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Autore: Melabanana_    24/02/2017    1 recensioni
SPY ELEVEN AU. Spinoff, Gazel-centric.
Gazel è un ragazzo cupo e disilluso, senza famiglia, né amici. Quando uno sconosciuto gli offre un posto in un centro d'addestramento per ragazzi "speciali", Gazel accetta perché non ha nulla da perdere, ma questa decisione potrebbe rivelarsi molto più di una semplice svolta. È un punto di rottura: la sua vita sta per cambiare per sempre. Rating arancione per: tematiche delicate, violenza.
Autrice: Roby
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Un buio soffocante, asfissiante.
Tese le mani in avanti e cercò freneticamente un’apertura, ma non c’era nulla. Nessuna porta, nessun muro da buttar giù. Ora che ci pensava, non sentiva nemmeno il pavimento. Perché non cadeva? Si protese di nuovo in avanti e un dolore acuto gli trapassò la schiena.
Un filo era stretto intorno alla sua gola e lo teneva su, su, su.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Afuro Terumi/Byron Love, Altri, Bryce Whitingale/Suzuno Fuusuke, Claude Beacons/Nagumo Haruya, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Con questo capitolo, si conclude lo spin-off. Questo capitolo ha in realtà due soundtrack: No pain no game di nano (che immagino un po' come una sorta di opening, lol) e L'ultimo giorno d'inverno di Mattia Cupelli, da cui il titolo.
Per le altre note dell'autrice, leggete sotto ↓


Act. 8 – Last day of winter
«The game has only just begun.»
(No pain, no game – nano)

 
Atena aprì gli occhi lentamente e si trovò a fissare il soffitto. Non aveva ancora voglia di alzarsi, perciò si limitò a girarsi su di un fianco per poter guardare la porta, sperando di vederla aprirsi da un momento all’altro, sperando di veder entrare Hepai. Erano passate due settimane dall’incidente nelle gallerie… Le ferite di Atena erano guarite da tempo, tuttavia Hepai continuava a venire quasi ogni mattina nella sua camera, apparentemente solo per andare con lui alla mensa.
Atena si trovò a sorridere spontaneamente: agli altri poteva sembrare un gesto insignificante, ma lui ne era genuinamente felice. In quei momenti, ripensava con nostalgia alla loro infanzia trascorsa in orfanatrofio; venivano da una situazione piuttosto simile, loro due. Avevano perso entrambi i genitori da molto piccoli e, non avendone ricordi, non ne avevano mai sentito la mancanza in modo sostanziale. Avevano scoperto di avere dei poteri nello stesso periodo, immaginavano allora fosse magia, influenzati da libri e film, e si erano convinti di essere speciali, dei prescelti, degli eroi. Erano sempre insieme, sempre uniti… almeno fino a quel fatidico giorno.
A ben pensarci, avrebbe potuto essere una giornata come un’altra. Uno sfortunato tiro a pallone aveva distrutto il vetro di una finestra: era successo tante volte, com’è ovvio in un luogo popolato di bambini. Ma quel giorno non era andato tutto bene. Hepai ed Atena stavano giocando sotto quella finestra quando era avvenuto il fatto; Atena continuava a sognare tutt’ora il momento in cui si era frapposto impulsivamente tra il pallone ed il suo amico. Con una maggiore esperienza e maturità, avrebbe potuto usare i suoi poteri per proteggersi, invece non era riuscito a far nulla…
Il solo ricordo faceva pizzicare la sua cicatrice, riusciva a quasi a percepire una fitta all’occhio sinistro, da cui aveva rischiato di perdere la vista a causa delle schegge di vetro. Non ricordava molto altro, perché aveva perso i sensi, ma immaginava dovesse esserci molto sangue.
Atena strizzò gli occhi ed affondò la fronte nel cuscino, cercando di scacciare quelle sensazioni con grande forza di volontà.
Qualcuno bussò alla porta. Atena si alzò di scatto sulle braccia, si schiarì la voce ancora roca per il sonno e chiese:- Sì? Chi è?
Un borbottio familiare rispose dall’altra parte. Atena scalciò via le lenzuola, si mise in piedi e si precipitò ad aprire; quando aprì la porta con energia, dall’altra parte Hepai sussultò ed istintivamente fece un passo indietro. Si guardarono per una manciata di secondi, Hepai sbatteva le palpebre, probabilmente confuso da tutta quella foga ed Atena iniziò a sentirsi piuttosto imbarazzato.
-Uh… Ehi, ciao. Mi sono, uh, appena svegliato, quindi…- Si schiarì nuovamente la gola. –Ora mi vesto, dammi solo dieci minuti. Puoi entrare e aspettare dentro se vuoi…
-No, no. Resto qui fuori- si affrettò a rispondere Hepai e, fedele alla propria decisione, si appoggiò alla parete di roccia. Atena annuì, reprimendo un vago senso di delusione.
Quella sorta di routine che si era stranamente instaurata tra loro li aveva riavvicinati, in qualche modo; o meglio, da parte di Hepai sembrava essere un tentativo, seppur impacciato, di ridurre la distanza che aveva messo tra loro. Atena non aveva esitato a cogliere l’occasione offerta. Hepai era stato suo amico per anni, l’amico più prezioso, il più stretto. Un’amicizia forse infantile, troppo immatura, perché non aveva retto in un momento di crisi: Hepai aveva cominciato ad evitarlo dopo l’incidente e, una volta che era stato adottato, aveva interrotto del tutto i contatti. La separazione non era avvenuta senza sofferenza, netta ed improvvisa come lo strappo di un cerotto (a bruciare di più, però, era probabilmente il fatto che Hepai avesse potuto metterlo da parte così in fretta).
Dopo essere stato al bagno ed essersi lavato in fretta e furia, Atena afferrò i primi vestiti trovati nel cassetto, si vestì ed uscì mentre ancora si stava legando i capelli. Hepai lo stava aspettando ancora appoggiato alla parete, con le mani nella tasca della tuta grigia che aveva indosso; sulla sua fronte color caramello spiccava una fascetta bianca, usata per tenere ferma la frangia, mentre per il resto i capelli viola erano lasciati sciolti sulle spalle, con alcune ciocche che gli accarezzavano le guance. Atena dovette trattenere l’impulso di allungare una mano e scostare una ciocca dal suo viso dietro un orecchio.
Atena non era uno stupido. Se da un lato desiderava recuperare quel legame perduto, dall’altro era perfettamente consapevole che non avrebbe più potuto essere un rapporto puro ed innocente come prima… Perché erano cresciuti ed avevano vissuto esperienze difficili, certo, ma anche a causa di certi sentimenti che Atena aveva scoperto ribollivano dentro di lui quando guardava Hepai. Al momento i loro rapporti non erano più freddi, ma non parlavano molto e, in ogni caso, non di cose serie. Atena era stanco di tirare quella situazione per le lunghe, desiderava di più da questo rapporto… almeno, avrebbe voluto mettere in chiaro le cose tra loro una volta e per tutte.
Hepai gli rivolse un’occhiata rapida e subito distolse lo sguardo.
-Vogliamo andare…?
-Ti devo parlare.
Dopo aver praticamente parlato nello stesso momento, i due ragazzi si guardarono sorpresi. Atena si rese conto di essersi lasciato trascinare dai propri sentimenti e si morse il labbro, sentendosi arrossire. Gettò un’occhiata da una parte all’altra del corridoio per controllare che nessuno stesse assistendo e, confermato che erano soli, sospirò. Ma, se comunque aveva intenzione di farlo, perché aspettare? Quello era un buon momento.
-Ti devo parlare- ripeté, serio, e, prima di poterci ripensare, prese Hepai per un braccio e lo trascinò in camera propria, curandosi di chiudere la porta dietro di lui.
Si girò per trovare Hepai che lo fissava ancora con sorpresa, imbarazzo ed una buona dose di nervosismo. Hepai era bravo, in genere, a nascondere i propri sentimenti, ma Atena era cresciuto con lui: benché fossero stati separati per un anno, Hepai per lui era ancora un libro aperto.
-En-chan…- mormorò, sicuro che il suo viso stesse andando a fuoco. Hepai aprì la bocca, probabilmente per protestare contro il vecchio soprannome, ma Atena non gliene diede il tempo.
-Sarò diretto- disse. –Sono felice che abbiamo ricominciato a parlarci. Sono felice che ci siamo riavvicinati. Ma questa relazione a metà mi fa più male che altro… Non possiamo continuare ad ignorare quello che è successo tra noi.- Appena pronunciate queste parole, Atena notò che lo sguardo di Hepai si era incupito e la voce gli tremò leggermente mentre istintivamente stringeva la presa sul braccio del compagno.
-Vorrei che tu ti aprissi con me, En-chan! Da quel giorno, hai smesso di parlarmi… Mi hai tagliato fuori dalla tua vita e questo mi fa ancora male…- ammise. –Quel giorno… avrei potuto fare molto di più per proteggerti e per proteggere me stesso… invece sono stato capace solo di farmi male… Da quel momento non ho fatto altro che desiderare di essere più forte… Ma in ogni caso non mi sono mai pentito di essermi messo davanti a te quel giorno, En-chan…!
-Smettila!- Hepai lo interruppe alzando la voce e lo fece sobbalzare.
Atena notò che gli occhi dell’altro brillavano come se fosse stato sull’orlo delle lacrime.
-Non voglio parlare di quel giorno! Non parlarmene mai più!- gridò Hepai, quasi fulminandolo con lo sguardo. Non fece nulla per liberarsi della stretta di Atena, ma strinse i pugni.
-Per quanto abbia cercato di dimenticare, non ho mai… Non sono mai riuscito a togliermi dalla testa quei momenti… A quell’età ci credevamo invincibili solo perché eravamo diversi dagli altri, ma era tutta una stronzata! Non solo ti sei ferito gravemente per proteggermi, ma non sono riuscito nemmeno ad aiutarti!- esclamò.
-I miei poteri dovrebbero guarire le persone, invece non riuscivo ad usarli… Ero così debole e patetico e non ho fatto altro che odiarmi e sentirmi in colpa… Alla fine non sono stato nemmeno più capace di guardarti in faccia per via di quella cicatrice!
Un singhiozzo sfuggì dalle labbra di Hepai e la voce gli venne a mancare. Atena non riuscì a trattenersi oltre e lo attirò a sé, stringendolo in un abbraccio; per un attimo Hepai parve voler opporre resistenza, ma rinunciò praticamente subito e rimase immobile.
-Eravamo entrambi ancora troppo inesperti. Non è colpa di nessuno e non possiamo modificare il passato… Ma siamo qui, adesso, e siamo di nuovo insieme, perciò voglio provare a ricominciare daccapo- disse Atena, affondò le dita nei capelli di Hepai e cominciò ad accarezzarglieli lentamente per calmarlo. –En-chan, smettiamola di scappare.
Hepai non rispose, ma dopo un po’ premette il viso nella sua spalla e sollevò una mano per stringere piano la sua maglietta.
 
