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Autore: Black Swallowtail    21/02/2017    0 recensioni
Nelle profondità dei Labirinti Phtumeriani, attraverso lunghe, intricate gallerie oscure ed abbandonate, si nasconde quel che resta di un dono di creature irraggiungibili dall'uomo. Attraversando questa antica tomba, un gruppo di scolari di Byrgenwerth scopre ciò che metterà in moto gli eventi che cambieranno il mondo — il Sangue Antico.
I giovani studiosi, con in mano la chiave di volta per trascendere l'umanità, daranno il via ad una catena di eventi che li porterà a lacerare il velo che divide umanità da bestialità, che aprirà i loro Occhi su quel che risiede sopra di loro.
Anni prima degli eventi di Bloodborne, si snoda la storia di Gehrman, Maria, Laurence, Micolash, Caryll e Willem — gli Scolari del Sangue Antico.
"Se solo avessimo saputo a cosa stavamo andando incontro, forse ci saremmo fermati.
O forse, come falene attirate da una fiamma, avremmo seguito fino all'ultimo il pallido fantasma di una sapienza cosmica, trascendentale.
Forse, eravamo destinati a bruciare fin dal principio. "
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gehrman, Lady Maria, Laurence, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II —“Scholars of the Old Blood”

 La Scuola di Byrgenwerth si affaccia sul Lago della Luna, proprio perché Mastro Willem trova conforto, nei suoi momenti più bui, nell'osservare il grande disco pallido che se ne sta stancamente sul cielo stellato. Quando qualcosa lo tormenta, avviluppando la sua mente nel dubbio, si ritira sul balcone, chiudendosi la porta alle spalle, e rimane in piedi sul balcone, le braccia dietro alla schiena, il viso rivolto verso lo sconfinato specchio d'acqua cristallino, sul quale il riflesso lunare è perfetto come su uno specchio. Nella tranquillità e nella meditazione, rimane a rimuginare, distante da tutti quegli allievi che vedono in lui la figura di un mentore, di un grande rettore attorno al quale radunarsi per un consiglio, una parola di conforto, di ammirazione.

Byrgenwerth, quale luogo di ascetica sapienza e di ritirato studio, lontano dalla caotica città che si erge al di là degli intricati boschi e lontano dalle paludi ributtanti veleno ribollente, accoglie scolari e studiosi, una comunità dove non c'è un vero leader, quanto meno non formalmente; ma è opinione comune, tra i tanti che si aggirano nelle grandi stanze colme di imponenti scaffali pieni di libri, tra coloro seduti attorno ai tavoli a leggere e scrivere, tra gli astrologi che osservano il cielo con grandi cannocchiali il cielo punteggiato di astri, che Mastro Willem sia il più intelligente e saggio, nonostante non si avvicini nemmeno alla mezza età. La sua figura è guardata con un rispetto che va oltre quello dello studente per il maestro – si tratta della venerazione che si riserva a grandi saggi e conoscitori, uomini di un retaggio destinato a rimanere nel tempo. Per quanto appaia provato nel corpo, più vecchio degli anni che in realtà dovrebbe avere, consumato dal dovere di tenere insieme la nostra comunità, quanto dal peso dei suoi ideali e delle sue ricerche, nessuno lo ha mai ritenuto un debole.

Una cosa è certa, il Rettore è un uomo terribilmente divorato dai dubbi della conoscenza. Più di una volta, radunati attorno a lui sul balcone, lo abbiamo sorpreso a parlarci con voce sommessa di un luogo irraggiungibile, sopra alle nostre teste, oltre il confine del cielo. Un luogo dove risiederebbero esseri più potenti, al di là di ogni comprensione, creature di progenie stellare, esseri in grado di annichilire le stelle e abbracciare la luna; grandi esseri la cui concezione sfugge ai canoni della nostra mente e che i nostri occhi rifiuterebbero di osservare.

“Avremmo bisogno di più occhi, per vederli,” aveva esordito, una volta, tormentandosi le mani con una sorta di ansia, tipica di chi sta scrutando qualcosa di irraggiungibile, sicuro che la sua mente non potrà mai afferrarlo.

“Sta forse parlando degli dei?” il tono di Micolash, in quell'occasione, era quasi scettico, ma comunque vibrante di una genuina, quasi distorta curiosità, una morbosa sete di conoscenza che lo voleva spingere verso quel piano cosmologico di cui predicava il nostro Maestro.

