[1°]
Esistono
tante, svariate forme di dolore, ma il dolore inespresso e latente mi
risulta quello più seccante. Esiste, sebbene senza forma,
presente
ma indefinito. Non puoi vederlo, non puoi affrontarlo, non puoi
psicanalizzarlo né sradicarlo dalle terminazioni nervose del
tuo
cervello. Sta fermo lì, un parassita, risucchia i bei
momenti in una
morsa continua e li corrompe uno ad uno. Agisce invisibilmente,
deviandoti quel tanto che basta a farti percepire una costante
sensazione di fuori uso. Danneggiato. Talvolta credo
che
dovrei sentirmi offeso dalle mie stesse parole. Sarebbe consona
reazione inorridire di fronte a certi pensieri. Ahimé, non
potrebbe
importarmi meno. Credo.
Stavo
percorrendo, con l'andatura di chi ha tutto il tempo di farsi gli
affari altrui, il viale che portava alla sala conferenze, col
cipiglio arrogante di chi sta scrutando ogni singola persona
presente. Osservavo divertito tutti quegli esseri umani fatti di
carne, ossa e cervello. Cervello forse poco. Loro mi guardavano di
rimando, impotenti di fronte al tacito giudizio che trapelava dai
miei occhi, attraverso quei cinque sacri secondi che rubavo ad ognuno
di essi. A dir la verità, quel preciso lato di me emergeva
solo in
situazioni come quella che stavo per affrontare. Ogni volta che mi
trovavo a dover partecipare ad un evento pubblico, venivo assalito da
uno strano senso di claustrofobia che mi spingeva a camminare in modo
arrogante, a testa alta, cercando di far percepire alle persone
intorno a me che avrebbero dovuto starmi alla larga. Questo
perché,
sporadicamente, la paura di scomparire tornava a tormentarmi e, se
fossi scomparso tra la folla, sarebbe stato terribile. Questo
è il
demone che sono costretto a portare sulle spalle, ahimé.
Potrei
svanire. Potrei sparire agli occhi degli altri, nelle loro menti,
nelle loro esistenze. Se smettessero di pensarmi, di percepirmi,
potrei non esistere più nel loro angolo di mondo. Avrei
potuto
vederli, avrei potuto parlargli, avrei potuto toccarli, ma loro non
avrebbero sentito nulla. Assurdo, direte. Certo che sì.
Assurdo per
voi.
Salii
i tre gradini che conducevano al palco nella totale oscurità
e,
quando mi trovai di fronte alla folla di studenti cui mi sarei dovuto
rivolgere, presi un unico grande respiro e sorrisi. Avrei dovuto
parlare per una noiosa manciata di minuti della ricerca che stavo
seguendo insieme al mio professore, un ammasso di considerazioni
discutibili sull'uso dell'inglese arcaico. Non avrei mai accettato di
aiutarlo se non fosse stato per il mio bisogno di restare in
quell'accademia. Stavo parlando da ormai dieci minuti quando sentii
un familiare senso di panico. Nessuna delle persone di fronte a me
sembrava guardarmi, nessuno di loro sembrava prendere appunti,
nessuno sembrava essere realmente concentrato su di me. Questo, nella
mia mente, fece scattare il fastidioso campanello d'allarme che mi
mandava in crisi quando credevo che qualcosa stesse andando storto e,
così, chiesi se ci fossero domande da parte degli studenti.
Quando
vidi tre mani alzarsi tirai un sospiro di sollievo e tutto
sembrò
tornare in equilibrio. Eccetto la parte più profonda di me.
Quella,
come sempre, stava urlando.
***
Umidità.
Gocce d'acqua che scivolano sulla pelle. Una mano sfiorò il
mio
collo per poi allontanarsi di scatto nella sorpresa di aver toccato
qualcosa di bagnato. Il mio petto era un continuo su e giù
frenetico, ma qualcosa premeva più su. Un laccio invisibile
mi
stringeva forte il collo e stavo combattendo un'orrenda sensazione di
soffocamento. Una parte di me riusciva concretamente a percepire il
mio corpo, nel dormiveglia, l'altra era in balia dell'incubo che mi
aveva catturata. Mi ritrovai a girarmi di scatto alla mia... destra,
sì, destra, ed il mare mi travolse. La sensazione di essere
sballottata tra le onde mi fece quasi venire la nausea, annaspai
agitando le braccia ma, per quanto tentassi di emergere, il mio corpo
continuava a sprofondare. Con l'ultimo briciolo di coscienza cui
riuscii ad appigliarmi nel sogno, costrinsi a fatica le mie palpebre
ad aprirsi. I miei occhi spalancati vedevano perfettamente
ciò che
mi circondava, le ombre familiari della mia stanza, tuttavia
recuperare il senso di reale fu piuttosto faticoso. Gli occhi mi
facevano male, avevo la vista sfocata e sentivo nelle orecchie un
forte rumore del quale stentavo a trovare l'origine. Quando riuscii a
calmare il mio respiro agitato e mi resi conto che, allo stesso modo,
il rumore sembrava affievolirsi, capii che quello che mi rimbombava
nella testa era il battito frenetico del mio cuore. Il
mio corpo si spostò in avanti in un movimento fluido e
guardai di
fronte a me. Ero seduta. Non attesi di riprendermi dalla confusione
neanche un attimo, corsi immediatamente davanti allo specchio a
guardarmi. Ero letteralmente ricoperta di sudore, quindi mi asciugai
alla meno peggio con la maglia del pigiama e poi sorrisi mesta. Un
brutto sogno. Un altro.
