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Autore: thewise    25/02/2017    0 recensioni
Ahsoka Tano è una giovane togruta di diciott'anni, è lontana dal suo pianeta d'origine, lontana da quella che ha sempre considerato la sua famiglia, lontano da tutti e lontana da tutto. La guerra giunge al termine ed ogni cosa sembra apparentemente riprendere il suo corso, anche se non nel modo sperato: la Repubblica cade, sorge l'Impero. Ahsoka Tano è lontana, non sa più chi è, chi è stata e cosa diventerà. Ma c'è una cosa di cui Ahsoka è certa, una cosa che sicuramente sa di non essere: un Jedi.
( INCOMPLETA )
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ahsoka Tano, Anakin Skywalker/Darth Vader, Nuovo personaggio, Obi-Wan Kenobi, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 04.

The beast inside

 
" it was Master Plo Koon
who found me and brought me

to the Jedi Temple where I belong.
 "
  
 
 Lo spazio era un turbinio di scie luminose, stelle sfuggenti alla velocità della luce. 
Ahsoka guardava assorta i puntini e le loro tracce, che incrociavano e abbandonavano la sua vista distratta, del tutto lontana dal posto in cui era. Avrebbe potuto chiudere gli occhi e il risultato sarebbe comunque stato lo stesso: un grande e profondo abisso scuro.
“Ahsoka”, aveva esordito l’ologramma di Obi-Wan, di un azzurro flebile intermittente a causa della difficoltà di ricezione. “È bello vedere che stai bene.”  
“Maestro”, aveva balbettato lei in risposta, del tutto spiazzata nel rivederlo dopo così tanto tempo. Incredula del fatto che fosse riuscito a trovarla, confusa – com’era riuscito Obi-Wan Kenobi a sapere dove e quando contattare una nave spaziale non in funzione da anni, in un altro sistema, lontano anni luce e invisibile a qualsiasi tipo di localizzazione?
Sì, la Forza agiva in maniera misteriosa e inspiegabile. Obi-Wan sapeva da un pezzo dov’era Ahsoka, probabilmente l’intero Consiglio ne era conoscenza e la ragazza aveva il forte sospetto che in gran parte c’entrasse Plo Koon, il Maestro che l’aveva condotta al Tempio Jedi quando aveva solo tre anni. Il dubbio che fosse coinvolto anche Anakin Skywalker l’aveva attanagliata, ma subito venne fugato: se Anakin avesse saputo della sua presenza in un luogo come quello, sarebbe volato a riportarla indietro.
“Ahsoka… ho assolutamente bisogno di parlarti. Girano voci nel Sottomondo, voci che il Consiglio non comprende e che sottovaluta per dar priorità a questa guerra.”
Lo sguardo di Ahsoka era puntato sul tunnel spaziale che scorreva via, il suo petto si alzava e si abbassava lentamente, inspirava ed espirava. Non pensava, semplicemente esisteva, avvolta in una bolla vuota, dove tutti i suoni arrivavano permeati come echi lontani. Era precipitata sul fondo di un pozzo oscuro interminabile e l’unica voce ad infrangere la barriera del silenzio era quella di Obi-Wan.
“C’è qualcosa che non mi convince con l’avvicinamento di questa “vittoria”, qualcosa che non va. Come se fosse una quiete prima di un grande sconvolgimento. So di chiederti molto, Ahsoka, ma la mia volontà di contattarti non è casuale. Confido nelle tue capacità e in te.”
Obi-Wan era sembrato sincero, anche se turbato. Ahsoka avrebbe voluto chiedergli ulteriori spiegazioni, ma non lo fece. Sapeva che sarebbe stato discreto per via della presenza di Drake e Marek e poi, verità che rese la visione del volto del Maestro un po’ dolorosa, Ahsoka non era più un Jedi. E quelle erano faccende che non la riguardavano.
“Io non lo so, non credo…”, aveva cercato di assemblare parole, scuotendo il capo e sperando che acquistassero un qualche senso una volta proferite. Non era una buona idea, voleva dire esattamente questo. Non voleva tornare; non era sicura nemmeno di non volerlo fare, però. Non voleva vedere Anakin; invece sì, voleva vederlo, forse più di quanto non ammettesse. Cosa stava succedendo al suo buon senso?
« Quindi… il tuo nome non è Ashla », ruppe il silenzio tombale la voce di Drake, seduto alla postazione del pilota.