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[Sei mesi dopo; 11 gennaio]
 
Gazel si ficcò le mani nelle tasche della tuta ed affondò il viso fino al naso nello scaldacollo di lana che Afuro gli aveva prestato. Per fortuna non soffriva il freddo quanto altri, ma fare allenamento all’aperto di prima mattina non era comunque piacevole per vari motivi. Prima di tutto, sebbene in quella zona non accennasse a nevicare, le temperature pungenti della notte bastavano a creare uno strato di ghiaccio sporco sottile sulle pozzanghere lasciate dalle numerose piogge; di conseguenza, bisognava fare continuamente attenzione a dove si mettevano i piedi, cosa non facile da fare se al contempo devi evitare che il tuo avversario ti rifili un pugno in faccia. In secondo luogo, l’aria era così gelida da togliere il fiato e spesso Gazel doveva fermarsi perché non riusciva a respirare bene.
Al contrario, Chang Soo amava farli combattere all’aperto, soprattutto di prima mattina, quando ancora stavano bruciando le calorie della colazione. Era diventata una sorta di routine con l’inizio dell’anno nuovo ed i ragazzi, benché non l’apprezzassero particolarmente, si erano ormai rassegnati ed avevano smesso di lamentarsene.
Gazel cominciò a saltellare sul posto, doveva evitare di stare fermo troppo a lungo o il suo corpo si sarebbe impigrito, ed i suoi riflessi sarebbero risultati rallentati. Sebbene non avesse ancora trovato il proprio dono, era diventato almeno abbastanza bravo nel corpo a corpo: gli bastava osservare per un certo tempo i propri compagni, spesso proprio gli avversari che aveva di fronte, per assorbire come una spugna le tecniche di combattimento da loro impiegate, poi si trattava soltanto di riprodurle, ma grazie al cielo il suo fisico era agile e scattante, i suoi muscoli elastici anche se non pronunciati.
Quando Nagumo scattò verso di lui, Gazel arretrò con un balzo e sfilò le mani dalle tasche giusto in tempo per bloccare il braccio del compagno con il proprio; Nagumo reagì subito sollevando la gamba per dargli un calcio e Gazel gliela bloccò usando il dorso del braccio opposto. Intravide una specie di sorrisetto sul viso dell’altro, ma non ebbe il tempo di dilungarsi. Il fisico di Nagumo gli permetteva di riprendersi in fretta, non stava mai fermo a lungo. In un attimo il ragazzo girò su se stesso e gli tirò un altro calcio, riuscendo stavolta a colpirlo nel fianco: non stava usando tutta la sua forza, ma neppure ci stava andando leggero. Gazel espirò bruscamente e si sentì spostare indietro di peso, tanto che perse l’equilibrio e cadde all’indietro sul sedere. Quando alzò la testa, vide che Nagumo si era avvicinato e lo stava squadrando dall’altro con un ghigno soddisfatto.
-Questa l’ho vinta io, direi- esclamò, trionfante. Gazel sbuffò e, invece di rispondergli, si preoccupò di assicurarsi di non essersi fatto male. Per fortuna, sembrava che non avesse preso storte e, a parte la botta presa con la caduta, non avvertiva particolari dolori.
La voce di Chang Soo li avvertì che il tempo per gli uno contro uno era scaduto ed era il momento di ricominciare gli esercizi di stretching. Gazel sospirò, deluso di non aver avuto l’occasione di prendersi la rivincita su Nagumo.
-Ehi, dai, alzati prima che ti si congeli il sedere- lo esortò Nagumo.
Gazel lo guardò, con un sopracciglio alzato, e vide che il compagno gli stava tendendo le braccia. Allineando i piedi con i suoi, decise di accettare l’aiuto e Nagumo lo tirò su senza sforzo, lasciandogli poi subito andare le mani.
-Ugh, freddo come il ghiaccio- borbottò, fingendo di rabbrividire. Gazel lo ignorò.
-La prossima volta sarai tu quello a terra- ribatté invece in tono di sfida, abbozzando quasi un sorriso.
-O più probabilmente ci finirai di nuovo tu- disse Nagumo, fece scrocchiare le dita e si mise una mano sulla spalla, iniziando a far girare il braccio prima in avanti, poi all’indietro.
-Non credo proprio.
-Sì, sì, continua pure a sognare, sono più bravo io comunque.
-Fino a ieri eravamo pari, ora sei solo in vantaggio di uno... Non montarti la testa.
Avrebbero potuto continuare a battibeccare per l’ora successiva, ma si interruppero non appena Afuro li raggiunse per chiedere a Gazel di fare degli esercizi in coppia con lui. Rimasero in silenzio a fare stretching per un po’, poi, mentre erano schiena contro schiena, con le mani unite, ed Afuro stava sollevando Gazel (Gazel era continuamente sorpreso da quanta forza avesse in realtà Afuro), Nagumo aprì nuovamente la bocca.
-Sapete, pensavo anche io di crearmi un soprannome. Tipo un nome di battaglia, sapete, o qualcosa riferito al mio dono… Una cosa figa- dichiarò. Afuro mise a terra Gazel e lo guardò con sorpresa.
-Come mai quest’idea improvvisa?- chiese.
-Beh, tu vieni chiamato Aphrodi, no?- rispose Nagumo, con la voce un po’ affaticata perché era piegato in due, con le gambe aperte e i palmi schiacciati a terra. Gazel era un po’ colpito dalla nonchalance con cui conversava e faceva esercizi nello stesso momento (tra l’altro, Nagumo era incredibilmente flessibile, in modi che a lui erano impossibili).
-Il nome Aphrodi non mi è stato dato per farmi un complimento, lo sai, vero?- osservò Afuro, ma non sembrava particolarmente offeso.
-Ma è azzeccato, no? Ed è figo. È un insulto solo se credi che lo sia.
Afuro rise. –Non sapevo che la pensassi così. Grazie, Haruya- esclamò.
Quando Nagumo si rialzò, le sue guance avrebbero potuto essere rosse tanto per la fatica ed il freddo, quanto per l’imbarazzo. Si girò verso Gazel, cambiando bruscamente interlocutore.
-E poi, anche Gazel non è il tuo vero nome, no?- esclamò.
Gazel non si curò di negarlo, si limitò a scrollare le spalle. Gli era stato affibbiato quel nome più che altro per comodità ed era probabile che non fosse davvero il suo; non avendone altri, però, non credeva avesse senso smettere di usarlo.
-Allora, che nome avevi in mente?- domandò Afuro. Nagumo non rispose subito, preferendo invece iniziare degli esercizi di allungamento muscolare, partendo con l’afferrarsi le braccia dietro la schiena.
-Burn- disse infine, la voce accompagnata da uno sbuffo di fiato opaco. La sua pronuncia dell’inglese era terribile, ma in qualche modo comprensibile.
–Voglio essere ricordato con questo nome.
Lentamente riportò le braccia davanti a sé e lanciò un’occhiata di sbieco verso Gazel. I loro occhi s’incrociarono per un momento, Gazel ripensò al pacchetto di sigarette chiuso e stropicciato che aveva lasciato nel proprio cassetto, nascosto tra i vestiti... Poi Nagumo tornò a concentrarsi sullo stretching, intrecciando le dita ed allungando le braccia verso l’alto, ed il momento cessò bruscamente.
Afuro non notò il loro scambio di sguardi, o finse di non averlo visto.
-È un bel nome- commentò, invece, con un sorriso. –Molto figo.
-Ovvio, l’ho scelto io.- Nagumo sbuffò di nuovo, ma più per lo sforzo che per fastidio.
-Ma quanto siamo modesti…- Afuro ridacchiò e si voltò verso Gazel, pronto a riprendere gli esercizi, ma in quel momento la voce di Chang Soo risuonò nella radura, esortandoli a mettersi in riga di fronte a lui. Seguì qualche minuto di confusione, dovuto al fatto che i ragazzi dovevano alzarsi e disporsi come richiesto, poi tutti si sistemarono felicemente. Com’era prevedibile, Gazel capitò in mezzo ad Afuro e Nagumo. Gli sembrava incredibile che Nagumo si potesse annoverare tra quelli con cui più aveva legato in quei mesi, anzi nella sua intera vita…
-Ottimo lavoro oggi- esordì Chang Soo. Camminava davanti a loro con le mani intrecciate dietro la schiena, facendo avanti e indietro così da poterli tenere tutti sott’occhio; quando parlava, c’era un tale silenzio che la sua voce risuonava forte e chiara senza l’ausilio di un megafono.
-Stamattina ho un annuncio importante da fare. Il vostro periodo di addestramento sta per giungere al termine e, di conseguenza, tra poco vi sarà chiesto di compilare la domanda per il collocamento. Forse alcuni di voi già sanno come funziona- disse, lanciò uno sguardo verso Hiroto e proseguì come se nulla fosse –ma lo spiegherò ugualmente, cercando di essere breve e coinciso.
-Dal momento che siete a stento dei novellini, potrete richiedere solo una delle sedi asiatiche. La sede coreana è di mia competenza; se la sceglierete, sappiate che non ci andrò leggero con nessuno di voi.- Chang Soo fece un sorrisetto ben poco rassicurante. Da lui non ci si poteva aspettare niente di meno, considerò Gazel.
-Se invece sceglierete di restare in Giappone, potrete andare a Ehime o a Tokyo. Sappiate anche che saremo noi Spy Eleven a valutare le domande e a decidere se accettarle o meno, quindi assicuratevi di avere un piano B. Oh, inoltre, non aspettatevi di diventare tutti agenti operativi subito. È anzi altamente probabile che sarete assegnati al lavoro di ufficio; soltanto dopo un anno o due di gavetta, a seconda delle vostre potenzialità, la Spy Eleven di competenza deciderà se promuovervi o meno.
Chang Soo tacque un momento per lasciare che i ragazzi digerissero le informazioni.
-A partire da oggi stesso, potete passare nel mio ufficio a ritirare i moduli; una volta compilati, li riporterete a me. La scadenza di consegna è al termine del mese, circa tra una ventina di giorni, per cui prendetevi il tempo che vi occorre per pensare con cura al vostro futuro. Mi pare sia tutto, perciò… Rompete le righe e scendete alle docce, il pranzo sarà pronto in mensa per quando arriverete!- concluse. Al suo battito di mani, i ragazzi si dispersero, formando i soliti gruppetti per chiacchierare e, probabilmente, commentare quanto era stato appena detto.
Tra gli altri, Gazel notò Atena e Hepai insieme; qualsiasi cosa fosse capitata tra loro, dopo l’incidente delle gallerie non solo avevano ripreso a parlarsi normalmente, ma erano diventati praticamente inseparabili. Ares si unì a loro dopo poco, dei cosiddetti amici di Hepai era l’unico che gli fosse rimasto vicino anche quando il ragazzo indiano aveva smesso di fare il gradasso. Forse era stata la buona influenza di Atena, o gli eventi traumatici vissuti nelle gallerie, ma in ogni caso Hepai era cambiato, come se il suo rancore verso il mondo si fosse placato. Non che lui e Gazel fossero diventati improvvisamente grandi amici, certo, però adesso erano in rapporti civili. A volte si scambiavano persino dei saluti, sebbene fosse più probabile che si ignorassero pacificamente a vicenda.
Hiroto si mosse per raggiungere Endou, non molto sorprendente; ciò che invece colpì Gazel fu che Afuro non gli si avvicinò, né fece alcun commento sul discorso di Chang Soo. Gazel aveva il sospetto che Afuro sapesse già cosa volesse fare in futuro, quindi probabilmente non aveva nulla da dirgli…
Si strinse le braccia al petto, sentendo un improvviso brivido di freddo.
 
