Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Effem3    21/02/2017    0 recensioni
Alcuni racconti portano la maschera d'innocenza delle storie da leggere ai bambini prima di andare a dormire, sebbene celino qualcosa di molto più inquietante. Uno di questi racconti è quello del mondo dei sogni, ed il fascino ipnotico che ha sempre esercitato su Judith, diventerà presto la stessa ragione per cui si ritroverà catapultata in qualcosa di leggermente diverso da un incubo, ma non così simile ad un sogno, realizzando che Adam è più "nel mezzo" di quanto avrebbe potuto immaginare.
[-Pensa a me nel modo che preferisci. Fallo, però. Pensami, se ti capita. Ne avrei bisogno sul serio-
E così detto, si alzò ed uscì dalla stanza come aveva fatto il fratello, lo sguardo basso, le mani in tasca, zoppicante. Ed io, sciocca, rimasi immobile sul divano. Lo pensai.]
[cit.]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Hallucination


[1°]


Esistono tante, svariate forme di dolore, ma il dolore inespresso e latente mi risulta quello più seccante. Esiste, sebbene senza forma, presente ma indefinito. Non puoi vederlo, non puoi affrontarlo, non puoi psicanalizzarlo né sradicarlo dalle terminazioni nervose del tuo cervello. Sta fermo lì, un parassita, risucchia i bei momenti in una morsa continua e li corrompe uno ad uno. Agisce invisibilmente, deviandoti quel tanto che basta a farti percepire una costante sensazione di fuori uso. Danneggiato. Talvolta credo che dovrei sentirmi offeso dalle mie stesse parole. Sarebbe consona reazione inorridire di fronte a certi pensieri. Ahimé, non potrebbe importarmi meno. Credo.
Stavo percorrendo, con l'andatura di chi ha tutto il tempo di farsi gli affari altrui, il viale che portava alla sala conferenze, col cipiglio arrogante di chi sta scrutando ogni singola persona presente. Osservavo divertito tutti quegli esseri umani fatti di carne, ossa e cervello. Cervello forse poco. Loro mi guardavano di rimando, impotenti di fronte al tacito giudizio che trapelava dai miei occhi, attraverso quei cinque sacri secondi che rubavo ad ognuno di essi. A dir la verità, quel preciso lato di me emergeva solo in situazioni come quella che stavo per affrontare. Ogni volta che mi trovavo a dover partecipare ad un evento pubblico, venivo assalito da uno strano senso di claustrofobia che mi spingeva a camminare in modo arrogante, a testa alta, cercando di far percepire alle persone intorno a me che avrebbero dovuto starmi alla larga. Questo perché, sporadicamente, la paura di scomparire tornava a tormentarmi e, se fossi scomparso tra la folla, sarebbe stato terribile. Questo è il demone che sono costretto a portare sulle spalle, ahimé. Potrei svanire. Potrei sparire agli occhi degli altri, nelle loro menti, nelle loro esistenze. Se smettessero di pensarmi, di percepirmi, potrei non esistere più nel loro angolo di mondo. Avrei potuto vederli, avrei potuto parlargli, avrei potuto toccarli, ma loro non avrebbero sentito nulla. Assurdo, direte. Certo che sì. Assurdo per voi.
Salii i tre gradini che conducevano al palco nella totale oscurità e, quando mi trovai di fronte alla folla di studenti cui mi sarei dovuto rivolgere, presi un unico grande respiro e sorrisi. Avrei dovuto parlare per una noiosa manciata di minuti della ricerca che stavo seguendo insieme al mio professore, un ammasso di considerazioni discutibili sull'uso dell'inglese arcaico. Non avrei mai accettato di aiutarlo se non fosse stato per il mio bisogno di restare in quell'accademia. Stavo parlando da ormai dieci minuti quando sentii un familiare senso di panico. Nessuna delle persone di fronte a me sembrava guardarmi, nessuno di loro sembrava prendere appunti, nessuno sembrava essere realmente concentrato su di me. Questo, nella mia mente, fece scattare il fastidioso campanello d'allarme che mi mandava in crisi quando credevo che qualcosa stesse andando storto e, così, chiesi se ci fossero domande da parte degli studenti. Quando vidi tre mani alzarsi tirai un sospiro di sollievo e tutto sembrò tornare in equilibrio. Eccetto la parte più profonda di me. Quella, come sempre, stava urlando.


