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Autore: Light2015    23/02/2017    0 recensioni
E' quando tutto sembra essersi sistemato che sorgono i veri problemi. Un arresto e un ricatto non saranno le sole questioni che Alex, Nicki, Mark, Cloe e Sam dovranno fronteggiare... un uomo che torna in città, una proposta al momento sbagliato e un segreto tra amici mineranno tutto ciò che di certo è stato negli ultimi due anni. E allora... come what may, qualsiasi cosa accada, verso il gran finale...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
L'arresto


Era trascorso poco più di un mese da quando io e Nicki ci eravamo trasferiti nella villa sulla collina a Malibu. Il trasloco non fu facile perchè dovemmo trasportare tutto noi in macchina in più e più viaggi, dopotutto erano tutti capi e oggetti rubati, non potevamo affidare a nessun'altro un compito simile.
Io finalmente mi sentivo al centro del mondo, avevo tutto. Avevo iniziato anche il Master all'università perchè non riuscivo a stare senza fare niente, soprattutto considerando che Nicki aveva ancora qualche esame da sostenere prima della laurea. Comunque il movimento in casa non ci mancava da quando avevamo Paco, il cucciolo di terranova che mi aveva regalato lei. Onde evitare disastri gli insegnammo a rimanere in giardino nella sua casetta salvo brutte situazioni metereologiche.
Nonostante ci fossimo trasferiti li da più settimane non avevamo ancora chiamato né la mia famiglia, né la madre di Nicki a vedere la casa. Quel giorno ci era sembrato perfetto, eravamo entrambi liberi da impegni, la villa era in ordine ed era una giornata limpidissima il che rendeva la vista sul mare uno spettacolo. Si presentarono i miei genitori e mia sorella maggiore Emily. Ero un po' teso. Sapevo che mio padre non avrebbe mancato di indicare anche il minimo difetto della casa. O mio. Quando arrivarono rimasero invece stupiti dall'enorme open space al piano terra con la vetrata altissima che raggiungeva anche il piano di sopra e dava sul giardino sull'oceano. Mi sentii dannatamente orgoglioso di quella vetrata. Mostrammo loro anche tutto il piano superiore comprendente tre camere da letto, due bagni e uno studio. Erano stupiti e perplessi. Rispiegai loro per la centesima volta la questione dell'omicidio e dell'agenzia immobiliare che non riusciva a vendere. Mi scocciava rispiegarlo ogni volta perchè mi scocciava mentirgli ogni volta sulla questione dei soldi. Non c'era stato nessun mutuo, avevamo pagato in contanti, rubati, ma non potevo certo dirgli quello. L'unica che sapeva la verità era Emily.
Li facemmo accomodare su divano e poltrone davanti alla vetrata.
- “Beh si, devo ammettere che avete fatto un affare” disse mio padre con tono piatto guardandosi intorno. Mia mamma era decisamente più entusiasta: “Sono felice per voi ragazzi, e tu tesoro sei sempre più bella” disse rivolgendosi a Nicki. Loro due andavano molto d'accordo, non era esattamente il tipo di rapporto che ci si aspettava tra fidanzata e 'suocera'.
- “Grazie, sono felice che siate potuti venire finalmente. Abbiamo dovuto sistemare molte cose”
Emily ghignò con uno sguardo complice: “Immagino”. Nicki le sorrise, si erano intese. Anche tra di loro i rapporti erano molto buoni, soprattutto da quando regalavamo a mia sorella borse di Jimmy Choo originali ad ogni compleanno e natale.
Mia mamma non si accorse di niente e iniziò cone le domande scomode.
- “Allora Nicki dimmi, com'è vivere con Alex? Quanti disastri combina al giorno?”
- “Mamma...”
- “Un po'” rise, poi vedendomi semi offeso aggiunse “No è un ottimo casalingo, cucina anche molto bene, prepara delle cene fantastiche”
- “A casa da noi non ha mai messo mano ai fornelli. Nemmeno si faceva il letto”
- “Qui ci prova, ma gli viene sempre male”
- “Scommetto che ci vuole pazienza a viverci insieme” disse mio padre, sapevo che voleva farmi innervosire.
