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Autore: Kat Logan    23/02/2017    3 recensioni
Esiste realmente la quiete dopo la tempesta?
C'è chi cerca di costruirsi un nuovo futuro sulle macerie del passato e chi invece dal passato ne rimane ossessionato divenendo preda dei propri demoni.
[Terzo capitolo di Stockholm Syndrome e Kissing The Dragon].
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Rei/Rea, Un po' tutti | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
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Lately i've been chasing daylight cause
I don't wanna go
I don't wanna go without you
Think I loved you in another life
Even in the dark
Even when it's cold you stay true
Even hell would feel like heaven
Even hell would feel like heaven with you
 
Shaun Frank & KSHMR feat. Delaney Jane -Heaven
 
 
 
 

Le sirene spiegate dell’ambulanza l’avevano fermata.
Ami a fine turno si stava accingendo ad uscire dalla struttura ospedaliera per raggiungere la sorella e Minako alla cerimonia in onore di Haruka. Non arrivò mai, poiché la voce del paramedico che saltò giù dal mezzo la paralizzò sull’attenti.
«Abbiamo un giovane maschio con una ferita da arma da fuoco».
Gli occhi blu scivolarono sull’uniforme del ferito. Ami trattenne il respiro, strinse a sé la borsetta e poi lo riconobbe.
Aveva un’ottima memoria visiva ed era certa di conoscerlo.
Sadao Chiba aveva partecipato al matrimonio della sorella e aveva brindato con un timido “kampai” durante il taglio della torta, facendo collidere il proprio calice col suo.
«Dottoressa…»
«Come?!» Ami sempre reattiva sul lavoro e nello studio cadde dalle nuvole forse per la prima volta.
«Dobbiamo portarlo dentro. Avete una sala libera? Non c’è foro d’uscita».
«Si. Entriamo». Il coraggio a quattro mani e il passo spedito le fecero fare dietro front.
«Ami!» nell’atrio la voce di Mamoru la bloccò a ridosso dell’ascensore facendo stridere le rotelle della barella.
«Devo cambiarmi!» disse frettolosa lei alludendo alla mancanza del proprio camice.
«Da quante ore sei di turno? Dovresti andare…».
«Non importa. Posso rimanere, sul serio».
Ami chiamò l’ascensore con una spinta dell’indice apprestandosi a tirare fuori dalla tracolla la cuffietta che le permetteva di raccogliere i capelli.
«Davvero ci penso io» il suo mentore insistette gentile.
Ami sospirò ma allo spalancarsi delle porte metallizzate non volle demordere.
«Lo conosco. Rimango».
Mamoru salì al quinto piano con lei.
«Ci siamo già passati…» sospirò guardando i numeri illuminati indicanti i piani.
«Con Minako, intendo. Sei stata brava, ma non deve diventare un’abitudine».
«Non è colpa mia se la gente che conosco viene sempre ferita» Ami abbassò lo sguardo stirando le labbra in un mezzo sorriso che si portava dietro gli strascichi dell’amarezza.
«Sarà una cosa semplice vedrai. Se vuoi rimanere vai al decimo piano. A lui baderò io. Farò un bel lavoro, promesso!» con un pizzico d’ironia nella voce Mamoru non attese risposta e si occupò di portare in sala operatoria Sadao.
 
 
 
 
 