***



Umidità. Gocce d'acqua che scivolano sulla pelle. Una mano sfiorò il mio collo per poi allontanarsi di scatto nella sorpresa di aver toccato qualcosa di bagnato. Il mio petto era un continuo su e giù frenetico, ma qualcosa premeva più su. Un laccio invisibile mi stringeva forte il collo e stavo combattendo un'orrenda sensazione di soffocamento. Una parte di me riusciva concretamente a percepire il mio corpo, nel dormiveglia, l'altra era in balia dell'incubo che mi aveva catturata. Mi ritrovai a girarmi di scatto alla mia... destra, sì, destra, ed il mare mi travolse. La sensazione di essere sballottata tra le onde mi fece quasi venire la nausea, annaspai agitando le braccia ma, per quanto tentassi di emergere, il mio corpo continuava a sprofondare. Con l'ultimo briciolo di coscienza cui riuscii ad appigliarmi nel sogno, costrinsi a fatica le mie palpebre ad aprirsi. I miei occhi spalancati vedevano perfettamente ciò che mi circondava, le ombre familiari della mia stanza, tuttavia recuperare il senso di reale fu piuttosto faticoso. Gli occhi mi facevano male, avevo la vista sfocata e sentivo nelle orecchie un forte rumore del quale stentavo a trovare l'origine. Quando riuscii a calmare il mio respiro agitato e mi resi conto che, allo stesso modo, il rumore sembrava affievolirsi, capii che quello che mi rimbombava nella testa era il battito frenetico del mio cuore. Il mio corpo si spostò in avanti in un movimento fluido e guardai di fronte a me. Ero seduta. Non attesi di riprendermi dalla confusione neanche un attimo, corsi immediatamente davanti allo specchio a guardarmi. Ero letteralmente ricoperta di sudore, quindi mi asciugai alla meno peggio con la maglia del pigiama e poi sorrisi mesta. Un brutto sogno. Un altro.
Purtroppo, fin da quando ero bambina, non ero mai riuscita a dimenticarne nessuno. Che fossero belli, o brutti, al risveglio ricordavo tutto, il che era sempre stato leggermente spaventoso.
Alcuni di noi nascono con il dono di
ricordare. Ed i miei ricordi, a differenza di quelli del resto del mondo, non svanivano con il passare del tempo mutando in quel vago bagaglio di immagini che sono i sogni passati di tutti. I miei ricordi erano vividi, non un mucchio di scene scollegate, erano sensazioni, emozioni, terrore, che potevo ripercorrere a mio piacimento nella mia testa. Nonostante tutto, avevo imparato a conviverci, non essendo la sola al mondo a possedere quella caratteristica, per quanto strana potesse essere. Ciò che sfuggiva alla me stessa di quei giorni era che, di fatto, ero più sola di quanto potessi anche vagamente immaginare. Sola, vale a dire sola ed unica.
Ci sono milioni di storie che vengono raccontate ogni giorno, indipendentemente dal loro significato profondo, indipendentemente da come esse siano state scritte. Ci sono anche, però, storie che non vengono raccontate, storie che di norma è meglio tacere. La storia del mondo dei sogni è una di queste. Tutti la conoscono, tutti sanno che è meglio non parlarne, tuttavia, fin da quando mi venne trasmessa, non ho mai realmente capito il motivo dietro la segretezza che la imprigionava nel dimenticatoio. Ci insegnano da bambini che se stiamo avendo un incubo è meglio svegliarsi, una delle primissime cose che ricordo di aver imparato da mio padre è stata proprio questa, ogni volta che gli raccontavo di aver avuto un brutto sogno, la sua risata allegra riempiva la stanza ed iniziava a parlarmi di come prendere coscienza di ciò che non fosse reale, di come riemergere dall'effimero ed aprire gli occhi. Mio padre, come tanti altri, ha sempre usato una storia in particolare per distrarmi dai miei incubi e convincermi che avrei dovuto scacciarli. D'altro canto, non si è mai reso conto di quanto non solo non mi spaventassero, ma addirittura mi affascinassero i suoi racconti.
