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Autore: Maledetta    23/02/2017    2 recensioni
Dal testo:
"-Mio fratello è l'unica famiglia che ho...-
Chester si morde le labbra e fa di tutto per non piangere, perché è vero che ha un padre, ma è anche vero che non è mai servito a granché, e che se lo conoscesse un po' meglio probabilmente lo odierebbe, e che non vuole restare solo.
-Non è vero.-
Mike comincia ad accarezzargli piano la nuca, e a Chester parte un brivido strano.
-Ci sono io.- aggiunge piano.
E lì Chester comincia a piangere sul serio, e realizza per la prima volta che forse Mike è un po' più del suo migliore amico."
Genere: Angst, Guerra, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chester Bennington, Mike Shinoda
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'In The End (we'll be together)'
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La prima volta che Chester vede Mike ha sei anni, e si sta annoiando a morte. 
È l'anno in cui sua madre se ne va di casa e non torna più.
È l'anno in cui lui inzia a giocare a football e decide che non vuole più vedere una palla che non sia tonda per il resto della vita dopo qualcosa come metà della prima partita.
È l'anno in cui suo fratello Brian smette di vendere l'erba con l'odore strano.
Ed è il giorno in cui quell'odioso decide di portarlo in un centro commerciale noioso e pieno di gente solo perché ha voglia di stare un po' con la sua ragazza, e davvero, Chester non sa perché lo abbia fatto, visto che avrebbe potuto lasciarlo dalla signora Millers a giocare con i gatti. 
A Jessica, la sua ragazza, ha raccontato che non aveva nessuno a cui scaricarlo, ma lui lo sa che non è vero. 
Forse Brian ha capito che dopo l'ultima volta che lo ha lasciato con quel suo amico grande ha paura di restare ancora da solo con qualcun'altro che non sia lui, ma questo non vuol dire che non voglia farlo.
È vero, quello che è successo con l'amico di Brian è stato molto brutto, ma Chester vorrebbe potergli far vedere che è forte, e che può cavarsela anche senza di lui. Vorrebbe vedere suo fratello orgoglioso di lui.
Quando nota il bambino che piange disperato sono quasi due ore che gira in tondo facendo finta di non sentire tutte le cose dolci (e schifose!) che Brian sta dicendo alla sua ragazza, e si sta chiedendo perché devono stare con una femmina quando potrebbero essere nel campo dietro casa a giocare a baseball come tutti i maschi veri. 
-Brian?- chiama fermandosi in mezzo alla gente -Perché quel bambino piange?-
Suo fratello all'inizio nemmeno lo sente, e lui deve ripetere. 
Perché i grandi devono essere tutti stupidi?
-Non lo so Chazy. Andiamo.-
-Ma magari si è perso.- dice Jessica.
Mentre parlano il bambino continua a piangere, e Chester non sa perché, ma vuole un sacco aiutarlo.
Lascia suo fratello e la sua (stupida, antipatica e ruba fratelloni) fidanzata a parlare di cosa dovrebbero fare e va verso di lui, cercando di non farsi camminare sopra da tutti gli altri.
Cavoli, odia essere piccolo.
Gli arriva davanti, e lo guarda per un po'. Sembra un po' più piccolo di lui, ha i capelli neri e un maglioncino giallo da... come dice suo fratello? Da spigato. 
E poi dai, chi porta un maglione in Luglio? Fa così caldo che se Chester fosse un ghiacciolo si scioglierebbe.
-Ciao.- gli dice.
Il bambino si toglie le mani dalla faccia, e gli mostra due occhioni scuri e rossi rossi. 
Sono occhi strani perché sembrano a mandorla, ma non tanto.
-Io mi chiamo Chester.- aggiunge -Perché piangi?-
-Ho perso il mio papà, non lo trovo più!- grida il bambino, e Chester lo guarda stupito per un po', perché non si grida nei centri commerciali.
-Come ti chiami?- gli chiede.
-Mike.-
-Ciao Mike. Io sono qui con mio fratello: è quello che sta venendo tutto arrabbiato assieme alla ragazza brutta, lo vedi?-
Chester indica suo fratello che arriva verso di loro assieme a Jessica, e Mike fa sì con la testa, stropicciandosi gli occhi con i bordi delle maniche del suo maglione da spigato.
-Chester Charles Bennington, quante volte ti ho detto che...- inizia Brian appena arriva abbastanza vicino perché i bambini possano sentirlo.
-Ciao Brian.- dice Chester prima che possa sgridarlo davvero -Lui è Mike e si è perso. Possiamo aiutarlo a trovare il suo papà?-
Brian smette di parlare e rimane fermo con la bocca aperta per un po' e a Chester viene da ridere, perché i grandi devono essere stupidi per davvero se non sono nemmeno capaci di chiudere la bocca quando smettono di parlare.
-Ma certo che possiamo aiutarlo, Chester.- dice Jessica, prima di tirare un gomitata a Brian per fargli capire che deve chiudere la bocca.
Lui la guarda male, e poi guarda di nuovo Chester.
-Io voglio aiutarlo.- dice sedendosi vicino a Mike sulla panchina.
Suo fratello li guarda come se fossero due ragni e stesse cercando di decidere se schiacciarli oppure no, ma alla fine fa la faccia di chi ha perso, e dice "Va bene, lo aiutiamo, ma poi la smetti di rompere".

