Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    22/02/2017    5 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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Avviso: 
il capitolo potrebbe essere un po’ più lungo degli altri, (che già non scherzano 
🙄) ma spezzarlo avrebbe avuto poco senso.
 


 
~ 12 ~ 
TRA REALTÀ E FANTASIA

 
La notizia fu, per la sua stranezza, l'argomento principale di tutti i telegiornali del Globo: al centro dell'Oceano Pacifico, era emersa un'isola rocciosa.
I componenti dell'equipaggio del Drago Spaziale si ritrovarono tutti nella saletta delle riunioni, a seguire gli sviluppi di quell'insolito fenomeno.
– Dottore, pensa che ci sia lo zampino dell’Orrore Nero, in tutto ciò?
– Dopo le esperienze che abbiamo avuto, mi aspetto di tutto, Sanshiro…
Vedendo Pete che trafficava al computer, lo scienziato gli chiese:
– Hai trovato qualche spiegazione plausibile?
– Proprio plausibile, no. Può sembrare pazzesco, ma… la zona è quella dove si dice sorgesse, un tempo, il leggendario continente perduto di Mu.
– Scusa la mia ignoranza, –  intervenne Briz – ma l'unico continente perduto di cui io abbia mai sentito parlare, è Atlantide.
Pete collegò il computer al grande schermo, sul quale apparve il disegno di una mappa: un'isola immensa che occupava proprio il tratto di oceano di cui stavano parlando, anche se quella emersa pochi giorni prima era molto più piccola.
Il capitano si lanciò nelle spiegazioni:
– Il mitico continente perduto di Mu aveva le isole Hawaii come confine settentrionale, e come confine meridionale una linea immaginaria che si estendeva dalle isole Fiji a sud-ovest fino all'isola di Pasqua a sud-est. Sembra che gli abitanti di Mu fossero persino più evoluti degli atlantidei, e che questi ultimi discendessero addirittura da loro. Un colonnello inglese, un certo James Churchward, vissuto tra l'’800 e il ’900, sosteneva che questo continente fosse davvero esistito e che il suo nome derivasse dalla omonima lettera dell'alfabeto greco, che sarebbe stata trovata incisa sulle pareti di diverse grotte, ritenute gli ipotetici accessi al continente. Egli stimava che fosse largo da est a ovest circa ottomila chilometri, e da nord a sud intorno ai cinquemila, e che dovesse essere ricco di vegetazione tropicale, fiumi, laghi e grandi animali… Sembra sostenesse anche che la prima vera civiltà umana si fosse sviluppata qui, tra i dodici-tredicimila anni fa e, quindi, che discenderemmo tutti di lì… Ma sono tutte ipotesi, se non addirittura leggende – concluse Pete.
– Detto questo, – disse Daimonji, riprendendo le redini del discorso – siete tutti d'accordo di andare a vedere quest'isola da vicino?
La risposta affermativa fu unanime, ma Briz si rese conto che, anche se cercava di nasconderlo sotto la sua solita armatura di indifferenza, il più entusiasta era sicuramente Pete: gli occhi gli brillarono di una luce che lei non aveva mai visto, e un sorriso gli illuminò letteralmente il volto.
– Come mai ti affascina tanto, l'idea di andare laggiù, Pete? – gli chiese Daimonji, che aveva notato la stessa cosa – Sei attratto dalla possibilità di diventare famoso come primo esploratore di Mu?
– Doc, cosa vuole che mi importi… per quel che mi riguarda sono già fin troppo famoso. Ma esplorare un continente sommerso… Mu, o Atlantide, o qualunque altro posto sconosciuto e misterioso, è un sogno che ho da quando andavo al liceo.
– E allora che aspetti? Vai al tuo posto di comando! Coraggio, ragazzi, si parte!
Briz si accorse che pure Daimonji era stupito, ma anche soddisfatto, per aver scoperto che perfino lo scostante Capitano Richardson aveva dei sogni e delle passioni.
Mentre si sistemava al suo posto, a bordo del Drago Spaziale, la ragazza ripensò alle confidenze che si era scambiata con le amiche un paio di giorni prima.
Maledizione, non voleva considerare nemmeno di striscio l’ipotesi di potersi innamorare di Pete. Poteva arrivare ad ammettere – molto malvolentieri, sia chiaro – di provare un'intensa attrazione fisica per lui, ma niente di più. Lei non era mai stata una dalla cotta facile, e quella strana cosa che provava ora, era di quelle che, in qualche modo, prima o poi passano.
Era così.
Era sicuramente, assolutamente, così!
E poi, era pure a senso unico.
“E per fortuna,” si ritrovò a pensare “così mi passerà ancora più facilmente!” 
Se non altro perché erano talmente diversi, che una relazione tra loro due non avrebbe mai funzionato a prescindere; c'era da uscirne davvero col cuore massacrato… lei non voleva più saperne, di stronzate romantiche!
E poi erano nel bel mezzo di una guerra galattica! Era la pilota di Balthazar, e già questo le dava non pochi problemi: aveva ben altro a cui pensare.