-Si dice-, iniziava sempre, -che alle origini della storia dell'uomo, tutti nascessero con capacità eccezionali, con dei poteri che oggi definiremmo sovrannaturali, le bambine come te la chiamerebbero magia. Tutto ciò che sappiamo è che sono capacità che con l'evoluzione sono state perdute e, la perdita, è stata fondamentale per l'esistenza di questa storia stessa. Con il trascorrere del tempo, infatti, gli umani senza poteri divennero sempre di più, al punto che le caratteristiche sovrannaturali divennero un pregio di pochi eletti, i quali finirono inevitabilmente con l'essere temuti, finché non furono addirittura relegati a vivere alla larga dal resto dell'umanità ed etichettati con l'appellativo di “creature”. Le
creature divennero quindi sempre più ostili, attaccarono gli umani e diedero inizio ad una vera e propria strage che culminò in quella che chiamiamo “la frattura”. Quelle tra loro che non erano divenute ostili ma, anzi, difendevano gli umani, si coalizzarono contro le creature malvagie ed unirono le forze per confinarle in un luogo lontano, dove non avrebbero più potuto attaccare nessuno. Fu così che venne creato il mondo dei sogni, una realtà parallela nella quale le creature potessero esistere, nella quale però persero ciò che le rendeva umane, perché coloro i quali crearono quel limbo, decisero di condannarle ad un'eterna esistenza di dolore-. E' a quel punto della storia che mio padre smetteva di parlare, si fingeva una creatura pronta ad assalirmi per poi iniziare a farmi il solletico e, dopo avermi fatta ridere a crepapelle, mi rispediva a dormire. -Va tutto bene Jud, a volte facciamo bei sogni, altre volte le creature cattive si divertono a spaventarci, l'importante è che tu apra gli occhi-.
Crescendo ho capito che, vera o falsa che fosse la storia, l'umanità era convinta di essersi liberata di una piaga, tanto che il mondo dei sogni rappresentava una leggenda lontana utilizzata per scaramanzia, una storia raccontata ai bambini per insegnargli a non avere paura degli incubi. Conoscevo un bambino in particolare che odiava sentirne parlare, mio fratello. Ogni volta che si parlava di sogni, iniziava a piangere disperato, tanto che, avendo avuto moltissimi incubi quand'ero piccola, finimmo per essere separati in due stanze diverse per dormire. Ci rimasi molto male, al tempo, sia perché eravamo inseparabili, sia perché non capivo come non potesse essere curioso di sentir parlare di sogni, o di averne. Sapevo infatti che lui sognava molto poco, ed ogni singola volta ne era terrorizzato. Capii molto tardi che a ben poche persone interessava perdere tempo dietro a storie e leggende e, mio malgrado, finii con il disinteressarmene anch'io, almeno fino a quella mattina.
Non riuscivo a togliermi i sogni dalla testa, nonostante sapessi che non c'era nulla di strano in quello che era successo, mi ritrovai a rimuginare tutto il giorno, o almeno finché non dovetti uscire per andare all'aeroporto e, una volta salita in auto, la mia mente sembrò svuotarsi per riempirsi d'altro. Nostalgia, principalmente. Stavo osservando la strana danza dell
e gocce che continuavano a colpire il parabrezza ininterrottamente, alcune colavano fino al fondo del vetro, altre restavano semplicemente immobili, in attesa, forse, di essere colpite da altre gocce che le avrebbero portate a scivolare su quella distesa trasparente. La mia impazienza saliva ed il volo proveniente da Washington sarebbe dovuto essere già atterrato, eppure non vedevo nessuno di familiare uscire dalle porte automatiche dell'edificio. Dire che ero emozionata sarebbe stato molto riduttivo. Attendevo di poter rivedere il suo volto da troppo tempo, se fosse stato presente, l’anno passato sarebbe andato decisamente meglio, tanto che quando vidi la sua chioma perennemente spettinata apparire in lontananza fui sull’orlo di uno svenimento. Non era cambiato affatto, non so cosa mi aspettassi. I capelli scarmigliati di quel castano così intenso, l'espressione frustrata alla vista della pioggia ed il solito zaino nero. Sembrò non notarmi finché non percorse qualche metro. Quando vide il volto di una persona che sorrideva come un'ebete sotto la pioggia, anziché continuare ad aspettarlo in auto, inarcò le sopracciglia in un'espressione rassegnata e divertita. Sapevo perfettamente che non voleva venissi a prenderlo. Non aveva apprezzato dovermi salutare, e non avrebbe apprezzato un'accoglienza da reduce di guerra. La persona più coerente che conoscevo, senza dubbio. Sorrise di sbieco e proseguì nella mia direzione, mentre io mossi appena due passi ed iniziai a sentire il mio cuore che palpitava nelle orecchie per la seconda volta in quella giornata. Non mi era mai capitato di sentire le orecchie fischiare a quel modo solo perché ascoltavo il mio cuore che batteva veloce, ma decisi di smetterla di rimuginare e mi bloccai nuovamente, ma senza distogliere lo sguardo da quegli occhi scuri che tanto mi avevano incantata da bambina, tra le parole più stupide e più affascinanti, per quanto potessero esserlo a quell'età, che erano uscite dalla sua bocca. Come prevedibile iniziò a guardarmi scettico ed incrociò le braccia.