[***]

La seconda volta che Chester vede Mike ha ancora sei anni, ed e passato poco più di un mese dalla prima volta. Questa volta è in una scuola, e non capisce proprio perché suo fratello abbia voluto per forza portarlo lì: chi lo aiuterà con i lavori di casa, e chi giocherà alla PlayStation con lui se Chester deve andare a scuola? Suo fratello è perso senza di lui, e lo sanno tutti. Anche quell'antipatica della sua ragazza.
È appena entrato nella sua classe, quando vede Mike: è rannicchiato in un angolino e ci sono dei bambini più grossi che lo stanno prendendo in giro. Chester si arrabbia subito: Mike è suo amico, e non gli piace che qualcuno lo prenda in giro. Va verso di loro e cerca di fare una faccia cattiva: gli altri gli dicono di farsi gli affari suoi e tentano di mandarlo via, ma quando Mike lo vede gli si nasconde dietro, e gli altri se ne vanno. 
-Ciao Mike.- gli dice appena restano da soli nell'angolino.
-C... ciao Chester.- dice Mike -Quelli sono cattivi. Mi hanno detto che sono una femminuccia.-
Non fanno a tempo a dirsi altro, perché la maestra entra, e si devono sedere. Si mettono nello stesso banco, e Chester vede che Mike ha un'astuccio rosa con disegnato sopra un gatto... forse in fondo è davvero un po' una femminuccia.

[***]

Dopo la seconda, Chester ha perso il conto delle volte in cui ha visto Mike, perché ha cominciato a vederlo tutti i giorni: sono diventati compagni di banco, e con il tempo ha capito che un po' una femminuccia lo era sul serio, e ha perso il conto anche delle volte in cui gli è toccato difenderlo dai loro compagni. Maledetti bastardi. 
Ha perso il conto anche delle volte in cui si sono trovati a giocare fuori da scuola, e di tutte le volte che suo fratello ha giocato con loro i loro stupidi giochi di guerra da bambini e li ha chiamati piccoli soldati, anche se quello che si divertiva più di tutti alla fine era lui.
D'altronde doveva essere maledettamente divertente, quando giocavi contro due marmocchi di cui uno totalmente incapace di essere violento.
Comunque, con gli anni la situazione è migliorata: adesso sono al settimo anno*, lui ha quasi tredici anni e Mike ne ha dodici... e quanto meno ha imparato a difendersi da solo. 
La verità è che quello stupido ragazzino è troppo buono per questo mondo schifoso, e che non sarebbe capace di fare male nemmeno a uno scarafaggio, ma che Chester gli vuole troppo bene per abbandonarlo a se stesso... e che comunque suo fratello gli ha insegnato qualcosa sull'onore, e non si lascia da solo davanti al nemico qualcuno che più di qualche volta ti ha lasciato copiare il compito di matematica per salvarti dall'ennesima F: sarà anche vero che Mike è andato a scuola un anno prima con la scusa che è nato a Febbraio, ma Chester potrebbe giurare che è un maledetto genio... o almeno che di sicuro è un botto più intelligente di lui.
La verità è che si farebbe ammazzare per lui, ma non l'ha mai detto a nessuno.
È tipo la milionesima giornata di scuola che passano assieme. Il compleanno di Mike è passato da poco, ed è quasi San Valentino.
È l'anno in cui quasi tutti i suoi compagni si accorgono che esistono le ragazze. 
È l'anno in cui lui rischia seriamente di farsi bocciare in matematica e la scampa all'ultimo.
È l'anno il cui la madre di Mike impara a fare le meringhe, e ci prende talmente gusto che per mesi si mette a fare meringhe ogni volta che ha un paio d'ore libere, e quindi Mike gli passa sempre qualche meringa per merenda.
E a quanto pare è il giorno in cui Mike si mette a scrivere cose a caso su un foglio rosa e ignora senza pietà il suo povero e annoiato compagno di banco.
-Cosa stai facendo?- gli chiede mentre la professoressa di inglese scrive altre cose a caso sulla lavagna.
-Scrivo un biglietto.- risponde Mike continuando a guardare il foglio davanti a lui come se dovesse prendere vita da un momento all'altro e volare via verso il tramonto cinguettando.
-Per chi?-
-Per Anna Hillinger.- dice sottovoce, come se avesse paura di farsi sentire -Non trovi che sia stupenda?-
Chester sbuffa, perché col cacchio che Anna Hillinger è stupenda: Anna Hillinger è una ragazza, e le ragazze non sono stupende. Le ragazze sono una rottura di palle e basta, e lui davvero non capisce perché all'improvviso tutti i suoi compagni si stiano rincretinendo. Persino Mike, cacchio. Persino Mike!
-Sì.- sbotta -Sì, è stupenda.-
-Non ti piace?- chiede Mike, e la sua innocenza è qualcosa che scioglie il cuore, davvero.
-Sì, è carina.-
-Non capisco cos'hai contro le ragazze. Non sono così male in fondo.-
-Smettila Mike. Hai dodici anni, cacchio: non sai neanche cos'é una ragazza.-
-Perché, tu sì?-
-Bennington, Shinoda, la volete piantare di chiacchierare per conto vostro? Gradirei che iniziaste a seguire la lezione.- li richiama la professoressa.
-Rispetta un po' di più chi è più vecchio di te, Mickey.- gli dice appena lei torna a guardare la sua stupida lavagna.
-Ma se hai solo un anno più di me!-
-Ciò non toglie che sono più vecchio io. E che sono anche più alto.-
-Vaffanculo, Chester.-
-Non dire parolacce, ragazzino.-

[***]