Comunque, al momento era rimasta piuttosto colpita dalla precisione e dalla competenza con cui Pete aveva esposto le teorie riguardanti Mu, e soprattutto dalla passione che era trapelata dalle sue parole. Cominciò ad avere un vago sospetto su quale facoltà frequentasse all’università, prima di decidere di diventare un pilota dell'USAF. Ma se fosse stato davvero come pensava, perché aveva interrotto gli studi per diventare un militare?
Briz accantonò il pensiero, sapeva che non lo avrebbe saputo finché non fosse stato lui a parlarne, e sempre che decidesse di farlo, cosa sulla quale nutriva seri dubbi: era talmente schivo che tirargli fuori due parole in croce, su qualcosa di personale, era impensabile.
Il Drago atterrò sulla misteriosa isola, su un'ampia pianura rocciosa. Daimonji decise che, a bordo del Bazzora, sarebbero andati in esplorazione Yamatake, Sanshiro, Briz, Sakon e Pete; la sua raccomandazione primaria fu quella di non correre rischi inutili e di non separarsi per nessun motivo.
Il triceratopo robot si mosse sui poderosi cingoli e si diresse verso un'altura di origine rocciosa, che si ergeva solitaria quasi al centro dell'isola. Avvicinandosi, tutti e cinque i componenti della spedizione videro, sul fianco della montagna, un'apertura simile all'ingresso di una caverna, ma troppo piccola perché Bazzora potesse entrarci. Così, armati di torce a led, decisero di continuare la perlustrazione a piedi. Mentre si dirigevano verso l'ingresso, Sanshiro si rivolse a Pete.
– È stato interessante il tuo spiegone: non ti facevo così colto.
– Mentre tu correvi dietro a una palla da baseball, io studiavo! – fu la risposta vagamente pungente.
Sanshiro non replicò, ma Briz si accorse che era rimasto piuttosto risentito per quella frase, così si fece immediatamente sentire.
– Ma razza di brutto secchione presuntuoso! Ti diverte tanto umiliare gli altri? Non tutti hanno le stesse possibilità o le stesse attitudini, nella vita!
A dispetto della cosa strana che sentiva nei suoi confronti, quando saltava fuori questo lato della sua personalità, lo detestava; ma lui riuscì a stupirla, come spesso accadeva, ormai.
– Scusa, Sanshiro, Briz ha ragione: a volte mi faccio prendere la mano dal mio brutto carattere, mi sono spiegato male. In realtà, volevo solo dire che ognuno di noi aveva le proprie passioni e il proprio talento, ma quasi tutti abbiamo dovuto rinunciarci, per un motivo o per l'altro.
– Okay, in questo caso capisco cosa vuoi dire; e sono d'accordo te – rispose Sanshiro, rimanendo però un po’ sul sostenuto.
Quando gli Zelani avevano cercato di ucciderlo per evitare che venisse convocato dal dottor Daimonji, lui era avviato ad una luminosa carriera nel mondo del baseball: era un vero astro nascente, per via di quello che veniva chiamato il suo lancio magico. Dall’attentato era uscito con un polso rotto, che gli aveva precluso per sempre la possibilità di giocare ancora ad alti livelli; la magia e la potenza dei suoi colpi, le aveva trasferite nel suo modo di combattere con il Gaiking, ed erano diventate il perno della sua abilità in battaglia.
Chiusa la discussione, i cinque esploratori entrarono nel passaggio e l'oscurità li avvolse, trafitta solo dalla luce delle torce.
– Guardate! – esclamò Sakon, indicando una parete sulla quale era inciso un carattere greco.
– Signori, la lettera Mu – spiegò Pete – Direi che la strada è quella giusta. Accidenti, che spettacolo! Stai a vedere che questa isoletta è davvero una piccola parte di quell'impero perduto!
Briz sentì la nota del tutto nuova che gli vibrò nella voce, e non riuscì a stare zitta: non sarebbe stato proprio da lei!
– Guarda un po' che ci voleva, per sentire un po' di emozione nella voce del nostro Capitano! Sai che ho capito cosa studiavi, prima di arruolarti in Aviazione? Riesco persino a immaginarti…
– A immaginarmi come, buffoncella? Sentiamo!
– Con una camicia color caki, un cappellaccio Fedora un po' sfatto e magari persino la barbetta incolta e una frusta legata alla cintura. Dai, mitico! Il professor Indiana Richardson!
Una lieve risata sfuggì a ciascuno di loro, smorzata dall'ambiente cupo che li circondava.
– Bene, fanciullina, hai indovinato: studiavo Archeologia e sognavo di trovare tesori perduti in giro per il mondo, proprio come Indiana Jones. Poi sono cresciuto… – fu il commento rassegnato di Pete.
Quell'ultima frase – pronunciata con un vago tono di rimpianto, seppur mascherato dalla solita corazza di ghiaccio – mise la parola fine al discorso, ma non ai pensieri di Briz, che riusciva a immaginarlo mentre studiava qualcosa che amava. Prima che il destino gli togliesse la capacità di amare ancora qualcosa… o qualcuno.