-Sorella ingrata- disse.
Scoppiammo a ridere tutti e due. Aiden era tornato. L’essere più sconvolgente ed assurdo dell’universo. Mio fratello.





C'era un piccolo borgo, in centro, dove io ed Aiden amavamo sempre perder tempo, osservando le piccole botteghe che, in completo contrasto con il resto della città, mantenevano un aspetto tradizionale e quasi affascinante. Camminare tra le bancarelle di quel posto era una delle cose che ci ritrovavamo a fare quando avevamo bisogno di sentirci soli, quindi non mi stupii affatto che, da quando eravamo arrivati lì, si fosse ammutolito. Non aveva molto da raccontarmi sul suo viaggio, essendoci sempre mantenuti in contatto, senza contare che quel ritaglio di tempo che ci stavamo concedendo era la calma prima della tempesta, perché a breve avrebbe dovuto fare i conti con mio padre, il quale non aveva preso l'idea di mio fratello di trascorrere un anno all'estero nel migliore dei modi. Credo che gli portasse rancore per aver deciso di partire ed aver rifiutato tanto bruscamente la proposta di iniziare a lavorare con lui. Essendo un uomo affermato, mio padre aveva proposto ad Aiden, una volta diplomato, di iniziare una carriera al suo fianco. Questo principalmente a causa di due fattori: primo, mio fratello non aveva la mia stessa e sacrosanta determinazione nel dire di no a mio padre, il quale prendeva ogni nostra eventuale incertezza come un consenso; secondo, mio padre parlava da anni del futuro perfetto per lui, al suo fianco, e nessuno si era mai permesso, me compresa, di fargli notare che suo figlio aveva tutt’altri interessi. Io ero molto più ferma di lui nell'allontanarmi dai nostri genitori, l'ennesimo aspetto che non avevamo in comune. Nonostante fossimo andati a vivere da soli dopo il diploma, lui ancora non si decideva a rifiutare definitivamente le attenzioni di mamma e papà. Per essere gemelli, eravamo fin troppo diversi nel modo di pensare. Non eravamo la classica coppia che appare in mente a chiunque senta la parola “gemelli”. Per certi versi, non potevamo negare di essere identici. Entrambi avevamo gli occhi scuri, quasi neri, ed entrambi avevamo i capelli castani. Stesso naso, stesse espressioni, stesso impulso di grattarci lo zigomo destro quando eravamo nervosi, e la stessa incondizionata passione per la lettura. Eppure, in questo momento come allora, potrei dire che eravamo differenti in maniera spaventosa.
Comunque, iniziando a percepire il nostro silenzio leggermente pesante, mentre camminavamo, non potei fare a meno di iniziare a parlare.
-A cosa pensi?-
-Perché?-
-Sguardo vacuo, ti mordi il labbro... segni delle tue imminenti contorsioni mentali-
Scoppiò a ridere, ed io con lui.
-Pensavo a te, o mia prode sorella-
-Seriamente!-
-Ma stavo davvero pensando a te. Non so quanto abbiamo rimandato questa conversazione, quindi mi limiterò a dirlo: mi dispiace di averti lasciata qui, sapevo di non dover partire così...-
-Beh, sì, sono rimasta in uno stato di shock per almeno due settimane... - si irrigidì, tentando di non darlo a vedere. Magari avrei dovuto evitare certi commenti. -... sai che per me non è stato un problema- continuai, -solo, avresti potuto avvisarmi prima di presentarti con la valigia pronta ed il biglietto aereo in mano, impedendomi ogni qualsiasi obiezione-
-Non volevo lasciarti sola, Jud-
-Ci credo... - ovvio che ci credessi. In effetti l'unico motivo per cui ero stata un po’ imbronciata, all’inizio, era perché aveva deciso di partire senza dirmi nulla, senza sentire il mio parere.