«Agente Ten’ō…» ripeté in un soffio, «suona così bene!». Michiru tirò per la cravatta Haruka con fare languido, mentre con le spalle spinse all’indietro la porta, avanzando nell’ingresso di schiena.
Subito dopo il matrimonio avevano lasciato la casa in stile tradizionale di proprietà della yakuza per trasferirsi in un appartamento tutto loro. Michiru non aveva perso tempo a rendere quel nido d’amore confortevole arredandolo con gusto e lasciando voce in capitolo ad Haruka solo per lo stretto indispensabile. In fin dei conti alla bionda bastava avere una playstation, un maxi schermo e una piccola biblioteca per i libri di suo padre per essere felice, anche perché il miglior pezzo della propria collezione era la sua donna.
«C’era bisogno di mettersi così in ghingheri? Non facevi che distrarmi con la gonna così corta. Non ho capito nemmeno una parola quando mi hanno consegnato il distintivo!».
«Lei è sempre distratta…agente!».
«Bada a come parli!».
«Altrimenti potresti ammanettarmi ora?!».
«Woo, Michiru!» esclamò Haruka avvertendo una vampata di calore e richiudendo l’uscio con un calcio.
«Devo preoccuparmi? Se è l’uniforme potresti far così con tutti i poliziotti che ti capitano sotto tiro».
Michiru ridacchiò dandole un pugno leggero sulla spalla per poi alzarsi sulle punte e darle un bacio sulla sommità del naso.
«Nessuno catturerebbe la mia attenzione. A me piace la divisa addosso a te!».
«Sicura…?» sospirò calda la bionda sul collo dell’altra.
«Ne sono certa».
«E io non ho intenzione di contraddirti». Le mani di Haruka scivolarono sui fianchi della sua attraente moglie per poi finire a carezzarle le cosce coperte dai collant.
«Sarà meglio…» sorrise Michiru prima di lasciarsi andare ad un leggero mugolio di piacere.
«Mancava tua sorella…».
Haruka si scostò appena per poi infilare due dita al di sotto del nodo della cravatta e allentarselo.
«Sarà stata bloccata in ospedale come al solito».  Michiru l’aiutò a toglierla e infilò le dita affusolate al di sotto della giacca dell’altra per poi lasciarla cadere a terra.
«Mancavano anche Rei e Sadao…».
«Sei stata attenta per una che si distrae per colpa del mio vestito…».
«Ops». Haruka ostentò uno sguardo colpevole accompagnato da un sorrisetto furbo e per nulla casto.
«Mi alleno solo a diventare una brava investigatrice».
Si avventò sulle labbra della compagna, saggiandone il gusto e ripassandone la forma a cuore con le proprie.
«E scoprirò ogni suo piccolo segreto signorina Kaiō».
Michiru rise sciogliendosi lo chignon con una mano per poi slacciare i bottoni della camicia ad Haruka.
«E comincerò partendo da cosa si nasconde sotto questo vestito!».
 
 
***
 
 
Minako dovette abbandonare Akira in preda agli isterismi in quello che sarebbe stato il suo locale e per un minuscolo istante si chiese se fosse davvero possibile che un essere umano – dotato di sanità mentale – riuscisse a mantenere il sangue freddo in mezzo alle pallottole e lo perdesse senza possibilità di recupero a causa di un ristorante.
 
Salì sulla metropolitana stando ben attenta a non pestare i piedi a nessuno e attese pazientemente la propria fermata. Risalì il sotto passaggio trovandosi in strada, attraversò l’incrocio vestita ancora di tutto punto per la cerimonia di Haruka e si specchiò nel riflesso di una vetrina che esponeva borse.
Un brivido le attraversò la schiena prendendola di sorpresa al ricordo dell’ultima volta che si era persa a fantasticare d’innanzi ad un negozio.
Si portò inconsciamente una mano all’altezza della propria cicatrice come a fermare una copiosa emorragia, ma subito si riprese nel vedere le dita pulite e smaltate.
Inspirò ed espirò. Stava bene. Stavano tutti quanti bene e avevano ricominciato dal principio.
Quello era il loro “dopo tempesta”. La bufera era cessata e tutti attendevano il loro raggio di sole personale che rischiarasse la propria esistenza.
Minako non era solita rimuginare sul passato e chiusa la paura dentro un cassetto.
Proseguì per la propria strada sino ad entrare in ospedale.
Il suo turno stava per cominciare, per tanto si diresse allo spogliatoio dove ripose i propri effetti personali all’interno dell’armadietto.
Indossò il suo camice, raccolse i capelli in una comoda coda e si accertò di spegnere il cellulare. Fu solo in quel momento che sul display lesse il messaggio di Ami.
 