Ahsoka inspirò profondamente, ridestata dal suo stato di “vuoto”, dal ricordo della conversazione con l’ologramma di Obi-Wan. Non aveva aperto bocca da allora, da quando erano partiti, e quello era il primo tentativo di Drake di rompere il muro dietro al quale si era ritirata.
La togruta non si volse, rimanendo comodamente poggiata al sedile. I suoi occhi si spostarono in direzione del posto del pilota di pochi centimetri ed era il massimo che poteva concedersi: non voleva davvero spiegare l’oceano in tempesta e contemporaneamente piatto che nascondeva dentro di sé. Già era difficile da comprendere per lei, figurarsi per qualcuno che la conosceva da una settimana. No. E poi che parole avrebbe potuto utilizzare? Non ce n’erano di adatte.
« Quindi sei un Jedi… »
La voce di Drake suonava limpida nella cabina di pilotaggio, per nulla accusatoria in realtà. Ad Ahsoka sembrò che la parola Jedi fosse uscita tra i denti, ma probabilmente era solo una sua impressione. Probabilmente erano le sue orecchie a percepirla come qualcosa di estraneo a lei, qualcosa che non andava più a braccetto con la sua persona.
Dopotutto era Ashla. Ashla era una viaggiatrice.
« No », rispose lei con un sussurro, come se le costasse una certa fatica. « Non più. Non sono un Jedi… »
“Non ti sto chiedendo di tornare, se è questo a metterti in difficoltà. Ti sto chiedendo di aiutarmi.”
Drake mugugnò pensieroso, le mani adagiate accanto ai comandi, pronte a reagire in caso d’imprevisto. Scrutava la ragazza di sottecchi, cercando di studiarne lo stato d’animo o almeno di carpire qualcosa di più senza sfociare nell’indelicatezza. E poi cambiò idea.
« Questo è il momento in cui dovrei dire che ho sempre saputo, dentro di me, che Ashla non era il tuo vero nome e che, conscio delle tue personali motivazioni, ho preferito non sottoporti ad un interrogatorio inopportuno – ma la verità è che me la sono bevuta tutta, Ashla. »
Ahsoka sorrise istintivamente, un piccolo segno nell’imperturbabile espressione indefinita che l’accompagnava. In cuor suo, apprezzava il fatto che Drake non reagisse male a quella sorta di inganno, che capisse o che se non altro non lo prendesse come un affare personale. Non era obbligato ad accettare la complicata verità della sua identità e considerando il fatto che non si conoscevano poi molto… avrebbe benissimo potuto infuriarsi, sigillarla in una stanza della nave fino all’arrivo su Coruscant e assicurarsi che non li avrebbe più seguiti.
Ma Drake non sembrava arrabbiato, non lo era. Anzi, ad Ahsoka parve persino d’intravedere una sorta di ghigno sorpreso e furbo, come se – in realtà – al contrario delle parole appena dette, lui avesse sempre saputo che per prudenza o motivi di natura altra nessuno avrebbe usato il suo vero nome con degli estranei.
« Me la sono bevuta proprio. Ah, sì! », proseguì ridacchiando, adagiandosi più comodamente sulla poltroncina.
“Vieni al Tempio. Là potremmo parlare.”
“No! – “
« Mi dispiace, davvero… »
« Non devi. Io avrei fatto lo stesso », ora Drake la guardava con determinazione crescente, « Sarebbe stato strano il contrario. E poi… tutti abbiamo un passato che ci insegue e da cui cerchiamo di scappare. Immagino che anche tu abbia il tuo, nonostante la tua giovane età. »
Ahsoka espirò rumorosamente, trattenendo una risata che avrebbe avuto un sapore molto amaro. « Non sono così giovane. »
“Credo sarebbe meglio – rimanere fuori dal Tempio, Maestro.”
Obi-Wan era sembrato perplesso per un istante, che subito aveva coperto mostrando uno sguardo comprensivo. Aveva annuito, con la solita calma. “D’accordo, ma sii prudente. Io ti raggiungerò.”
Qualcosa nella sua voce aveva fatto intuire ad Ahsoka le ragioni del suo turbamento, aveva osservato l’ultima occhiata guardinga che il Maestro Kenobi aveva dato allo spazio circostante prima di chiudere la comunicazione. Poi era caduta nel tenebroso tunnel dell’assenza di pensieri, di silenzio, d’immobilità totale.