Laurence aveva storto la bocca, a quelle parole, come se quelle cialtronerie non fossero che un mero chiacchiericcio di un fanatico, ma la risposta di Willem lasciò entrambi insoddisfatti, ma allo stesso vibranti di una domanda che ha accompagnato la nostra discesa nell'oscurità delle catacombe buie degli Phtumeriani. Il Rettore sospirò a fondo, tese la mano verso il cielo, allungando le dita come a voler afferrare un lembo della volta celeste per attirarla a sé, quasi seguisse un richiamo ancestrale, “Se esistessero gli dei, Micolash, allora tutto sarebbe terribilmente semplice, non trovi?” scosse piano la testa, le labbra serrate, come se esitasse nel continuare, “Qualora ci fosse davvero qualcuno sopra di noi, oltre il cielo, o sott'acqua, dove non riusciamo ad arrivare, dove i nostri occhi non vogliono portarci perché limitati dalla cecità umana—allora, in quel caso, non sarebbero dei. Ma sicuramente, vi sarebbero molto, molto vicini.”

Forse è stata una casualità, forse si è trattato di un segno del destino, forse qualcosa è scattato, dentro di noi, quel giorno, qualcosa che ha messo in moto quelle forze di cui amavamo tanto speculare. Caryll ha iniziato ad udire sussurri, voci disumane, come un canto flautato un gorgoglio lontano, una musica che giunge alle sue orecchie da lidi lontani, ben al di là dell'intelletto umano, da spiagge e scogliere che esistono da qualche parte in un cosmo lontano, attraverso il sottile velo che divide l'umanità ed il mondo tangibile, da quello del sogno e dell'irrealtà. La voce di Mastro Willem, quel giorno, ha tremato, quando ci ha chiesto di rimanere solo, sul balcone. Per giorni è rimasto lì, a parlare fiocamente con la languida luce lunare, come ad aspettare una risposta dall'alto.

Una risposta che non è mai arrivata.

Una sera, Laurence si è recato da lui, allontanandosi dalle aule di lezione e dalle biblioteche per arrivare all'osservatorio sul lago. La luna era ormai ridotta ad una falce, quando entrò nel grande atrio dell'osservatorio, ormai vuoto, perché le grandi nuvole scure che ricoprivano il cielo impedivano di utilizzare i cannocchiali; il silenzio di tomba che lo accolse fu rotto solo dallo scalpiccio dei suoi passi, mentre saliva la grande scala a chiocciola che si attorciglia su se stessa, per raggiungere il luogo di riflessione di Mastro Willem.

“Laurence.”

Quando il Rettore lo chiamò, seduto nella semioscurità dell'osservatorio, le mani attorcigliate e lo sguardo quasi perso a scrutare il buio, Laurence si irrigidì di colpo. Si avvicinò a lui, pieno di domande, di dubbi, ma sopratutto, bramoso di sapere, conoscere quale sarebbe stata la decisione del nostro mentore sulla situazione. Per la prima volta, i nostri discorsi non si riducevano a congetture; c'era qualche forza superiore che stava operando, stava parlando a Caryll, che tentava febbrilmente di tradurre quelle parole in strani simboli runici attorcigliati, folli e spezzati.

La risposta di Willem fu degna del suo retaggio di grande studioso, costantemente alla ricerca dui una verità superiore che, un giorno, potesse essere d'aiuto all'umanità intera, il motivo del suo tormento e della sua riflessione.

“Seguiamo questa voce. Qualcuno ci sta chiamando…” sospirò a fondo, per esalare, con quel respiro, gli ultimi dubbi, “E noi abbiamo il dovere di rispondere.”

Gehrman ed io non siamo veri e propri studiosi. Per quanto usufruiamo della conoscenza di Byrgenwerth, svolgiamo più un lavoro di guardie del corpo, di blanda forza militare con il compito di tenere al sicuro gli studiosi e, all'occorrenza, di tuttofare. È stato questo, oltre che lo stretto rapporto di amicizia tra il mio maestro d'armi e Laurence, a procurarci un posto nella spedizione che ci ha portato a scendere all'interno dei Labirinti Phtumeriani. Per quanto gli esploratori di tombe si siano dati da fare, il richiamo di Caryll ci ha spinto molto più in basso dei livelli conosciuti fino ad ora, a tracciare una nuova, contorta mappa di tunnel infiniti e stanze decadenti. Uno sforzo che ci ha consumato nel corpo e nello spirito.

Ma la ricompensa finale, ciò che abbiamo trovato, è quanto di più grande potessimo immaginare, una scoperta incredibile, che va oltre ogni nostra previsione. Un passo avanti per l'umanità, verso più grandi mete, verso l'ascensione.