Proseguirono per un po', i fasci di luce che tagliavano l'oscurità di quel budello scavato nella roccia, il silenzio rotto solo dal suono dei loro passi e dei loro respiri, finché, sulla loro destra, si avvidero di un’arcata, al di là della quale si apriva un altro vano: era una stanza appena sbozzata nella roccia, dal soffitto vagamente a cupola, al cui centro si ergeva un sarcofago di pietra di forma rettangolare, ricoperto di fitte incisioni. Si avvicinarono tutti lentamente, come se avessero timore di commettere un sacrilegio.
– Ma è magnifico! – disse Briz, avvicinandosi e percorrendo con le dita gli sconosciuti simboli che ornavano il manufatto: gli studi artistici che aveva alle spalle glielo facevano apprezzare particolarmente, anche se non riusciva a riconoscere quelle strane rune; decise di fare qualche foto con il cellulare.
Anche Sakon sembrava affascinato quanto lei.
– Pete, tu riconosci qualcuna di queste lettere? A me sembra di non aver mai visto niente del genere, ma devo ammettere che è un argomento di cui non mi intendo.
Sakon non ottenne risposta e tutti si voltarono per guardare il loro esperto di archeologia, ma, per quanto le torce vagassero nel buio della camera, non riuscirono a individuare il loro compagno: Pete sembrava scomparso nel nulla.
A Briz venne la pelle d'oca: dove diavolo era finito?
– Figurarsi se non perdeva l’occasione, di fare l’eroe solitario e tenebroso. Pete! Piantala di fare l'asociale, Doc ha detto che dobbiamo stare insieme!
L'unica risposta fu l'eco della sua voce, che rimbombò tra le pareti di pietra.
– Eppure ha l'auricolare, non può non sentirci! – commentò Yamatake.
Si precipitarono fuori dalla stanza del sarcofago, nel cunicolo da cui erano arrivati, scrutando ogni angolo con le torce per vedere se Pete avesse proseguito e trovato un’altra camera o se, per lo stesso motivo, si fosse invece fermato prima; ma lui, semplicemente, non c'era.
Non ebbero tempo per proseguire la ricerca: la terra tremò sotto i loro piedi, frammenti di roccia si staccarono dalla volta e alcune crepe si aprirono nelle pareti dello stretto corridoio di pietra.
– Via! Via tutti! – gridò Sakon, che aveva preso il comando della piccola spedizione.
Cominciarono a correre verso l'uscita cercando di tenere il panico sotto controllo, e Briz sperò e pregò, con tutte le sue forze, che anche Pete, ovunque fosse, si dirigesse verso l'uscita. Si catapultarono fuori in pochi secondi, mentre l'isola continuava a tremare, e salirono in fretta e furia sul Bazzora, Sakon accanto a Yamatake, Briz e Sanshiro dietro.
E finalmente, nella ricevente dell'abitacolo, risuonò la voce di Pete:
– Aspettami, Yamatake!
– Oh, ma chi si sente! – esclamò Briz, arrabbiata nera – Allora quel cazzo di auricolare ti funziona ancora!
Pete uscì dal cunicolo correndo a rotta di collo e, quando li raggiunse, piombò dentro l'abitacolo come un ciclone, schiacciando Fabrizia tra lui e Sanshiro e chiudendo il portellone blindato, mentre Yamatake faceva partire il mezzo a tutta velocità verso il Drago, ballonzolando sul terreno sconnesso e traballante.
Poi, così com’era iniziato, il terremoto sembrò placarsi.
– Pezzo di somaro psicopatico che non sei altro! – urlò Briz tirando un pugno di traverso sulla spalla di Pete – Doc ha detto di non separarci, dove diavolo ti eri cacciato? – e per buona misura, gliene mollò un altro.
– Oohh! La smetti di menare? Lasciami in pace, hai capito?
Il tono era gelido come nemmeno i primi tempi, ma lei non se ne curò.
– Ma se t’ho appena toccato, piantala!
– Ehi, che ti è successo, là dentro? – gli chiese Sanshiro.
– Niente – e così dicendo si appoggiò contro lo schienale del suo sedile, incrociò le braccia e abbassò la testa, chiudendosi nel silenzio; il ciuffo di capelli gli scese sugli occhi, nascondendogli lo sguardo.
– Okay – brontolò Briz, a mezza voce – Uno dei suoi attacchi di stronzaggine acuta. Gli passerà…
Pete non diede segno di averla sentita; strano: di solito le sue battute pesanti lo mandavano in bestia, ma in quel momento era talmente alterato che decise di lasciarlo perdere. Probabilmente si sentiva in colpa per aver commesso la stupidaggine di allontanarsi da loro… e faceva bene!
Quando arrivarono al Drago, Daimonji aveva già mandato i motori a pieno regime; Bazzora entrò e tutti scesero velocemente per andare in sala comandi, a riferirgli quello che avevano trovato. Pete rimase indietro e li avvertì:
– Andate voi, devo controllare una cosa nella sala motori.
Gli altri erano quasi arrivati in plancia di comando, quando un allarme interno risuonò, avvertendo che c'erano dei problemi: i motori del Drago stavano rapidamente perdendo potenza.
"Strano," pensò Briz "Pete è appena andato a controllare". 
Un'orribile idea le passò per la mente e il suo sguardo incrociò quello di Sanshiro, che sembrava aver avuto il suo stesso pensiero.