 
 
Ami si riprese mentalmente per essere rimasta e non aver partecipato al grande momento di Haruka, decidendo di farsi perdonare l’indomani all’inaugurazione dell’attività di Akira.
La stanchezza le pesava sulle palpebre ma il senso di dovere la tenne ancora una volta sveglia.
Scivolò lungo i corridoi accennando qualche sorriso e cenni di saluto alle infermiere o ai medici con cui spesso aveva avuto a che fare fino a varcare la soglia del reparto dove l’aveva mandata Mamoru.
Il decimo piano era un territorio inesplorato ai più e lei non vi aveva mai messo piede sino a quel momento.
Sentì un nodo allo stomaco e uno sconosciuto senso d’inadeguatezza farsi strada in lei, sino a che un giovane dagli occhiali a fondo di bottiglia non bloccò la sua marcia che strada facendo era divenuta più indecisa.
«Lei è…».
«Ami Mizuno».
«Una specializzanda, avrei detto…».
Lo sguardo indagatorio le fece una radiografia veloce.
Il ragazzo arricciò il naso, sollevò un sopracciglio e aprì il palmo della mano in sua direzione.
«Mi consegni tutto ciò che potrebbe disturbare i pazienti o essere usato come arma impropria».
«Ho…» Ami si tastò indecisa per poi soffermarsi sul proprio taschino.
«Una penna» concluse per poi porgerla al ragazzo.
«Si potrebbe fare una tracheotomia d’emergenza perciò…suppongo possa essere potenzialmente pericolosa».
«Altro?».
«Ehm…no».
«Bene. Presti attenzione. In caso d’emergenza sarò qui nel corridoio».
Ami annuì. All’improvviso le parve di essere piombata in un carcere piuttosto che in psichiatria, ma senza farsi intimorire avanzò di qualche stanza per poi bussare alle 115.
Non ebbe risposta ma dopo aver contato fino a cinque entrò piano.
«Agente Hino, sono Ami. Si ricorda di me?».
Rei aveva lo sguardo fisso sulle imposte della finestra.
«Come si sente?».
Nessuna risposta.
«Io…» Ami tentennò.
«Dovrei solo accertarmi che stia bene e farle qualche domanda. È solo la prassi…».
Si avvicinò quasi timorosa al lettino tirandosi via dal collo lo stetoscopio.
«Se facesse qualche bel respiro per me…vorrei sentire come va il suo cuore».
Rei finalmente si voltò. Due occhi scuri come la notte s’inabissarono nel blu delle iridi di Ami.
Faticava a sentirlo, ma doveva ancora essere lì quello che Ami voleva ascoltare. Anche se aveva creduto che il cuore le si fosse fermato come un vecchio orologio alla notte in cui aveva abbracciato per l’ultima volta Setsuna.
«Non penso sentirai un gran che…» esalò per poi lasciarla fare.
Ami stirò le labbra in un sorriso rassicurante per poi ascoltarle il battito.
«Sembra andare tutto bene qui» le disse quasi a bassa voce, come se fosse più che altro un pensiero tra sé e sé che una vera e propria informazione.
«Dovrebbe compilarmi un questionario. Può farlo?».
«Come sta?».
«Sadao, oh…appena avrò notizie dal dottor Chiba le farò sapere! Fortuna c’era lei a soccorrerlo!».
Rei aggrottò la fronte confusa. Lo sguardo scivolò da Ami al lenzuolo per poi finire sulle proprie mani.
Come sta Setsuna?
Era scomparsa d’improvviso; svanita nel nulla dall’arrivo di Sadao.
Un chiacchericcio si diffuse per il corridoio dapprima silenzioso e due uomini in divisa si fermarono al di fuori della porta.
In quel momento Ami dovette fare i conti con qualcosa di cui non era stata informata e le si era palesata inaspettatamente come la realtà dei fatti.
Ebbe la sensazione di quando ci si sveglia sognando di cadere dal marciapiede o da un gradino. Sentì un improvviso vuoto sotto di sé, un senso di vertigine che la riportò bruscamente alla realtà.
 
«Sono io che ho sparato» confessò Rei.



Note dell'autrice:
Non so esattamente come doveva uscire il capitolo ma...questo è quanto! Spero solo non vi abbia annoiato troppo. Ovviamente il vivo dell'azione non poteva già essere qui ma credo che presto arriverà anche quello.
E niente, solitamente sono più logorroica ma credo mi rifarò sulla pagina fb. Ne approfitto per ringraziare ancora una volta chi ancora segue questa vicenda e mi dice la sua; è sempre bello parlare con voi dei nostri amati personaggi.
Xoxo
Kat
   
 
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