Perciò, ora che emergiamo da questo Labirinto soffocante, con la luce della pallida alba ad accoglierci, abbastanza tenue da non ferirci gli occhi, dopo così tanto tempo passato nell'oscurità dei cunicoli, ci sentiamo agitati da una sensazione divorante – l'eccitazione della più grande scoperta dei nostri tempi, dell'intera storia.

Non siamo soli, in questo universo. Qualcuno ci guarda, forse con disinteresse, da qualche parte, come noi osserviamo colonie di formiche. Mastro Willem aveva ragione.

“Fate attenzione a quello,” Laurence fa un cenno con la testa alla cassa gorgogliante che io e Gehrman trasportiamo faticosamente tra le braccia, “Ci siamo quasi, ormai.”

Micolash, osservando l'orizzonte con il suo monocolo, annuisce soddisfatto, indicando la vecchia torre d'astronomia in lontananza, “Siamo davvero vicini, avevo ragione,” mormora soddisfatto, prima di precederci, con l'intenzione di portare la buona novella il prima possibile a Byrgenwerth. L'intero istituto è in attesa, probabilmente congelato, trepidante di conoscere non solo il nostro destino, ma l'esito della ricerca, il risultato finale. Tutti smaniano di conoscere quale tesoro riposasse in fondo alla catacomba nella quale siamo discesi.

La marcia continua fino a sera, senza che molto sia discusso, ognuno immerso nei suoi pensieri. Caryll, sopratutto, ha continuato febbrilmente a scrivere per tutto il tempo, annotando rune su rune. La vicinanza a questa sostanza indefinita, l'oggetto del richiamo che l'ha guidata per tutto questo tempo, sembra renderla frenetica nel suo lavoro, alquanto strano, poiché lei rappresenta, notoriamente, l'elemento più quieto e riservato del gruppo. Solo Mastro Willem è in grado di sostenere un dialogo concreto con lei, dalla mia esperienza; quando ha interagito con Laurence, Micolash o saltuariamente con Gehrman, ha sempre dato risposte stringate ed asciutte, prima di tornare a rintanarsi in se stessa. Probabilmente, il richiamo, ora che è così vicino, dev'essere molto più chiaro, abbastanza da non darle pace; tentare di dare una forma concreta a qualsiasi cosa gli venga detta è un modo per sfuggire, per allontanare la mente e darle pace, per un momento. Mi sorprende il fatto che la sua mente non sia ancora andata in pezzi, dopo tutta questa pressione divorante, questo continuo sussurrare arcano.

Il fuoco del falò arde di fiamme arancioni e rossastre, attorcigliandosi in innumerevoli, diverse forme, divorando la legna che abbiamo gettato per alimentarlo, per allontanare le tenebre. Per quanto gli alberi si innalzino attorno a noi, la sensazione di non essere più circondata da quelle pareti dal tanfo di sangue e muffa è come sconfortante. La permanenza all'interno di quei luoghi ci ha inevitabilmente danneggiato e avremmo bisogno di tempo per tornare completamente in noi stessi. Perfino ora, con la consapevolezza di non essere circondata da pericoli sconosciuti, da belve orrende o da trappole antiche e deviate, non riesco ugualmente a dormire, come tutti gli altri. Gehrman non ha mai dormito molto, se ne sta sempre in disparte, in silenzio, a rimuginare o a leggere alla luce di una piccola lanternina, sempre pronto a scattare al momento giusto, teso come una corda di violino; Micolash e Laurence, dal canto loro, sembrano troppo morbosamente attratti dal contenuto della nostra scoperta per riuscire a chiudere occhio, preferendo piuttosto aggirarsi attorno alla pesante cassa, sfiorandone continuamente gli intarsi, i bordi, il coperchio. Tentano inutilmente, alla luce di una fiaccola, di comprendere il significato delle incisioni, delle figure rappresentante, creature da incubo senza una forma umanamente concepibile e innumerevoli, sconosciute scritte smussate dal tempo e dalla muffa, ormai illeggibili.

“Perché una cosa del genere dovrebbe essere stata in mano agli Phtumeriani?” chiede Micolash, passandosi una mano tra i capelli, lanciando un'occhiata di sottecchi a Laurence, “Possibile che, davvero, siano entrati in contatto con esseri di piani superiori?”

