati a parlare con funzionari della banca e altra gente, quindi che avrebbero chiamato non appena avessero avuto qualche minuto a disposizione. Ed effettivamente, verso ora di cena, a Maria, Anna e Francesca, suonò quasi contemporaneamente il telefono.
Risposero, anche se furono loro a monopolizzare la conversazione.
---O---
E a questo punto abbiamo lasciato i tre uomini.
“Ti chiedo scusa per il comportamento di mio figlio!” disse Michele.
“Non devi scusarti!” rispose Simone “Avevo previsto che sarebbe potuta accadere una cosa del genere. D’altra parte posso conoscere abbastanza i sentimenti di Roberto. E anche io, alla sua età, ero calmo, tranquillo e rispettoso finché qualcuno insultava mia madre. E a quel punto quasi sempre si scatenava una rissa. A scuola mi è successo un paio di volte”
“Allora menomale che preso dalla pazzia non l’ho comunque mai fatto, io, altrimenti…” disse Michele, pensando immediatamente al passato.
“Altrimenti la situazione si sarebbe risolta prima, molto prima di tutto il tempo che abbiamo aspettato… ma lasciamo perdere!”
“Eh! Lasciamo perdere!” aggiunse Giuseppe. “Anna mi ha chiesto, come penso anche Maria e Francesca abbiano detto a voi, cosa pensavamo di fare con i nostri figli. Che facciamo?”
“E che dobbiamo fare!? Le hanno prese, si sono azzuffati! Cosa vogliamo fargli di più?! Se i nostri genitori ci avessero puniti ogni volta che ci siamo presi a botte, saremmo ancora in punizione!” rispose Simone.
“Farò il possibile per parlarci, con Roberto, e evitare che non accada più una cosa del genere, anche se so che sarà difficile.”
“Anche io voglio parlarci con mio figlio, anche se sinceramente sono contento del fatto che abbia fatto il possibile per difendere Roberto!” disse Simone.
“Anche mio figlio ha fatto la stessa cosa! Significa che, probabilmente, stanno diventando veramente amici, contrariamente ai pronostici di ieri!” aggiunse Giuseppe.
“Comunque mi consola una cosa!”
Simone e Giuseppe guardarono Michele confusi. Poi Michele si mise a ridere.
“Perché ridi? Cos’è che ti consola tantissimo?” chiesero.
“Niente! È meglio se non ve lo dico!” continuò Michele, ridendo.
“E dai!!” “Dicci!” risposero gli altri.
“Menomale che quei tre si sono azzuffati con Roberto!” rispose Michele.
“Perché?” chiese Simone.
“Eh! Se si fossero picchiati con Francesca le avrebbero prese e basta! Francesca è cintura nera di Judo, e più di una volta l’ho vista mettere al tappeto anche Roberto!” disse, cercando di trattenere le lacrime dal ridere.
I due lo guardarono per qualche secondo. Poi scoppiarono entrambi in una fortissima risata.


NdA: Buongiorno! Questo, come avete letto anche nel precedente capitolo, è il punto della storia a cui tengo di più. per questo motivo non vedo l'ora, ora più che per altri capitoli, di sapere cosa ne pensate! grazie ancora per seguirla e apprezzarla!
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: simocarre83