Purtroppo,
fin da quando ero bambina, non ero mai riuscita a dimenticarne
nessuno. Che fossero belli, o brutti, al risveglio ricordavo tutto,
il che era sempre stato leggermente spaventoso.
Alcuni di noi
nascono con il dono di ricordare.
Ed i miei ricordi, a differenza di quelli del resto del mondo, non
svanivano con il passare del tempo mutando in quel vago bagaglio di
immagini che sono i sogni passati di tutti. I miei ricordi erano
vividi, non un mucchio di scene scollegate, erano sensazioni,
emozioni, terrore, che potevo ripercorrere a mio piacimento nella mia
testa. Nonostante tutto, avevo imparato a conviverci, non essendo la
sola al mondo a possedere quella caratteristica, per quanto strana
potesse essere. Ciò che sfuggiva alla me stessa di quei
giorni era
che, di fatto, ero più sola di quanto potessi anche
vagamente
immaginare. Sola, vale a dire sola ed unica.
Ci sono milioni di storie che vengono raccontate ogni giorno,
indipendentemente dal loro significato profondo, indipendentemente da
come esse siano state scritte. Ci sono anche, però, storie
che non
vengono raccontate, storie che di norma è meglio tacere. La
storia
del mondo dei sogni è una di queste. Tutti la conoscono,
tutti sanno
che è meglio non parlarne, tuttavia, fin da quando mi venne
trasmessa, non ho mai realmente capito il motivo dietro la segretezza
che la imprigionava nel dimenticatoio. Ci insegnano da bambini che se
stiamo avendo un incubo è meglio svegliarsi, una delle
primissime
cose che ricordo di aver imparato da mio padre è stata
proprio
questa, ogni volta che gli raccontavo di aver avuto un brutto sogno,
la sua risata allegra riempiva la stanza ed iniziava a parlarmi di
come prendere coscienza di ciò che non fosse reale, di come
riemergere dall'effimero ed aprire gli occhi. Mio padre, come tanti
altri, ha sempre usato una storia in particolare per distrarmi dai
miei incubi e convincermi che avrei dovuto scacciarli. D'altro canto,
non si è mai reso conto di quanto non solo non mi
spaventassero, ma
addirittura mi affascinassero i suoi racconti.
-Si dice-, iniziava
sempre, -che alle origini della storia dell'uomo, tutti nascessero
con capacità eccezionali, con dei poteri che oggi
definiremmo
sovrannaturali, le bambine come te la chiamerebbero magia. Tutto
ciò
che sappiamo è che sono capacità che con
l'evoluzione sono state
perdute e, la perdita, è stata fondamentale per l'esistenza
di
questa storia stessa. Con il trascorrere del tempo, infatti, gli
umani senza poteri divennero sempre di più, al punto che le
caratteristiche sovrannaturali divennero un pregio di pochi eletti, i
quali finirono inevitabilmente con l'essere temuti, finché
non
furono addirittura relegati a vivere alla larga dal resto
dell'umanità ed etichettati con l'appellativo di
“creature”. Le
creature
divennero quindi sempre più ostili, attaccarono gli umani e
diedero
inizio ad una vera e propria strage che culminò in quella
che
chiamiamo “la frattura”. Quelle tra loro che non
erano divenute
ostili ma, anzi, difendevano gli umani, si coalizzarono contro le
creature malvagie ed unirono le forze per confinarle in un luogo
lontano, dove non avrebbero più potuto attaccare nessuno. Fu
così
che venne creato il mondo dei sogni, una realtà parallela
nella
quale le creature potessero esistere, nella quale però
persero ciò
che le rendeva umane, perché coloro i quali crearono quel
limbo,
decisero di condannarle ad un'eterna esistenza di dolore-. E' a quel
punto della storia che mio padre smetteva di parlare, si fingeva una
creatura pronta ad assalirmi per poi iniziare a farmi il solletico e,
dopo avermi fatta ridere a crepapelle, mi rispediva a dormire. -Va
tutto bene Jud, a volte facciamo bei sogni, altre volte le creature
cattive si divertono a spaventarci, l'importante è che tu
apra gli
occhi-.