-Non mi avevi mai urlato contro prima, non è stato piacevole...-
-Tecnicamente eravamo al telefono, non ti ho urlato contro... te lo saresti dovuto aspettare, sai quanto la vita sia impossibile in tua assenza. Te l'ho detto mille volte, mi hai fatta sentire 'tradita' in un certo senso... volevo semplicemente che me lo dicessi in anticipo, tutto qui...-
-Quindi se ti avessi detto che partivo, saresti stata d’accordo?-
-No, però non te l’avrei impedito-
-Si, probabilmente me lo sarei impedito da solo-
-Sei troppo insicuro, hai troppa paura del mio giudizio-
-Perché è l’unico che conta, non credi?-
Non risposi, ma gli regalai un sorriso. Sapeva che ero a conoscenza delle sue ragioni, non serviva a nulla parlarne oltre. Se mi avesse comunicato le sue intenzioni, gli avrei dato contro ma non gli avrei imposto nulla. La persona di cui aveva paura era se stesso. Gli era costato lasciare me più di quanto gli era costato lasciare gli altri, non voleva farlo dal principio. In fin dei conti, se io gli avessi detto che non doveva partire, sarebbe stato il suo perfetto motivo per desistere.
-Devo incontrarmi con papà... ci vediamo a casa?-
Annuii e, dopo avermi abbracciata, lo vidi allontanarsi sconsolato. Sfortunatamente per me, senza la sua presenza a distrarmi, mi ritrovai a percepire di nuovo la strana sensazione di inquietudine che avevo addosso da quando avevo iniziato ad avere gli incubi, questo perché, il borgo in cui mi trovavo, era tradizionale anche e, soprattutto, perché la maggior parte delle persone che ci lavoravano erano grandi sostenitori delle leggende del mondo dei sogni e, come ogni cosa che sia vagamente misteriosa, il mondo dei sogni era un'ottima fonte di guadagno per loro. Molta della merce che si poteva osservare nei piccoli negozi era collegata in qualche modo a quell'argomento, ed in quel momento mi trovavo di fronte ad una signora dai capelli scuri che costruiva acchiappa-sogni personalizzati su richiesta. Quando ero bambina ne avevo comprati un centinaio perché, se non fosse già abbastanza chiaro, ero parecchio suggestionabile. Quello che catturò la mia attenzione, tuttavia, fu notare per l'ennesima volta i quadri su tela del negozio di fronte. L'intera via in cui stavo passeggiando era sempre stata piena di illustrazioni sparse sui muri, ce ne erano di tutti i tipi, su carta, su tela, su fogli piccoli o enormi, a volte erano appese in serie e, osservandole passo dopo passo, si poteva facilmente osservare una storia prendere forma. Il protagonista della storia, nonché il soggetto dei disegni, era sempre lo stesso, un ragazzo dai capelli scuri. Le ambientazioni di ognuno di essi erano sempre strane, inquietanti, come vecchi castelli avvolti nell'oscurità e circondati da quelli che sembravano spiriti. L'altra costante in quel mare di fogli era che cambiavano ogni giorno, non ne avevo mai visti di uguali su nessuna parete. Nessuno dei negozianti sembrava essere contrario a chiunque si prendesse la briga di appenderli e, da piccola, avevo sempre desiderato complimentarmi con l'autore che, pur lavorando proprio nel negozio dal quale venivano venduti, non ero mai riuscita a vedere. Proprio per questo rimasi colpita nel notare un ragazzo che non avevo mai visto chino sul bancone del negozio, impegnato a leggere chissà cosa. Mi stavo avvicinando al vetro della porta nel tentativo di vedere meglio ma, naturalmente, con la mia solita grazia, per poco non ci finii letteralmente contro inciampando. Riuscii a salvarmi dallo schianto solo all'ultimo secondo, reggendomi alla maniglia e ritrovandomi all'improvviso catapultata nel negozio. Il ragazzo alzò la testa e mi rivolse un'espressione palesemente scocciata, ma non disse una parola, tornando a leggere il suo libro come se niente fosse. Indossava abiti eleganti, il che mi sembrò assurdo vista la zona in cui ci trovavamo, sembrava essere appena tornato da un matrimonio, o qualcosa del genere. Non so quale parte psicotica del mio cervello mi spinse ad aprire bocca in quel momento.
-Tu lavori qui?-
Attesi un minuto buono che mi rispondesse ma non alzò nemmeno gli occhi per guardarmi.
-Scusa? Mi hai sentita?-
Non volevo fare la figura della stupida, visto che ormai gli avevo fatto una domanda non potevo andarmene come se niente fosse, ma se avessi potuto, sarei fuggita a gambe levate, visto che mi guardò improvvisamente come se fossi pazza.
-Ti ho sentita, ma tendenzialmente alle domande stupide preferisco non rispondere-.
Ora, non mi ritengo una persona irascibile, ma c'è qualcosa che mi scatta dentro quando qualcuno mi guarda dall'alto al basso che mi trasforma nella paladina della giustizia personale, sono piuttosto timida ma non appena mi attaccano ingiustamente so difendermi più che bene. Immaginate lo sforzo allucinante che mi costò mordermi la lingua, quindi, non volendo litigare con uno sconosciuto in uno dei miei negozi preferiti.