La prima volta che Chester bussa alla porta di Mike a notte fonda ha quindici anni, ed è passata l'una da un po'.
È l'anno in cui comincia a fumare perché lo fanno tutti, anche se l'odore del fumo gli fa schifo e anche se continua a non essere sicuro che gli piaccia. 
È l'anno in cui si rende conto che non riesce a guardare le ragazze come fanno tutti gli altri, anche se ci prova con tutto se stesso ad essere normale.
È l'anno in cui Mike comincia ad ammazzarsi di serie tv e diventa un nerd del cazzo che parla di Doctor Who ventiquattro ore su ventiquattro.
Ed è la notte in cui Brian torna a casa dal lavoro ad un ora assurda e gli dice di volersi arruolare, e lui scappa senza neanche guardarlo in faccia: nemmeno gli lascia finire la sua fottuta schifosissima frase prima di fiondarsi fuori, saltare sullo skate e sfrecciare via il più veloce possibile, perché non gliene frega un cazzo delle sue motivazioni, e tutto quello che sa è che suo fratello lo sta abbandonando.
Quando arriva davanti a casa di Mike ringrazia il cielo che il suo migliore amico viva in una casa con un piano solo e che la sua camera abbia una porta che da sul giardino, perché per quando i suoi genitori possano essere adorabili, se vedesse un adulto adesso quasi sicuramente gli spaccherebbe il culo. Tipo senza pietà.
Mike probabilmente lo stava aspettando, perché apre la porta e lo abbraccia prima ancora che lui faccia a tempo a bussare due volte, e Chester non sa esattamente perché, ma appena lo vede capisce esattamente quanto male si sente, e gli viene da piangere, perché cazzo: suo fratello sta andando a farsi ammazzare.
-Brian si arruola.- bofonchia con voce rotta nascondendo la faccia nella sua spalla.
Adesso sono più o meno alti uguali, e quindi è una posizione comoda.
-Lo so.- risponde Mike, e Chester capisce che probabilmente suo fratello gli ha telefonato, e che forse lo stava davvero aspettando dietro la porta, quando è arrivato.
-È l'unica famiglia che ho...- 
Si morde le labbra e fa di tutto per non piangere, perché è vero che ha un padre, ma è anche vero che non è mai servito a granché, e che se lo conoscesse un po' meglio probabilmente lo odierebbe, e che non vuole restare solo.
-Non è vero.- 
Mike comincia ad accarezzargli piano la nuca, e a Chester parte un brivido strano.
-Ci sono io.- aggiunge piano.
E lì Chester comincia a piangere sul serio, e realizza per la prima volta che forse Mike è un po' più del suo migliore amico.

[***]

La seconda volta che Chester bussa alla porta di Mike a notte fonda ha sedici anni compiuti da poco, il labbro spaccato, la faccia ricoperta di sangue e il cuore in mano. Non sa che ora sia.
È l'anno in cui lui prova a smettere di fumare, ma non ci riesce. 
È l'anno in cui Mike sta con Anna Hillinger per un paio di mesi e poi decreta che è una stronza senza cuore. 
E l'anno in cui cominciano ad andare in giro di sera, e la madre di Mike si fida a lasciarlo uscire solo se c'é anche Chester. 
È l'anno in cui Chester comincia ad accettarsi per quello che è e prova a conoscere qualche ragazzo.
È l'anno in cui Mike decide che vuole studiare arte.
Ed è la notte in cui suo padre è fuori di pattuglia, e verso mezzanotte lo sgama premuto contro a un muro in un vicolo dietro a un locale mentre bacia un tizio che si chiama Samuel con cui ha cominciato a uscire da un po', e decide di spiegargli a pugni quanto i froci gli facciano schifo.
Questa volta Mike non lo sta aspettando e ci mette un po' ad aprirgli, ma quando lo fa non c'é bisogno di dirgli niente, se non "Non sapevo dove altro andare".
Ha un pigiama blu così enorme che praticamente ci sta nuotando dento, ha i capelli tutti spettinati, gli si vede il segno del cuscino sulla guancia e ha gli occhi mezzi chiusi, ma appena vede Chester scatta come una molla, e lui lo sa che ha capito.
Perché Mike è un cazzo di genio, e capisce sempre tutto.
La prima cosa che fa è prenderlo per mano e tirarlo in camera sua, accendere la luce e portarlo in bagno. Gli lava via il sangue dalla faccia senza dire una parola, ma a Chester va bene così: si sente così schifosamente vuoto, rotto e insignificante che non ha voglia di parlare. 
-È stato tuo padre?- si sente chiedere sottovoce mentre un panno umido gli ripulisce l'ultimo taglio sulla tempia.
E lui continua a non avere voglia di parlare, e si limita ad annuire.
-Dio, Chazy...-
E si vede che Mike si sente male per lui. Perché è una persona talmente sensibile e talmente buona che non riesce a non stare male quando vede gli altri stare male. 
La cosa divertente è che lui non si sente nemmeno male: la luce bianca che si riflette sulle piastrelle bianche del bagno gli punge gli occhi, e la faccia gli fa un male cane e tutto sembra maledettamente freddo, ma male non è la parola che userebbe per descrivere il modo in cui si sente. Si sente solo fottutamente vuoto, e triste, e stanco, e sbagliato, ma non male.
Quella notte resta a dormire lì: non ha voglia di tornare a casa e se anche ne avesse Mike non ce lo lascerebbe andare. 
Il suo migliore amico lo tiene stretto tutta la notte, come se avesse paura di vederlo scappare via da un momento all'altro, e lui non ha il coraggio di dirgli che ha il dubbio di avere una costola rotta e che il petto gli fa un male fottuto, o che comunque non vorrebbe mai andare da nessun'altra parte, ma forse in fondo va bene così... perché lì c'é Mike, quindi va per forza bene. Almeno per adesso.
La mattina dopo si svegliano presto. Chester si ferma a far colazione, e riesce persino a scherzare un po'. La madre di Mike lo coccola come se fosse anche sua madre... e in un certo senso un pochino è come se lo fosse sempre stata: quella donna è talmente dolce che fa salire il diabete, ma sa il fatto suo... probabilmente sa della sua cotta persa per suo figlio, e ogni tanto si ritrova a ringraziare che finora non si sia mai fatta problemi.
Torna a casa verso le otto, e suo padre è seduto sulla poltrona in salotto a guardare il telegiornale. Non gli rivolge la parola, non lo guarda, non fa niente: continua a fissare la tv e a fare finta che lui non esista, mentre corre in camera con l'intenzione di non uscirne più.