Crescendo ho capito che, vera o falsa che fosse la
storia, l'umanità era convinta di essersi liberata di una
piaga,
tanto che il mondo dei sogni rappresentava una leggenda lontana
utilizzata per scaramanzia, una storia raccontata ai bambini per
insegnargli a non avere paura degli incubi. Conoscevo un bambino in
particolare che odiava sentirne parlare, mio fratello. Ogni volta che
si parlava di sogni, iniziava a piangere disperato, tanto che, avendo
avuto moltissimi incubi quand'ero piccola, finimmo per essere
separati in due stanze diverse per dormire. Ci rimasi molto male, al
tempo, sia perché eravamo inseparabili, sia
perché non capivo come
non potesse essere curioso di sentir parlare di sogni, o di averne.
Sapevo infatti che lui sognava molto poco, ed ogni singola volta ne
era terrorizzato. Capii molto tardi che a ben poche persone
interessava perdere tempo dietro a storie e leggende e, mio malgrado,
finii con il disinteressarmene anch'io, almeno fino a quella mattina.
Non riuscivo a togliermi i sogni dalla testa, nonostante sapessi
che non c'era nulla di strano in quello che era successo, mi ritrovai
a rimuginare tutto il giorno, o almeno finché non dovetti
uscire per
andare all'aeroporto e, una volta salita in auto, la mia mente
sembrò
svuotarsi per riempirsi d'altro. Nostalgia,
principalmente. Stavo
osservando la strana danza delle
gocce che continuavano a colpire il parabrezza ininterrottamente,
alcune colavano fino al fondo del vetro, altre restavano
semplicemente immobili, in attesa, forse, di essere colpite da altre
gocce che le avrebbero portate a scivolare su quella distesa
trasparente. La mia impazienza saliva ed il volo proveniente da
Washington sarebbe dovuto essere già atterrato, eppure non
vedevo
nessuno di familiare uscire dalle porte automatiche dell'edificio.
Dire che ero emozionata sarebbe stato molto riduttivo. Attendevo di
poter rivedere il suo volto da troppo tempo, se fosse stato presente,
l’anno passato sarebbe andato decisamente meglio, tanto che
quando
vidi la sua chioma perennemente spettinata apparire in lontananza fui
sull’orlo di uno svenimento. Non era cambiato affatto, non so
cosa
mi aspettassi. I capelli scarmigliati di quel castano così
intenso,
l'espressione frustrata alla vista della pioggia ed il solito zaino
nero. Sembrò non notarmi finché non percorse
qualche metro. Quando
vide il volto di una persona che sorrideva come un'ebete sotto la
pioggia, anziché continuare ad aspettarlo in auto,
inarcò le
sopracciglia in un'espressione rassegnata e divertita. Sapevo
perfettamente che non voleva venissi a prenderlo. Non aveva
apprezzato dovermi salutare, e non avrebbe apprezzato un'accoglienza
da reduce di guerra. La persona più coerente che conoscevo,
senza
dubbio. Sorrise di sbieco e proseguì nella mia direzione,
mentre io
mossi appena due passi ed iniziai a sentire il mio cuore che
palpitava nelle orecchie per la seconda volta in quella giornata. Non
mi era mai capitato di sentire le orecchie fischiare a quel modo solo
perché ascoltavo il mio cuore che batteva veloce, ma decisi
di
smetterla di rimuginare e mi bloccai nuovamente, ma senza distogliere
lo sguardo da quegli occhi scuri che tanto mi avevano incantata da
bambina, tra le parole più stupide e più
affascinanti, per quanto
potessero esserlo a quell'età, che erano uscite dalla sua
bocca.
Come prevedibile iniziò a guardarmi scettico ed
incrociò le
braccia.
-Sorella
ingrata- disse.
Scoppiammo a ridere tutti e due. Aiden era
tornato. L’essere più sconvolgente ed assurdo
dell’universo. Mio
fratello.