Aveva lasciato che il rombo della nave l’avvolgesse e la sensazione di essere di nuovo nello spazio aperto la cullasse. L’iperspazio l’aveva trascinata via, un po’ come tutte le stelle venivano sfumate e trascinate lungo la via. Ed era ancora lì, a cercare di mettere assieme i pezzi di ciò che sarebbe molto presto accaduto, all’improvviso ritorno in quel pianeta, con quelle persone.
Forse il silenzio avrebbe saputo darle un consiglio, o forse invece non c’erano consigli che avrebbero potuto reggere il gioco. Forse certi eventi erano del tutto inevitabili e imprevedibili, forse non c’era modo di sfuggire allo strano cerchio perpetuo della Forza. Forse… forse
Forse Ahsoka aveva ancora troppi forse e quella sarebbe stata la giusta occasione per cancellarli, uno dopo l’altro. Forse.

 
 
two years ago
         
La navetta uscì dall’iperguida, lo spazio profondo e stellato si aprì di fronte allo sguardo attento di Ahsoka, che lo distolse solo un istante dal controllo delle coordinate.
« Sicuro che sia questo il posto, Maestro? », domandò perplessa, scorrendo nuovamente le informazioni in loro possesso dalla sua postazione di co-pilota.
Anakin scrutò la distesa buia avanti a loro, le mani ferme ai comandi ma gli ingranaggi della mente rumorosamente in movimento.
Qualcosa non andava, questo era certo, e la questione poteva avere solo due risvolti: o il Consiglio aveva interpretato in modo errato i dati della trasmissione, facendo un buco nell’acqua ( o nello spazio ), oppure qualcuno li aveva inviati appositamente per far cadere i Jedi in una trappola. E non c’era il minimo che dubbio che le percezioni del Maestro Skywalker pendessero tutte a favore della seconda ipotesi, nonostante un presentimento continuasse a metterlo in guardia comunque.
« Non c’è niente, qui », riprese Ahsoka, levando le spalle. « R2, fai una scansione. »
« R2, aspetta. Mettimi in contatto con il Consiglio », disse Anakin, senza ancora lasciar andare i comandi. Si rivolse alla sua padawan prima del collegamento con gli altri Jedi, terribilmente serio e autoritario. « Questa cosa non mi piace, ho paura che potremmo finire in una trappola se già non siamo nel mezzo – e sento che c’è dell’altro, altro che non riesco a percepire. »
« Altro, Maestro? »
« Non lo so, ma voglio vederci chiaro. Ecco perché dovrai fare quello che ti dico, Ahsoka. »
Il tono preoccupato e in netto contrasto con l’espressione severa fece annuire Ahsoka inconsciamente. Non voleva deludere il suo Maestro, disubbidire ancora una volta, non dopo aver dato vita ai suoi demoni interiori al Tempio. Aveva impiegato qualche giorno a superare l’accaduto, la giovane togruta, e quella richiesta fece insorgere in lei una lieve insicurezza.
Anakin sembrò leggere il suo volto senza difficoltà e stette per aggiungere dell’altro, ma fu interrotto dall’immagine di Obi-Wan che comparve proiettata tra le due postazioni.
« Credevo doveste già essere arrivati. Che succede, Anakin? »
« Le coordinate del Consiglio ci hanno condotto in mezzo al nulla. Siamo nello spazio aperto e sono sicuro che non sia casuale, escludendo una traduzione incorretta. »
Obi-Wan incrociò le braccia al petto, improvvisamente pensieroso e non propenso a cogliere la vena sarcastica dell’ultima affermazione di Anakin. « Sei certo di averle impostate correttamente? È insolito e pericoloso. »
« Già, ne siamo consapevoli », annuì Skywalker con un sorriso impertinente. « Dì al Consiglio che rientriamo subito. Verremo a capo dell’incognita quando saremo lontani da imboscate Separatiste, non siamo equipaggiati per uno scontro di grande portata. »
« Riferirò ai Maestri l’accaduto. Se è una trappola capiremo chi vi si cela dietro e per quale motivo ha lanciato un’esca simile. Procedi, Anakin, e sii prudente. »
« Aspettate! », esclamò Ahsoka, irrompendo nella conversazione che aveva diligentemente ascoltato fino a qualche attimo prima. « R2 ha terminato la scansione. Qualcuno ha manomesso i dati delle coordinate, proprio qui. »
Con la punta dell’indice indicò la rivelazione del droide, un picco di trasmissione diverso dagli altri, proveniente da un luogo diverso e sviluppato da un differente strumento di comunicazione. La richiesta originale era stata interrotta, deviata al fine d’inserirvi una nuova rotta. A che scopo? Perché far finire una navetta della Repubblica in una zona scoperta desolata se non per coglierla impreparata ed abbatterla? Per catturarla?