- “No è... divertente” Nicki mi guardò e sorrise. Il 'divertente' era un riferimento a quel giochino con la benda che facevamo ogni tanto. Fermi, fermi! Quando dico 'giochino con la benda' non mi riferisco a qualcosa di sconcio stile 'Cinquanta sfumature di grigio' ma a quella sfida che lei aveva lanciato dopo due giorni che vivevamo li. Io dovevo bendarmi e lei mi faceva girare su me stesso prima di aggrapparsi alla mia schiena, dopodichè iniziava a darmi indicazioni su come arrivare in camera o da un'altra parte, oppure io dovevo indovinare dove mi aveva portato. Diceva che era una cosa che si basava sulla fiducia quindi non potei rifiutare o l'avrebbe presa male. Il problema fu che al primo tentativo, Nicki si distrasse rispondendo ad un messaggio sul telefono e andammo a sbattere contro lo stipite della porta. Anzi, andai a sbattere. Quella prima volta la serata terminò con un sacchettino di ghiaccio sul naso. Per i tentativi successivi la obbligai a lasciare il telefono sul tavolo. Non fu facile nemmeno così perchè veniva da ridere ad entrambi continuamente.
Mia madre si accorse che ci eravamo bloccati a guardarci sorridendo: “Poi vivere qui deve aver migliorato anche i vostri rapporti... voglio dire, in camera da letto.”
Mia sorella ed io urlammo all'unisono: “Mamma!”
Mio papà alzo gli occhi al cielo, Nicki rise.
- “Che c'è? E' normale, siete giovani... e lei è bellissima, è normale”
Suonarono alla porta.
- “Perchè suonano alla porta? Non l'avete chiuso il cancello?” chiesi irritato. Volevo fosse tutto chiuso, sempre.
- “Ah no, forse lo abbiamo solo socchiuso”
Mi alzai svogliato e andai ad aprire. Mi ritrovai davanti quattro agenti di polizia.
- “Lei è Alexander William McHale?”
- “Si...” risposi titubante “Che... che succede?”
- “Lei è in arresto”
- “Cosa?”
- “Per favore ci faccia entrare”. Ma erano già dentro casa, io ero semplicemente bloccato.
Sentii i miei genitori allarmarsi alla vista della polizia. “Che succede?”
- “Nicki!” urlai. Lei arrivò di corsa: “Voglio vedere il mandato”. Un agente tirò fuori un foglio e glielo porse, lei lesse con sguardo scioccato. Mi afferrarono, sentii le manette ai polsi.
- “No, no, c'è un errore!”
- “Signor McHale lei ha diritto a rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà o farà, potrà e sarà usata contro di lei in tribunale...”
- “Oh mio Dio...” mia mamma andò nel panico.
- “Ha diritto ad un avvocato. Se non potrà permettersi un avvocato gliene sarà consegnato uno d'ufficio. Ha compreso questi diritti?”
- “Si ma...”
- “Andiamo, venga con noi”. Mi strattonarono per portarmi fuori.
- “No! Nicki! Nicki!”
- “Alex!” la sentii urlare da dietro.
- “Signorina per favore stia indietro”
- “Nicki! Chiama un avvocato! Chiama un avvocato!”
Vidi le due auto della polizia sul vialetto. Mi costrinsero a salire, tenendomi la testa abbassata e mi chiusero dentro. Guardai la mia famiglia fuori dal finestrino, non sapevo che diavolo fare. Com'era successo? L'auto partì con la sirena accesa e a velocità sostenuta.
Mi portarono al Penitenziario di Los Angeles poco fuori città. Da li si vedevano i grattacieli del centro ma la struttura era vicino all'autostrada in una zona desertica. Guardai i palazzi di vetro stagliarsi contro il cielo azzurro, la città degli angeli. Il paradiso in cui vivevo era un sogno infranto. Arrivai negli uffici scortato dagli agenti. Faceva caldo. Mi spiegarono che avrei dovuto lasciare tutto quello che avevo nelle tasche li da loro e che l'indomani avrei potuto vedere un avvocato. Rimasi in silenzio cercando di capire come fosse successo e cosa potevo fare. Mi condussero in un lungo corridoio dove pensai tenessero persone soggette a custodia cautelare, cioè non un vero carcere. Ma non ne sapevo molto, piuttosto ci speravo.
- “Ecco tu sei qui”
L'agente aprì la cella facendo scorrere l'entrata a sbarre. Entrai lentamente, mi chiuse dentro e se ne andò. Era di pochi metri quadrati. Guardai bene quello spazio, era meno della metà del bagno più piccolo che avevo a casa. Notai la brandina squallida, sentii il cigolio quando mi ci sedetti. Faceva caldo, ero sudato. Ripensai a quell'ultimo mese alla villa. Il giardino sul mare, la piscina, l'aria, il divano comodo, il bagno di marmo, la camera da letto. Ripensai a lei. Mi coprii il volto con le mani, mi veniva da piangere ma ero talmente frustrato e preoccupato da non riuscirci. Stavo perdendo tutto.

   
 
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