C'era
un piccolo borgo, in centro, dove io ed Aiden amavamo sempre perder
tempo, osservando le piccole botteghe che, in completo contrasto con
il resto della città, mantenevano un aspetto tradizionale e
quasi
affascinante. Camminare tra le bancarelle di quel posto era una delle
cose che ci ritrovavamo a fare quando avevamo bisogno di sentirci
soli, quindi non mi stupii affatto che, da quando eravamo arrivati
lì, si fosse ammutolito. Non aveva molto da raccontarmi sul
suo
viaggio, essendoci sempre mantenuti in contatto, senza contare che
quel ritaglio di tempo che ci stavamo concedendo era la calma prima
della tempesta, perché a breve avrebbe dovuto fare i conti
con mio
padre, il quale non aveva preso l'idea di mio fratello di trascorrere
un anno all'estero nel migliore dei modi. Credo che gli portasse
rancore per aver deciso di partire ed aver rifiutato tanto
bruscamente la proposta di iniziare a lavorare con lui. Essendo un
uomo affermato, mio padre aveva proposto ad Aiden, una volta
diplomato, di iniziare una carriera al suo fianco. Questo
principalmente a causa di due fattori: primo, mio fratello non aveva
la mia stessa e sacrosanta determinazione nel dire di no a mio padre,
il quale prendeva ogni nostra eventuale incertezza come un consenso;
secondo, mio padre parlava da anni del futuro perfetto per lui, al
suo fianco, e nessuno si era mai permesso, me compresa, di fargli
notare che suo figlio aveva tutt’altri interessi. Io ero
molto più
ferma di lui nell'allontanarmi dai nostri genitori, l'ennesimo
aspetto che non avevamo in comune. Nonostante fossimo andati a vivere
da soli dopo il diploma, lui ancora non si decideva a rifiutare
definitivamente le attenzioni di mamma e papà. Per essere
gemelli,
eravamo fin troppo diversi nel modo di pensare. Non eravamo la
classica coppia che appare in mente a chiunque senta la parola
“gemelli”. Per certi versi, non potevamo negare di
essere
identici. Entrambi avevamo gli occhi scuri, quasi neri, ed entrambi
avevamo i capelli castani. Stesso naso, stesse espressioni, stesso
impulso di grattarci lo zigomo destro quando eravamo nervosi, e la
stessa incondizionata passione per la lettura. Eppure, in questo
momento come allora, potrei dire che eravamo differenti in maniera
spaventosa.
Comunque, iniziando a percepire il nostro silenzio
leggermente pesante, mentre camminavamo, non potei fare a meno di
iniziare a parlare.
-A cosa pensi?-
-Perché?-
-Sguardo
vacuo, ti mordi il labbro... segni delle tue imminenti contorsioni
mentali-
Scoppiò a ridere, ed io con lui.
-Pensavo a te, o
mia prode sorella-
-Seriamente!-
-Ma stavo davvero pensando a
te. Non so quanto abbiamo rimandato questa conversazione, quindi mi
limiterò a dirlo: mi dispiace di averti lasciata qui, sapevo
di non
dover partire così...-
-Beh, sì, sono rimasta in uno stato di
shock per almeno due settimane... - si irrigidì, tentando di
non
darlo a vedere. Magari avrei dovuto evitare certi commenti. -... sai
che per me non è stato un problema- continuai, -solo,
avresti potuto
avvisarmi prima di presentarti con la valigia pronta ed il biglietto
aereo in mano, impedendomi ogni qualsiasi obiezione-
-Non volevo
lasciarti sola, Jud-
-Ci credo... - ovvio che ci credessi. In
effetti l'unico motivo per cui ero stata un po’ imbronciata,
all’inizio, era perché aveva deciso di partire
senza dirmi nulla,
senza sentire il mio parere.
-Non mi avevi mai urlato contro
prima, non è stato piacevole...-
-Tecnicamente eravamo al
telefono, non ti ho urlato contro... te lo saresti dovuto aspettare,
sai quanto la vita sia impossibile in tua assenza. Te l'ho detto
mille volte, mi hai fatta sentire 'tradita' in un certo senso...
volevo semplicemente che me lo dicessi in anticipo, tutto
qui...-
-Quindi se ti avessi detto che partivo, saresti stata
d’accordo?-
-No, però non te l’avrei impedito-
-Si,
probabilmente me lo sarei impedito da solo-
-Sei troppo insicuro,
hai troppa paura del mio giudizio-
-Perché è l’unico che
conta, non credi?-
Non risposi, ma gli regalai un sorriso. Sapeva
che ero a conoscenza delle sue ragioni, non serviva a nulla parlarne
oltre. Se mi avesse comunicato le sue intenzioni, gli avrei dato
contro ma non gli avrei imposto nulla. La persona di cui aveva paura
era se stesso. Gli era costato lasciare me più di quanto gli
era
costato lasciare gli altri, non voleva farlo dal principio. In fin
dei conti, se io gli avessi detto che non doveva partire, sarebbe
stato il suo perfetto motivo per desistere.
