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Autore: demrees    21/02/2017    0 recensioni
Se potessi tornare in dietro agiresti in modo diverso?
Michael e Grace non hanno alcun dubbio a riguardo, ma entrambi sanno perfettamente che non esiste il tasto del rewind. Un incontro non casuale, una relazione basata su una bugia e un amore non corrisposto porteranno Grace a prendere una decisione difficile.
A quattro mesi di distanza Mick si renderà conto degli errori commessi e di aver perso il suo cuore. Inizierà un mutamento interiore che lo porteranno sempre più lontano dall'uomo che era. Con l'aiuto di un'arzilla vecchietta e una dolce ragazza cercherà in ogni modo di riprendersi la sua Grace
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo Uno
 
Agosto 2012
Grace
 
Uscii dall’ascensore e mi diressi verso l’area relax, stringendo tra le mani il cestino. Ero stanca, dopo quello che avevo sentito dire alle mie sorelle tre giorni prima era caduta in uno stato di agitazione costante. All’inizio avevo cercato di convincermi che non fosse vero, poi ragionandoci ero entrata nel panico.
 
La sera mi mettevo a letto e invece di pensare al matrimonio, avevo iniziato ad analizzare il nostro rapporto: le sue dimenticanze, il modo in cui mi trattava e mi guardava, i suoi commenti acidi e speso si troppo maligni, la sua freddezza quando facevamo l’amore. Mi ero illusa che forse era uno di quegli uomini che non sanno come esprimere i loro sentimenti, che forse dopo il matrimonio tutto sarebbe cambiato. Ciò che avevo sentito spiegava molte cose.
 
Come ogni giovedì entrai nella sala relax e posai sul tavolo il cestino che avevo portato.
 
«Ciao Grace» mi voltai verso la porta cercando di mettere a tacere quella paura che mi portavo dietro da giorni.
 
«Ciao ragazzi vi ho portato il pranzo» iniziai a svuotare il cesto, lasciandovi all’interno solo il pranzo che spettava  a Michael.
 
In un secondo fui accerchiata dai miei futuri cognati. David, il terzo ogenito, mi poggiò un braccio sulle spalle, rialzai il viso e mi trovai davanti due occhioni chiari indagatori. Tra i quattro fratelli lui era l’unico che metteva in discussione le regole, non solo quelle dell’azienda, ma anche le semplici regole del vivere comune. Solitamente lui e Nick, il fratello più piccolo, lavoravano alla villa, si occupavano dei vigneti e degli animali, ma spesso andavano a pranzare in ufficio con Caleb, il quale nel peggiore dei casi, si sarebbe trovato a pranzare da solo, visto che Michael non smetteva mai di lavorare.   
 
«Stai bene?» gli altri due Hamilton si fermarono e mi scrutarono in viso. Cercando di mantenere la calma feci un sorriso rassicurate
«Certo, perché?» il ragazzo piegò la testa di lato strizzando appena gli occhi.
«Sembri … sembra che tu stia fingendo di essere allegra» aprii leggermente la bocca, non sapendo bene come rispondere. David sapeva sempre leggere tra le righe.
«Sono solo stanca, la nonna non sta molto bene in questi giorni e abbiamo dovuto licenziare nuovamente la cameriera» sorrisi nuovamente e mi voltai, Caleb e Nick mi scrutarono in viso, poco convinti di quella risposta.
«Lo sai che su di noi puoi contare. Se hai bisogno di parlare con qualcuno o di un aiuto noi per te ci siamo sempre» per un secondo fui tentata.
« Sono solo stanca» David mi dette un bacio sulla fronte e mi lasciò andare, ripresi il mio cestino e uscii dalla stanza. Attraversai il corridoio e passai davanti alle scrivanie vuote delle segretarie, poi mi fermai davanti alla porta del suo ufficio e bussai.
  
«Avanti» tentennai un secondo e poi abbassai la maniglia. Mi chiusi la porta alle spalle e mi avvicinai alla scrivania. Quella stanza era perfettamente in ordine come lui. Il silenzio era spezzato dal rumore dell’aria condizionata.
 
Michael era poggiato allo schienale della sedia intento a leggere delle carte. La giacca era posata su una delle poltrone poste davanti al tavolo. Aveva le maniche della camicia rialzate fino ai gomiti e il colletto sbottonato.
Come al solito non mi guardò. Prima di sedermi svuotai il cestino e gli posai davanti il pranzo, rimuovendo tutti gli involucri. Mi misi a sede in silenzio.
 