– Briz, vieni con me! – le ordinò all'improvviso, tornando di corsa sui suoi passi.
Lei lo seguì, e in un attimo raggiunsero il vano macchine: Pete era davanti al pannello dei comandi e stava abbassando le leve che controllavano la potenza dei motori. Takashi, il tecnico addetto al controllo, si stava rialzando a fatica da terra, con un rivolo di sangue che gli colava dal naso: era evidente che si fosse preso un pugno in faccia, e Briz notò che anche Pete aveva un segno rosso sulla guancia.
– Ma che ca… – Briz si lanciò contro di lui – Fermo! Che stai facen… 
Non arrivò nemmeno a finire la frase: le arrivò un manrovescio su un lato del viso che le fece vedere le stelle e rotolò a terra, dove rimase, dolorante e intontita, per parecchi secondi.
Sanshiro, a quella vista, fu più determinato: fu colpito a uno zigomo da un pugno di Pete, ma anche se gli fece male riuscì a reagire e ad atterrare il capitano. Standogli addosso gli rifilò un paio di colpi a sua volta, che lo lasciarono stordito per qualche secondo; Sanshiro ne approfittò, lo girò a faccia in giù e lo immobilizzò piegandogli le braccia dietro alla schiena, prima di tirarlo bruscamente sulle ginocchia.
Fabrizia, intanto, si era sollevata a sedere, una mano premuta sulla guancia colpita e dolorante, e si trascinò davanti a Pete che, ancora immobilizzato da Sanshiro, se ne stava fermo in ginocchio, a testa bassa. Lui alzò appena il viso e la fissò.
Briz rimase raggelata: gli occhi di Pete avevano le pupille dilatate e opache, e le iridi intorno ad esse erano ridotte a due anelli di un diabolico colore rossastro.
– Cristo santo, Pete! Che cosa ti hanno fatto? – esclamò la ragazza disperata, scrollandolo per le spalle.
La testa gli dondolò, ma non diede segno di averla riconosciuta.
– Ho l’impressione che le maniere forti non servano a niente… continua a parlargli – disse Sanshiro, sempre tenendogli le braccia dietro alla schiena.
Lei obbedì e gli prese il viso tra le mani obbligandolo a guardarla negli occhi, ma dovette esercitare un'intensa costrizione anche su sé stessa, per sostenere la vista di quelle pupille vitree e dal colore infernale.
– Pete, guardami! Guardami, ti prego! Svegliati! Sono Briz, non ti ricordi di me? La tua Miglior Nemica… La fanciullina pazzoide…
A Pete sembrava di avere la testa dentro una bolla: si sentiva la mente e i sensi ottenebrati, e vedeva tutto in modo nebuloso e distorto, come in certi sogni. Aveva percepito una voce che gli aveva ordinato di sabotare il Drago Spaziale, e lui non era riuscito ad opporsi: lo aveva fatto… ma forse qualcosa era andato storto.
Sentiva altre voci che gli sembravano lontanissime, anche se vagamente famigliari… Qualcuno lo aveva colpito, ma lui non aveva sentito dolore… Però ora era immobilizzato, e le voci sembravano essersi fatte più vicine.
Davanti a lui prese forma il volto di una ragazza, ma non riusciva a metterlo a fuoco: sembrava carina, gli parlava, poiché vedeva le sue labbra muoversi… ma lui afferrava solo una parola ogni tanto.
Sentì che gli teneva ferma la testa, e riuscì a fissare lo sguardo su due begli occhi color smeraldo: gli sembrarono più nitidi di tutto quello che gli stava intorno, perché si accorse che erano pieni di lacrime che brillavano tra le lunghe ciglia scure.
"Pete, sono io, il giullare buffone!" 
Un flash gli attraversò la mente confusa e gli fece sbattere le palpebre un paio di volte; una nuvola di profumo al biancospino lo avvolse, risvegliando vaghi ricordi: dei cavalli… un cane nero…
Poi, in quella specie di sogno, successe una cosa: sentì le dita della ragazza scivolargli tra i capelli, vide gli occhi verdi chiudersi e avvicinarsi ai suoi, e lui avvertì sulle labbra, per qualche secondo, il sapore salato delle sue lacrime… e la dolcezza di un bacio.
Una sensazione di pace e serenità gli scese nel cuore.
Chiuse gli occhi e ogni muscolo del suo corpo si rilassò, mentre chinava appena la testa in avanti per prolungare quel piacevole contatto… ma si sentì trattenere da dietro, e le labbra della ragazza, chiunque essa fosse, si staccarono dalle sue.
Un urlo gli trafisse i timpani all'improvviso facendolo trasalire, accompagnato da una fitta di dolore in mezzo agli occhi che infranse la bolla in cui si era sentito prigioniero; si sentì scrollare con violenza per le spalle.
– Dannazione, svegliati, Richardson!!!
Pete spalancò gli occhi, mettendo a fuoco il viso disperato di Fabrizia, gli occhi verdi stravolti e le lacrime che le rotolavano sulle guance.
– …fanciullina…!? – esclamò, al colmo della confusione – Dai, chiudi quei rubinetti – gli uscì poi, senza che nemmeno se ne rendesse conto.