[***]

La prima volta che Brian torna a casa, Chester ha diciassette anni, ed è quasi Natale.
È l'anno in cui conosce Gerard e ci sta assieme per un po', finché lui non conosce Frank, e entrambi non capiscono che forse come amici funzionavano meglio.
È l'anno in cui nevica ad Aprile, e tutte le scuole rimangono chiuse per tre fottuti giorni, perché: Dio, non è possibile che nevichi ad Aprile, cazzo.
È l'anno in cui Mike prende la patente, e il giorno in cui Brian torna a casa Chester si fa un culo così per convincerlo a posare le sue manine da artista sul volante della Camaro di suo padre e guidare fino all'aeroporto militare per andare a prendere Brian. La verità è che il povero Mickey ha una paura dannata di guidare, ma non se la cava poi così male.
Brian arriva che è passato da poco mezzogiorno. Loro due sono seduti sul cofano della macchina, Chester sta fumando la terza sigaretta della giornata e fa un freddo fottuto, ma il cofano è ancora tiepido, e almeno hanno le chiappe al caldo.
Suo fratello sembra più vecchio. Tipo fottutamente più vecchio. Ha trent'anni adesso, ma la sua espressione ha qualcosa di stanco in un modo inquietante.
Li saluta e li abbraccia tutti e due, e la stoffa della sua divisa è ruvida sotto le dita e ha addosso l'odore del deserto, ma vederlo è bello lo stesso, e quella che passano insieme è probabilmente la giornata migliore dell'anno: mangiano a casa e Brian fa degli hamburger così buoni che Chester non riesce a non riempirsi fino a scoppiare, e poi vanno al cinema, e vedono il primo film che sembra anche solo minimamente interessante, anche se alla fine si rivela essere una puttanata. 
Ridono, scherzano, si divertono e sembra così tanto di essere tornati a quando erano piccoli e andava tutto bene che ogni volta che Chester si ferma a pensarci fa quasi male.

[***]