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Una settimana dopo, Gazel non aveva ancora messo piede nell’ufficio di Chang Soo.
Il punto era che non aveva la minima idea di cosa fare del suo futuro; in un certo senso, già solo il fatto di essere arrivato fin là era stato un successo. Aveva sempre pensato che sarebbe finito a fare un lavoro sottopagato in qualche locale, o stesso all’orfanatrofio. Trovarsi lì, in quel centro d’addestramento, a dover decidere dove lavorare come agente speciale non rientrava certamente nei suoi piani fino ad un anno prima.
Aveva attentamente considerato l’idea della Corea. Ricominciare daccapo in un posto nuovo suonava così allettante… lasciarsi alle spalle il Giappone, il paese dove era nato e cresciuto fino a quel momento, non gli metteva alcuna malinconia. Non c’era nulla che l’avesse colpito in modo positivo, a parte i pochi ricordi costruiti negli ultimi mesi, la maggior parte dei quali erano stati possibili solo grazie ad Afuro… Ed Afuro sarebbe andato con Chang Soo. Non ne avevano mai parlato, anzi Afuro sembrava deciso ad evitare l’argomento (forse per non influenzare la sua scelta?), ma Gazel era sicuro che il posto di Afuro fosse quello. Sarebbe probabilmente diventato agente operativo in poco tempo, Chang Soo conosceva bene le sue potenzialità, magari lo avrebbe persino preso sotto la propria ala protettiva…
Potenzialità. Una parola chiave, tra quelle usate da Chang Soo.
Gazel non riteneva di averne granché; per quel che ne sapeva, il suo dono avrebbe potuto svilupparsi in futuro (e come, visto che neppure in una situazione di pericolo era comparso?), o rimanere sepolto per sempre. Persino Chang Soo aveva smesso di provare a tirarlo fuori, come se avesse deciso che tutto sommato non valesse la pena di forzarlo, o che fosse inutile. Per il resto, Gazel sapeva di non essere uno stupido, anzi, probabilmente il suo Q.I. era al di sopra della media. Non aveva grandi capacità fisiche, né tecniche di combattimento affinate, solo grandi capacità di osservazione e di deduzione ed un’ottima memoria fotografica. Sarebbe stato certamente adatto a del lavoro di ufficio, ma era davvero quello che voleva? Restare dietro una scrivania a vita? Non c’era nient’altro che potesse fare?
Era passata da poco l’ora di colazione e, dal momento che Chang Soo aveva un appuntamento di lavoro con un collega, i ragazzi avevano ottenuto alcune ore libere, da passare come meglio credevano. Gazel le stava sprecando a fissare il soffitto della propria camera, mentre Afuro era chissà dove.
Ad un certo punto, non riuscì più a star fermo e lasciò la stanza. Il corridoio era vuoto ed anche le scale, così che l’unico rumore presente era quello dei suoi passi. Non c’era praticamente nessuno nemmeno al piano di sopra, probabilmente erano tutti nelle stanze di addestramento. Non c’era da biasimarli, il lavoro fisico li distraeva da altri pensieri. Gazel l’aveva fatto altre volte, ma non riusciva a restare a lungo in un luogo chiuso, circondato da così tante persone; sebbene la sua claustrofobia fosse un pochino migliorata, era impossibile che svanisse così, da un mese all’altro. Proprio mentre ponderava l’idea di sgattaiolare all’aperto per prendere una boccata d’aria, Gazel sentì una voce familiare.
Percorse il corridoio ed entrò nella mensa vuota, tentando di capire da dove provenisse il suono, un eco che rimbombava tra le pareti di roccia. Finalmente, Gazel scorse un altro sbocco che non aveva mai notato prima, situato dietro uno dei tavoli più vicini all’ingresso delle cucine. Il varco conduceva ad un piccolo spazio spoglio, eccezion fatta per un tavolo su cui erano poggiati alcuni telefoni rossi, di vecchio stampo. Non per la prima volta, Gazel si chiese come facessero a funzionare, da dove venisse l’elettricità usata in quel posto. Doveva esserci un generatore nascosto da qualche parte.
In piedi davanti al tavolo, c’era Nagumo. Dava le spalle al varco (e quindi anche a Gazel), con una mano reggeva la cornetta vicino al proprio orecchio destro, mentre con l’altra giocherellava distrattamente col filo del telefono, attorcigliandolo attorno alle dita.
-Sì… Mmm… Sì, ho capito, ho capito! Non urlarmi nelle orecchie!- stava dicendo Nagumo al suo interlocutore. In apparenza si stava lamentando, ma poi Nagumo si girò leggermente di profilo  e Gazel intravide l’ombra di un sorriso sulle sue labbra. Anche dal linguaggio del corpo, Nagumo appariva del tutto a proprio agio, facendo quindi pensare che l’altra persona fosse sua amica. Rendendosi conto che stava praticamente origliando una conversazione, Gazel si ritrasse in fretta, tornò nella mensa e si lasciò cadere su una delle panchine più vicine. Riusciva ancora a sentire l’eco della voce di Nagumo, pur senza distinguere le parole, ed aveva un ché di confortante.
Non aveva davvero intenzione di aspettare che Nagumo terminasse la chiamata, in fondo non è che avesse qualcosa da dirgli; d’altra parte, però, non aveva nulla di meglio da fare, per cui rimase seduto dov’era. Di colpo la tovaglia a scacchi appariva molto interessante: era a due colori, azzurro e rosso, e Gazel decise di contare il numero di quadri azzurri. Una manciata di minuti dopo (forse cinque o sei, decisamente abbastanza per trovare più di cento quadratini), Nagumo uscì dalla stanza dei telefoni e si bloccò davanti a lui.
-Ti serve il telefono?- chiese, scoccandogli un’occhiata sorpresa con la discrezione di chi non vuole mostrarsi curioso. Gazel alzò lo sguardo dalla tovaglia e scosse il capo.
-Non avrei nessuno da chiamare- ammise in tono neutrale. Tutte le persone che posso chiamare amiche sono in questo posto, pensò, ma questo lo tenne per sé.
Poi, spinto da chissà quale impulso, forse per evitare che Nagumo glielo domandasse per primo, aggiunse:- Hai già deciso dove andare dopo?
Nagumo rimase a fissarlo ancora per un momento, apparentemente indeciso se sedersi o meno. Alla fine, restò in piedi, appoggiandosi solo con il fianco al lato del tavolo.
-Spero di andare a Tokyo- rispose, calmo, e scrollò le spalle. -Ho fatto domanda per restare in Giappone. Una mia amica è stata già accettata a Tokyo, perciò anch’io punto a quello.
-Tokyo, uh…- mormorò Gazel, ma la sua mente era altrove. Probabilmente l’amica di Nagumo fosse la stessa persona con cui stava parlando al telefono; a differenza di lui, Nagumo poteva contare su qualcuno del genere... Gazel si scoprì quasi geloso.
Nagumo interruppe i suoi pensieri.
-Tu sai già che fine farai?- domandò, questa volta senza curarsi di nascondere la curiosità.
-No, non ancora- rispose Gazel in un soffio. Si passò una mano tra i capelli, scompigliando la frangia, com’era solito fare quando era nervoso. -Non ho veri progetti futuri, né particolari sogni… E non ho neppure molto per cui restare qui in Giappone.
Nagumo corrugò la fronte, aprì la bocca, ma poi si rimangiò il commento che stava per fare e si limitò a sbuffare con un'aria offesa. Gazel immaginò di aver detto qualcosa di sbagliato, ma non sapeva cosa. Prima che potesse chiederglielo, Hiroto entrò nella mensa. Rivolse loro un cenno di saluto ed un sorriso educato, poi s’infilò nella stanza dei telefoni. Gazel decise che era arrivato il momento di andare.
Quando si alzò, Nagumo gli afferrò un polso per fermarlo.
-Ehi…- disse, insolitamente serio. –Pensaci bene, d’accordo? Voglio dire… Dici di non avere nulla per cui restare qui, ma avrai pure qualche interesse, no? Non so nulla riguardo alla tua famiglia, ma…
-Ci penserò- lo interruppe Gazel, secco. Il suo sguardo cadde sulle dita di Nagumo strette attorno al suo polso. –Uhm… Potresti…?- farfugliò, sollevando il braccio.
Nagumo ritrasse la propria mano come se si fosse scottato e la nascose dietro la schiena.
-Beh, io… Io vado ad allenarmi- disse. Non aggiunse altro, ma il tono lasciava sottintendere una domanda alla quale Gazel rispose scuotendo nuovamente il capo.
-Vado a prendere un po’ d’aria- affermò. Nagumo sollevò un sopracciglio.
-Non ti bastano gli allenamenti al freddo e gelo?
-Non sono molto sensibile al freddo- rispose Gazel senza battere ciglio. Scrollò le spalle, poi uscì dalla mensa e si incamminò verso le scale che conducevano fuori. Nagumo non fece nulla per fermarlo, né lo richiamò. Gazel non era sicuro di volere che lo facesse; di recente, non era più sicuro di niente.
 