Briz lo guardò incredula per qualche secondo, a bocca aperta: di tutte le frasi che avrebbero potuto venirgli in mente tornando in sé, quella era decisamente la più assurda!
Ma, almeno, le pupille di Pete erano tornate vive e delle dimensioni giuste, al centro delle iridi che avevano riacquistato il loro azzurro intenso e trasparente.
– Whew! – sospirò la ragazza rilassandosi, mentre la presa delle sue mani sulle spalle di Pete si trasformava in una carezza, tornandogli fra i capelli e poi sulle guance – Ehi… bentornato, mon Capitain.
A quelle parole, anche Sanshiro lo lasciò andare, pur se con una certa cautela.
– Ma che cosa è successo? Che ci facciamo in sala macchine? – chiese Pete, mentre il compagno lo aiutava a rialzarsi.
– Dovremmo saperlo noi? – lo assalì Sanshiro – Ti è accaduto qualcosa nella grotta, ma se non lo sai tu…!
– Io… non mi ricordo niente. Solo che siamo entrati in quel cunicolo…
D’improvviso la terra ricominciò a tremare e tutto il Drago venne scosso, mentre l'allarme generale di un attacco cominciava a suonare. Briz lanciò un’occhiata a Takashi, che era già tornato al suo posto passandosi il dorso della mano sotto al naso sanguinante, e che le fece capire di non dire nulla al Capitano Richardson del fatto che lo avesse colpito. Poi si rivolse a lui:
– Stai bene, Pete? Te la senti di combattere?  
– Sì, che domande!
– E possiamo fidarci? – lo provocò Sanshiro, mentre uscivano dalla sala macchine.
– Esci con il Gaiking, muoviti! – ordinò Pete col suo solito piglio sbrigativo – E tu vai fuori subito con Balthazar! – aggiunse, mentre già tutti e tre correvano per raggiungere i loro posti di combattimento.
– Ehi, Briz! – la chiamò poi, fermandosi all’improvviso, mentre stavano per separarsi.
– Che c'è?! – chiese lei, impaziente.
Pete la guardò per un paio di secondi, e negli occhi gli brillò come una domanda inespressa; scrollò la testa, come per eliminare un'idea assurda.
– …Niente, vai! – concluse, prima di raggiungere la sua postazione.
Il Mostro Nero emerse dalla vetta della montagna nelle cui viscere avevano passeggiato meno di mezz'ora prima: era uno strano essere, con le vaghe sembianze umane di una statua dell'antica Grecia con avvolto, attorno al corpo gigantesco, un altrettanto gigantesco serpente. Quando Pete lo vide impallidì, e il ricordo di quello che era accaduto dentro alla montagna lo assalì; Daimonji se ne accorse.
– Pete, ti senti bene? – gli chiese, poiché Takashi lo aveva informato via radio di quello che era accaduto.
– Non proprio, ma le spiegherò poi. Ora andiamo!
Non c'erano dubbi sul fatto che Pete fosse tornato a essere sé stesso.
Il Mostro Nero attaccò e la battaglia ebbe inizio: il serpente si staccò dal compagno umanoide, e venne naturale che di quest'ultimo si occupasse il Gaiking, mentre il mostruoso rettile fu affare del leone, che per poco non venne sopraffatto. Per fortuna, mentre si rotolava sul terreno roccioso avvolto nelle mastodontiche spire, Balthazar fu soccorso dal Drago che, con la Lama Gigante e una manovra simile a quella con cui, mesi prima, aveva liberato il Bazzora guidato da Tom, procurò al mostro danni tali da costringerlo a lasciarlo. Un solo, potente colpo di raggio al plasma, uscito dagli occhi di Balthazar, fu sufficiente a distruggerlo definitivamente, mentre il Drago dava il colpo di grazia con i missili anche all'altro essere, già ridotto a mal partito da Sanshiro.
Briz si rese conto che gli interventi di Pete con il Drago erano stati decisivi per l'esito della battaglia.
"Wow, vendetta, tremenda vendetta!" pensò la ragazza davanti a quella furia, chiedendosi cosa diavolo gli fosse accaduto nelle profondità di quella montagna maledetta.
Effettuata la disconnessione, ai soliti malesseri ormai di routine si aggiunse quello del dolore alla guancia sulla quale Pete l'aveva colpita. Le faceva un male cane, dandole la spiacevole sensazione che anche il labbro superiore si fosse gonfiato.
Il Gaiking e Balthazar rientrarono a bordo, mentre l'isola, così come era emersa pochi giorni prima, si inabissava nuovamente, portandosi via per sempre la leggenda del mitico continente di Mu.
 
 
 ***
 
 
Al rientro al faro di Omaezaki, Daimonji spedì Pete dal dottor Toshiro Watanabe e dalla dottoressa Mori. I due medici lo sottoposero a un'accurata visita, sia fisica che neurologica, che non portò alla luce nessuna anomalia: Pete era sano come un pesce, a parte un paio di vistosi lividi sulla parte destra del viso e il labbro inferiore un po' gonfio. Aveva appena finito di rivestirsi, quando sulla porta si affacciò Daimonji.