La prima volta che Chester sente Mike bussare alla sua porta di notte ha diciotto anni e ha gli occhi gonfi, gli tremano le gambe e fa fatica a respirare. Si è infilato addosso una felpa dei Foreigner anche se fa un caldo colossale, e ha comunque freddo.
È l'anno in cui prendono il diploma, e progettano di passare l'estate in giro per gli Stati Uniti a fare casino.
È l'anno in cui Mike passa il test per entrare all'università, e Chester si sente morire perché presto non lo vedrà più tutti i maledetti giorni.
È l'anno in cui cerca in tutti i modi di smettere di essere innamorato di lui e di trovarsi qualcuno per davvero, e fallisce miseramente.
È l'anno della ribalta: l'anno in cui diventa maggiorenne e libero di fare quel cazzo che vuole della sua vita, e di amare chi gli pare e piace, e chissenefrega di quello che dice suo padre.
Ed è la notte in cui gli telefonano per dirgli che è morto suo fratello, e lui si chiede che fine abbia fatto il maledetto soldato con il manico di scopa nel culo che ti suona alla porta e ti mette in mano una cazzo di bandiera e ti dice che tuo fratello è stato un fottuto eroe. 
Sbatte il telefono di casa sul bancone della cucina e caccia un urlo e scoppia a piangere come un isterico, perché cazzo: suo fratello non può essere morto. Ci sono miliardi di soldati in quel cazzo di Medioriente che avrebbero potuto crepare al posto suo... perché proprio lui?
Quando Mike comincia a bussare sono passate delle ore, e Chester ha le nocche della mano sinistra insanguinate, la felpa dei Foreigner macchiata di lacrime e ha bevuto così tanto che si sente come se la sua cazzo di testa dovesse esplodergli da un momento all'altro. È accasciato in salotto, sulla poltrona di suo padre, e lo sente che bussa e che lo chiama, ma davvero: non ce la fa ad alzarsi. A mala pena ce la fa ad alzare l'ennesimo bicchiere di whisky.
Non sa nemmeno quale oscura forza della natura lo tiri su da quella maledetta poltrona e lo trascini verso la porta, sa solo che appena apre Mike praticamente gli salta addosso e lo abbraccia così stretto che le costole gli fanno male e che l'equilibrio gli barcolla e le gambe minacciano di cedergli. E all'improvviso si sente ancora più ubriaco, perché Mike è caldo e morbido ed è fottutamente più alto di lui anche se è più piccolo e lui ha diciannove anni ed è talmente dannatamente ridicolo che gli basti un abbraccio per sentirsi così, che gli viene voglia di andare a vomitare. 
Non sa nemmeno perché reagisca così, ma neanche tre secondi dopo sta piangendo come una fontana, di nuovo, e poco importa che probabilmente stia praticamente piangendo alcool: non riesce a smettere, e Mike gli accarezza la nuca come fa sempre quando sta male, e gli dice che gli dispiace e che vorrebbe tanto poter fare qualcosa. 
Rimangono lì sulla porta per quelle che sembrano ore, finché il fottuto fiume che si stava srotolando giù dalle sue guance non si è asciugato quasi del tutto, poi Mike gli batte un paio di colpetti leggeri sulla spalla e lo spinge gentilmente dentro casa. Chiude la porta dietro di sé e accompagna Chester di sopra, in camera sua, un po' trascinandolo e un po' sostenendolo. Ed è in questi momenti che Chester capisce perché è innamorato perso di lui: Mike è l'unico povero sfigato che non lo lascia mai indietro, l'unico che fa sempre di tutto per farlo stare bene. Anche adesso, mentre lo aiuta a stendersi sul letto, lo fa con una delicatezza tale che pare quasi che abbia paura di romperlo. Ridacchia un po' al pensiero, perché ha proprio l'aspetto di un fottutissimo rametto scheletrico, di quelli che si rompono anche solo guardandoli. Chester è sempre stato magro, e porta gli occhiali da quando ha quattordici anni e nel complesso non ha mai avuto una costituzione granché robusta. Adesso poi è anche ubriaco, e probabilmente sembra ancora di più un rottame, mentre Mike è lì, seduto a fianco a lui, e anche se é un po' sfocato dalle lacrime e dalla penombra idiota che regna nella stanza sembra comunque un dio con gli occhi a mandorla ma non troppo, e le due ciocche rosso sangue che ha fra i capelli gli danno l'aria da figo tenebroso, anche se in realtà è un cazzo di nerd senza speranza. 
-Come stai?- gli chiede appena si accorge che lo sta fissando.
Chester borbotta qualcosa che non ha un minimo di senso logico.
-Come mai sei venuto qui?- riesce a domandare alla fine.
-Ho saputo di Brian perché l'ho sentito da mia madre, che lo aveva sentito dai vicini, che lo avevano sentito da non so chi. Ho provato a chiamarti un botto di volte, ma non rispondevi e mi è partita l'ansia.-
-Scusa. Non volevo farti preoccupare.-
-Non fa niente.-
Mike si stende a fianco a lui, e Chester non riesce proprio a tenere a freno il suo lato da frocio represso non poi tanto represso e gli si accoccola addosso.
-Grazie, Mickey.-
-Di niente, Chazy.-
Quando si svegliano la mattina dopo, sul tardi, suo padre non è ancora tornato. Mike dice che forse ci sono stati problemi alla centrale di polizia, ma Chester lo sa che non è vero, e che probabilmente il vecchio bastardo è svenuto in qualche vicolo giù in centro: perché a Brian voleva bene. Prima di quella notte quando aveva sedici anni, Chester è sempre stato il figlio quasi sconosciuto, quello che non vedeva mai e che non aveva nemmeno troppa voglia di vedere, mentre poi è diventato il frocio figlio di puttana di cui vergognarsi e da pestare a sangue ogni tanto... ma a Brian voleva bene. A Brian ha sempre voluto bene, perché era quello normale: quello che ogni tanto gli faceva credere di non aver cannato tutto come padre, e adesso Brian non c'é più. 

[***]