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L’aria era tanto fredda e pungente che ogni boccata era come un pugno al petto. Tuttavia, non tirava vento gelido, e a Gazel non dispiaceva stare a guardare il cielo terso. Gli sembrava che quell’azzurro così intenso emanasse una luce propria. Stava in piedi a pochi metri dall’entrata del centro, con le mani in tasca e il viso sollevato verso l’alto, quando un rumore di passi lo fece voltare lentamente.
Hiroto salì gli ultimi gradini della scala, lo vide e lo raggiunse, fermandosi al suo fianco. Lo squadrò da capo a piedi, con un’espressione impensierita.
-Stai bene? Sei qua da un quarto d’ora- gli disse. Gazel si accigliò. Un quarto d’ora? Gli pareva fossero passati solo pochi minuti da quando aveva parlato con Nagumo… Evidentemente era stato troppo preso dai propri pensieri per rendersene conto, ma non era importante.
-Stavo pensando- mormorò, senza girarsi a guardarlo.
Hiroto non gli chiese su cosa stesse riflettendo, perché non gli importava, o perché forse lo sapeva già; sembrava che stesse esitando, come se avesse avuto qualcosa da dire, ma non trovasse il modo giusto per dirla. Gazel aspettò, non aveva fretta di sapere cosa fosse. Uno stormo di uccelli neri attraversò il cielo e, per qualche momento, la mente di Gazel fu completamente rapita da questo avvenimento insignificante. Anche Hiroto alzò gli occhi per seguire il loro volo e, quando riabbassò il volto, alcune ciocche di capelli gli caddero sulle guance; le spostò con un sospiro, poi inspirò a fondo. Osservandone il profilo, Gazel notò che appariva molto più maturo della sua età, presumibilmente la stessa di Afuro.
-Ti ho sentito parlare con Nagumo… Mi dispiace, non avevo intenzione di origliare. Mi sono soltanto trovato a passare di là in quel momento- disse Hiroto alla fine. -Forse sono troppo invadente, ma… Volevo darti un consiglio, visto che sei così indeciso.
-Penso che dovresti fare domanda per Tokyo.
Gazel si girò a guardarlo, accigliato.
-Perché?
-La sede di Tokyo ha un archivio cartaceo ed informatico molto vasto. Trovare informazioni al suo interno, naturalmente, è possibile solo ai membri dell’agency, quindi… Ho pensato che potesse esserti utile per fare delle ricerche su quello che ti è successo.
Gazel non smise di fissarlo mentre metabolizzava le sue parole.
-Quante persone lo sanno?- chiese, di slancio, senza pensarci due volte. –A parte Chang Soo ed Afuro, voglio dire… So già che loro lo sanno, ma…
-Solo io, puoi stare tranquillo- lo rassicurò Hiroto, apprensivo, e Gazel si lasciò andare in un sospiro di sollievo, accorgendosi solo in quel momento di aver tenuto il respiro sospeso.
-Chang Soo ha convocato me ed Afuro per dircelo prima che tu arrivassi. Mi dispiace di avertelo tenuto nascosto… Sono stato incaricato di tenerti d’occhio- ammise Hiroto.
–Sai, non conoscevamo la natura del tuo dono, né se sapessi come controllarlo, quindi… Chang Soo mi aveva affidato il compito di intervenire nel caso ci fossero stati problemi. Per fortuna, non è successo nulla…
-Sì, perché io non ho alcun dono- lo interruppe Gazel. Stranamente ammetterlo ad alta voce non faceva male come pensava, forse perché Hiroto non sembrava intenzionato a giudicarlo, nei suoi occhi non c’erano pietà, compassione o disprezzo. Ripensando alle parole del ragazzo, invece, gli venne in mente una domanda che avrebbe voluto fargli da tempo.
-Il tuo dono è quello di annullare i doni altrui, vero? Come funziona di preciso?- domandò.
Hiroto sussultò e le sue orecchie si arrossarono. Gazel capì di averlo messo a disagio e chiuse subito la bocca. Rimasero in silenzio per un po’, poi inaspettatamente Hiroto rispose.
-Il mio dono è in grado di colpire direttamente il sistema nervoso. Posso anche addormentare il mio avversario, non solo annullare il suo dono- disse, poi abbozzò un debole sorriso.
–Terrificante, no? Hai sentito cosa dicono di me. Beh, io ho smesso di farci caso…
A giudicare dalla sua espressione, invece, ci faceva caso eccome, ma Gazel decise di non commentare. Aveva già fatto un passo falso, ora desiderava solo che quell’aria tesa si diradasse, perciò si affrettò a cambiare discorso.
-Se diventassi un membro dell’agency di Tokyo, allora, potrei accedere a tutti gli archivi?- domandò.
Hiroto sospirò, visibilmente sollevato di poter parlare d’altro, ed annuì.
-Dovresti però diventare un archivista e rinunciare al posto di agente operativo- disse.
-Non m’importa niente di diventare un agente operativo- ribatté Gazel, sincero. -Cosa devo fare per diventare archivista?
-Beh, questo dovresti chiederlo a Chang Soo. Sicuramente saprà dirti di più… Come minimo dovrai imparare ad usare un computer, però.
Gazel annuì. Onestamente, non aveva mai avuto l’occasione di accedere ad un computer (l’orfanatrofio ne aveva pochi, di vecchio stampo, e comunque poteva usarli solo il personale autorizzato), ma non era uno stupido: avrebbe potuto imparare.
Rimase ancora per un momento a soppesare l’idea, poi si convinse. Si girò e si avviò verso le scale.
-Chang Soo è nel suo ufficio- gli gridò Hiroto. Gazel gli fece un cenno con la mano e continuò a camminare, deciso ad andare da Chang Soo in quell’esatto momento.
 
xxx
 
Gli occhietti neri e vispi di Chang Soo lo stavano mettendo profondamente a disagio. Non era una novità, e Gazel si costrinse a fingere di non averlo notato e continuare a scrivere. Gli prudevano le mani. Appena arrivato all’ufficio della Spy Eleven, aveva ricevuto il modulo di collocamento e aveva chiesto di poterlo compilare sul momento; se Chang Soo era rimasto sorpreso della richiesta, non lo aveva dato a vedere.
Finalmente, Gazel finì di riempire tutti gli spazi, firmò il modulo e posò la penna. Chang Soo prese immediatamente il foglio e lo lesse rapidamente.
-E così, vuoi lavorare alla sede di Tokyo…- disse infine con un sorriso. –Posso chiederti come mai hai fatto questa scelta? Hai specificato che desideri lavorare come archivista. Bizzarro. Quasi tutti i ragazzi della tua età non vedono l’ora di buttarsi nella mischia.
-Con tutto il rispetto, signore, non credo che sarei molto utile come agente operativo. Non ho ancora scoperto se ho un dono, e se ce l’ho non so di che natura sia.
-Non è necessario avere un dono per essere agenti operativi- osservò Chang Soo sollevando un sopracciglio. -Conosco molti ottimi agenti che sono persone assolutamente normali. Inoltre, esistono anche Spy Eleven che non hanno doni.
-Sono sicuro di sì, signore. Ma io, personalmente, non mi sento portato per quel ruolo, né ho alcun interesse in proposito- replicò Gazel senza peli sulla lingua.
Chang Soo posò il modulo sulla scrivania, intrecciò le mani sotto il mento e sorrise di nuovo.
-Immagino che il fatto di avere la possibilità di indagare sul tuo passato attraverso il lavoro di archivista non c’entri nulla con la tua decisione…? Un simile uso dei nostri archivi sarebbe davvero egoista, lo sai?- commentò con nonchalance. Gazel sostenne il suo sguardo, sforzandosi di non tradire emozioni. Sperava intensamente di non essere arrossito per la vergogna di essere stato colto in flagrante, ma a sorpresa Chang Soo iniziò a ridacchiare.
-Bene, bene. Stavo solo scherzando. Purché tu faccia il tuo lavoro e rimanga fedele alla tua squadra, potrai probabilmente consultare gli archivi a tuo piacimento. Tocca alla Spy Eleven incaricata decidere come disporre degli archivi della sua agency, e francamente non credo che i tuoi capi ti porranno alcun veto a riguardo- disse Chang Soo. –A dire il vero, sono quasi ammirato dal fatto che tu ci abbia pensato. Molto sveglio, devo dire. Dunque, sai già cosa fa un archivista? I suoi compiti? Le abilità richieste?
Gazel scosse il capo.
-Lo immaginavo- continuò Chang Soo. Si chinò, aprì uno dei cassetti della propria scrivania e, dopo aver frugato per una manciata di secondi, estrasse due fogli stampati. Chiuse il cassetto e li lasciò scivolare lentamente verso Gazel, invitandolo con un cenno a darvi un’occhiata. Gazel li osservò attentamente e scoprì che si trattava di una serie di informazioni riguardo dei corsi di studio aperti ai cadetti dei centri di addestramento; uno era un corso d’informatica, cosa che subito reputò utile, mentre l’altro sembrava riguardare il ramo della scientifica.
-Di norma si tende a pensare che un archivista lavori solo con libri, dati e statistiche. In parte, è vero; come archivista, avrai a disposizione pile di fascicoli, ogni sorta di documenti e naturalmente banche di dati virtuali, e ti sarà richiesto di costruire delle statistiche e calcolare probabilità sulla base di queste informazioni. Ma gli archivisti che lavorano nelle nostre agency hanno un altro compito fondamentale, ovvero analizzare le prove del crimine, raccogliere campioni e  inserire ogni cosa nel sistema. Per questo, se vuoi diventare un archivista, dovrai anche imparare a lavorare nel campo della scientifica.
-Per quanto riguarda i corsi, al termine di questo mese ti comunicherò personalmente dove dovrai andare per seguirli. Sappi che, presumibilmente, ti impegneranno per circa un anno. Se la tua richiesta verrà approvata da Kira, inizierai a lavorare per lui verso l’inizio della prossima primavera. Pensi di poter seguire la strada che hai scelto fino alla fine?
Gazel esitò, si morse il labbro inferiore. Per il nervosismo stava torturando il lembo della maglia con le dita, ma smise non appena si accorse che il tessuto nero si stava sfibrando; gli sarebbe dispiaciuto romperla, perché era di Afuro. La prima maglia che lui gli aveva prestato
-Sono certo che ti stai chiedendo se stai facendo la scelta giusta- osservò Chang Soo, serio.
-Ad essere onesto, mi sarebbe piaciuto portarti nella mia squadra e vedere di persona i tuoi progressi. Il tuo caso mi incuriosisce molto… Ah, sarebbe bello poter percorrere tutte le possibili vie che la vita ci offre… Ma purtroppo ciò non è possibile, ci tocca sempre vivere con dei rimpianti.
-Eppure, non credo che avere rimpianti sia qualcosa di cui avere vergogna. Una vita piena di rimpianti è una vita ben spesa- aggiunse Chang Soo. Nei suoi occhi neri si era accesa una scintilla.
–Pensi di poter seguire la strada che hai scelto fino alla fine?- ripeté, lentamente, e questa volta Gazel annuì con convinzione.
-La ringrazio, signore- disse, stringendo i fogli al petto, poi si alzò dalla sedia e fece un accenno di inchino, ma Chang Soo lo liquidò con un cenno della mano.
-Vai, vai- dichiarò –e dici ai tuoi amici, già che ci sei, che non è educato origliare le conversazioni, anche se certo ritengo ammirevole la loro dedizione alla tua causa.
Gazel si accigliò, ma non ebbe bisogno di chiedere di cosa stesse parlando: ovviamente, appena aprì la porta, si trovò davanti Afuro e Nagumo. Il primo gli rivolse un sorriso, sebbene il suo volto fosse attraversato da sentimenti contrastanti, mentre l’altro arrossì, probabilmente per il fatto di essere stato beccato ad origliare.
Gazel gettò un’occhiata alle proprie spalle e vide Chang Soo far loro segno di chiudere la porta e andarsene. Tirò la porta dietro le proprie spalle e si voltò verso i due ragazzi; Afuro capì senza che gli dicesse nulla.
-Andiamo a parlare da un’altra parte- disse, prendendogli la mano.
Gazel abbassò subito lo sguardo sulle loro dita intrecciate e sentì un’ondata di emozioni contrastanti. Paura del futuro, dubbi sulla strada scelta, nostalgia (quante volte Afuro gli aveva tenuto la mano così, per tranquillizzarlo, o per guidarlo come un bambino nel buio?), certezza che lui e Afuro si sarebbero separati presto.
-Non ti dimenticherò- le parole lasciarono la sua bocca prima di potersi fermare. Erano ad un incrocio di gallerie. Afuro si fermò e si girò: i suoi occhi erano tersi, miti. A Gazel parvero anche lucidi, come se stesse trattenendo le lacrime, e di nuovo parlò senza pensare.
-Mai, non ti dimenticherò mai- esclamò. –Ovunque andrò, anche se saremo separati, non dimenticherò mai quello che hai fatto per me.
Afuro rise debolmente. –Che stupido. Non è che non ci vedremo mai più- mormorò. Con la mano libera gli sfiorò il volto, poi la nuca, e lo attirò a sé in un abbraccio; Gazel affondò il viso nella sua spalla e, mentre Afuro gli accarezzava i capelli, gli circondò goffamente la vita con le braccia. Non era ancora abituato agli abbracci, e chissà se mai si sarebbe sentito a proprio agio. Ma Afuro aveva un buon profumo, era caldo, era familiare. Gli sarebbe mancato molto.
-Mi mancherai anche tu- continuò Afuro, come se gli avesse letto il pensiero. –Porta questa maglia con te, o un’altra se vuoi; mi farebbe piacere sapere che ti è rimasto qualcosa di mio.
-Voglio tenere questa- borbottò Gazel.
-Allora è tua. Così potrai ricordarti… che, anche se siamo separati, una parte di me sarà sempre con te. E una parte di te resterà con me, ovunque andrò. Mi mancherai, Gazel- disse Afuro. La sua voce tremò, quasi stesse per mettersi a piangere, invece in qualche modo riuscì a trattenersi ancora una volta.
-Haruya- disse, serio –prendetevi cura l’uno dell’altro, visto che sarete insieme.
Fino a quel momento, Gazel si era praticamente dimenticato che anche Nagumo era lì con loro. Improvvisamente, si sentì molto in imbarazzo per la posizione in cui si trovava. Si staccò da Afuro lentamente e si mise a fissare il muro davanti a sé con insistenza, anche perché il calore sulle guance gli suggeriva di essere arrossito e non voleva assolutamente che Nagumo lo notasse.
-Mm. Farò… del mio meglio- bofonchiò Nagumo alle sue spalle. Gazel pensava che il suo viso stesse andando fuoco, forse avrebbe preferito che Nagumo gli desse fuoco piuttosto che trovarsi lì in quel momento, ad ascoltare quelle parole.
-Bene, perché se non lo fai verrò a prenderti a calci personalmente- replicò Afuro, ma la sua voce era decisamente più allegra di prima, quasi sollevata.
 
