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Autore: Luxanne A Blackheart    20/02/2017    2 recensioni
Nella Londra vittoriana un affascinante uomo proveniente dall'India, un benestante e facoltoso Lord imparentato con la regina, si trasferisce in uno dei quartieri più ricchi e alla moda dell'epoca.
Lui e la sua famiglia si adatteranno alla vita sociale inglese, partecipando a balli reali e alla vita mondana dell'epoca.
Da lontano sembrano perfetti con i loro vestiti costosi, i bei sorrisi affascinanti e i modi di fare garbati. Ammalianti come un serpente prima di attaccare.
Ma sotto quella apparenza di perfezione c'è di più...
Il loro aspetto cela qualcosa di raccapricciante e orribile.
Grida e strani versi si odono nella buia e fredda notte; sangue, sospiri, affari di malcostume e morte incombono sulla loro bella casa e su chiunque osi avvicinarli.
In una Londra sporca, popolata dalla volgarità, dal malaffare, dal sangue e dalla morte la famiglia Nottern saprà trovarvi la dimora ideale.
E voi, saprete farvi conquistare dalla Famiglia del Diavolo?
Genere: Dark, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO TRE.
JAMES.


“Nessuno ci fa del male. Siamo noi che ci facciamo del male perché facciamo cattivo uso del grande potere che abbiamo, il potere di scegliere.” (J. Martin Kohe.)





Quando James abbandonò William e Lucille in quel vicolo, si diresse direttamente nell'unico posto dove sapeva di poter essere al sicuro, la chiesa. Poteva sembrare strano, inusuale che uno come lui, un mostro, un essere dimenticato da Dio, un assassino che per sopravvivere è in grado di uccidere, si recasse in chiesa e pregasse, chiedendo perdono per tutte le cose che aveva combinato durante i secoli.
La chiesa dei poveri, così come l'aveva soprannominata Will, non era una bella costruzione, anzi a guardarla sembrava una vecchia casa abbandonata più che un luogo di culto, ma a James piaceva così.
Osservandosi intorno, notò che nessuno lo stesse guardando e quindi bussò alla pesante porta in legno, non quella principale, ma quella sul retro, e qualcuno gli aprì, afferrandolo per la mano e tirandolo dentro.
“Pensavo che non venissi più. Dove sei stato?”, una voce femminile lo aggredì nel buio, mentre delle mani delicate, ma rovinate dal lavoro, gli strattonavano i vestiti. “Per te non esistono lettere, non è vero? Avevo paura che ti fosse successo qualcosa!”
“Cosa vuoi che mi succeda, Esmeralda? Sono più al sicuro io che tutta l'umanità.”, James sorrise, afferrando per la vita la donna. Nell'oscurità il ragazzo poteva solo scorgere i suoi bei occhi verdi scintillare. “Vieni qui, fatti vedere sotto la luce delle candele.”
I due si spostarono e James poté osservarla meglio. Due occhi verdi come il nome che portava, capelli corvini, labbra grandi e pelle color caramello. La sua Esmeralda.
“Upir, bada a come mi tratti o potrai ritrovarti senza sopracciglia un giorno di questi.”, lo minacciò la donna, sospirando quando le braccia fredde del ragazzo la strinsero. Dopo tutti quegli anni non si era ancora abituata al tocco gelido delle sue mani, pensò amareggiato il biondo.
“Hai avuto molti clienti oggi?”, le domandò, percorrendo la navata centrale e sedendosi ad uno dei banchi in legno del mezzo. Non c'era messa, era troppo tardi per essere celebrata. La chiesa di Saint August veniva frequentata principalmente da vecchi e donne di modeste origini, popolani che soffrivano la fame e che cercavano le risposte di questo loro vivere nella miseria in un Dio misericordioso, ma crudele che spesso voltava loro le spalle.
L'ambiente odorava di incenso, fiori di garofano e c'era quella freddezza tipica delle chiese e quel silenzio soprannaturale che facevano arricciare i peli delle gambe agli esseri come lui. I quadri di Cristo e della Vergine sembravano guardarlo, giudicarlo in malo modo, accusarlo di non essere degno di calpestare un suolo così sacro, puro e privo di peccato. Lui, che era la creatura più immonda, orribile e diabolica che esistesse al mondo.
“No, ma va meglio così. Non sono in vena di false sedute spiritiche. Le persone vengono da me e mi pagano anche profumatamente solo per sentirsi dire bugie, ma tu non hai idea delle cose che gli spiriti mi raccontano.”, le belle labbra di Esmeralda si arricciarono in un ghigno divertito, mentre le dita di James le tracciavano il contorno della mascella delicatamente. Quel calore, quel vago odore di sudore che emanava la sua pelle, quel sapore caratteristico, un misto tra sangue e vita, che lui non aveva mai avuto... Quello era uno dei motivi per cui l'amava: era viva, era umana, respirava. “Come sta William?”