Chester ha diciannove anni quando esce di casa con lo zaino in spalla e l'intenzione di non tornare più. 
È l'anno in cui Mike parte per l'università.
È l'anno in cui conosce un ragazzo stupendo che si chiama Jared e che riesce a essere allo stesso tempo completamente fuori di testa e fottutamente adorabile, ma non ci prova nemmeno perché ormai ha smesso addirittura di sperarci.
È l'anno in cui suo padre comincia a far fatica a passare due giorni senza ubriacarsi.
È l'anno in cui tutto va di merda.
Ed è il giorno in cui ha deciso di andarsi ad arruolare.
È mattina presto, le cinque, più o meno, e in una qualsiasi altra occasione avrebbe considerato una cazzo di bestemmia essere sveglio a un'ora del genere. 
Quando chiude la porta,  Mike è fermo sul vialetto, che lo aspetta. Si è tagliato i capelli, e nell'ultimo anno le guance paffute da bambino e gli occhioni sperduti sono andati a farsi fottere: adesso è un diciottenne dallo sguardo sicuro e dolce che si veste come un boscaiolo dark e porta il pizzetto da figo, ed è bellissimo, e... non ha un cazzo di motivo di essere lì seduto sul suo muretto alle cinque del mattino, soprattuto visto che la sua università è a qualcosa come tre cazzo di ore di macchina e che deve aver guidato per metà delle ore in cui di solito dorme per arrivare lì.
È una mattinata davvero del cazzo. Io cielo è grigio, c'é un po' di nebbia e il mondo ha quell'aspetto umido e cupo che ha sempre nelle giornate di pioggia, e Mike quasi si confonde con il grigiore di tutto il resto, con quella maledetta camicia di flanella e i jeans neri.
-Ti arruoli?- chiede.
Chester annuisce, e appoggia il suo zaino a terra, perché potrebbe essere l'ultima volta che lo vede, e in fondo è davvero fottutamente presto. Non domanda nemmeno come cazzo faccia Mike a saperlo: sarebbe capace di rispondergli che se lo è sognato, o che glielo ha detto un uccellino.
-Perché?- 
-Perché è quello per cui è morto mio fratello. Lui credeva in questa merda, ed era la mia famiglia: glielo devo, Mickey.-
-Sei un coglione, Chester.- 
-Lo so.-
Mike sospira, e si alza dal muretto e gli si para davanti, e per la prima volta da quando lo conosce, Chester ha seriamente paura di prenderle... solo che lui più che incazzato sembra disperato.
-Cosa cazzo credi di ottenere, eh?- sbotta -Cos'é, credi che se andrai a farti ammazzare da qualche parte in culo all'universo Brian tornerà magicamente tra i vivi trascinato giù dal Paradiso da un cazzo di coro angelico?-
E Chester lo vede che sta male: lo vede che sta cercando in tutti i modi di non piangere e lo vede che gli sta spezzando il cuore, ma cosa può farci? Perché non è una decisione presa a caso: ci ha pensato, per mesi, cazzo, e deve farlo, per suo fratello, ma... anche per se stesso, perché diciamocelo: in quel fottuto buco di città dimenticata da Dio non è rimasto più un cazzo per lui. 
Suo fratello se n'é prima andato e poi ci è restato, suo padre lo odia e nemmeno gli rivolge la parola, i suoi amici sono cresciuti e si sono fatti una vita e Mike... Mike va a una cazzo di università a tre ore da lì e lui non può nemmeno andarlo a trovare perché non ha una fottuta macchina e gli manca così dannatamente tanto che fa fatica a guardarlo.
La triste verità è che Chester è una persona schifosamente sola e che non sa che cazzo farsene della sua fottutissima vita... e a quanto gli hanno sempre raccontato praticamente tutti gli sfigati come lui vanno a finire nell'esercito... forse persino suo fratello.
-Sei venuto qui solo per dirmi che sto facendo una cazzata?-
E davvero, non vuole suonare così stronzo, ma... ma forse così farà meno male. Sia a lui che a Mike... perché non vuole che Mike stia male: Mike non deve stare male.
-No.- ribatte Mike -Sono venuto a dirti che stai facendo una cazzata e... che vengo con te.-
Chester quasi si strozza con la sua stessa aria.
-'Sto cazzo!- esclama -Mike, tu non puoi venire! Hai l'università... e la tua famiglia e...-
-Chester, tu fai parte della mia famiglia... e lo so che sei una testa di cazzo e che non si può convincerti a fare niente... ma col cazzo che ti lascio andare in guerra da solo. Sei mio fratello, Chaz, e se non posso fermarti... allora vengo con te.-
Quello che si prova a sentirsi dire una cosa del genere è qualcosa di assurdo: da una parte fa un male fottuto, perché anche se Chester lo ha sempre saputo che a Mike piacciono le ragazze, sentirti chiamare fratello da uno per cui hai una cotta persa da quando hai quindici anni non è esattamente il massimo, mentre dall'altra sa che se lo considera un fratello vuol dire che ci tiene veramente a lui, ed è quasi una bella sensazione.
-È un tentativo di dirmi che se ho voglia di farmi ammazzare farò ammazzare anche te?-
-No: è un tentativo di dirti che se hai intenzione di farti ammazzare, io sarò lì pronto a salvarti il culo.-
-Come sempre.-
-Come sempre.- conferma Mike.
Chester sospira, e lo guarda negli occhi. 
Mike ha sempre avuto degli occhi particolari: la forma appena appena allungata tradisce le sue origini giapponesi, e sono abbastanza scuri che nella luce grigia di quella mattinata di merda sembrano quasi neri. 
Da bambino faceva una fatica boia a guardare in faccia le persone. Forse anche perché era fottutamente iperattivo e non riusciva a stare fermo neanche per cinque secondi di fila, ma restava il fatto che da piccolo Mike non guardava mai negli occhi nessuno, a meno che non fosse maledettamente triste o incazzato. 
In questo momento lo sta guardando. Fisso. Chester si domanda se anche lui abbia quel tipo di sguardo ogni volta che si becca a fissarlo senza accorgersene: triste, sbiadito.
-Pensavo che fossi uno spigato.- gli scappa.
E davvero, non ha fottutamente idea di perché lo abbia detto. Forse perché non ce la faceva più a reggere il suo sguardo.
-Cosa?- chiede Mike interdetto.
E Chester lo capisce: ha tutto il diritto di non aver capito un cazzo.
-La prima volta che ti ho visto, tredici anni fa, in quel centro commerciale sulla Quattordicesima. Per un attimo ho pensato che fossi uno spigato.- prova a spiegare -Cioè, in realtà intendevo uno sfigato, ma ero piccolo e non sapevo dirlo bene, e tu portavi quel maledetto maglione color senape e ti dava l'aria da... da spigato!-
-Perché me lo stai dicendo adesso?-
-E io che cazzo ne so? Forse diventeremo davvero dei piccoli soldati, quindi perché le cose dovrebbero avere senso?-

[***]