xxx
 
[Un anno e due mesi dopo; 21 marzo]    
 
La persona che era venuto a prenderlo era una donna con lunghi capelli neri, in scioccante contrasto con una giacca gialla, e una piccola macchina blu che recava il simbolo della polizia su una fiancata. Gazel si sedette nei sedili posteriori, poggiando accanto a sé una scatola che conteneva i suoi pochi averi. Si aspettava di essere tempestato di domande, invece lei gli chiese a malapena il suo nome. Si scoprì lievemente infastidito; era come se lei sapesse già tutto di lui. Stettero in silenzio tutto il tempo: lei fissava la strada davanti a sé, gettando occasionalmente sguardi sfuggevoli allo specchietto retrovisore, mentre Gazel osservava il paesaggio urbano che scorreva fuori dal finestrino come una serie di scatti fotografici. Era una bella giornata, l’aria del mattino era ancora fredda, ma il cielo era terso.
 
Dopo essere uscito dal centro di addestramento di Chang Soo, gli era stata assegnata una piccola stanza (talmente piccola che il letto era nell’armadio, ma poco importavano le dimensioni; tanto doveva usarla solo per mangiare, studiare e dormire) in una palazzina all’interno di un campus di proprietà della polizia di Tokyo, frequentato sia da ragazzi con abilità speciale che da regolari reclute dell’accademia di polizia. La sua palazzina, grazie al cielo, si trovava proprio a due passi dalla sede dove venivano organizzati i corsi di studio speciali per chi desiderava diventare archivista. Come Gazel aveva immaginato, quel tipo di corsi non erano molto frequentati; la maggior parte dei ragazzi con abilità speciali preferivano allenarsi direttamente per diventare agenti operativi.
Non era stato facile per lui adattarsi ad un ambiente nuovo. Non aveva socializzato praticamente con nessuno. Per fortuna, il campus metteva loro a disposizione ogni cosa – una mensa, numerose biblioteche, e persino un piccolo bazar. Gli fornivano cibo, libri, vestiti; molto più di quanto avesse mai sperato. Benché la nuova vita si prospettasse inizialmente ostica, Gazel era riuscito ad inserirsi quel tanto che bastava per condurre un’esistenza tranquilla, appartata ma certamente non noiosa. Oltre a ciò che doveva studiare. per la prima volta nella sua vita aveva libero accesso ad un vero e proprio pozzo di cultura: poteva disporre infatti di tutti i libri che voleva, nel rispetto delle norme della biblioteca e del campus. Se non avesse avuto un preciso obiettivo da seguire, a Gazel non sarebbe dispiaciuto perdere ore a saziare la propria curiosità, seduto in un angolo solitario della sala di lettura.
Gli esami non erano stati complicati, almeno non per lui; ciononostante, non aveva potuto trattenere un sospiro di sollievo quando aveva visto il proprio numero di matricola stampato nell’elenco dei promossi. Due giorni dopo, aveva ricevuto una lettera sigillata, al cui interno c’erano istruzioni precise da seguire: avrebbe dovuto restare in quella stanza per un’ultima notte, poi una persona dall’agency di Tokyo sarebbe venuta a prenderlo.
E così era stato.
 
