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Autore: Aroldo di Poe    22/02/2017    0 recensioni
Altrove non è una storia, è un luogo dove abita la vita, che attraversa ogni recondito anfratto della nostra mente e della nostra immaginazione. E' il lettore a decidere dove farsi condurre. Può decidere lui come interpretare la storia, da che punto seguirla.
Essendo l'Altrove un luogo, va esplorato. Deve essere esplorato. E come un luogo non ha un cominciamento, ma un viaggio, l'Altrove è processo. Per me di scrittura, per te, caro lettore, è passaggio di tempo èl 'Altrove stesso. Buona Lettura.
Genere: Malinconico, Science-fiction, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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L'Altrove



1.
Il mare rivelava la vera essenza del cielo. Le onde che si infrangevano contro le pareti rocciose di quella scogliera erano le grida dei morti nei secoli. Le urla che si insediano nell'anima, quando domina quell'angoscia che rivela la realtà e che soffoca ogni scintilla di vita, si potevano tastare negli schizzi, in ogni singola particella di acqua. Le orme sulla sabbia – lasciate da chi, poi, in quale tempo e chissà se era una giornata di primavera, o se la tempesta era già scoppiata – si prolungavano fin dove l'occhio si perdeva e il cielo si congiungeva alla terra, per uno strano miracolo della natura, lì dove la prospettiva si perdeva e cominciava la landa dei giganti. Gli abissi del cielo risucchiavano qualsiasi luce, cosicché, per quel giorno, la terra veniva privata della luce e le tenebre si stagliavano sui mortali, su quella distesa dimenticata da Dio. Lo splendore dell'oscurità ammantava ogni forma di essere e gli uccelli avevano smesso di cantare: il silenzio che regnava su quella quieta terra di pace era il mite ricordo dell'attimo della creazione, quando il tempo cominciò a scorrere per percorrere l'essenza ineffabile dell'esistenza. Ed ecco nell'angolo della visione due esseri, vicini l'un l'altro, impegnati a dirsi qualcosa, a nascondere qualcosa o semplicemente a guardarsi. Con passo lento sembrava che si stessero avvicinando al mare, completamente dimentichi di essere vivi, in questo mondo, mentre con gli occhi cercavano l'immenso che il cielo prometteva di rigurgitare in quello stesso istante. Essi cercavano l'Altrove. Quell'Altrove che sentiamo in ogni attimo della nostra permanenza in questa vita e che ci aspettiamo dalla morte. Lo stesso che pensiamo quando vediamo gli occhi dell'altro, immaginando di essere in un altro luogo, in un altro tempo. Lo stesso Altrove che appare nella nostra camera, quando a notte, alla luce di un lume di fortuna, leggiamo quelle parole che aspettavamo da una vita e che mai avremmo formato con così tanta eleganza e così tanta passione; che nessuno ci ha mai rivolto, convinto che fossero troppe ardite per essere pronunciate ad alta voce e in una volta sola. L'Altrove che permane nelle nostre mani, quando stringiamo speranzosi e tristi, appassionati e tramortiti il passaporto che ci ammette in un'altra nazione, in un'altra città. Che abbiamo già visitato, una donna che ci offre i suoi migliori servigi per l'ennesima volta, priva di fantasia e vecchia di spirito. Oppure una nuova, una vergine che si appresta ad andare all'altare con il suo vestito bianco, sporco per i troppi pensieri maliziosi e mai provati, magari ascoltati ma mai così vividi come nel momento dell'atto. Questo Altrove persiste nella nostra coscienza. Anche essa lo è, si rivolge a ciò che abbiamo fatto, al passato che non è più e al futuro che non è ancora. Si lascia andare a un tempo che non è mai esistito, a quelle azioni che segretamente avremmo voluto ostentare con tanto orgoglio, quasi violentemente ma che nella vera vita abbiamo gettato nei meandri della nostra fantasia. Esso ci avvelena. Ci inquieta, ma è sempre lì, nascosto nella manifestatezza del visibile, nelle pieghe delle cose e alla fine del giorno. Intorno alla scogliera non vi era nulla. Oltre al mare e alle nude rocce, nient'altro, nessun'altra forma di vita. La coppia che si trovava lì in quel momento fuggiva evidentemente dalla città. Lui, occhi come la pece, come il mare la notte e più profondi di un vuoto di montagna, dove gli spiriti dannati cantano il requiem per calmare la loro dannazione eterna. I capelli erano incollati al viso, la salsedine e l'umidità li avevano resi uniti e ricci, emanavano riflessi chiari sebbene fossero