-Devo incontrarmi con
papà... ci vediamo a casa?-
Annuii e, dopo avermi abbracciata, lo
vidi allontanarsi sconsolato. Sfortunatamente per me, senza la sua
presenza a distrarmi, mi ritrovai a percepire di nuovo la strana
sensazione di inquietudine che avevo addosso da quando avevo iniziato
ad avere gli incubi, questo perché, il borgo in cui mi
trovavo, era
tradizionale anche
e,
soprattutto, perché la maggior parte delle persone che ci
lavoravano
erano grandi sostenitori delle leggende del mondo dei sogni e, come
ogni cosa che sia vagamente misteriosa, il mondo dei sogni era
un'ottima fonte di guadagno per loro. Molta della merce che si poteva
osservare nei piccoli negozi era collegata in qualche modo a
quell'argomento, ed in quel momento mi trovavo di fronte ad una
signora dai capelli scuri che costruiva acchiappa-sogni
personalizzati su richiesta. Quando ero bambina ne avevo comprati un
centinaio perché, se non fosse già abbastanza
chiaro, ero parecchio
suggestionabile. Quello che catturò la mia attenzione,
tuttavia, fu
notare per l'ennesima volta i quadri su tela del negozio di fronte.
L'intera via in cui stavo passeggiando era sempre stata piena di
illustrazioni sparse sui muri, ce ne erano di tutti i tipi, su carta,
su tela, su fogli piccoli o enormi, a volte erano appese in serie e,
osservandole passo dopo passo, si poteva facilmente osservare una
storia prendere forma. Il protagonista della storia, nonché
il
soggetto dei disegni, era sempre lo stesso, un ragazzo dai capelli
scuri. Le ambientazioni di ognuno di essi erano sempre strane,
inquietanti, come vecchi castelli avvolti nell'oscurità e
circondati
da quelli che sembravano spiriti. L'altra costante in quel mare di
fogli era che cambiavano ogni giorno, non ne avevo mai visti di
uguali su nessuna parete. Nessuno dei negozianti sembrava essere
contrario a chiunque si prendesse la briga di appenderli e, da
piccola, avevo sempre desiderato complimentarmi con l'autore che, pur
lavorando proprio nel negozio dal quale venivano venduti, non ero mai
riuscita a vedere. Proprio per questo rimasi colpita nel notare un
ragazzo che non avevo mai visto chino sul bancone del negozio,
impegnato a leggere chissà cosa. Mi stavo avvicinando al
vetro della
porta nel tentativo di vedere meglio ma, naturalmente, con la mia
solita grazia, per poco non ci finii letteralmente contro
inciampando. Riuscii a salvarmi dallo schianto solo all'ultimo
secondo, reggendomi alla maniglia e ritrovandomi all'improvviso
catapultata nel negozio. Il ragazzo alzò la testa e mi
rivolse
un'espressione palesemente scocciata, ma non disse una parola,
tornando a leggere il suo libro come se niente fosse. Indossava abiti
eleganti, il che mi sembrò assurdo vista la zona in cui ci
trovavamo, sembrava essere appena tornato da un matrimonio, o
qualcosa del genere. Non so quale parte psicotica del mio cervello mi
spinse ad aprire bocca in quel momento.
-Tu lavori qui?-
Attesi
un minuto buono che mi rispondesse ma non alzò nemmeno gli
occhi per
guardarmi.
-Scusa? Mi hai sentita?-
Non volevo fare la figura
della stupida, visto che ormai gli avevo fatto una domanda non potevo
andarmene come se niente fosse, ma se avessi potuto, sarei fuggita a
gambe levate, visto che mi guardò improvvisamente come se
fossi
pazza.
-Ti ho sentita, ma tendenzialmente alle domande stupide
preferisco non rispondere-.
Ora, non mi ritengo una persona
irascibile, ma c'è qualcosa che mi scatta dentro quando
qualcuno mi
guarda dall'alto al basso che mi trasforma nella paladina della
giustizia personale, sono piuttosto timida ma non appena mi attaccano
ingiustamente so difendermi più che bene. Immaginate lo
sforzo
allucinante che mi costò mordermi la lingua, quindi, non
volendo
litigare con uno sconosciuto in uno dei miei negozi preferiti.