L’Inazuma Agency di Tokyo era quasi al centro della città; nei pressi vi erano parecchi palazzi residenziali, uno o due parchi ed un ospedale di grandi dimensioni. Nonostante ciò, Gazel non vide nessuno per strada la mattina in cui arrivò alla sede.
Parcheggiarono di lato ad un palazzo grigio con almeno due piani e molte finestre. Nello spiazzo c’erano altre macchine come quella, per cui Gazel pensava che fosse quella la loro destinazione; invece la donna, una volta scesa, lo invitò a seguirla e lo condusse più avanti. Camminarono davanti al palazzo, ci girarono intorno attraversarono la strada e si trovarono davanti ad un’altra palazzina simile, ma ancora più alta e di un colore leggermente più scuro.
Il piano terra era costituito da un lungo corridoio, ognuno dei cui lati era costellato di porte chiuse, presumibilmente uffici. Dall’interno delle stanze proveniva un brusio di voci, fruscio di fogli, rumori metallici di sedie strisciate contro il pavimento e fotocopiatrici in funzione.
La donna superò tutte le porte e si fermò davanti ad un ufficio di fronte al quale c’erano delle macchinette distributrici di merendine e bevande. Poco più avanti, cominciavano delle scale e Gazel alzò istintivamente lo sguardo, chiedendosi dove finissero. La donna se ne accorse.
-Questo edificio ha tre piani. Al primo ci sono le camere da letto dei membri della squadra speciale. Come membro, anche tu ne avrai una. Procedendo, al secondo piano, vi sono altri uffici- spiegò, il più coincisa possibile.  
-Avrai di certo molte altre domande, ma vorrei prima di tutto fare le dovute presentazioni. Puoi sistemare le tue cose qui, dopotutto questo sarà il tuo ufficio da oggi in poi… A proposito, congratulazioni per aver passato gli esami. Ho visto i tuoi risultati e sono certa che sarai un ottimo archivista… Contiamo su di te- aggiunse, abbozzando un sorriso di incoraggiamento.
Se fino a quel momento gli era parsa fredda, Gazel intuì ora che si trattava semplicemente di una persona che non amava sprecare tempo in convenevoli, ma non per questo poco disponibile. Non gli dispiacevano le persone così.
-La ringrazio. Farò del mio meglio- disse a bassa voce.
Apparentemente soddisfatta della risposta, lei annuì, estrasse dalla tasca della giacca un mazzo di chiavi argentate ed aprì la porta. Si fece da parte e Gazel entrò guardandosi intorno: la stanza era larga, sebbene molto spazio fosse occupato da voluminosi mobili traboccanti di fascicoli, cartelline ed altri fogli sparsi, che parevano essere di numero illimitato, quasi si moltiplicassero davanti ai suoi occhi. Gazel poggiò la propria scatola su una scrivania, curandosi di non toccare il vecchio computer che stanziava là a fianco, e si voltò verso l’enorme finestra attraverso cui la luce inondava la stanza.
Ma questo era più di un semplice ufficio, per lui. Era allo stesso tempo la linea del traguardo ed il punto di inizio.
-Bene- esclamò la donna per attirare la sua attenzione. Gli fece cenno di porgergli la mano e, quando Gazel obbedì, gli poggiò le chiavi nel palmo aperto.
-Queste sono tue, prenditene cura. Ogni sera dovrai assicurarti di chiudere a chiave il tuo ufficio. Naturalmente, soltanto tu e pochi altri ne sarete in possesso.- Si spostò i capelli dalla spalla con un gesto infastidito, poi gli sorrise di nuovo. –Seguimi, andiamo.
Si voltò ed uscì dalla stanza. Gazel la rincorse, fermandosi solo un attimo per chiudere l’ufficio a chiave (cosa che parve compiacerla), e si trovò a salire le scale dopo di lei fino al secondo piano. La prima cosa che notò fu che su quel piano vi erano soltanto poche stanze. Quando la donna bussò ad un’ampia porta di legno scuro, una voce roca e profonda le rispose dall’interno, dando loro il segnale giusto per entrare.
L’ufficio era stato arredato secondo un particolare gusto tradizionale, con mobili di legno e tappezzerie tipicamente giapponesi. Alla scrivania era seduto un uomo di piccola statura, con orecchie con lobi sproporzionati rispetto al suo viso rotondetto ed un’espressione distesa; vestito con un kimono blu scuro, sorseggiando una tazza di tè verde fumante, pareva essere completamente a suo agio ed immerso nell’atmosfera del proprio ufficio. Davanti a lui, schierati in modo da occupare tutto lo spazio della stanza, c’erano alcuni ragazzi, tra i quali Gazel riconobbe subito dei visi familiari.
Endou e Hiroto, infatti, erano in piedi ai due lati del tavolo. Entrambi gli rivolsero un sorriso e Gazel camminò istintivamente nella loro direzione. Quando si trovò davanti a Hiroto, tuttavia, scorse con la coda dell’occhio anche Nagumo, che se ne stava un po’ più appartato. I loro occhi si incrociarono per un attimo, si riconobbero e per un momento parvero incapaci di spezzare quel contatto. Gazel si chiese, dubbioso, se avrebbe dovuto salutarlo; vedendo però lo sguardo di Nagumo guizzare verso le sue labbra per un secondo, intuì i suoi pensieri e l’imbarazzo ebbe la meglio su di lui, impedendo al suo corpo di muovere anche un solo passo.
La donna batté le mani per attirare l’attenzione di tutti i presenti.
Gazel e Nagumo trasalirono e ruppero il contatto visivo, arrossendo. Preferendo concentrarsi su altro, si girarono verso l’uomo alla scrivania, il quale si era ora alzato in piedi. Poggiò la tazza sul tavolo e incrociò le mani dietro la schiena mentre spostava lentamente lo sguardo bonario da uno dei ragazzi all’altro, senza tralasciare nessuno.
Dopo un po’, si schiarì la gola e sorrise.
-Vi ho convocati qui perché oggi un nuovo ragazzo entra a far parte della nostra squadra speciale. So che alcuni di voi già si conoscono, ma preferirei fare daccapo le presentazioni- dichiarò. Fece cenno a Gazel di avvicinarsi e lui obbedì. –Dunque, presentati.
Gazel strinse i pugni ed inspirò a fondo. Era nervoso.
-Il mio nome è Gazel- disse, cercando di parlare a voce abbastanza alta. –Lavorerò qui in qualità di archivista e addetto informatico. Prendetevi cura di me, per favore.
Accennò un inchino e l’uomo annuì con vigore.
-Mmm, bene, bene. Agente Gazel, il mio nome è Seijurou Kira e sono la Spy Eleven a capo di quest’agency. Hai già conosciuto la mia vice, Hitomiko… nonché mia figlia- disse, indicando con un gesto la donna che indossava la giacca gialla.
-Procedo quindi a presentare gli altri membri: Hiroto Kiyama, mio figlio.- Hiroto abbozzò un sorriso, ma distolse lo sguardo, come se si sentisse a disagio. Gazel ricordò frammentariamente ciò che dicevano di lui al centro e pensò che non dovesse fargli piacere essere presentato in quella maniera, tuttavia Hiroto sembrava troppo educato per farlo notare. O forse era soltanto rassegnato. Comunque, Seijurou non se ne accorse e proseguì.
-Endou Mamoru, Gouenji Shuuya, Kidou Yuuto, Sumeragi Maki, Yagami Reina, Midorikawa Ryuuji, Kazemaru Ichirouta, Nagumo Haruya- elencò la Spy Eleven, indicando ognuno di loro.
–Incluso Gazel, voi siete i membri scelti della mia squadra speciale. Gazel era l’ultimo membro che aspettavamo, quindi direi che siamo al completo. Vi auguro una buona permanenza, visto che questa sarà d’ora in poi non solo la vostra base operativa, ma anche la vostra casa. Spero che lavoreremo bene insieme. Ora potete andare.
