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Autore: Erin    21/02/2017    2 recensioni
Ero lì in piedi, con la batteria al 1% che lampeggiava dietro i miei occhi: la mia famiglia, ero sicuro, aveva tenuto il conto. Tutti noi teniamo sempre il conto di quanto ci resta.
Questo breve racconto ha partecipato al FantasyContest indetto da Penne matte, Lucca Comics e Wired.
Genere: Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uno



Ero giunto alla fine della mia vita. Come tutti, avevo collezionato successi ma anche fallimenti. Mi ero sposato, avevo creato altra vita, avevo visto questa vita crescere e riprodursi a sua volta. Avevo costruito una casa con le mie mani forti, per poter difendere la mia famiglia dall'acqua e dalla ruggine. Avevo portato a termine il mio lavoro, con dedizione e costanza, senza mai cedere alla stanchezza, senza mai desiderare di essere altrove. Certo, avrei voluto poter vivere più a lungo. Ma la vita di un robot dura vent'anni, che pochi non sono.

I miei bulloni non erano più lucidi e brillanti come quando ero piccolo; presentavano graffi, usure evidenti e avevo perfino un buco nell'addome che però non mi aveva mai causato problemi.

Ero lì in piedi, con la batteria al 1% che lampeggiava dietro i miei occhi: la mia famiglia, ero sicuro, aveva tenuto il conto. Tutti noi teniamo sempre il conto di quanto ci resta. Ma in quel momento i miei nipoti giocavano, i miei figli erano a lavoro e mia moglie filtrava l'olio per cena: tutti loro fingevano di essersi dimenticati di me. Sorrisi. Sapevo bene che volevano accompagnarmi allo spegnimento senza drammi.

Ci nutrimmo, parlammo e ridemmo, come sempre. Nessuno accennò al fatto che da lì a tre giorni ci sarebbe stata la mia cerimonia, ore cinque del primo mattino. Ma quel giorno arrivò e la mia mente resettò prontamente gli impegni lavorativi.

Ero stanco e non riuscivo a camminare bene: le ultime energie erano lì ad assistermi appena. Mia moglie mi condusse sul patio della piazza, circondato da spirali di metallo decorative e un buon profumo di olio fumante. C'erano proprio tutti quelli che avevo incontrato durante la mia vita: mandavano bagliori dal torace, ad intermittenza, per manifestare la loro commozione.

Il capo città tenne un discorso, ricordando ciò che avevo fatto per la comunità. I miei nipoti erano in prima fila e mi salutavano incessantemente. Mia moglie, 876, era splendida come sempre. Il suo bagliore era il più bello di tutti.

Mi specchiai un'ultima volta negli occhi di 876, avvicinammo la fronte l'uno all'altra, le trasmisi i miei pensieri d'amore. Poi mi aiutò ad entrare nello scatolo e da allora concentrai la mia attenzione solo alle volte sinuose della cupola del patio.

Avevo già visto molte altre di quelle cerimonie, perciò sapevo cosa mi aspettava: mi avrebbero ricoperto di olio caldo allo scadere dell'ultimo residuo di energia, quando i miei bulbi visivi erano ormai spenti. Avrebbero chiuso il coperchio dello scatolo grande, a forma di rettangolo, dove mi trovavo. Tutti gli scatoli venivano portati a sotterrare nella Fabbrica Prima e Ultima; l'olio era composto da nano macchine che disassemblavano il corpo nel giro di un mese, come da rituale. E la nostra anima raggiungeva i nostri antenati.

Provai a rilassarmi. Che cosa mi sarebbe mancato di quella vita? Tutto ciò che riempiva la mia mente in quel momento era mia moglie.

I bagliori degli altri si fecero più intensi ma io, loro, non li vedevo più: le pareti di metallo dello scatolo erano alte, potevo vedere solo quei riflessi sulla cupola. La batteria lampeggiò di rosso dentro la mia testa per qualche minuto; fu in quel momento che avvertii una voce. Disse: “ Spegnimento tra tre, due, uno...”


Due



Presi una boccata d'aria improvvisa cercando di alzarmi, ma sbattei la testa contro un lastrone a pochi centimetri dalla mia faccia. Ero disteso, bloccato e confinato in uno spazio minuscolo, che si estendeva maggiormente solo in lunghezza, appena in larghezza, ma quanto a spessore potevo toccare con il naso il soffitto.