Il viso di James si oscurò, rattristandosi, mentre Esmeralda gli poggiò il capo sulla spalla, afferrandogli la mano.
“Sono preoccupato per lui, Es. Si sta rovinando. Non si nutre e quando lo fa perde completamente il controllo. Si sta auto-distruggendo poco alla volta.”
“La gente comincia a mormorare, Jamie. Pensano si tratti di un serial killer e sono terrorizzati. Trova un modo prima che intervenga la Congrega.”
“Ormai lo conosci da un bel pezzo, Esmeralda. E' cocciuto come un mulo e temo che questa sia più che una fase. Temo che se non farò qualcosa subito, lo perderò.”
“Ma non avevi detto che Lucille avrebbe potuto aiutarlo?”, Esmeralda sollevò il capo all'improvviso, guardandolo preoccupata. Com'era bella...
“Se lei non ci riuscirà, allora non vedo altra via d'uscita.”
“E' una creatura troppo bella per morire.”, disse la zingara, sospirando.
“Lo siamo tutti, ma questo è quello che ci rende più pericolosi.”, James la baciò sulle labbra, sorridendole. “Ho solo paura per la sua anima, di questo passo non ne rimarrà più nulla.”
“Ognuno è artefice del proprio destino. Se William sta buttando via la sua vita così, vuol dire che non gli importa granché della sua anima. Ma tu, mio bel James, non devi dubitare mai della tua. Sei buono e non è di certo colpa tua se sei nato così.”
“Cosa farei senza di te?”, James la baciò ancora una volta, beandosi del suo amore e che per una volta qualcuno si preoccupasse di lui. “Sposami.”
“Sposarti? Non dire sciocchezze. Sarebbe solo una condanna a morte.”
“Perché no?”
“Perché siamo creature troppo diverse e le persone che ci circondano si odiano. Non funzionerebbe e arrecheremmo solo dolore alle persone che amiamo.”
“A William piaci e anche a Lucille piaceresti.”
Esmeralda sbuffò, divertita: “No.”
“Ma ci amiamo!”, protestò il ragazzo, sapendo che non l'avrebbe mai convinta.
“L'amore non è mai abbastanza, Jamie e tu lo sai bene.”




Quando dovette lasciare Esmeralda, Jamie incontrò Lucille, o meglio ci andò letteralmente a sbattere contro. Le loro teste cozzarono dolorosamente l'una contro l'altra. Lucille scoprì i denti appuntiti per il dolore, come un cane rabbioso, ma quando si accorse chi fosse il suo avversario, sorrise imbarazzata.
“Lucille, che cosa succede? Dov'è andato Will?”
“Il tuo fratellino idiota, vorrai dire...”, borbottò, incrociando le braccia al seno. Era furiosa, pericolosa come un coltello affilato e non voleva certamente essere in Will quando la furia della piccolina si sarebbe imbattuta su di lui. “Non ho idea di dove si sia andato a cacciare. Mi ha lasciato qui, urlandomi di venire a cercarti, perché lui aveva da fare nei bordelli. Quel maledetto depravato!”
“Non è nei bordelli che aveva da fare, piccola mia. Andiamo, ti faccio strada.”, Jamie sospirò, porgendole il braccio che la ragazza afferrò. Ripercorsero la strada al contrario, fino a fermarsi davanti ad una casa di tre piani, vecchia, che sembrava star per cedere da un momento all'altro e buia. Il rumore delle acque del Tamigi, in confronto a quello caotico e disorganizzato della città, era una vera pace per i sensi e l'udito. La porta della abitazione era in legno pesante, sembrava quasi nuova di zecca, sulla quale c'era una insegna, che recitava: “Da Lu Chang”
“Oh per tutti i diavoli dell'Inferno, non dirmi che abusa di queste sostanze!”, Lucille si era portata la mano piccola e delicata alla bocca, schifata e inorridita.
“Esatto, Lucie. Ormai ne è diventato uno schiavo, dipende da essa e da parecchi anni.”
“Cosa? E tu non glielo hai mai proibito? Dovevi fare qualcosa per impedirgli di buttare così la sua vita!”, Lucille si era alterata e adesso stava urlando, gesticolando animatamente.
“Non sono sua madre e pensi che non ci abbia provato?!”
“Ma sai com'è fatto William. E' uno zuccone che crede di essere in grado di sapere come va il mondo, ma in realtà non è in grado di prendersi cura di se stesso. Sarà un bambino in eterno!”