La prima volta che Chester prende una pallottola, la prende il giorno del suo compleanno.
È l'anno in cui compie ventun'anni.
È l'anno in cui si registrano le più grandi precipitazioni in Iraq da vent'anni, e dormire con il culo all'asciutto diventa solo un lontano ricordo.
È l'anno in cui Mike comincia a fumare per cercare di scaricare l'ansia.
È l'anno in cui gli altri cominciano a non voler più Chester nel giro di poker perché tanto vince sempre lui ed è statisticamente impossibile che ci riesca senza barare.
È il fottuto compleanno peggiore della sua merdosissima esistenza.
È riparato dietro a una lamiera, nel bel mezzo di un cazzo di villaggio dalle parti di Mosul, assieme a Mike e a Billie Joe Armstrong, con solo una Beretta 92 ** e due caricatori a testa, per un totale di cinquantaquattro colpi... che possono anche sembrare tanti, se non sei nascosto dietro una lamiera in un villaggio dalle parti di Mosul che si è rivelato essere un covo di terroristi e dall'altra parte non si sta scatenando il fottuto Inferno.
-Doveva essere solo una retata per controllare che non nascondessero esplosivi, Cristo!- sbotta Billie Joe -Solo una fottutissima retata!-
-Chiudi quella fogna, Armstrong!- ribatte Mike -Se mi lasci pensare, forse riesco a salvarti il culo anche da questo schifo.-
Sporge la testa oltre la lamiera, per vedere com'é la situazione, e Chester lo vede saltare all'indietro, mentre una pallottola gli passa a dieci centimetri dall'elmetto.
-Se riusciamo a capire da dove Cristo stanno sparando posso fornirvi fuoco di copertura finché non raggiungete gli altri dall'altra parte della strada.- borbotta togliendosi la polvere dalla faccia.
-E tu?- 
-In qualche modo me la caverò, Chaz.-
-Eh no, col cazzo che ti lascio qui.-
-Senti Bennington, con tutto il rispetto: potreste mica fare gli innamorati in un altro momento? Ho una ragazza che mi aspetta, a casa, e mi piacerebbe arrivare da lei ancora vivo.- si intromette Billie.
-Chiudi quella fogna, Armstrong.- sbotta Chester.
La prossima cosa che sa è che all'improvviso tutto diventa sfocato. I suoni diventano strani, come quando ti esplode un petardo praticamente sull'orecchio, e un dolore assurdo gli si spande dalla spalla a tutto il resto del corpo. Non capisce che cazzo stia succedendo.
Sente qualcuno urlare il suo nome, e poi il sapore di polvere in bocca, mentre cade a terra, e si mette a sperare disperatamente di svenire, ma non succede: la vista è andata quasi completamente, ma ci sente ancora abbastanza bene, e la spalla fa un male fottuto, e più che sentirsi svenire, è come se sentisse la propria coscienza scivolargli lentamente via dalle mani. E forse urla. Non lo sa nemmeno lui. Sa solo che a un certo punto si ritrova a dirsi Ma tu guarda che merdata. Guarda se non dovevo essere uno di quel figli di puttana che muoiono il giorno del proprio compleanno. Che compleanno di merda. e pensa a Mike, e si sente uno schifo, perché sa che quello stronzo non lo perdonerà mai. 
Si addormenta.
E poi si sveglia anche, e svegliarsi era l'ultima cosa che si aspettava di fare. Si sveglia steso su una cazzo di branda mezza sfondata, comoda più o meno quando un palo di scopa su per il culo infilata assieme a una decina di altre brande identiche dentro uno stanzone con le pareti scrostate e ammuffite. 
È nella cazzo di infermeria, Cristo Santo. Sperava di non finirci mai.
Mike è seduto su una sedia, accanto a lui. Ha tolto la camicia della divisa, e porta solo una maglietta grigia di cui lui però vede solo la schiena, perché quel maledetto ragazzino ha avuto la brillante idea di appoggiarsi alla sua branda e farsi un pisolino. 
Chissà per quanto tempo è stato in quella maledetta infermeria. 
Tenta di mettersi seduto, ma la spalla gli fa un male dannato, e opta quindi per rimanere nella posizione in cui è e fissare Mike che dorme come un maniaco. Sembra più sereno quando dorme, anche se in questo momento ha gli occhi gonfi e rossi e probabilmente ha pianto. Pianto per lui.
Chester odia quello che la guerra gli sta facendo: Mike non è mai stato una persona violenta. Da piccolo era il tipo di bambino che piangeva se vedeva un piccione morto per strada. Lui la violenza non l'ha mai capita, e non è giusto che una persona come lui sia qui. Ogni tanto Chester si odia per avercelo trascinato: è tutta colpa sua se si trovano in mezzo al fottuto Iraq, ma ormai non c'é niente che possano fare, se non stringere i denti e andare avanti. Si odia perché praticamente ha trascinato il suo migliore amico all'Inferno... eppure è stato lui a voler venire. È stato lui.
La guerra li sta cambiando, tutti e due. Mike è diverso da quando sono partiti, due anni fa: è più serio, è più stanco ed è più adulto, e Chester proprio non ce la fa a non guardarlo con gli occhi lucidi ogni volta che può, ringraziando Dio (sempre che esista) per averlo fatto sopravvivere un altro giorno. Perché non gliene frega niente di se stesso, ma Mike... Mike deve tornare a casa. Deve finire la sua cazzo di università e trovarsi una ragazza e... e essere felice, cazzo. Mike dev'essere immortale, come lo era il piccolo soldato che era quando era piccolo.
Però... quella fottuta pallottola, quel fottuto Inferno nella sua spalla... cazzo, forse non sono più i piccoli soldati di suo fratello. Né lui, né Mike. Forse non sono più bambini che credono di essere immortali. Forse ci moriranno in questa cazzo di guerra.