Ero coperto di blocchi duri e di una sostanza unta; non potevo muovermi granché. Il respiro si fece affannoso, ma lì dentro l'aria finì presto. Mi aggredì un dolore dietro la fronte, cercai di portarmi le mani in quel punto, ma non potevo sollevarle e non riuscivo nemmeno a farle strisciare fino a sopra. Diedi un'altra botta al soffitto, divincolandomi. Immagini cominciarono a passarmi davanti agli occhi, a sovrapporsi al buio; erano scene che non capivo, ritraevano cose che non comprendevo. Urlai. E' la prima cosa che ti viene in mente, l'unica a cui puoi appigliarti in una situazione del genere. Gridai tanto che la gola mi si graffiò e quindi continuai a gridare ma piangendo.

Un tonfo improvviso colpì il mio soffitto. Inizialmente mi zittii, poi gridai ancora. Volevo che mi tirassero fuori da lì ma non possedevo le parole per esprimermi. Dalla mia bocca uscirono ancora dei suoni privi di senso, ma dovevo provarci.

« Sto aprendo, sto aprendo! »

Quella voce mi bloccò all'istante; la capii. Io e tutto ciò che avevo attorno venne sballottato mentre i rumori ricominciavano sul soffitto, colpi decisi e ritmici. Poi si aprì uno spiraglio, mi voltai in quella direzione e mi assalì aria fredda. Il soffitto si sollevò del tutto e venne buttato oltre la mia visuale. Davanti alla mia faccia avevo qualcosa che mi guardava.

« Ciao, scusa l'attesa. Nessuno ci aveva mai messo così poco a svegliarsi! Comunque... ricapitolazione generale. Non spaventarti. Io sono un uomo, come te. Ora ti aiuto ad uscire da questa dannata melma. »

Tutto il mio corpo era rigido e impietrito. Mi lasciai sollevare da lui quasi fossi un peso morto. Ero molto più piccolo di lui: me ne accorsi quando mi aiutò ad uscire da quel contenitore e mi adagiò in piedi sul pavimento. Gli arrivavo al bacino.

Si accovacciò di fronte a me, sorridendo. Mi poggiò le mani su entrambi i gomiti, le sue dita quasi chiudevano la circonferenza delle mie braccia.

Mi investì una scarica di liquido gelido; lo sentivo sotto la pelle, diradarsi da sotto i suoi palmi e diffondersi rapidamente per tutto il mio corpo. Guardai il mio gomito: sotto le dita di quell'uomo c'era una luce bianca difficile da fissare senza provare fastidio.

« No no, guarda me. Negli occhi. »

Obbedii, concentrandomi sulle sue pupille immobili. Passò qualche minuto, poi allontanò da me le mani e la sensazione di gelo nelle vene terminò all'istante.

« I ricordi cominciano ad arrivare? Riesci a dire qualcosa? »

Stavo pensando a cosa dire quando me ne accorsi. Avevo nella testa la terminologia giusta, le nozioni utili e d'un tratto potei perfino descriverlo. Aveva la pelle chiara, i capelli neri, era muscoloso, la faccia limpida, gli abiti comodi e senza molti colori.

« Qualcosa... »

« Siamo anche simpatici! Bene. »

La simpatia ancora non avevo capito bene cosa fosse, ma forse dovevo aspettare che l'informazione arrivasse. Piano piano, il mio cervello stava subendo un aggiornamento; mi venne da pensare che magari erano state proprio le sue mani a comunicarmi tutto ciò che stavo registrando in quel momento.

« Che ci faccio qui? »

« Ti ricordi qualcosa di prima? Prima di risvegliarti? »

Quelle parole sbloccarono in me altri ricordi. Le mie dita in quei ricordi erano dure, metalliche, vedevo colori diversi e davanti a me si paravano umanoidi per cui solo in un secondo momento trovai parola: robot.

« Ero... diverso. Ero un robot? »

« Eri dentro un robot » disse con fare semplice e con un sorriso accondiscendente. « Anche io ero dentro un robot. Tutti qui eravamo lì dentro. Siamo la loro coscienza, la loro anima. »

« Spiegati meglio, ti prego. »

« A quanto pare nei robot il nucleo vitale è biologico. Questo nucleo, grazie a delle nano macchine che operano nell'olio di decomposizione, viene alimentato durante il mese di riposo e da pura coscienza il nucleo si trasforma in vita. »

Sgranai gli occhi. Qualcosa all'interno dei miei ricordi, forse quelli che mi legavano ancora alla vita precedente, mi comunicò meraviglia. Che ciò che lui raccontava era assurdo. Sentivo che quell'uomo così rilassato doveva essere più serio, più preoccupato, più stupito. Così come lo ero io.