« R2, recupera i dati e trasmettili alla postazione principale », ordinò Anakin, lanciando un’ultima occhiata ad Ahsoka.
Obi-Wan era ancora in ascolto, fermo come una sagoma azzurra e inconsistente, velato di forte sospetto. La sua preoccupazione era la stessa che aveva sfiorato il giovane Skywalker, e se si fosse concretizzata avrebbe avuto un esito indesiderato per quel viaggio iniziato come soccorso.
Eppure aveva perduto le prime sembianze di un’imboscata, restando solo un grande enigma irrisolto. Oltre alla loro navetta non c’era anima viva, nessun rilevamento tecnologico, nessuna energia, nessun’altra vettura. Niente. Assolutamente niente. Solo lo spazio.
« Uhm, non mi piace, Anakin. »
« Forse chi ha forzato la trasmissione originaria non voleva attaccare la Repubblica, ma coprire le tracce di qualcosa che sta succedendo nel luogo di emissione », abbozzò convinta la togruta. Teneva lo sguardo fisso sulle mani del suo Maestro e vagava ogni tanto verso Obi-Wan alla ricerca di un segno.
Anakin iniziò ad impostare le nuove coordinate non appena R2 terminò di restaurarle. Il Maestro Kenobi annuiva, portando una mano al mento sempre più sospettoso e affatto tranquillo, sentimento diffuso in gran parte dell’Ordine. L’equilibrio era scosso da tempo, ma mai come ora era sembrato più fragile… e oscuro.
« Quello che non mi spiego è come sia potuto sfuggire al Consiglio questo particolare non indifferente », proseguì Obi-Wan, « qualunque droide avrebbe potuto segnalare un’alterazione delle informazioni. »
« Chi ha richiesto questa missione? », chiese subito Ahsoka.
La domanda rimase sospesa tra le pareti della navetta qualche istante, in cui Obi-Wan Kenobi apparve prendere consapevolezza di un fatto a cui non aveva dato il giusto peso. Almeno finora. « Richiesta dal Cancelliere al Consiglio, con il nome di Anakin al primo posto per svolgerla. »
« Oh… il Cancelliere? »
« Già, proprio il Cancelliere Palpatine. Sembrava avesse molta premura, soprattutto sul fatto che fosse Anakin a gestirla. »
« Bè, è strano. Non è vero, Maestro? »
Ahsoka si volse accigliata verso Anakin, ora impassibile, pietrificato di fronte allo schermo. Non ricordava altre occasioni in cui il suo sguardo era stato tanto vacuo, pallido come dopo aver visto un fantasma, uno spettro. Forse solamente l’episodio accaduto al Tempio, quando si era reso conto che la sua allieva non era esattamente… in sé. Forse allora i suoi occhi dovevano essere apparsi svuotati, colpiti da una flebilissima fiamma di paura, in gran parte conseguenza di quello strano legame che si era creato tra loro.
« Maestro? », represse l’impulso di posargli una mano sul braccio, limitandosi ad avvicinarsi cauta.
Anakin non reagì in alcun modo. Il suo profilo era ermetico agli occhi assottigliati di Ahsoka, ancora più chiuso per il lontano Maestro Obi-Wan, che provò a chiamarlo invano. Persino R2 fece sentire i suoi fischi, aggiornando i Jedi sul completo salvataggio delle informazioni richieste. E questo fu un primo indizio.
« Maestro… »
« Rotta tracciata », disse Anakin con un filo di voce, ridestato.
Percepiva l’attenzione di Obi-Wan e della sua allieva addosso, tuttavia non se ne curò: confermò le coordinate, preparò la postazione e il salto nell’iperguida, silenzioso e incupito. Ahsoka seguì il suo esempio, non volendo porre alcuna ulteriore questione.