-Stupide? Non ti ho mai visto, dubito che la mia non fosse una domanda lecita-
-Quindi se non riconosci un negoziante, automaticamente, credi di star parlando con una persona a caso?-
-No, la mia era una domanda di circostanza...-
-Una banalità, direi-
Detto ciò, tornò di nuovo alla sua lettura, il che mi irritò ancora di più. Ammesso che lavorasse lì, che razza di trattamento era il suo?
Non so perché la mia indole masochista mi spingesse a continuare a torturarmi in determinate situazioni, ma iniziai a gironzolare nel negozio, sperando di dissimulare l'evidente imbarazzo in cui mi aveva messa dando un'occhiata ai quadri per poi andarmene. A quanto pare, lui non era dello stesso avviso.
-Hai intenzione di comprare qualcosa o stai fingendo di essere ad una mostra?-
-Ehm... no, volevo delle informazioni, diciamo...-
-Prego? Sei qui per iscriverti al contest di disegno?-
E' meraviglioso non avere la più pallida idea di quello di cui si sta parlando.
-Non so disegnare, volevo solo sapere chi...-
-Non sai disegnare? Perfetto. Guarda, siamo pieni di volantini, non ho tempo da perdere a spiegarti il regolamento, prendine uno e torna se scopri un innato talento-
Mi guardò con scherno, mentre mi porgeva uno dei decantati volantini, ed a quel punto ero quasi pronta a prenderlo per appallottolarlo e tirarglielo contro, se non fosse stato che guardando il pezzo di carta notai anche che la mano che me lo stava porgendo era totalmente sporca di pittura nera. Il mio cervello fece un collegamento immediato.
-Sei tu a fare quei disegni che sono appesi fuori? Non c'è mai scritto il nome dell'autore...-
-A volte si omette l'autore per evitare seccature, non lo sapevi? Arrivederci.-
Non so chi delle due lasciò prima il negozio quella mattina, se io o la mia gigantesca forma di irritazione. L'unica cosa certa era che, tornando a casa, osservai ogni singola tela sulla mia strada e l'ormai familiare soggetto dai capelli neri che occupava i disegni, nella mia testa sembrava fin troppo simile al maleducato dagli stessi capelli con cui avevo parlato e, se avessi potuto, li avrei staccati tutti dai muri.




Trascorsi l'intera settimana seguente ad oziare nel vano tentativo di assumere le sembianze di un bradipo, l'unica cosa di cui davvero mi importava era recuperare il tempo perso con Aiden, fino a che i miei doveri non vennero a bussare alla porta. Eravamo ai primi di Gennaio e sarebbero ricominciati i miei corsi universitari, dovevo andare a seguire un'interminabile giornata di lezioni alle quali non ero neanche poi troppo interessata. Gli sguardi, le nuove conoscenze, il fatto di dover stare in un luogo pubblico. Tutto prevedeva una sola estenuante richiesta da parte mia: essere presentabile. Quantomeno la serenità che era mancata tra i miei pensieri fino a quel momento, era tornata insieme a mio fratello. Senza di lui avevo una certa tendenza ad essere riflessiva e negativa, perché crescendo mi ero resa conto di quanto fossi insofferente alla monotonia della vita di tutti i giorni. Alla fine dei conti mi pesava. Ero uscita troppo presto dal mio mondo di bambina nel quale tutto era bello, l'università era intrigante, ed i miei sogni realizzabili. Avrei avuto bisogno di qualche altra illusione a cui credere prima di rendermi davvero conto di come fosse il resto della mia vita.