Da poco più di un anno e mezzo, ogni giovedì gli portavo il pranzo in ufficio, gli sedevo davanti e mangiavamo in silenzio, lui continuava a lavorare e io lo guardavo. Poi prendevo il mio cestino, salutavo lui e i suoi fratelli e me ne tornavo a lavoro, sperando che un giorno si sarebbe finalmente interessato a me.
 
Si mise dritto davanti alla scrivania, e passò i fogli dalla mano sinistra a quella destra. Alzò un momento lo sguardo, afferrò una tartina e continuò a leggere quei fogli.
 
Mi sarebbe piaciuto che quell’interesse fosse stato rivolto a me. Era così assorto e concentrato. Quando parlavamo invece spesso e volentieri neanche mi guardava.
 
Ogni minuto che passava l’agitazione cresceva sempre di più. Lo amavo così tanto, eppure avevo bisogno di sapere.
 
«Michael» non si mosse. Feci un respiro profondo «Michael» lui scostò lo sguardo dal foglio, afferro il coltello e la forchetta e iniziò a tagliare la carne.
«Ho bisogno di farti una domanda» il ragazzo finì di tagliare la carne, ne punzecchiò un pezzo e se lo mise in bocca
 
«Tre giorni fa, quando sono andata a ritirare il vestito da sposa ….»
 
«Non mi interessano i preparativi» si rimisi a leggere. Deglutii nuovamente, dovevo dirlo e basta.
 
«Hai un accordo con mio padre?» Spostò lo sguardo su di me. Freddo come al solito
«Si» afferrò il pane e nei tagliò un pezzo «Tra quattro mesi, il giorno dopo il matrimonio, tuo padre firmerò un contratto che permetterà a quest’azienda di espandersi al di fuori dall’Europa. È un contratto multimilionario. Sarà il contratto più importante che questa azienda abbia mai firmato». Guardai l’anello che portavo al dito, quando me lo aveva dato ero stata così felice … che stupida  
«È solo per questo che mi hai chiesto di sposarti?» come se niente fosse riportò l’attenzione sui suoi maledetti fogli
 
«Non solo, ho trentadue anni è ora che metta sù famiglia. Caleb ha due anni meno di me è ha già due figli. Certo avrei preferito una donna diversa da te, più sofisticata, , meno rumorosa e più interessante. Ma per il contratto sono disposto ad accontentarmi di te. Magari con il tempo imparerai» sentii un dolore acuto al centro del petto.
 
Non sarei scoppiata a piangere lì. Non davanti a lui.
 
Lo guardai attentamente. Sapevo che sarebbe stata la scelta migliore per me. Mi sfilai l’anello dal dito e lo posai sulla sua scrivania. Mi alzai lentamente e presi il cestino mi fermai un secondo davanti alla porta e lo guardai.
 
Non si era accorto di niente.
Non gli importava.
Non mi amava.
Non lo aveva mai fatto.
E io gli avevo permesso di trattarmi in quel modo. Che idiota che ero stata.
 
«Ciao Michael» abbassai la maniglia e uscii dallo studio. A metà del corridoio vidi David e Caleb discutere e venire nella mia direzione. Appena mi videro cercano di fermarmi preoccupati. Blaterai che non era successo nulla e passai oltre, diretta verso gli ascensori.      
 

Ottobre 2012
Michael
 
Mi sveglia con un saporaccio in bocca. La testa mi scoppiava e non riuscivo a capire dove fossi. Avevo ancora addosso i pantaloni della sera prima. Le scarpe e la camicia erano sparite. Mi voltai cautamente verso quel terribile suono. Cercai di spegnerla, ma non ebbi successo.
 
«Faccio io» qualcuno spense la sveglia. Che bello il silenzio!
«Prendi queste, sono fantastiche contro i postumi». Nella stanza alleggiava un odore fetido. Un misto di sudore, piedi e vomito
 
«Non vedo niente»
«Se vuoi accendo la luce. È bellissimo, specie dopo aver passato ore a sbronzarsi» sapendo che aveva ragione, allungai la mano e mi infilai in bocca le pastiglie, poi riporsi la mano e lui mi passò dell’acqua. Mi sollevai appena e ne bevvi un sorso.
 