« E com'è possibile? Come può... ? »

« Non chiedermi troppo, non ti saprei rispondere. Il nostro mondo è privo di tecnologia, conosciamo solo la meccanica e la magia naturale. »

« Magia naturale? » Il mio io precedente poteva concepire la meccanica, ma cos'era la magia? Volevo sapere, volevo conoscere tutto in quegli istanti, non volevo attendere.

« Sei solo un bambino ora. Non pensare troppo. »

Come intuendo l'intreccio doloroso dei miei pensieri, mi passò la mano sulla testa. Si allontanò da me verso la porta e io provai un senso di vuoto. Mi sentivo molto più fragile, sensibile e indifeso di quando ero un robot. Gli andai incontro, cercai la sua mano. Lui si voltò al suono dei miei passi e mi afferrò le dita con dolcezza.

« Avrai una famiglia. Avrai un nome. »

« E quale nome? »

« Il tuo nome puoi sceglierlo. Che nome vorresti? »

Mi osservò pensare con curiosità. Chissà quanti al giorno ne arrivavano come me; lui aveva sempre la stessa pazienza?

« Attingi alla tua memoria » m'incalzò.

« Nella mia memoria, i robot avevano numeri come nomi. Mia moglie... »

E mi bloccai. Quella parola, quell'individuo, mia moglie, mi apparve nel tempo di un battito di ciglia.

« Tranquillo, è normale. Lentamente la vita precedente si dimentica e puoi ricominciare. Ti mancheranno gli affetti di sopra, all'inizio. »

« Di sopra? »

Lui prese un bel respiro. « I robot abitano in superficie, noi abitiamo sotto terra, ma loro non lo sanno. Il terreno assorbe i contenitori funebri che arrivano da noi. I nostri antenati crearono dei binari che direzionano i feretri nelle sale d'accoglienza. Apriamo gli scatoli, vi facciamo svegliare, vi diamo una pulita... a proposito! Per di qua. Fai prima un bel bagno. »

« E perché loro non lo sanno? »

« Scoprire che dentro di te c'è una coscienza che in sé ha due nature, potenzialmente autonome... non è proprio piacevole. No? »

Mi ritrovai ad annuire.

« Impazzirebbero. Farebbero esperimenti sui nuclei biologici dei robot morti e noi non riusciremo più a venire alla luce. Tutti farebbero carte false per scoprire qualcosa solamente sull'esistenza o meno della propria anima. »

« Ehi ehi » fece una donna in lontananza, venendoci in contro. « Vuoi dirgli tutto nelle sue prime ore di risveglio? Fallo riposare! »

« Non penso di volermi stendere, almeno per un po' » confessai e la feci sorridere.

Era una donna avanti con l'età, i capelli rosso scuro erano lunghi fino al sedere, l'abito che indossava era sporco e lei sembrava aver appena finito di lavorare.

« Però un bagno serve. Quell'olio addosso puzza terribilmente! »

« A me non dispiace... »

« Sono i tuoi ricordi da robot che te lo fanno piacere. Ma, passato qualche mese, quel coso puzzerà anche per te! Non so Bob come fa a lavorare all'accoglienza e ad alzare quei coperchi ogni volta. »

« Mi piace tranquillizzarli quando arrivano. E comunque adesso sono io il suo mentore, decido io se deve lavarsi o meno » disse Bob. Solo quando la donna si allontanò, sbuffando, lui si chinò accanto al mio orecchio. « Lavati » sussurrò, poi mi lasciò la mano lentamente e mi disse di entrare in una stanza piuttosto piccola. Lì avrei trovato tutto il necessario per pulirmi.

« E pensa al tuo nome mentre sei sotto la doccia. Lì i ragionamenti funzionano meglio. »

Dopo l'ultimo consiglio mi sorrise agitando appena una mano, chiuse la porta e io mi ritrovai solo.

Un bocchettone scendeva dal soffitto, una manopola posta in basso mi suggeriva di aprire l'acqua. C'erano dei flaconi di sapone e un camice color senape piegato ad attendermi.