Inutile dire che avevo continuato ad avere incubi nei sette giorni precedenti nonostante la mia ritrovata positività, non avevo fatto altro che pensarci e l'unica cosa che mi aveva distratta era stato il viaggio fino all'università. Quando arrivavo in centro, il mio umore si risollevava e mi divertivo a guardare le persone sedute nella metropolitana, a studiare le loro espressioni. Sinceramente ho sempre pensato che se tutti si soffermassero davvero ad osservare i volti degli sconosciuti con un minimo di interesse, potrebbero decifrarne un mondo. Una volta arrivata, però, seduta in aula, non riuscii proprio a concentrarmi minimamente. Mentre cercavo di prendere appunti iniziai a sentire la testa sempre più pesante ed all'improvviso avvertii uno strano senso di vuoto allo stomaco, mi sembrava di essere improvvisamente su delle montagne russe e la vista mi sfumò. Non vidi nulla per qualche secondo, il capo mi scese in avanti e lo risollevai di scatto, per riflesso, un secondo prima che colpisse il banco. Mi agitai immediatamente per quella sensazione, non credevo di avere così tanto sonno da rischiare di addormentarmi di colpo, ma la cosa che mi lasciò interdetta fu udire un forte fischio intermittente nelle orecchie, lo stesso che avevo sentito all'aeroporto giorni prima. Pensai che probabilmente stavo avendo un calo di zuccheri, quindi tentai per qualche minuto di calmarmi e di respirare, e non volendo assolutamente chiedere aiuto a nessuno, uscii dall'aula camminando per i corridoi. L'aria fresca proveniente dalle finestre di fuori mi diede sollievo nel camminare, anche se mi poggiai al muro parecchie volte perché sbandavo. Una volta raggiunto il bagno mi spostai oscillando verso il lavandino ed aprii l'acqua per rinfrescarmi il viso e bere. Solo quando sollevai il capo e mi guardai nello specchio mi resi conto che il mio viso aveva lo stesso colore bianco delle pareti. Ovviamente, come se non bastasse, vidi che nel bagno c'era qualcun altro. Un ragazzo molto alto se ne stava poggiato contro la parete con il volto contuso e sporco di sangue, sussultai spaventata alla vista di tutto quel sangue e mi avvicinai istintivamente. Si stava tenendo in faccia un pezzo di carta sporco e sembrò non notare che mi ero accorta di lui. Fantastico, c'era qualcuno che se la passava peggio di me.
-Stai bene?!-
Non appena realizzai di aver fatto una domanda del tutto stupida, il ragazzo mi puntò gli occhi grigi addosso. Il mio giramento di testa sembrava stare sparendo, perché d'un tratto avevo completamente ripreso l'equilibrio.
-E' una domanda retorica?- chiese, con un tono sprezzante.
-No, perché?-
-Perché l'ultima cosa che chiederei ad una persona con la faccia ricoperta di ematomi è se sta bene...-
-Ti serve aiuto?!-
Neanche il tempo di finire la domanda che il ragazzo si era volatilizzato fuori dalla porta a testa bassa. Non credevo fosse così strano da parte mia reagire così vedendo qualcuno di malmenato in un bagno, delle donne tra l'altro, eppure sembravo aver fatto la figura della stupida con uno sconosciuto, di nuovo. Fermamente convinta di dovermi preoccupare di me, anziché di gente maleducata, e pensando che forse mi ero sentita male perché non avevo mangiato nulla, uscii da lì pronta a procurarmi un'enorme tazza di caffè, per poi tornare a capo chino verso l'aula, con l'ombra di una strana angoscia addosso.



-Si può sapere che ti prende?!-
Alzai gli occhi dal tavolo solo in quel momento. Io ed Aiden eravamo andati in una pizzeria per cenare insieme, ma a dirla tutta non stavo ascoltando neanche una parola.
-Come scusa?-
-Mi dici che cos'hai?-
-Io? Non ho nulla, perché?-
-Sembri sempre distratta o stanca, da quando sono tornato ti avrò vista incantarti a pensare a chissà cosa un milione di volte… ce l'hai ancora con me?-
-No, non ce l'ho mai avuta con te, lo sai! E' che oggi non mi sento bene. Mi sento parecchio frastornata ultimamente, non so perché...-
-Vuoi che torniamo a casa allora?-
-No no, smettila di fare il paranoico! Allora, che dicevi?-
Cercai di riportare in fretta l'argomento su di lui.
