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Autore: Arya Tata Montrose    20/02/2017    1 recensioni
Buonasera! Come da copione, per il terzo anno consecutivo, mi presento con la Gajevy Week!
Anche se vi avverto già che sarò in ritardo (come già si evince), spero possiate godervi la lettura.
Tata
***
Day One – Matching: «Levy!» «Cosa?» «Il tuo orecchio!»
Day Two – Longing:Il ghigno che gli era nato sulle labbra ebbe vita breve
Day Three –
Day Four –
Day Five –
Day Six –
Day Seven –
-
Bonus Day – AU: Gajeel ghignò. Colpito e affondato.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gajevy Week – 2017
 
 


Day Two ~ Longing




Gajeel sospirò, passandosi una mano tra i lunghi e ribelli capelli color dell’ebano. Le sue dita incontrarono quasi subito le ciocche intrecciate dalle sapienti mani di Levy.
Il panorama che la finestra dell’albergo offriva non era la ridente Sarajevo che si vedeva nelle foto delle vacanze e nelle cartoline. La via su cui si affacciava era imbrattata di sangue e detriti e dalla neve sporca che ancora non voleva sciogliersi, come se qualcosa o qualcuno volesse congelare la guerra che si consumava da troppo tempo.
Distolse lo sguardo, impossibilitato a sopportare oltre quella vista sebbene ne fosse oramai avvezzo: aveva combattuto in guerra e ne era uscito, solo per tornarci e raccontarla. Lo posò sui fogli scritti nella sua calligrafia più frettolosa, quella guidata dall’ispirazione del momento, e sulle istantanee che la sua polaroid sputava, orripilata quanto lui, ogni qualvolta usciva a lavorare. Quelle foto testimoniavano la guerra, la fossilizzavano in un’immagine che lui e tutte le vittime che aveva mietuto speravano che presto sarebbe stata un indelebile, doloroso ricordo.
Solo una differiva dalle altre: la luce del tramonto che inondava le due figure in primo piano, abbracciate ad un passo dal ciglio delle bianche scogliere di Dover. Quell’istantanea ritraeva lui e una ragazza più piccola e mingherlina dai corti, ribelli fili turchini fermati da una fascetta, in un bellissimo abitino azzurro. Lui ghignava, Levy sorrideva. Sul retro, la calligrafia rotonda di Levy aveva impresso una scritta che lo fece sorridere: The Beauty and the Beast, 1992.
Il ghigno che gli era nato, spontaneo, sulle labbra al ricordo di quella splendida estate ebbe vita breve; s’affievolì quando nella sua mente balenò il pensiero di dove quella minuta ragazza si trovasse in quel momento, lontano da lui. Eppure, fino a quel momento erano sempre rimasti insieme, avevano seguito ogni caso insieme. Capiva il perché della scelta di Makarov, sapeva che Levy era un’ottima giornalista, ma non riusciva a scrollarsi di dosso l’immenso senso di vuoto che la sua assenza gli procurava – la nostalgia di casa sua.
Posò la foto e raccolse la sua tazza di tè, ancora bollente. Ne bevve un sorso e, irradiato di quel calore che gli ricordava quello del corpo minuto e gentile di Levy addosso al proprio, si rimise a vergare di nuove parole la carta bianca.
 
 
 
La penna vomitava frasi d’indignazione e fredda, malcelata rabbia. Levy stentava a credere all’orrore cui aveva avuto ordine di dar voce. Sperava che in qualche modo il suo articolo sortisse qualche effetto in favore di una nuova pace.
E invece, nemmeno le Nazioni Unite erano rimaste a guardare.
Quella notte era di guardia, attenta ai feriti stesi sul pavimento della grande hall. Più di mille persone spaventate, private di tutto da quell’ingiusta, inutile guerra civile. I lamenti si propagavano nella sala, eco della sofferenza che stava logorando ognuno di loro.
Era stata inviata lì per riportare l’urlo disperato di quella gente ed ora stava in ginocchio accanto ad una donna che dormiva con le guance solcate dalle lacrime: aveva appena perso sua figlia e il braccio.
Levy posò a terra il taccuino consumato e prese dal reggiseno un’istantanea: due ragazzi abbracciati nella luce del tramonto. La teneva lì per averla più vicina al cuore, per essere certa di non perderla mai. La guardò, un sorriso amaro e nostalgico sulle labbra: erano passati solo due anni, eppure le sembrava un ammontare di tempo troppo lungo da essere misurato, così come il mese che aveva passato lì in Ruanda, lontana da Gajeel.
Si sfiorò gli orecchini, freddo acciaio incastonato nel suo padiglione auricolare. La facevano sentire, in qualche modo, più vicina a quel ragazzo che pareva esattamente il suo opposto: alto, forte, scontroso e burbero, con un’innata passione per il nero e per il metallo, pieno di cicatrici di guerra e le mani grandi e callose.
Le ricordò strette alle sue, più piccole, macchiate dell’inchiostro della sua stilografica preferita e dal sangue dei feriti di guerra di cui si faceva portavoce. Immaginò le sue mani, gelate dall’aria fredda della sera, rubare il calore quelle di lui. Sfiorò i calli che le indurivano, immaginando quelli che le ricordavano casa sua – loro – piena di libri, metallo e fotografie. Si era sentita a casa anche nell’albergo raffazzonato di Sarajevo, quando lui era con lei.
Sorrise, malinconica, carezzando nuovamente gli orecchini e poi l’istantanea; il suo sguardo corse alle grandi finestre, uno scorcio sull’immenso, limpido cielo stellato. Accennò un sorriso, forte di una nuova speranza. Rimise la foto al suo posto, accanto al cuore.
Riprese carta e penna e, su un nuovo foglio, iniziò a scrivere. Sarebbero tornati a casa, lo sapeva.



 
Due cose due da parte della Tata
Buonasera!
Allora, in queste note vorrei spiegare un filo la situazione specialmente quella di Levy: lei si trova in Ruanda, dove nel 1994, per circa 100 giorni, ci fu un terribile genocidio, una sorta di guerra civile operata da una tribù contro un'altra e i suoi stessi moderati. L'hotel nominato è stato aperto dal direttore per accogliere dei perseguitati e salvò circa 1200 persone dal massacro.
La situazione di Gajeel è, invece, ripresa dal libro "Venuto al mondo" che ambienta parte della narrazione in quegli anni.
Quindi... Niente, era solo per chiarire un filo la siatuazione.
Spero davvero che vi sia piaciuta e ringrazio moltissimo MaxB per aver letto e commentato anche lo scorso capitolo.
Il prossimo tarderà ancora, dato che sono ancora in alto mare per quanto riguarda la stesura.

Spero a presto,
Tata

 
   
 
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