– Possiamo entrare, dottori? Ci sono altri tre feriti lievi da visitare.
– Prego, entrate, il Capitano Richardson è a posto.
Dietro al dottor Daimonji entrarono tre persone: Fabrizia, Takashi e Sanshiro.
– Che vi è successo? Vi siete feriti durante la battaglia? – chiese Pete, mentre Toshiro si occupava per primo di Takashi e la dottoressa Yumiko Mori di Fabrizia.
– Non proprio! – rispose Sanshiro in tono tagliente – Ma davvero non te lo ricordi? Prima che io riuscissi a immobilizzarti, nella sala motori, ci hai mezzi massacrati!
– Cosa? Ma come… – si avvicinò a Takashi, il cui naso non sanguinava più, ma che aveva schivato per miracolo la frattura del setto – Scusami… io non…
– Non è niente, Capitano, non volevo nemmeno che lei lo sapesse. Mi sono accorto che… non era lei. E comunque, mi sono difeso, mi creda – minimizzò il tecnico, che aveva capito perfettamente la situazione. Pete guardò mortificato anche Sanshiro, che esibiva su uno zigomo un livido non meno evidente del suo.
– Non stare a chiedermi scusa, mi sono già preso la soddisfazione di restituirteli, un paio di papagni ben fatti! – lo apostrofò il pilota del Gaiking con un ghigno, prima che la dottoressa Mori lo chiamasse.
Pete si avvicinò a Briz che, terminata la visita, gli girava le spalle e si teneva un cuscinetto pieno di ghiaccio premuto sulla guancia. La fece voltare e le scostò la mano dal viso.
– Ahi, no… – si lamentò lei, un po' per il dolore e un po' perché non voleva che lui vedesse.
Ma ormai era fatta: il livido stava diventando scuro e sia la guancia che il labbro erano gonfi.
– Oh, Dio, Briz! – mormorò costernato – Potevo sopportare l'idea di aver fatto a pugni con Takashi e Sanshiro, ma ti giuro, in vita mia non avevo mai picchiato una donna. Mi dispiace.
– Ma come? Una volta mi hai detto che non hai spirito cavalleresco! Mi hai mentito? – provò a sdrammatizzare lei; ma vedendo l'espressione contrita di Pete, non riuscì a scherzarci oltre.
– Senti… è vero che mi hai restituito con gli interessi lo schiaffone che ti ho dato mesi fa, ma non sei stato tu, a picchiarmi, lo so. Non ti angustiare per questo. Se solo tu ti fossi visto… Non… non eri tu.
Briz sapeva che il ricordo di quelle iridi, rosse come il fuoco dell’inferno, l’avrebbe perseguitata per chissà quanto tempo.
Intervenne Daimonji:
– Finite di farvi medicare, poi, se ve la sentite, venite in sala comune. Vediamo se Pete riesce a spiegarci cosa è successo.
Un quarto d'ora più tardi, erano tutti seduti sui divanetti e sulle poltroncine della sala comune: Pete, Fabrizia e Sanshiro si tenevano i cuscinetti di ghiaccio sui lividi, per attenuare il dolore e il gonfiore, ma gli altri erano impazienti di sentire cosa fosse accaduto.
– In realtà non sono per niente sicuro di quello che sto per dirvi – cominciò Pete – È stato come un sogno confuso, e lo ricordo anche male. Quando voi siete entrati sotto l'arco, qualcosa mi ha spinto a proseguire: c'erano dei gradini che scendevano, molto più avanti, nascosti nel buio. Mi sono ritrovato in una stanza con le pareti di pietra al cui centro c'era una enorme statua, una specie di guerriero greco, con un serpente avvolto intorno al corpo…
– Era il Mostro Nero…? – chiese Midori.
– Io… credo di sì. So solo che dagli occhi della statua si è sprigionata un'intensa luce rossa che mi ha quasi accecato e… non so, ho sentito come una voce, nella testa, che mi diceva di sabotare il Drago. Una volta risalito a bordo, non sono riuscito più a resisterle, mi ha annientato la volontà, completamente… Ho dimenticato… tutto. Non sapevo nemmeno più chi fossi.
– Insomma, ti sei fatto infinocchiare per bene – lo prese in giro Sanshiro, con una certa soddisfazione: si stava divertendo da matti nel prendersi una rivincita sui modi, a volte presuntuosi, di Pete.
– Ecco perché eri così strano, quando sei risalito sul Bazzora… – disse Briz.
– In che senso, ero strano?
– Più stronzo del solito! – rispose Sanshiro.
– Tu passi troppo tempo con Briz, ultimamente: non ti fa mica bene! – ribatté Pete, senza prendersela più di tanto. Tutti si lasciarono sfuggire qualche sommessa risata, a quel battibecco amichevole.
– Ci hanno attirati sull'isola apposta – disse Daimonji, tornando serio – E non credo che abbiano scelto Pete a caso. Gli scagnozzi di Darius sanno che sei il pilota del Drago, e che avresti saputo dove mettere le mani per sabotarlo.
– E allora perché non prendere Sakon? Lui è l'ingegnere capo, ne sa molto più di me.