“Non abbiamo vere e proprie certezze, non ancora. Ma questo guscio, il materiale che emette ed il suo bagliore sono un indizio. Non credo di aver mai visto un'animale che avesse un esoscheletro simile. Inoltre...” poggia una mano sulla cassa, “Il contenuto di questo baule parla da sé.”

“La domanda che mi tormenta, è che genere di esseri abbiano incontrato, come li abbiano richiamati?” scrolla le spalle, “Cos'è accaduto agli Phtumeriani, poi? Sono rimaste solo rovine...”

Distolgo l'attenzione, lasciandoli alle loro grandi domande prive di risposta e alle loro teorie incomprensibili, avvicinandomi invece a Gehrman, accomodandomi di fianco a lui, poggiata contro la roccia sul quale lui si è seduto. Mi guarda per un istante, seguendo i riflessi del fuoco sui miei capelli, prima di tornare ad osservare Caryll intenta a scrivere febbrilmente.

Il vento ulula tra i rami degli alberi, facendoli scricchiolare, sollevando qualche foglia caduta. L'autunno si avvicina inevitabilmente, un'altra stagione muore lentamente, il mondo sembra continuare a scorrere come sempre. Ma se ciò che quei due stanno dicendo rispecchia la verità… quanto potrà durare questa normalità? Le parole di Laurence sono state piuttosto inquietanti. Gli Phtumeriani hanno davvero avuto ricevimento presso delle divinità? E se è stato questo a distruggerli… non stiamo forse camminando sui loro stessi passi?

“Qualcosa ti preoccupa, Maria?”

Trasalisco alla posata domanda del mio maestro, irrigidendomi di colpo. I nostri sguardi si incrociano e, nei suoi occhi scuri, non riesco a vedere nulla. Nemmeno l'accenno di un'emozione, solo oscuro nulla. Nei miei, invece, così chiari da sembrare di vetro, è possibile leggere il mio animo così facilmente?

“No, io...” mi mordo il labbro, ben sapendo che non c'è motivo di mentirgli, perché se c'è qualcuno in grado di capirmi, dopotutto, è proprio lui. Lo ha appena dimostrato, dopotutto.

“È comprensibile provare paura.”

“Cosa?” rifuggo il suo sguardo, puntando il mio verso il basso, mordendomi nervosamente il labbro inferiore.

“Tutti abbiamo paura. Sopratutto in una situazione come questa, quando è l'ignoto che si spalanca davanti a noi. Non c'è bisogno di nasconderlo...” sogghigna, “Non a me, almeno.”

Un attimo di silenzio, un istante in cui Gehrman beve un sorso dalla sua borraccia, prima di riporla sulla cintura, “Domani Mastro Willem ci accoglierà. Solo allora, capiremo per cosa abbiamo intrapreso questo viaggio. Ma dimmi, Maria,” seguo la sua mano, il suo indice, teso verso il lago in lontananza, verso la torre di Byrgenwerth, “Ti sei mai chiesta quale sia il problema di Willem… No, di tutti noi? Perché studiamo, così affannosamente, quale sogno stiamo inseguendo?”

“La conoscenza?” Una risposta infantile, forse, ma che Gehrman sembra trovare abbastanza divertente, se non banale, perché scuote la testa, “No, certo che no. La conoscenza è uno strumento, non un fine. Altrimenti, ci potremmo accontentare di quello che vedono i nostri occhi e vivere semplicemente guardando ciò che la sensibilità ci offre. No, Maria… Quello che Mastro Willem vuole, che tutti gli altri stanno perseguendo, è un fine più alto. L'evoluzione dell'uomo, il raggiungimento di uno stadio superiore. Ad ogni costo.”

“Per questo cerchiamo nelle catacombe di Phtumeru? Mastro Willem crede che loro ci siano riusciti?”

“Esattamente. Gli Phtumeriani hanno intravisto… Una verità che subissa l'umana comprensione.”

Ma se così è stato, se loro sono riusciti ad ascendere, ad evolversi, se erano così vicini a questa verità—perché sono caduti?

Una domanda che non riesco a formulare. Ho paura della risposta che potrei ricevere.

Sì, effettivamente… ho paura.

“Ricorda, Maria, che è la paura a differenziarci dalle bestie. Senza di essa, non saremmo poi così diversi da loro.”

Quando il fuoco si spegne, riducendosi a poco più di braci morenti e a cenere tiepida trasportata via dal vento notturno, le nostre voci si spengono. L'unico rumore che persiste, è lo scribacchiare di Caryll sul suo quaderno… un continuo annotare che accompagna la mia notte, senza sonno, fino a che la nostra marcia non riprende, faticosa, verso casa.