«Che cazzo è questa puzza?»
«Sei tu Mick. Hai appestato tutta la stanza. Ieri sera ho avuto difficoltà a starti vicino. Riesci a farti il bagno da solo»
 
«Credo di si» mi alzai lentamente, e nonostante mi girasse la testa riuscii a raggiungere il bagno. Non appena accesi la luce, cercai di arretrare ma lui me lo impedii.
 
«Spogliati. Ti aiuto ad entrare nella vasca» feci come aveva detto.
 

 
Uscii dal bagno ancora avvolto nell’accappatoio. Ma appena entrai nella mia camera inizia a tremare per il freddo. Quell’idiota aveva aperto tutte e tre le finestre. Le lenzuola erano sparite insieme ai vestiti della sera prima.
 
Aprii il cassetto delle mutande e afferrai un paio di boxer a caso; poi mi avvicinai all’armadio presi i pantaloni di una tuta e una vecchia t-shirt. Mi vestii alla svelta e andai a cercare mio fratello. Sentii dei rumori provenire dalla cucina, così mi diressi verso quella stanza, ma appena entrai in soggiorno mi fermai.
 
Aveva riordinato tutto, ma aveva lasciato le sue cose lì.
 
«Ti stavo venendo a chiamare. La cena arriverò tra una mezzoretta» mi voltai verso il mio fratellino. David mi scrutò confuso, poi si sedette sul divano e prese l’orecchino rosso.   
 
«Che fine ha fatto l’altro» stanco e ancora un po’ intontito mi sedetti accanto a lui, incapace di distogliere gli occhi da quell’oggetto che continuava a rigirarsi tra le mani.
 
«Non lo so. Credo che lo abbia lei»
«Perché hai queste cose?» lo vidi posare l’orecchino e prendere un piccolo barattolo. Una delle sue creme.
 
«Le foto, quei pochi regali che le avevo fatto e le chiavi del mio appartamento, me li ha dati il portiere. I vestiti e i prodotti da toilette li aveva lasciati lei per non doversi portare sempre dietro tutto, il resto invece sono cose che ha dimenticato. Sai com’è fatta no?» svitò il tappo e l’annuso. Un semplice gesto che mi provocò un crampo al centro del torace. Mi guardò incuriosito
 
«Non è da te perde il controllo come ieri. Che è successo?» scostai lo sguardo e lo concentrai sulle sue cose  
«Niente»
«Mick, eri completamente sbronzo. E quando ti ho messo a letto ti sei rannicchiato, hai abbracciato il cuscino e gli stavi parlando come se fosse una persona. Io sono tuo fratello se hai un problema puoi parlarmene …»
 
«Mi sono accorto che era giovedì e che lei non sarebbe venuta a pranzare lì con me. Che non lo avrebbe fatto mai più. Non sono più riuscito a concentrarmi su quello che dovevo fare. Sono uscito e sono venuto qui, volevo fare una doccia e guardare la partita. Solo che quando sono arrivato, il portiere mia ha detto che una donna era venuta e aveva lasciato per me uno scatolone. L’ho portato in casa e l’ho svuotato. In mezzo a un album ho trovato la chiave dell’appartamento. C’è ancora attaccato il suo portachiavi di legno a forma di cuore»
 
«Vi siete lasciati mesi fa e tu non hai mai … pensavo che non te e fregasse niente» annuii.
Si, lo pensavo anche io.
Lo avevo pensato per tutti i ventuno mesi che eravamo stati insieme. Solo che mi sentivo come se mi mancasse una parte del mio corpo. E la cosa peggiore era che non avevo ricordi. Era come se avessi dormito fino al pomeriggio prima.
 
«Ho guardato gli album. Dentro non ci sono solo le foto. Ha tenuto tutto, i biglietti del primo film che abbiamo visto insieme e quelli di alcuni spettacoli teatrali, il menu del ristorante dove le ho chiesto di sposarmi. C’è anche il bigliettino da visita che le avevo dato la prima volta che ci siamo visti. Lei mi amava e io non … » David mi posò una mano sulla spalla per farmi forza
 
«Perché mi fa così male? È come se avessi un enorme masso piantato qui sul petto che mi impedisce di respirare»
 
 
 
   
 
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