-Stupide? Non ti ho mai visto, dubito che la mia non fosse una
domanda lecita-
-Quindi se non riconosci un negoziante,
automaticamente, credi di star parlando con una persona a caso?-
-No,
la mia era una domanda di circostanza...-
-Una banalità,
direi-
Detto ciò, tornò di nuovo alla sua lettura, il
che mi
irritò ancora di più. Ammesso che lavorasse
lì, che razza di
trattamento era il suo? Non
so perché la mia indole masochista mi spingesse a continuare
a
torturarmi in determinate situazioni, ma iniziai a gironzolare nel
negozio, sperando di dissimulare l'evidente imbarazzo in cui mi aveva
messa dando un'occhiata ai quadri per poi andarmene. A quanto pare,
lui non era dello stesso avviso.
-Hai intenzione di comprare
qualcosa o stai fingendo di essere ad una mostra?-
-Ehm... no,
volevo delle informazioni, diciamo...-
-Prego? Sei qui per
iscriverti al contest di disegno?-
E' meraviglioso non avere la
più pallida idea di quello di cui si sta parlando.
-Non so
disegnare, volevo solo sapere chi...-
-Non sai disegnare?
Perfetto. Guarda, siamo pieni di volantini, non ho tempo da perdere a
spiegarti il regolamento, prendine uno e torna se scopri un innato
talento-
Mi guardò con scherno, mentre mi porgeva uno dei
decantati volantini, ed a quel punto ero quasi pronta a prenderlo per
appallottolarlo e tirarglielo contro, se non fosse stato che
guardando il pezzo di carta notai anche che la mano che me lo stava
porgendo era totalmente sporca di pittura nera. Il mio cervello fece
un collegamento immediato.
-Sei tu a fare quei disegni che sono
appesi fuori? Non c'è mai scritto il nome dell'autore...-
-A
volte si omette l'autore per evitare seccature, non lo sapevi?
Arrivederci.-
Non so chi delle due lasciò prima il negozio quella
mattina, se io o la mia gigantesca forma di irritazione. L'unica cosa
certa era che, tornando a casa, osservai ogni singola tela sulla mia
strada e l'ormai familiare soggetto dai capelli neri che occupava i
disegni, nella mia testa sembrava fin troppo simile al maleducato
dagli stessi capelli con cui avevo parlato e, se avessi potuto, li
avrei staccati tutti dai muri.
Trascorsi
l'intera settimana seguente ad oziare nel vano tentativo di assumere
le sembianze di un bradipo, l'unica cosa di cui davvero mi importava
era recuperare il tempo perso con Aiden, fino a che i miei doveri non
vennero a bussare alla porta. Eravamo ai primi di Gennaio e sarebbero
ricominciati i miei corsi universitari, dovevo andare a seguire
un'interminabile giornata di lezioni alle quali non ero neanche poi
troppo interessata. Gli sguardi, le nuove conoscenze, il fatto di
dover stare in un luogo pubblico. Tutto prevedeva una sola estenuante
richiesta da parte mia: essere presentabile. Quantomeno la
serenità
che era mancata tra i miei pensieri fino a quel momento, era tornata
insieme a mio fratello. Senza di lui avevo una certa tendenza ad
essere riflessiva e negativa, perché crescendo mi ero resa
conto di
quanto fossi insofferente alla monotonia della vita di tutti i
giorni. Alla fine dei conti mi pesava. Ero uscita troppo presto dal
mio mondo di bambina nel quale tutto era bello, l'università
era
intrigante, ed i miei sogni realizzabili. Avrei avuto bisogno di
qualche altra illusione a cui credere prima di rendermi davvero conto
di come fosse il resto della mia vita.