Laurence e Micolash accendono le torce, scacciando il buio, mentre ci inerpichiamo lungo la strada che serpeggia nel bosco ammantato dal buio. Ci avviciniamo, sempre di più, alla conclusione del nostro viaggio. Ed è per questo, che non posso fare a meno di provare una stretta allo stomaco.

Ci sono segreti che forse sarebbe meglio lasciare nascosti.

Ma nessuno di loro sarebbe disposto ad ascoltarmi.

Le porte di Byrgenwerth sono aperte e il corridoio sul quale si affacciano le diverse aule brulica di studiosi e studenti, come se tutto l'istituto si fosse radunato qui, per assistere al nostro rientro. Laurence è il primo a fare il suo ingresso, iniziando subito a gridare, ad alta voce, di fare spazio, di non saltarci addosso, nel tentativo di superare il forte brusio di curiosità che accompagna l'esatto istante in cui io e Gehrman mettiamo piede all'interno, attirando su di noi innumerevoli sguardi e sussurri. Nonostante nessuno possa sentire i sussurri, né sappiano di cosa si tratti ciò che trasportiamo con tanta cura, la sontuosità del baule in pesante marmo e la strana, sinistra aura vibrante che sembra spirare dal suo contenuto, fungono da calamita per l'attenzione generale.

In una sorta di posticcia processione ci facciamo largo attraverso la folla di curiosi, di occhiate incuriosite, piene di aspettative; nessuno osa fare domande rivolgendosi a noi direttamente, ben consci del fatto che non diremmo nulla, almeno finché Mastro Willem non abbia preso visione della nostra scoperta e tratto le dovute conclusioni. Il religioso silenzio che cade sulla folla, nel momento in cui l'arca che trasportiamo passa tra di loro, sembra come dare ancora più sacralità a questo momento.

Con la coda nell'occhio, intravedo Caryll che si tiene le tempie, massaggiandole come per dare un sollievo impossibile, perché il dolore che prova, il tormento che sboccia in lei, non è un male fisico, ma viene da oltre il luogo che possiamo raggiungere con gli occhi – su questo, ne siamo tutti più che sicuri.

Ovviamente, Mastro Willem è ad attenderci sul Lago della Luna, nonostante ormai del disco notturno si intraveda a malapena la sfocata sagoma, dato che l'alba è ormai al suo culmine e il cielo inizia a rischiararsi di una lattea quanto incerta luce mattiniera. Come sempre, ci dà le spalle, per cui riusciamo a vedere le sue mani che si torcono nervosamente, nel vano tentativo di trovare pace nell'attesa. La sua figura leggermente incurvata, avvolta negli abiti lunghi del Rettore, sembra così trepidante.

L'attesa sta per giungere alla fine.

“Mastro Willem, siamo tornati. E abbiamo qualcosa da mostrare. Qualcosa che cambierà per sempre ogni cosa.”

Gehrman posa l'arca accanto a lui, con un leggero tonfo, un rumore che sembra quasi infrangere l'atmosfera di sospensione in cui si era avvolto e, annuendo profondamente, si piega a spingere appena il coperchio all'indietro, rivelando uno spiraglio, per osservare la sostanza brulicante all'interno. Il basso ribollire accarezza le nostre orecchie, dolcemente, e Willem, per un lungo istante, non si muove, ma rimane immobile, come congelato, ad osservare la massa scura, quasi viva, incantato. I suoi occhi si spalancano, quasi ad abbeverarsi di quell'immagine, ed il suo respiro si fa, per un secondo, affannoso, come dopo una lunga corsa, dopo uno scontro mortale.

“Aveva ragione, Maestro,” sussurra Micolash, passandosi una mano sul volto, “C'è qualcosa. E noi ne siamo testimoni, ora. Siamo sicuri.”

“Finalmente...” lo studioso accarezza dolcemente la cassa, quasi con tenerezza, proprio come farebbe un padre con un figlio, mentre la sua bocca incredula emette un respiro quasi inudibile, “Ascenderemo ad un nuovo piano. Raggiungeremo nuove vette. L'evoluzione dell'uomo—” affonda la mano nel liquido grumoso, fino al polso, sorridendo incredulo, “Finalmente, entreremo in contatto con gli esseri sopra di noi.”

“Gli dei?”

“No, Micolash...” Mastro Willem alza la mano grondante di sangue, portandola vicino agli occhi, sangue di un profondo colorito nero e torbido, “I Grandi Esseri.”

   
 
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