“Sai perfettamente che non è facile prendersi cura di Will, Lucille! E ho anche una vita, sai? Non posso star sempre a pensare a parargli il culo quando si mette nei guai!”, James sospirò, cercando di riacquistare la calma. Non voleva parlare così a sua sorella, ma era stata la preoccupazione e l'arrabbiatura per William e il rifiuto di Esmeralda a parlare. Lucille sbuffò, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, che era sfuggita dalla acconciatura e cercando di sistemarsi il vestito. Lo odia, pensò James addolcendosi. “Senti, tu resta qui ed entro io a prelevarlo. E perdonami per il modo in cui ti ho risposto...”
“Non pensarci neanche. Tu gli faresti solo le carezze e ciò di cui lui ha bisogno in questo momento è qualcuno che massacri di schiaffi la sua cocciuta testa bionda.”
Lucille alzò il capo in modo altezzoso e bussò alla porta, ma essa si aprì non appena vi poggiò le nocche e un forte odore di sangue e puzzo di morte inondò l'aria.
“Oh, madre de Dios...”, sussurrò James, entrando assieme a Lucille nel angusto e basso abitacolo . William era steso su uno dei piccoli e malridotti lettini presenti e aveva lo sguardo perso nel vuoto. I capelli biondi  diventati scuri, poiché completamente sporchi di sangue, erano attaccati alla nuca, mentre i vestiti erano ridotti a stracci e quasi non lo coprivano più. I denti affilati gli avevano bucato il labbro, che poco alla volta stava cominciando a rimarginarsi, mentre la pelle del viso appariva più pallida, quasi blu. Gli occhi azzurri, si erano trasformati in rosso vivo. Aveva l'Inferno con le sue fiamme bollenti e le urla dei dannati nello sguardo. L'espressione del viso apatica, senza sentimenti, vuota. Abbandonato completamente al suo destino, al suo dolore o a qualsiasi cosa lo rendesse talmente disperato a far ricorso a quel genere di sostanze. Maledetto, depresso, sfortunato William.
James e Lucille si guardarono intorno, reprimendo quell'istinto primitivo che l'odore di sangue accendeva in loro. C'erano cadaveri ovunque, corpi senza vita a cui mancavano arti, teste, organi buttati per terra e cuori che non pulsavano più linfa vitale. Muri e lenzuola erano pieni di liquido, di sangue, di organi, di orrore, di disperazione, di droga, di William.
Sembrava che degli animali ci avessero banchettato sopra, leoni e lupi feroci, ma in realtà era stato solo una persona, la stessa che adesso era stesa su quel lettino troppo piccolo per lui ad osservare il vuoto, come in trance. 
La situazione era peggiore di quanto James avesse mai creduto e si diede la colpa per averlo lasciato solo. Sua sorella aveva torto. William non era un bambino, William era un uomo tormentato che non aveva bisogno di una balia... L'unica cosa di cui lui necessitava era la morte e non importava quanto lui gli dimostrasse il suo amore, il suo sostegno o lo incoraggiasse ad essere una persona migliore, l'amore non è mai abbastanza.
“E' stato lui a fare questo? Tutto da solo?”, domandò Lucille, tremando. Mantenere il controllo si stava rivelando più difficile di quanto pensassero.
“Vedi qualcuno? Oltre a tutte queste morti inutili?”
Lucille scosse il capo, sospirando. “Portiamolo via da qui, prima che venga qualcuno e lo veda.”
I due fratelli si avvicinarono al lettino e lo afferrarono per le braccia, trascinandolo via. Quando l'aria fresca della notte e l'ipnotico frusciare del Tamigi colpirono i loro sensi, liberandoli di quel soffocante odore di morte e sangue, William alzò il capo, guardando prima James e poi Lucille.
“Oh, ecco la mia adorata famiglia. I miei salvatori, i miei eroi, i miei assassini.”


“Suvvia, non potete incatenarmi per sempre! Sono maggiorenne e ho il diritto di voto! Non potete privare l'Inghilterra di me, la Madre Patria ha bisogno di me! La regina Vittoria ha bisogno di me!”, sbraitava William, cercando di liberarsi dalle catene. Lucille e James lo avevano incatenato nei sotterranei e lo avrebbero lasciato lì fino al ballo che si sarebbe tenuto la sera successiva. Vladimir e gli altri non erano stati informati di quella decisione, altrimenti il capofamiglia lo avrebbe certamente impalato contro il muro e lasciato morire. “James, ti prego, non mi lasciare qui. I sotterranei mi fanno diventare brutto e la mia bellezza è tutto per me!”
“Non aggrapparti a futili scuse, William Nottern. L'Inghilterra, la regina e la tua bellezza faranno a meno di te oggi. Devi essere presentabile per domani sera o Vlad ti ucciderà, questa è la volta buona.”, James gli strofinò via l'ultima macchia di sangue, rischiando di venire morso. “Dormi bene, fratellino.”
“Tu quoque, Brute, fili mi!”, urlò William, dando sfoggio di tutte le sue migliori doti artistiche e recitative.