« Ci dirigiamo a Tatooine. Informa il Consiglio. »
All’austerità del cambiamento, Obi-Wan non poté far altro che accondiscendere: non solo sarebbe stato inutile controbattere l’ostinatezza di Anakin, sfociando in un vortice infinito di botta e risposta, ma le conseguenze avrebbero potuto aggravare al limite quella circostanza già sgradevole. Molte riflessioni si sarebbero riversate sul Consiglio dei Jedi, sommate al peso della guerra sempre più gravosa e temibile, il cui denominatore comune era l’oscurità incombente, vicina, palpabile.
« Sarà fatto. Fate attenzio–– »
Anakin interruppe la comunicazione bruscamente e l’immagine dell’ologramma di Obi-Wan scomparve. Allieva e Maestro rimasero nuovamente soli nella navetta, con il pronto ausilio di R2.
Ahsoka tornò a concentrarsi sui comandi, reprimendo con forza la mole di domande che in quel momento esatto esplodevano nei meandri della sua mente. In silenzio temeva che Anakin riuscisse a percepire la sua tensione e anzi, era scontato che ne fosse già a conoscenza… o forse, invece, no.
 Molte volte la vista deviò fugace, si assicurava della presenza al suo fianco, controllava e carpiva ogni minimo movimento dei muscoli contratti sul viso del Maestro, che non pronunciò parola. Non fece neppure notare quanto fossero rumorosi i quesiti non posti di Ahsoka, segnale sufficiente di per sé a farle intuire che qualcosa si era scatenato e stava esplodendo dietro a quegli occhi azzurri, su cui era calata un’ombra. Un’oscurità conosciuta, ciò non di meno pericolosa.
E Ahsoka ben sapeva, ormai, che qualsiasi ragione turbasse il Maestro Skywalker avrebbe presto coinvolto anche lei. Lei e forse in parte ancor maggiore tutti gli altri Jedi.
 
L’atterraggio su Tatooine fu tranquillo, privo di rischi ed eventuali problemi, come spesso invece succedeva quando al comando principale c’era l’inclinazione al pericolo di Anakin. La superficie arida e desertica levò una nube di sabbia poco densa, che presto si spense assieme alla navetta.
Il Maestro era inquieto, e più tentava d’apparire uno specchio d’acqua imperturbabile, più era chiaro quanto fosse lontano da quella condizione. Aveva lo sguardo assorto, inchiodato s’un punto indefinito del pianeta, distante miglia e miglia dalla realtà, soppiantato in una dimensione altra ed irraggiungibile.
Per il resto del viaggio non aveva aperto bocca e lo stesso aveva fatto Ahsoka. Si era limitata a lanciargli occhiate guardinghe, attenta a non farsi scoprire – impresa che le riuscì benissimo, perché Anakin era talmente rapito da non accorgersi nemmeno dei tentativi maldestri della sua apprendista. Non si era reso conto di nulla, non aveva avvertito strani flussi emotivi, dubbi o preoccupazioni.
Si alzò bruscamente, percorse la cabina di pilotaggio in pochi passi e uscì. Ahsoka non lo perse di vista, le labbra socchiuse ed incerte se continuare ad omettere la sua confusione oppure no. Forse avrebbe potuto essergli d’aiuto, forse… o magari voleva solo essere lasciato in pace. Cosa doveva fare?
Sospirando, la giovane ordinò a R2 di rimettersi in contatto con il Maestro Obi-Wan e scoprì che Anakin aveva bloccato le comunicazioni per tutto il tempo trascorso in rotta verso Tatooine. Chiamate senza risposta erano rimaste sospese e fecero scattare in lei un potente campanello d’allarme.
« Maestro, non sono certa che sia una buona idea rimanere qui. Ho un pessimo… pessimo presentimento a riguardo… », disse d’un fiato, quando l’ologramma di Kenobi riapparve davanti ai suoi occhi.