-Sì, signore!- Un coro di voci si levò in risposta alle sue parole, poi i ragazzi iniziarono ad uscire, pochi alla volta, e si dispersero.
Una volta in corridoio, Gazel sospirò, lieto di non trovarsi più al centro dell’attenzione. La sua pace durò pochissimo, perché appena una manciata di secondi dopo Hitomiko lo raggiunse, accompagnata da Nagumo e Hiroto.
-Gazel, credo che tu conosca già Burn. Lavorerà con te nel tuo ufficio, come tuo assistente tecnico- dichiarò la donna.
-Spero riuscirai ad ambientarti presto. Se hai domande, comunque, puoi chiedere direttamente a me, o a Hiroto- aggiunse, poi con un ultimo brusco cenno di saluto rientrò nell’ufficio del padre, lasciando i tre ragazzi da soli. Appena se ne fu andata, Gazel si rivolse a Hiroto.
-Non ti ho mai ringraziato- esordì. Hiroto lo guardò, perplesso. Nagumo sembrava altrettanto confuso, ma Gazel decise di ignorarlo, per il momento.
-Sei stato tu a suggerirmi di diventare archivista, senza di te non ci avrei mai pensato. Quindi ti devo un favore- disse a Hiroto, e lo anticipò prima che aprisse bocca:- E non dire che non ti devo niente! Non mi piace essere in debito con gli altri.
Hiroto sbatté le palpebre e tacque, colto alla sprovvista. Dopo aver riflettuto per un momento, finalmente replicò:- Lo terrò a mente, allora, e quando avrò bisogno di qualcosa te lo dirò.
Gazel annuì, soddisfatto.
Prima che potessero aggiungere altro, Endou li raggiunse correndo.
-Ehi, ciao, Gazel!- esclamò, raggiante, e gli diede una pacca sulla spalla così energica che lo fece barcollare. Gazel borbottò un saluto in risposta, massaggiandosi il punto dolorante, ma Endou aveva già rivolto la propria attenzione verso Hiroto.
-Più tardi vado a mangiare un boccone fuori con Kazemaru e Midorikawa, ti va di unirti a noi?- esclamò.
-Uhm… mi piacerebbe, ma non credo sia il caso. Ho l’impressione di non stare molto simpatico a nessuno dei due, specialmente a Midorikawa- disse Hiroto.
Istintivamente, Gazel gettò un’occhiata alle spalle di Endou ed osservò gli altri due ragazzi: se ricordava bene, quello con i capelli azzurri era Kazemaru Ichirouta, mentre l’altro, con i capelli di un vivace color pistacchio, era Midorikawa Ryuuji. In effetti, mentre il primo appariva tranquillo, quest’ultimo non sembrava particolarmente allegro, forse infastidito dal fatto che Endou avesse esteso l’invito anche a Hiroto.
-Uh? E perché dovresti stargli antipatico? Gli hai fatto qualcosa?- domandò Endou, sorpreso.
-No, ma non credo che lui la pensi così- rispose Hiroto con un ché di rassegnato. –Comunque, sarà per un’altra volta, tu vai e divertiti…
-No, no! Non è giusto che tu ne resti fuori! Dai, sono certo che sia solo una tua impressione! Anzi, adesso lo chiedo direttamente a loro...
-Cosa? No, Endou, aspetta…
Endou non aspettò: alzò un braccio e fece segno agli altri due di avvicinarsi. Gazel vide Hiroto premersi una mano sulla fronte e scuotere il capo, probabilmente esasperato dal comportamento di Endou. Kazemaru e Midorikawa si scambiarono un’occhiata, poi li raggiunsero, fermandosi davanti a loro.
-Ehi, Hiroto può venire con noi, vero? Non ci sono problemi?- chiese Endou. Gazel notò che si rivolgeva in particolar modo a Kazemaru, mentre Midorikawa stava un passo più indietro, come se cercasse di mettere distanza tra sé e Hiroto. A giudicare dalla sua espressione, quella di Hiroto non era solo un’impressione, gli stava davvero antipatico.
-Certo, nessun problema- esclamò Kazemaru, che sembrava il più aperto tra i due.   
Midorikawa scoccò un’occhiata di sbieco a Hiroto e non disse nulla. Sembrava essere sulla difensiva, ma poi il suo amico gli diede una leggera gomitata al fianco e lui gettò le armi.
-Suppongo che non ci siano problemi- disse, seppur un po’ riluttante. Il suo sguardo si spostò subito da Hiroto a Gazel e la sua espressione mutò completamente, aprendosi in un sorriso più amichevole e gentile. Senza un attimo di esitazione, gli tese la mano.
-Ehi, tu sei… l’addetto informatico, giusto? Gazel- esclamò. –Midorikawa Ryuuji, piacere di conoscerti. Pare che lavoreremo insieme, quindi spero che andremo d’accordo.
Gazel accettò di stringergli la mano, titubante, ma ricambiò la presentazione solo con un cenno del capo. Notò che gli occhi del ragazzo era neri come l’anice, un colore in cui sembrava ci si potesse perdere. Midorikawa parve leggermente deluso dalla scarsa risposta ricevuta, forse persino un po’ intimorito dal suo sguardo fisso addosso; quando lasciò la sua mano, ripeté la stessa cosa con Nagumo, infine si ritrasse, insoddisfatto. Iniziò ad attorcigliarsi una delle ciocche di capelli che sfuggivano alla coda di cavallo tra le dita, probabilmente un tic nervoso.
Intanto, Endou aveva ripreso a tormentare Hiroto perché gli dicesse di sì e, finalmente, il rosso cedette alle insistenze dell’amico.
-Va bene. Va bene, ci vengo!- affermò, esasperato. Endou fece un largo sorriso e gli mise un braccio intorno alle spalle. Hiroto sospirò e si rivolse a Gazel.
-Se ti serve qualcosa, puoi cercarmi più tardi… Allora, a dopo!
Gazel rimase ad osservare i quattro mentre si allontanavano. Nel corridoio erano rimasti solo lui e Nagumo, cosa che lo metteva abbastanza a disagio.
Accanto a lui, Nagumo si stiracchiò le braccia stendendole in alto e sbadigliò.
-Bene, andiamo nel mio ufficio!- annunciò. Gazel lo guardò accigliato.
-Il tuo ufficio?- ripeté. –Se non ho sentito male, sono io l’archivista, ergo l’ufficio è mio. Tu sei il mio… aspetta, com’erano le parole esatte? Ah, il mio assistente tecnico, già.
Nagumo arricciò le labbra in un broncio.
-Vedo che le tue capacità di socializzare non sono granché migliorate nel tempo in cui non ci siamo visti. Del resto, anche prima stavi trapassando con lo sguardo quel tipo, Midorikawa. Volevi ucciderlo, o cosa?- replicò.
-Cosa? Non ho niente contro Midorikawa- disse Gazel, sbattendo le palpebre sorpreso. Forse l’aveva guardato fisso troppo a lungo? A volte gli capitava di farlo.
–Ah, forse è per questo che era disagio. No, non voglio ucciderlo. Credo che sia semplicemente la mia espressione standard.
-Perché fai schifo a socializzare- reiterò Nagumo, soddisfatto di aver avuto l’ultima parola. Gazel alzò gli occhi al cielo, ma stranamente non si sentiva infastidito, anzi era un vero sollievo riuscire a parlare normalmente con Nagumo, anche se si trattava solo di battibecchi. I battibecchi andavano più che bene; forse, in fondo, era il loro modo di comunicare. Chissà se sarebbero mai riusciti a fare di meglio.
-Comunque, andiamo nel mio ufficio- disse Gazel. Il ghigno di Nagumo si spense per un momento, poi tornò in una forma diversa – un vero sorriso, morbido, quasi caldo, non beffardo o sarcastico. Gazel sentì una sorta di sfarfallio allo stomaco e pensò che poteva quasi abituarcisi.
-Nostro- disse Nagumo, serio. –Il nostro ufficio?
-Nagumo…
-Burn. Devi chiamarmi Burn, adesso.
Gazel esitò, poi annuì.
-Burn. Andiamo al nostro ufficio, allora- acconsentì. Alzò lo sguardo verso il soffitto, seguendo con gli occhi la scia di lampadine sul soffitto. Si sentiva più mite del solito. Quasi in pace con se stesso, una sensazione che non provava da molto tempo.