James roteò gli occhi, chiudendo la pesante porta della cella. In un attimo salì tutte le rampe di scale, piombando dritta nella sua.
La sua era una camera semplice, spaziosa ma disordinata. C'era un enorme letto a baldacchino con lenzuola bianche, spesso sporche di pittura,  vestiti buttati per terra, uno scrittoio messo in un lato della stanza, un piccolo armadio che conteneva i vestiti di quell'epoca e un baule, posto ai piedi del letto. Alle pareti erano stati appesi solo quadri realizzati personalmente da lui, che raffiguravano scene di vario genere.
Era un artista da quando ne aveva memoria ed era nato in Italia, nel Rinascimento, dopo una delle tante riappacificazioni tra Camille e Vladimir. Quello era stato uno dei periodi che James più amava della storia dell'umanità. L'arte era ovunque. Era viva, respirava, si viveva di essa e James aveva avuto l'onore di conoscere mostri sacri dell'arte visiva, della pittura, della scultura, come Michelangelo, Leonardo e Raffaello. Aveva vissuto a Firenze e a Roma, due città di cui si era profondamente innamorato e che spesso erano temi centrali dei suoi dipinti. O almeno lo erano prima di incontrare Esmeralda.
In quel periodo l'arte stava perdendo il suo valore, nessuno la guardava, nessuno la apprezzava, veniva reputata inutile e gli artisti, i veri artisti quelli rivoluzionari, quelli che avevano qualcosa da esprimere, quelli che non si piegavano al conformismo della società, quelli, facevano la fame pur di essere felici. Il loro animo costantemente incompreso, le loro mani costantemente sporche di pittura o di inchiostro, la loro mente costantemente su un altro pianeta li rendevano motivo di riso dalla gente, incompresi, soli.
La gente non sapeva distinguere più la vera bellezza, ma era attaccata a beni terreni inutili, non a qualcosa che sarebbe rimasto sempre immortale come la Gioconda, bellissima, perfetta e regina di tutti i quadri mai dipinti, anche se di così piccole dimensioni, o La Pietà, altrettanto meravigliosa e unica in ogni suo piccolo dettaglio, angolo, centimetro.
E per lui, figlio del Rinascimento, era un enorme colpo basso essere consapevole di ciò.
Si avvicinò ad uno dei quadri che stava dipingendo e lo guardò. Aveva utilizzato prevalentemente colori scuri e chiusi per dare risalto al candore dei capelli e alla lucentezza della pelle. Il dipinto raffigurava William, in quella epoca. Era vestito tutto di nero, elegante, con il bastone e i guanti bianchi alle mani, proprio come un vero gentiluomo. I capelli biondi gli incorniciavano il viso pallido, dalle labbra rosse e gli occhi azzurri. Non era un azzurro chiaro, perfetto come quello del cielo, ma scuro, torbido, quasi mescolato al nero, per indicare il suo tormento interiore, la sua tristezza, la sua espressione, il suo desiderio costante di morte, il suo orrore. Lo aveva dipinto proprio com'era in quella epoca, senza veli e senza censure. Pazzo, letale e mostruoso. Aveva dipinto il Will che non avrebbe mai voluto conoscere, il Will oscuro e manipolatore, il Will cattivo e diabolico, il Will che sarebbe finito all'Inferno e che si sarebbe mangiato la sua anima di quel passo.
E James, per quanto il suo lato da buon samaritano, da eroe, da persona gentile, da fratello, cercasse di spronarlo a fare sempre di più, a salvarlo da se stesso, da un mondo che lo masticava e lo sputava perché non lo comprendeva, da un qualcosa che neanche lui capiva, non avrebbe potuto fare nulla, niente di niente. Sapeva che le parole della sua Esmeralda erano giuste, veritiere e che la sua saggezza non sbagliava mai.
L'amore, che sia fraterno, passionale, vero, carnale, divino, non è mai abbastanza per impedire il corso degli eventi. Non è mai la certezza a cui aggrapparsi nel momento del bisogno, anzi è proprio lui che strappiamo, uccidiamo, violentiamo con le parole e con i gesti. Siamo esseri autodistruttivi, tutti, e l'unica cosa che è in grado di liberarci dai nostri tormenti violenti, dai nostri più oscuri pensieri, dal nostro masochismo è proprio la morte, non l'amore. L'amore non basta mai, ne ora, ne sempre.


*** ***
Ed eccoci qui! Dopo un mese di assenza torno a pubblicare questa storia, questa volta sotto il punto di vista di James.
Cosa ne pensate? Fatemi sapere con un parere, non fanno mai male.
Nel prossimo, spero di riuscire a pubblicarlo presto, avremo modo di conoscere un altro personaggio: Jean, a cui sono particolarmente affezionata.
Bene, vi lascio e scusate per il ritardo!
Alla prossima!
   
 
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