« Ahsoka », la interruppe serio Obi-Wan, alzando una mano, « dovete rientrare immediatamente a Coruscant. Il Consiglio ha deciso di sospendere la missione fin quando non verrà risolto questo punto interrogativo. »
« Ma… »
La figura del Maestro Jedi si fece più grave, come afflitta da una verità e da un timore represso. « Non si tratta solo di questo. Forse qualcuno ha tentato di nascondere alla Repubblica qualcosa lontano dal suo controllo, forse il Cancelliere è stato ingannato e non ci sono prove o motivazioni per cui avrebbe dovuto essere a conoscenza dell’alterazione delle coordinate. Ciononostante… Anakin è l’ultimo tra noi a poter svolgere con lucidità questo compito. Credo tu non abbia scordato ciò che ho accennato su Zygerria, riguardo alla storia personale di Anakin: ecco perché devi riportarlo subito su Coruscant. »
« Ma io… non credo che mi ascolterà. Sai meglio di me quanto il Maestro Skywalker sappia essere così testardo. »
« Lo so, ma non abbiamo altra scelta. Ahsoka, temo che rimettere piede su Tatooine possa sconvolgere il suo equilibrio e metterlo a dura prova. Devi fare tutto il possibile per convincerlo a rientrare, non importa se dovrai ricorrere a mezzi drastici e non convenzionali – Anakin non capirà, non subito, ma potrebbe essere l’unico modo per impedire che faccia qualcosa di incredibilmente stupido. »
Ahsoka fece un flebile cenno col il capo, emettendo un mugolio d’assenso. Non era convinta delle parole del Maestro, soprattutto riguardo al dover agire alle spalle di Anakin se pur per il suo bene. Si sentiva nel mezzo di un fuoco incrociato, sul pendio più alto, in bilico tra il precipitare su di un lato o sull’altro: la scelta sbagliata poteva essere fatale sia per lei che per Anakin.
« Va bene, Maestro. Farò quello che posso », bisbigliò in risposta, persa ogni briciola del suo tipico entusiasmo da missione fuori dal Tempio.
« Conto su di te. »
L’ologramma di Obi-Wan scomparve di nuovo, questa volta in via definitiva. Ahsoka rimase qualche istante ad osservare la piattaforma vuota, a prendere il fiato necessario e il tempo per elaborare un piano. Doveva trascinare Anakin fin alla navetta? Legarlo al sedile e rischiare di essere espulsa per sempre dall’Ordine dei Jedi per atti di violenta insubordinazione e tradimento verso un superiore? Magari stordirlo, perdendo piuttosto la sua fiducia anziché lo status di padawan?
Tutte le alternative possibili e classificabili come “mezzi drastici e non convenzionali” insinuavano in lei uno strano malessere, una sensazione fastidiosa di cui voleva assolutamente liberarsi. Seguire i consigli di Obi-Wan equivaleva fare qualcosa che Ahsoka non aveva mai contemplato: ferire il suo Maestro. Ma non seguirli, invece? Era pronta ad accollarsi la responsabilità di una via piuttosto che l’opposta contraria? Era pronta ad affrontarne le conseguenze?
No, era la risposta. Non lo era.
Non era pronta. Non di nuovo.
 
L’aria secca e calda del pianeta la investì in pieno volto appena mise il naso fuori dalla navetta. I piedi affondavano nella sabbia dorata, sottile, e dovette socchiudere le palpebre per mettere a fuoco la figura di Anakin poco distante.
Era immobile, ancora intento ad osservare l’orizzonte irraggiungibile e lontano, immerso in chissà quali pensieri ermeticamente inaccessibili. Una sagoma nera nel bel mezzo del chiarore del cielo terso, circondato da un infinito deserto e due soli.
Ahsoka lo raggiunse con lentezza, trascinandosi. Arrivò al suo fianco in silenzio, torturandosi le dita delle mani e scrutandolo dal basso della sua statura.
« Spero che Obi-Wan ti abbia almeno dato indicazioni utili per capire cosa stiamo cercando », disse tranquillamente Anakin, dopo aver preso un respiro profondo.
« Cosa – io non… »
Anakin si volse, fronteggiò Ahsoka impassibile. Da quel che riusciva a vedere nella sua espressione invalicabile non era arrabbiato, ne colto alla sprovvista o inerme: l’intervento di Obi-Wan era proprio ciò che si aspettava, la sua premura nel sottolineare quanto fosse rischioso un soggiorno prolungato su Tatooine. Solo che non voleva ascoltarlo, ovviamente.
« So che non approva e che ti ha chiesto d’intervenire affinché facciamo ritorno su Coruscant, ma non ho intenzione di lasciare questo posto. Quello che voglio sapere è: sei con me o devo ordinare a R2 di scortarti fino al Tempio e tornare a prendermi? »
Ahsoka lo guardò accigliata, un occhio socchiuso e l’altro sgranato. Mostrò tutto il suo disappunto, serrò le labbra, per nulla impressionata o intimorita dall’improvvisa e strana severità del Maestro. Ci voleva ben altro per farla desistere, quello era solo un invito a continuare.