[***]

Il 27 Aprile del sue ventitreesimo anno di vita Chester se lo ricorderebbe per sempre, se gli restassero più di ventiquattro dannate ore da vivere. 
È in mezzo al fottuto deserto, a migliaia di chilometri da casa sua, seduto su un cazzo di muro a bollirsi la faccia sotto il sole rovente mentre pulisce la sua pistola.
È finita.
La sua guerra, la sua vita, tutta la merda che gli si è rovesciata addosso nel corso degli anni: è tutto finito, cazzo. O meglio, lo sarà entro ventiquattrore. Perché quello che stanno per fare è un fottuto suicidio, e lo sanno tutti: lo sanno gli altri, lo sa il capitano, lo sa Dio e Chester ci scommetterebbe l'anima che lo sappiano anche i figli di puttana che hanno firmato l'ordine di assegnare quella missione alla loro squadra. 
Li stanno letteralmente mandando a morire, Cristo. Chissà se domani suo padre si ritroverà un soldato con un palo su per il culo e una bandiera tra le braccia sulla porta di casa. Sarebbe una scena divertente da vedere.
Gli altri sono tutti quanti dentro la base, a riempirsi d'alcool e a mangiare come bestie, sperando di dimenticarsi del fatto che stanno per crepare tutti quanti. Una volta Gerard gli ha detto una cosa che sembra stare bene in questo contesto, qualcosa tipo E alziamo i bicchieri, perché domani moriamo. Forse è quello che stanno facendo loro, anche se probabilmente Gee non la intendeva in quel senso.
Gli sfugge un sorriso amaro ripensando a lui: è stato l'unico ragazzo serio che abbia mai avuto, e Cristo, era fuori come un balcone, ma era fantastico.
-Perché sorridi?- si sente chiedere.
Mike si siede sul muro di fianco a lui, e guarda verso il tramonto e Chester si sente uno schifo a guardarlo, perché domani saranno morti tutti e due, ed è tutta colpa sua.
Ed è colpa sua anche se Mike sembra più vecchio e più stanco e se la divisa gli casca addosso, perché negli ultimi tempi non si riesce nemmeno a mangiare come si deve. È colpa sua se ha la faccia bruciata dal sole e lo sguardo devastato, e le mani piene di cicatrici.
-Non lo so...- borbotta mentre distoglie lo sguardo e infila il caricatore nella pistola -Pensavo a Gerard, e... mi è venuto naturale. Te lo ricordi Gerard Way?-
-Oh sì, come dimenticarlo. La prima volta che l'ho visto credevo che fosse uno sciroccato, e non capivo proprio perché cazzo ti piacesse.- risponde Mike.
-Adoravo il modo in cui cantava.-
E cazzo, é vero. Sono anni che non ci pensa, ma Gerard aveva questo tick stranissimo e ogni tanto si metteva a canticchiare canzoni che esistevano solo nella sua testa.
-Un po' sciroccato lo era davvero- ammette -Però era anche maledettamente simpatico.-
-Lo sai, nel periodo in cui stavi con lui credevo veramente che avessi trovato l'amore della tua vita.-
Chester ridacchia, perché è una cosa talmente ridicola... Gerard gli piaceva, ok. Gli piaceva da morire. Ma non andava oltre quello. L'unico che sia mai andato oltre il piacergli è Mike, ma Mike è un caso a parte.
-Avevo diciassette anni, Mickey.- dice.
-E allora?-
-E allora ero un pochino giovane per trovare l'amore della mia vita.-
O forse un paio d'anni troppo vecchio pensa mentre cerca di mandare giù il groppo amaro che gli si è formato in gola.
-Mi dispiace...- borbotta.
Mike si gira verso di lui, e lo guarda interdetto per un secondo.
-Per cosa?-
-Per tutta questa merda. Se non fossi un così emerito coglione, forse saremmo arrivati a compiere novant'anni.-
-E morire in un letto come codardi? Non dire cazzate, Chazy.-
-Non sto scherzando. Domani a quest'ora saremo morti, Mike, e se non fossi stato così tanto uno stupido adolescente incazzato...-
-...non saresti stato tu.- completa Mike al posto suo -Va bene così, Chester. In fondo è stata una mia scelta venire qui con te, no? Non darti colpe che non hai.-
Chester quasi scoppia in una risata isterica, perché è tutto colpa sua, e Mike sta cercando di non fargli pesare nemmeno quello, ed è assurdo quanto quel ragazzino possa essere buono.
-Magari, se fossimo rimasti in America a quest'ora potremmo essere famosi. Che ne so... potremmo avere una band, o altro.- borbotta.
E Mike scoppia a ridere, come se quella fosse la cazzata più abnorme che abbia mai sentito... ed è così assurdo che riesca ancora a ridere così che a Chester viene quasi da piangere. Perché farebbe di tutto, perché Mike possa ridere ancora fra una settimana. Fra due anni, fra cinquanta.
-Una band, Chester? Davvero?-
-Perché no, scusa? E poi, dopo quindici vent'anni di album spaccaculi e soldi a palate potremmo semplicemente prendere e andare a vivere su qualche fottuta isola in mezzo al pacifico. Solo io e te, e il resto del mondo fuori dai coglioni.-
Mike ride ancora.
-Mi uccideresti dopo due giorni, Chester.-
E per un attimo Chester pensa di dirglielo. Dirgli che è innamorato di lui da quando era soltanto un ragazzino del cazzo che aveva appena visto suo fratello vendere il culo all'Esercito... ma poi il momento passa, e lui non dice niente. Perché Mike starebbe peggio se lo sapesse, e probabilmente starebbe peggio anche lui, quindi è meglio portarsi il suo sporco segreto nella tomba, e rimanere zitti fino alla fine.
-Non ti farei mai del male.- borbotta, cercando in tutti i modi di sembrare ironico -Lo sai che senza di te sarei perso.-
-Questo perché sei un bambino.- ribatte Mike sorridendo verso il sole che tramonta dietro le dune di sabbia.
-No...- 
Chester lo guarda, e si sente uno schifo. Veramente uno schifo.
-Sono un soldato.- dice.
Ed è vero: è un fottuto soldato. Lo sono tutti e due.
Due piccoli soldati che non cresceranno mai.




Nella speranza che a qualcuno possa piacere, sempre vostra

Cursed_Soldier
   
 
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