-Niente di importante...-
-Ah sì? Da quando parli di cose non importanti, mister serietà?-
-Ho ceduto alla vita frivola da scapolo americano! Convertiti anche tu, possiamo essere felicemente superficiali e single sorellina! O mi sono perso qualcosa?-
-Sì... ti sei perso i trenta ragazzi adoranti che mi venerano e non aspettano altro che mi conceda a loro, potresti distribuirgli dei numeretti, così si mettono in fila ordinatamente?-
-Che palle Jud, sempre sarcastica! E comunque meglio così perché tanto sono tutti idioti-
-Sì, tu sei l'unico glorioso ragazzo serio in circolazione, giusto?-
-Parole sante!-
Scoppiai a ridere e lui con me, visto che il suo egocentrismo era sempre stato motivo di risate per entrambi. Avrei continuato volentieri a guardare gli occhi scuri e sorridenti di mio fratello ma l'ormai familiare capogiro tornò proprio in quel momento ed un dolore lancinante mi colse alla testa, insieme ad un forte suono martellante. Sentii ciò che mi circondava divenire lontano, mentre il suono che percepivo si trasformava in un battere costante, un battere che in pochi istanti aumentò di intensità e di velocità. Non ricordo cosa avvenne dopo. Sentii le braccia di Aiden che mi afferravano mentre il mio corpo scivolava verso destra, giù dalla sedia, poi udii un tonfo. Chiusi gli occhi, convinta di essere svenuta, eppure vidi qualcosa. Una luce fioca, quasi non percepibile, illuminava una stanza buia che sembrava non avere una dimensione fissa. In quell’attimo mi parve piccola, poi divenne più grande, finché non mi resi conto che era profonda, molto. Stavo sognando? Non saprei dirlo. Ero consapevole di essere sveglia ma non percepivo la realtà. Avevo gli occhi chiusi ma sentivo che fossero aperti.

-Capisci cosa intendo? Capisci perché questa storia mi irrita?-
-Allora fallo. Accetta questa situazione. Smettila di temere ciò
che pensi. Sei troppo abituato ai pensieri degli altri, trascuri i tuoi-

Parole lontane. Quelle che avevo sentito erano voci sconosciute, il mio cervello cercava di elaborare ansioso, chi erano? Perché si trovavano in quella stanza? Perché io mi trovavo lì? Domande senza risposta. Non capivo se ero davvero svenuta, se stavo sognando, se stavo avendo delle allucinazioni. Sapevo solo che quella 'visione' era stata troppo reale per essere un sogno. Finì tutto in un attimo, la conclusione di quello svenimento apparente. Riaprii gli occhi, stavolta per davvero, e tornai alla realtà, ad Aiden che mi sorreggeva il capo, sdraiata su due sedie, con il vociferare altrui nelle orecchie.
-Jud? Judith?! Svegliati!-
Non riuscivo a sentirmi completamente sveglia ed i miei pensieri erano in subbuglio, improvvisamente la mia mente sembrava gridare qualcosa di incomprensibile. L'espressione terrorizzata di mio fratello mi fece mantenere il silenzio su cosa avessi visto, sembrava già fin troppo agitato per quello che agli occhi di tutti doveva essere un normale svenimento. Quindi mi aggrappai alle sue braccia per sollevarmi e mi mi dissi che ero svenuta, punto e basta. Presi un bel respiro e, lunatica, sorrisi. Il mio comportamento non era mai stato così incoerente. Perché sentivo una parte di me così confusa verso quel banale accaduto, ed un'altra che mi ripeteva di non pensarci?
-Sto bene, devo aver avuto un calo di zuccheri-
-Ma se abbiamo appena finito di mangiare?!-
-Non so che dirti… anche perché ora mi sento benissimo-
Aiden sollevò un sopracciglio evidentemente scettico.
-Hai già detto di sentirti debole ultimamente, sei sicura di stare bene davvero? C'è chiaramente qualcosa che non va-
-Certo che sto bene, ci sei tu. Dai, aiutami ad alzarmi...-
Per dimostrargli che era tutto passato tornai in piedi velocemente, ed anche se mi girava la testa lo abbracciai. In quell'istante udii l'ennesimo colpo nelle orecchie, di nuovo quel rumore assordante, che mi fece traballare sul posto. Era lancinante, aumentava di potenza e mi sentii cedere le ginocchia. Rimasi immobile, terrorizzata, con le braccia di mio fratello che mi sostenevano. Tentai di concentrarmi con tutte le mie forze solo ed esclusivamente su quell'abbraccio e poi, per l’ennesima volta, tutto cessò. Il battito rimase, perfettamente udibile ma di volume di colpo attenuato, nella mia testa.





___________________________





Here we go again!
Hello hello :)
E' la seconda volta che provo a pubblicare questa storia qui, ed è la duecentoventisettesima volta che ne riscrivo l'inizio, non essendo mai soddisfatta del risultato, il che è piuttosto irritante considerato che ho finito di scrivere l'intero “libro” da un pezzo (o forse è inquietante, chissà).
Cercherò di aggiornare regolarmente, pubblicarla qui è un'occasione per correggerla, quindi sono apertissima a critiche!
Spero che qualcuno legga :) (non so davvero quanti la stessero leggendo la prima volta che l'ho pubblicata, in ogni caso molte cose saranno diverse, quindi è una nuova lettura per chiunque!)

-Effie

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Effem3