Era l'ultimo giorno d'inverno. 


La sua vita all'Inazuma Agency era appena cominciata.



 
**Angolo dell'Autrice**
Buonasera! Spero che il capitolo vi sia piaciuto; credo sia venuto più lungo degli altri :')
Per quanto riguarda la prima parte, ci tenevo a dare un'introspezione ad Atena e Hepai. Nel resto del capitolo, invece, il p.o.v. torna a Gazel. Ho cercato di dare delle indicazioni temporali, seppur minime, per definire il corso degli eventi; aggiungo quindi, come nota finale, che è passato quasi un anno tra gli eventi dell'ultima parte di questo capitolo e l'inizio della trama principale di Spy Eleven. È stato strano scrivere di Midorikawa dal punto di vista di Gazel, quando erano ancora praticamente degli sconosciuti! Ma era dall'inizio di questo spin-off che programmavo una cosa così. Ci tenevo ad introdurre i personaggi della squad alla fine dell'ultimo capitolo di No Light, così da creare una sorta di "ponte" tra le due storie. Sono felice di essere riuscita a concludere questo spin-off, ora potrò concentrarmi su Spy Eleven! 
Grazie a tutti coloro che hanno seguito questa fic, in particolare ai miei recensori~
Saluti!

           Roby
   
 
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