– Dimentichi il suo Quoziente Intellettivo: ipnotizzare lui sarebbe stato molto più difficile – spiegò il dottor Daimonji.
– Allora sanno anche questo? Ci conoscono così bene? – chiese Sakon.
– Temo di sì. Nessuno di noi, per un motivo o per l'altro, è più perfettamente al sicuro al di fuori dei confini della base.
– Staremo attenti – disse Briz – Andremo in giro armati e vivremo con gli auricolari notte e giorno, ma io non posso rinunciare a vivere quella poca libertà che mi resta!
– Nessuno te lo chiede, Briz. Solo… state all'erta, sempre.
I ragazzi concordarono, e dopo qualche momento di silenzio, qualcuno si ritirò. Fabrizia rimase e, continuando a premersi il ghiaccio sul viso, si avvicinò alla grande vetrata che dava su un ampio terrazzo, e dalla quale il pallido sole dei primi di novembre illuminava la stanza.
Pete le si avvicinò, mentre Midori e Sanshiro rimanevano seduti a chiacchierare. Briz lo sentì e gli lanciò uno sguardo fugace: non teneva più il ghiaccio, ma il livido sulla faccia gli stava diventando più evidente. Si vedeva lontano un miglio quanto fosse mortificato.
– Pete, smettila con quell'aria da cane bastonato, ti prego: ti ho già detto che ti perdono.
– Il fatto è che non riesco ancora a concepire di aver potuto picchiare una ragazza… soprattutto te. Che razza di ceffone ti ho dato per… ridurti così?
– Era più un mezzo pugno, in effetti – precisò lei.
– Ah, grazie! Rincari anche la dose, adesso? Forse mi sentirei un po' meglio, se sapessi che anche tu ti sei difesa picchiandomi.
– Chi ti dice che non lo abbia fatto?
Pete scosse la testa: – No… Tu…
Come un lampo, un ricordo improvviso gli attraversò la mente.
– Tu mi hai baciato! – esclamò, prendendola per le spalle per guardarla in viso.
Midori e Sanshiro, a quella frase, si girarono a guardarli, e anche il dottor Daimonji, che era rimasto a un tavolo, da solo e pensieroso.
– Che? Cos’ho fatto, io? – fece lei, sgranandogli in faccia due occhi tondi che erano uno spettacolo e togliendosi il ghiaccio dalla guancia.
– Mi hai baciato! – ripeté lui.
Briz fece un passo indietro, scosse appena la testa e ridacchiò, sollevando un sopracciglio. La frase che le sfuggì fu in un italiano sgrammaticato, dall’accento dialettale ereditato dalla nonna romagnola.
– Mo’ la mia stèlla, te hai fatto un sogno!
– No, non ho fatto un sogno! – esclamò lui, che aveva capito lo stesso – Ammetto che ero confuso, ma…
– Pete, dire che eri confuso è un po' riduttivo! Ti garantisco che per almeno una ventina di minuti, sei stato più suonato di una canzone di Michael Jackson!
– Oh, ma andiamo! È vero che è passato un bel po', dall'ultima volta che una donna mi ha baciato, ma riesco ancora a capirlo, se succede! E tu l'hai fatto!
– Seeh! Ti piacerebbe! – lo provocò lei.
Pete continuava a guardarla con un'espressione scettica, poi si rivolse a Sanshiro.
– Ehi, tu eri lì! Avanti, mi ha dato un bacio, no?
Sanshiro guardò per un attimo Fabrizia, poi lui, e scosse la testa.
– Mmm… La teoria del sogno continua ad essere la più attendibile, Pete.
– Visto?! – esclamò Briz – Pete, ti ricordo chi siamo, noi due. Hai presente, io e te? Il giorno e la notte, il fuoco e il ghiaccio, un arcobaleno e un temporale, un cane e un gatto… tutte cose che non possono coesistere! Un bacio è qualcosa di totalmente incompatibile con… con noi!
Pete sospirò e si grattò la nuca, incerto; la piccola folle non aveva tutti i torti.
– E allora, se davvero l'ho sognato… perché?
– Oh, beh, questo è un problema tuo.
Sanshiro continuò a tormentarlo:
– Magari… perché è davvero qualcosa che ti piacerebbe!?
Pete lo fulminò: – Adesso sei tu che sogni!
– Sentite, diamoci un taglio, per piacere! – la chiuse lì Briz – E cambiamo argomento: tu non l'hai visto il sarcofago, vero, Pete?
– Quale sarcofago?
– Questo…
Fabrizia afferrò il proprio cellulare e gli disse:
– Ti passo delle foto; sono solo due o tre, purtroppo non c’è stato il tempo, per farne di più.
In pochi secondi, alcune immagini furono trasferite sullo smartphone di Pete, che rimase a guardarle affascinato.
– Le hai fatte tu, queste foto?
– Noo, mia nonna! E chi, se no!? Forza, vai a scaricartele sul tuo computer e studiatele come si deve, lo so che ti interessano da matti. Anche perché quel sarcofago… non lo troverà mai più nessuno. E credimi, non so cosa darei in questo momento, perché al mio posto, a vederlo dal vero, ci fossi stato tu – concluse sincera.