Inutile dire che avevo
continuato ad avere incubi nei sette giorni precedenti nonostante la
mia ritrovata positività, non avevo fatto altro che pensarci
e
l'unica cosa che mi aveva distratta era stato il viaggio fino
all'università. Quando arrivavo in centro, il mio umore si
risollevava e mi divertivo a guardare le persone sedute nella
metropolitana, a studiare le loro espressioni. Sinceramente ho sempre
pensato che se tutti si soffermassero davvero ad osservare i volti
degli sconosciuti con un minimo di interesse, potrebbero decifrarne
un mondo. Una volta arrivata, però, seduta in aula, non
riuscii
proprio a concentrarmi minimamente. Mentre cercavo di prendere
appunti iniziai a sentire la testa sempre più pesante ed
all'improvviso avvertii uno strano senso di vuoto allo stomaco, mi
sembrava di essere improvvisamente su delle montagne russe e la vista
mi sfumò. Non vidi nulla per qualche secondo, il capo mi
scese in
avanti e lo risollevai di scatto, per riflesso, un secondo prima che
colpisse il banco. Mi agitai immediatamente per quella sensazione,
non credevo di avere così tanto sonno da rischiare di
addormentarmi
di colpo, ma la cosa che mi lasciò interdetta fu udire un
forte
fischio intermittente nelle orecchie, lo stesso che avevo sentito
all'aeroporto giorni prima. Pensai che probabilmente stavo avendo un
calo di zuccheri, quindi tentai per qualche minuto di calmarmi e di
respirare, e non volendo assolutamente chiedere aiuto a nessuno,
uscii dall'aula camminando per i corridoi. L'aria fresca proveniente
dalle finestre di fuori mi diede sollievo nel camminare, anche se mi
poggiai al muro parecchie volte perché sbandavo. Una volta
raggiunto
il bagno mi spostai oscillando verso il lavandino ed aprii l'acqua
per rinfrescarmi il viso e bere. Solo quando sollevai il capo e mi
guardai nello specchio mi resi conto che il mio viso aveva lo stesso
colore bianco delle pareti. Ovviamente, come se non bastasse, vidi
che nel bagno c'era qualcun altro. Un ragazzo molto alto se ne stava
poggiato contro la parete con il volto contuso e sporco di sangue,
sussultai spaventata alla vista di tutto quel sangue e mi avvicinai
istintivamente. Si stava tenendo in faccia un pezzo di carta sporco
e sembrò non notare che mi ero accorta di lui. Fantastico,
c'era
qualcuno che se la passava peggio di me.
-Stai bene?!-
Non
appena realizzai di aver fatto una domanda del tutto stupida, il
ragazzo mi puntò gli occhi grigi addosso. Il mio giramento
di testa
sembrava stare sparendo, perché d'un tratto avevo
completamente
ripreso l'equilibrio.
-E' una domanda retorica?- chiese, con un
tono sprezzante.
-No, perché?-
-Perché l'ultima cosa che
chiederei ad una persona con la faccia ricoperta di ematomi
è se sta
bene...-
-Ti serve aiuto?!-
Neanche il tempo di finire la
domanda che il ragazzo si era volatilizzato fuori dalla porta a testa
bassa. Non credevo fosse così strano da parte mia reagire
così
vedendo qualcuno di malmenato in un bagno, delle donne tra l'altro,
eppure sembravo aver fatto la figura della stupida con uno
sconosciuto, di nuovo. Fermamente convinta di dovermi preoccupare di
me, anziché di gente maleducata, e pensando che forse
mi ero sentita male perché non avevo mangiato nulla, uscii
da lì
pronta a procurarmi un'enorme tazza di caffè, per poi
tornare a capo
chino verso l'aula, con l'ombra di una strana angoscia addosso.
-Si
può sapere che ti prende?!-
Alzai gli occhi dal tavolo solo in
quel momento. Io ed Aiden eravamo andati in una pizzeria per cenare
insieme, ma a dirla tutta non stavo ascoltando neanche una parola.
-Come scusa?-
-Mi dici che cos'hai?-
-Io? Non ho nulla,
perché?-
-Sembri sempre distratta o stanca, da quando sono
tornato ti avrò vista incantarti a pensare a
chissà cosa un milione
di volte… ce l'hai ancora con me?-
-No, non ce l'ho mai avuta
con te, lo sai! E' che oggi non mi sento bene. Mi sento parecchio
frastornata ultimamente, non so perché...-
-Vuoi che torniamo a
casa allora?-
-No no, smettila di fare il paranoico! Allora, che
dicevi?-
Cercai di riportare in fretta l'argomento su di
lui.
-Niente di importante...-
-Ah sì? Da quando parli di cose
non importanti, mister serietà?-
-Ho ceduto alla vita frivola da
scapolo americano! Convertiti anche tu, possiamo essere felicemente
superficiali e single sorellina! O mi sono perso qualcosa?-
-Sì...
ti sei perso i trenta ragazzi adoranti che mi venerano e non
aspettano altro che mi conceda a loro, potresti distribuirgli dei
numeretti, così si mettono in fila ordinatamente?-
-Che palle
Jud, sempre sarcastica! E comunque meglio così
perché tanto sono
tutti idioti-
-Sì, tu sei l'unico glorioso ragazzo serio in
circolazione, giusto?-
-Parole sante!-
Scoppiai a ridere e lui
con me, visto che il suo egocentrismo era sempre stato motivo di
risate per entrambi. Avrei continuato volentieri a guardare gli occhi
scuri e sorridenti di mio fratello ma l'ormai familiare capogiro
tornò proprio in quel momento ed un dolore lancinante mi
colse alla
testa, insieme ad un forte suono martellante. Sentii ciò che
mi
circondava divenire lontano, mentre il suono che percepivo si
trasformava in un battere costante, un battere che in pochi istanti
aumentò di intensità e di velocità.