vero legno di castagno, lunghi e morbidi. Portava una leggera barba, segno di un'età ancora giovane e non ancora corrotta dalla bellezza degli averi e piena di ideologie, destinate ad essere spazzate via. Un certo vigore veniva emanato dalla sua figura snella, che si stagliava contro le tenebre del giorno. Con un gesto accarezzò la mano di lei, che con un movimento noncurante ricambiò la tenerezza. Il viso dolce e fiero guardava, ora, avanti verso quel muro di incertezza che il mare sa creare quando è in aria di tempesta e rischia di travolgere le nostre vite per un semplice capriccio del dio. Negli occhi ambra la leggerezza della sua età e la pesantezza delle donne, che le contraddistingue sin da giovani, quando ogni fantasia cozza con la realtà e le forma, le prepara al dolore dell'esistenza e le chiama alla più nobile delicatezza. Il cielo diventava sempre più scuro, il sole calava ma la sua presenza era difficilmente pensabile, come se una notte egoista e smaniosa di apparire si fosse presa tutto il palcoscenico per mostrare, come un pavone mostra la coda, che il ruolo di primo attore non possa essere che suo. I due continuavano la loro passeggiata, e le loro orme si sovrapponevano ad altre orme, passi eterni della storia che qualsiasi uomo avrebbe potuto imprimere. La fredda sabbia accarezzava i loro piedi, che si immergevano quasi provassero il tenero piacere di affondare per poi emergere. Il vento mugghiava, scuoteva, passava, portava vita e rischiarava le giovani menti dai loro pensieri, ancora inconsistenti in gioventù. Esso passava alto sopra le scogliere, che erano lì forse già da quando Mosè divise le acque o quando Alessandro conquistò la Persia. La natura non si esprime e parla il linguaggio dell'azione ripetuta. La si poteva solo ammirare e contemplare, forse anche interrogare, per un certo gusto umano alla filosofia. Ma non ci sarebbe stata alcuna risposta. Le scogliere calavano a picco sul mare, la roccia bruna non forniva appigli per una possibile scalata. Ciuffi di erba umida, eterna brina, spuntavano dalle pareti e magari qualche insetto aveva posto lì il suo nido. Gli schizzi arrivavano soltanto a un' altezza irrisoria, se confrontata con la vertigine che provocava la vista dalla cima della barriera. Difficilmente gli uccelli si posavano, quasi avessero paura di risvegliare qualche forza arcaica, anche in loro vi era la paura primordiale della natura, sebbene per noi uomini anche loro ne fanno parte. Con la natura abbiamo sempre avuto un rapporto filiale, tormentato, inespresso. Ne siamo stati per molto tempo affascinati, forse romanticamente pensiamo ancora che essa ci possa riservare qualche nuova sorpresa. Addirittura lo speriamo, come bambini che smontano un giocattolo con la fede di scoprire un nuovo pulsante che cambi la sua forma, magari che lo renda vivo. La natura ci ha stupito, ci ha creato meraviglia, abbiamo cercato di indagarla. L'abbiamo osservata da lontano, prima, e poi sempre più d vicino, quasi che ci sfuggisse un piccolo pezzetto per completare un puzzle che abbiamo creato noi stessi. Ma a ogni passo che compievamo essa ha truccato le carte, ha barato o semplicemente non abbiamo davvero mai capito l'impossibilità di conoscere fino in fondo qualcosa. Il mondo entro cui siamo immersi non è altro che la sintesi di questo quadretto descritto: le forze della natura, che insondabili fino in fondo ci guidano attraverso le nostre avventure, con migliaia di passi al nostro fianco o dietro a noi. Un'altra persona, un altro esemplare della nostra stessa specie per non rischiare di impazzire e condividere il nostro stesso essere. Ma tutto questo i nostri non lo sapevano o facevano finta di non saperlo e continuavano a camminare. Ora la notte era definitivamente scesa, l'ora dei miracoli e dei lupi obbligava quei due a trovare un modo di sopravvivere alla lunga notte. Trovarono dei legni, forse lasciati lì da un precedente passaggio umano oppure il vento aveva sradicato un'effimera forma di vita. D'altronde la natura è al servizio degli uomini e non ci sarebbe mondo senza uomini. Perciò accesero un fuoco, eternità in movimento, tempo che si divora e spettacolo primitivo della bellezza incatenante del mondo. Si scaldarono con il suo calore, condivisero il corpo per potersi dimenticare di essere fragili e rimasero accoccolati a sentire le onde, il fuoco, la terra e il cielo.
   
 
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