Effettivamente, il fatto che quel meraviglioso tesoro archeologico fosse andato perduto per sempre, dispiaceva a tutti, ma a Pete in modo particolare. E l'ultima frase della ragazza lo colpì: era un pensiero carino.
– Grazie, Briz, a volte sei davvero impagabile. Quasi quasi ti bacerei davvero… – aggiunse ironico.
Lei gli puntò l'indice davanti al naso, arrossendo vergognosamente:
– Non ti sognare di farlo!
– Veramente è proprio quello, che ho fatto! L'hai detto tu che ho sognato! – ribatté lui.
– Sì, va be’, okay, falla finita! Vai a studiarti le foto e levati dalle scatole! E rimettiti il ghiaccio su quella faccia, che comincia a sembrare una carta geografica!
– Quanto sei simpatica, tesoro – le passò vicino e le allungò una rapida carezza sui capelli scompigliati.
– E non chiamarmi tesoro! – gli ordinò, ritraendosi bruscamente.
– Va bene, e vai a riposare anche tu, piccola: ne hai bisogno.
– Non è che, detto da te, piccola mi piaccia molto più di tesoro, sai? – brontolò lei, alla porta che Pete si stava richiudendo alle spalle.
Il dottore si lasciò sfuggire un sorriso. Quei due, non riusciva proprio a inquadrarli: alternavano battute pesanti e litigi, con momenti che rasentavano la tenerezza; momenti che poi facevano di tutto per rovinare. Vuoi vedere che, a forza di urlarsi dietro e dirsene da forca e da galera, alla fine, un po' si piacevano, pure?
Briz scosse la testa, e con un sospiro si rivolse a Sanshiro.
– Grazie per avermi retto il gioco, con Pete.
– Retto il gioco? Non capisco – esclamò Midori.
– E io non capisco il motivo per cui tu gli abbia mentito spudoratamente – disse Sanshiro a Briz, mentre Midori restava a bocca aperta dalla sorpresa.
– Mentito? Vuoi dire che… – cominciò la ragazza.
– Che l'ha baciato davvero! – la interruppe Sanshiro – E vi posso garantire che, per quanto fosse parecchio fuori, a Pete non è dispiaciuto. Nemmeno un po'! 
– Smettila, lo sai benissimo perché l'ho fatto! Tu mi hai detto che le maniere forti non servivano, e ho avuto l'idea di fare qualcosa che… lo sconvolgesse. E infatti, guarda caso, ha funzionato – esclamò, guardando Midori in modo eloquente, che ripensò a ciò che si erano dette pochi giorni prima, insieme a Jamilah.
– Sarà! – esclamò Sanshiro – A me, voi due non la raccontate giusta!
– Non farti certi viaggi, amico mio. Io e Pete? Ma non esiste!
Si avvicinò a Midori e le si rivolse a voce bassa.
– Però mi sono tolta il dubbio: le sue labbra non sono dure, e nemmeno fredde. Peccato solo che lui, in quel momento, chissà chi credeva di baciare.
Con un sorriso birichino, guadagnò la porta e sparì.
Midori rimase pensierosa per qualche secondo e le sfuggì un sorriso. E brava furba, la sua amica Briz: lo aveva fatto davvero!
Guardò di sottecchi Sanshiro e pensò: “E se lo facessi anch'io?"
– Perché sorridi? – le chiese lui.
– Niente… Ho appena pensato… a una cosa piacevole.
Si avvicinò e gli posò un rapido bacio… sulla guancia!
– Ehi… perché? – si stupì Sanshiro.
– Così… Perché vuoi bene a Fabrizia come me; perché sei un amico… Ciao, bel ragazzo, vai a riposarti anche tu, ne avrai bisogno – concluse Midori, lasciandogli una carezza lieve sul viso.
E se ne andò, maledicendo fra sé la paura che aveva, anche lei, di complicare le cose.
Daimonji aveva seguito la scena in silenzio; tra i suoi ragazzi si stavano sviluppando dinamiche che non aveva previsto.
Aveva pensato che la faccenda Pete e Fabrizia fosse difficile da inquadrare.
Perché, quella Sanshiro e Midori, invece, era semplice?
 
> Continua…
 
 
 
Nota dell’autrice:
Questo capitolo è ispirato all’episodio n° 7, “La resurrezione dell’Impero Mu”.
Le spiegazioni che Pete dà ai compagni su questo leggendario continente perduto, le ho trovate su Google. Se non fossero precise, prendetevela con lui! (Google, non Pete…)
Naturalmente, nell’anime, a far rinsavire il nostro bel capitano erano i papagni di Sanshiro, non il bacetto della fanciullina. Lei non c’era… anche se The Blue Devil la cerca, quando si riguarda un episodio 😉
Il disegno è per tutti quelli che aspettavano il primo bacio, anche se lo so, LO SO, che non è così che ve lo immaginavate. Ma io son Kativa! Mwahahaha! 😈

Briz-Pete-bacio-ipnosi
Ciao a tutti, grazie per aver letto e (spero) apprezzato.
*Aggiunge sottovoce*: Se poi qualcun altro vuol farsi avanti e dirmelo, mica piango, sapete?
Kiss!
  
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