Non ricordo cosa avvenne dopo.
Sentii le braccia di Aiden che mi afferravano mentre il mio corpo
scivolava verso destra, giù dalla sedia, poi udii un tonfo.
Chiusi
gli occhi, convinta di essere svenuta, eppure vidi qualcosa. Una luce
fioca, quasi non percepibile, illuminava una stanza buia che sembrava
non avere una dimensione fissa. In quell’attimo mi parve
piccola,
poi divenne più grande, finché non mi resi conto
che era profonda,
molto. Stavo sognando? Non saprei dirlo. Ero consapevole di essere
sveglia ma non percepivo la realtà. Avevo gli occhi chiusi
ma
sentivo che fossero aperti.
-Capisci
cosa intendo? Capisci perché questa
storia mi
irrita?-
-Allora fallo. Accetta questa situazione. Smettila di
temere ciò che pensi. Sei troppo
abituato ai pensieri degli
altri, trascuri i tuoi-
Parole
lontane. Quelle che avevo sentito erano voci sconosciute, il mio
cervello cercava di elaborare ansioso, chi erano? Perché si
trovavano in quella stanza? Perché io mi trovavo
lì? Domande senza
risposta. Non capivo se ero davvero svenuta, se stavo sognando, se
stavo avendo delle allucinazioni. Sapevo solo che quella 'visione'
era stata troppo reale per essere un sogno. Finì tutto in un
attimo,
la conclusione di quello svenimento apparente. Riaprii gli occhi,
stavolta per davvero, e tornai alla realtà, ad Aiden che mi
sorreggeva il capo, sdraiata su due sedie, con il vociferare altrui
nelle orecchie.
-Jud? Judith?! Svegliati!-
Non riuscivo a
sentirmi completamente sveglia ed i miei pensieri erano in subbuglio,
improvvisamente la mia mente sembrava gridare qualcosa di
incomprensibile. L'espressione terrorizzata di mio fratello mi fece
mantenere il silenzio su cosa avessi visto, sembrava già fin
troppo
agitato per quello che agli occhi di tutti doveva essere un normale
svenimento. Quindi mi aggrappai alle sue braccia per sollevarmi e mi
mi dissi che ero svenuta, punto e basta. Presi un bel respiro e,
lunatica, sorrisi. Il mio comportamento non era mai stato
così
incoerente. Perché sentivo una parte di me così
confusa verso quel
banale accaduto, ed un'altra che mi ripeteva di non pensarci?
-Sto
bene, devo aver avuto un calo di zuccheri-
-Ma se abbiamo appena
finito di mangiare?!-
-Non so che dirti… anche perché ora mi
sento benissimo-
Aiden sollevò un sopracciglio evidentemente
scettico.
-Hai già detto di sentirti debole ultimamente, sei
sicura di stare bene davvero? C'è chiaramente qualcosa che
non
va-
-Certo che sto bene, ci sei tu. Dai, aiutami ad
alzarmi...-
Per dimostrargli che era tutto passato tornai in piedi
velocemente, ed anche se mi girava la testa lo abbracciai. In
quell'istante udii l'ennesimo colpo nelle orecchie, di nuovo quel
rumore assordante, che mi fece traballare sul posto. Era lancinante,
aumentava di potenza e mi sentii cedere le ginocchia. Rimasi
immobile, terrorizzata, con le braccia di mio fratello che mi
sostenevano. Tentai di concentrarmi con tutte le mie forze solo ed
esclusivamente su quell'abbraccio e poi, per l’ennesima
volta,
tutto cessò. Il battito rimase, perfettamente udibile ma di
volume
di colpo attenuato, nella mia testa.
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Here
we go again!
Hello hello :)
E' la seconda volta che provo a
pubblicare questa storia qui, ed è la duecentoventisettesima
volta
che ne riscrivo l'inizio, non essendo mai soddisfatta del risultato,
il che è piuttosto irritante considerato che ho finito di
scrivere
l'intero “libro” da un pezzo (o forse è
inquietante, chissà).
Cercherò
di aggiornare regolarmente, pubblicarla qui è un'occasione
per
correggerla, quindi sono apertissima a critiche!
Spero
che qualcuno legga :) (non so davvero quanti la stessero leggendo la
prima volta che l'ho pubblicata, in ogni caso molte cose saranno
diverse, quindi è una nuova lettura per chiunque!)
-Effie