« Sappi, Skycoso, che non l’avrei mai fatto. Anche se in questo momento trarrei mooolta soddisfazione nell’usare un blaster rudimentale per stordirti. »
Il volto impenetrabile di Anakin ebbe un istante di cedimento, un muscolo guizzò fulmineo, creò una parvenza di sorriso. Oramai si era abituato al temperamento di Ahsoka e non si stupiva quasi più di nulla che uscisse dalle sue labbra. Anzi, un lato remoto di sé adorava il suo essere così impertinente, così simile a lui, ma le rivolse ugualmente un’occhiata sarcastica. « Certo, furbetta. Dovresti prima riuscirci, però. »
« Come sarebbe a dire, scusa? », ribatté lei, sempre più sbigottita.
Il Maestro le lanciò un’occhiata eloquente, sollevando di scatto le sopracciglia con ovvietà. « Dai, avanti », proseguì con un cenno del capo in direzione della navetta, « prendi il necessario e andiamo. Non abbiamo molto tempo, R2 rimarrà a fare la guardia. »
« Come vuoi tu, Skycoso », sbuffò Ahsoka, roteando gli occhi platealmente.
Anakin osservò la sua apprendista rientrare nella navetta, colse i movimenti accennati del suo capo, sicuramente volti a imitarlo con una smorfia ben piazzata sul volto. In un certo senso quell’immagine lo sollevò, lo carezzò dolcemente come una parvenza di normalità, rassicurandolo che le cose erano esattamente come dovevano essere. Tutto andava bene.
Ma non durò che un attimo fugace, svanito in un battito di ciglia.
Quando Ahsoka scomparve nella navetta, lo sguardo di Anakin cadde con amarezza sulla sabbia di Tatooine. E fu invaso dalla consapevolezza che, nel profondo, le cose non erano proprio come dovevano essere. Non andava tutto bene.


 
present day
 
Coruscant.
Il centro della galassia, l’ultimo posto in cui Ahsoka avrebbe voluto metter piede.
C’era qualcosa di davvero particolare nella sensazione di toccare nuovamente la superficie di quel pianeta, vedere dall’alto gli edifici, gli speeder, le navette, il via vai continuo che rendeva Coruscant… Coruscant. Il centro della galassia.
Ahsoka sapeva, tuttavia, che sotto a quello strato di apparenza si celava un sottomondo cupo e pieno d’insidie. In un certo senso per lei quelle due facce del pianeta erano divenute un tutt’uno: non poteva guardare la città fiorente senza vedervi attraverso le immagini scolpite del declino, dei vicoli bui, della disgrazia, dei reietti. Vedeva se stessa in fuga come una criminale qualsiasi: creduta da nessuno, accusata da tutti.
Al momento dell’atterraggio in una piattaforma poco lontana dalla città, Ahsoka aveva già abbandonato la cabina di comando. Aveva cambiato il suo mantello con uno pulito che teneva nello zaino, si era coperta il capo e, dopo un momento di esitazione, aveva deciso di riprendere in mano le sue spade laser, agganciandole alla cintura. Non sapeva cosa aspettarsi, se aspettarsi qualcosa in generale, ma il pensiero di camminare per quelle strade disarmata non le piaceva molto.
Drake e Marek sarebbero rimasti a bordo della Narada; l’uomo aveva intenzione di chiamare il suo “contatto” e attenderlo lì mentre Ahsoka avrebbe raggiunto il punto d’incontro stabilito con Obi-Wan. Inizialmente, Marek non parve condividere l’idea di separarsi, di lasciare che la togruta si aggirasse da sola per la città, e infatti tentò di seguirla scattando dal sedile del co-pilota con un balzo. Fu suo padre a trattenerlo, afferrandogli un braccio e dicendo solamente: « Lasciala andare. »
Nella sua vita di pseudo-fuorilegge, cacciatore di taglie e cacciatore di taglie piantagrane, Drake Leafson non aveva mai avuto a che fare con l’Ordine dei Jedi. Come tutti, ne conosceva alcune storie, sapeva quello che bisognava necessariamente conoscere e gli era capitato di vederne qualcuno in azione da lontano, mentre con la sua nave abbandonava un pianeta per far rotta su di un altro. Non era proprio un esperto in materia, anzi, ma comprendeva la celata necessità di Ahsoka di risolvere, qualunque fosse, la sua questione irrisolta. Nessuno meglio di lui capiva, ora, il peso di un debito non estinto.