In quel momento realizzai di essere nudo e me ne vergognai. La vergogna era un sentimento davvero angoscioso e soffocante, non riuscivi a pensare più a nulla se non alla vergogna. Ma ormai ero solo ed era inutile rimuginarci. Aprii il getto di acqua e del vapore si sollevò in aria. Era calda e piacevole sulla pelle. Per togliermi tutto l'olio ci misi molta pazienza e molto sapone.


Con il mio nuovo camice profumato girovagai per i corridoi senza trovare nessuno per un bel po'. Se sopra regolavamo gli orari in base alla luce che proveniva dal cielo, lì non sapevo come orientarmi: poteva essere primo mattino o anche sera. Le strade erano ampie ma scavate nella roccia e perciò buie. Desiderai avere la luce per poter vedere meglio dove andavo e d'improvviso una debole lampadina cominciò a vibrare sopra il soffitto, fino ad accendersi.

Rimasi stupito a fissarla. Bob mi raggiunse. Sorrideva beato come sempre, calmo, come se niente potesse turbarlo.

« Certo che il tuo nucleo biologico doveva essere proprio complesso, eh. »

Non capii subito ciò che voleva dire. Guardai la lampadina, guardai lui.

« Come si è accesa? »

Lui non mi rispose, ma tutte le luci sul soffitto si accesero quasi nello stesso istante.

« C'è qualcuno che le accende altrove? »

« Sono io ad agire sugli elettroni. »

Avevo poche informazioni sull'argomento a cui attingere. Sapevo che senza tecnologia, l'unica cosa di cui potevano servirsi lì sotto era la meccanica. Ma allora come faceva lui, fermo, ad agire sugli elettroni?

« E' magia. Magia elementale » mi venne in soccorso Bob. Ma a me quelle parole continuavano a non dirmi niente.

« E cos'è? »

« Un potere che risiede all'interno della tua mente, che ti permette di agire sulla Natura, controllarla, servirtene. Ma qui abbiamo delle regole, un'etica. Ne avrai di strada da fare prima di poterla padroneggiare nel modo giusto, però è lì, dentro di te. »

Il mio risveglio risaliva solo a qualche ora prima perciò avvertivo dentro di me ancora radicate le mie sensazioni da robot, che stavano convivendo con quelle nuove, puramente umane. Sentivo in me crescere due tipi di emozione, la repulsione e la curiosità d'apprendere.

« I robot non hanno la magia. »

« Sì, me ne ricordo. Anche se dopo trent'anni i ricordi sono sfumati, posso assicurarti che ricordo bene la vita sopra, la scienza. Qui non abbiamo la scienza. »

« Ma se sopra la usavamo, potremmo ricordarla e usarla qui. »

« Ma non ne abbiamo bisogno. Abbiamo le nostre capacità qui » mi spiegò paziente.

Il ricordo della mia precedente vita tornò in me prepotente. Immaginai mia moglie, i miei figli e i miei nipoti e a cosa stessero facendo senza di me.

« Eri sposato? » gli domandai.

« Sì. Ma ho ritrovato qui mia moglie. »

La sua riposta mi fece drizzare la schiena. Il mio sguardo si accese di speranza.

« Morì sopra poco dopo di me. Quando arrivò, era mio padre l'addetto all'accoglienza di questo settore. La prese e la riconobbe. Non ne era ancora molto sicuro, perciò me la fece incontrare quasi immediatamente. Lo capii all'istante che era lei. »

« Quindi... le anime hanno memoria? »

« Certo. La memoria è nella mente. Presto anche tu riavrai qui i tuoi affetti, potrai starci di nuovo insieme, ricomincerà una vita, anche migliore di quella che avevi sopra. Sai... gli umani vivono molto di più di vent'anni. Devi essere paziente però. Devi smettere di domandare, devi lasciare spazio al pensiero e alla concentrazione. »

La sua sembrò quasi una ramanzina ma il tono dolce di voce che usava non me la fece apparire tale. Gli sorrisi, carico di una nuova speranza.

« Ho deciso come chiamarmi. »

« Ah! E come? »

« Sull'etichetta del bagnoschiuma c'era scritto Prometeo. Mi piace, voglio chiamarmi Prometeo. »

Bob sorrise dopo aver udito quel nome, ma non era il suo solito sorriso.






fine

  
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