Dopo un istante di esitazione, Ahsoka varcò il portello principale.
In fine, ecco. La resa dei conti. La verità. Il passato.
Un nodo le salì su per la gola, facendole trattenere il respiro per un attimo. Sentì lo stomaco ridotto ad un groviglio di fili tesi e dolorosi, l’incertezza dominare sovrana sulla sua capacità di agire.
No, si disse. Non poteva permettere ai ricordi di paralizzarla, di avere il sopravvento sulla sua razionalità, se mai ne aveva avuta una. Ormai era lì, con o senza la sua volontà, e sembrava che il destino avesse per lei in serbo dei piani ben stabiliti. Sì, perché se non fosse giunta la chiamata del Maestro Kenobi, Drake e Marek l’avrebbero in qualunque caso ricondotta su Coruscant. Strana coincidenza, non c’era che dire…
Ahsoka represse il bisogno di chiudersi a chiave in una stanzetta della nave e attendere il momento della partenza. Avrebbe aspettato ore, giorni, pur di scappare da quell’onda anomala e improvvisa che scosse ogni fibra del suo corpo. Lasciò andare il fiato trattenuto, avvertendo la compressione dei polmoni, la loro necessità vitale di rifornirsi d’ossigeno nuovo.
Respira. Chiudi gli occhi. Senti la Forza, percepiscila fluire dentro di te, accanto a te, nell’aria, nel cielo, nella terra, in ogni dove.
Sgombrando la mente ed espirando con forza, obbligò le gambe e i piedi a muoversi, a percorrere la rampa dalla nave per toccare il terreno di fuoco. Ahsoka sistemò di nuovo il mantello sul proprio capo, affinché lasciasse intravedere solamente l’ombra dei suoi occhi, il naso sottile e le labbra. Era di una lunghezza sufficiente a coprire la tuta rossa almeno quasi fino alle ginocchia e questo le dava la seppur minima sicurezza di non poter essere riconosciuta all’istante. Poteva tornare ad essere un fantasma.
Le strade di Coruscant erano un flusso ininterrotto, uno schiaffo rispetto alla situazione tombale in cui Ahsoka aveva vissuto negli ultimi mesi. Rumori di veicoli e di chiacchiere spuntavano ovunque, marciapiedi affollati, edifici luminosi, folla.
Nell’attraversare quella frenesia, la togruta si strinse istintivamente nella tela che la proteggeva, lanciando occhiate guardinghe a chiunque le passasse accanto, persona o mezzo di trasporto. Procedeva  a passi ben marcati, ma senza avere in mente un itinerario preciso: doveva raggiungere il punto prestabilito con Obi-Wan e questo fu sufficiente a scatenare nella sua memoria una reazione naturale, per cui avrebbe faticato molto a dimenticare le strade del luogo in cui aveva passato tutta la vita.
L’unico tasto dolente era il doversi avvicinare al Tempio. La sua andatura sembrò perdere qualche colpo quando questa possibilità si fece sempre meno lontana, quando solo pochi tratti e poche svolte la distanziavano. Se avesse alzato lo sguardo, avrebbe già potuto intravedere il grande edificio. Così vicino, così lontano.
« Lieto di vederti, Ahsoka », disse la voce di Obi-Wan, non appena Ahsoka raggiunse quel punto nascosto.
In realtà, Ahsoka aveva appena che girato l’angolo e fiancheggiato la parete quando notò il Maestro camminare con una certa fretta nella sua direzione. Chiaramente veniva dal Tempio – la coda dell’occhio della ragazza deviò di circostanza per un quarto di secondo, nel quale ebbe la visuale della cima del sacro luogo – le mani congiunte andarono a scostare il cappuccio del mantello dal capo per rendersi riconoscibile.
Ahsoka non era sicura di poter rispondere allo stesso modo e si limitò ad un cenno, restando tuttavia nascosta dal manto.
« Purtroppo non abbiamo molto tempo », proseguì Obi-Wan con una certa premura. « Il Cancelliere sembra essere scomparso da questa mattina, il Consiglio ha già organizzato una missione di salvataggio che dovrebbe partire a momenti. »
« Il Cancelliere? », domandò Ahsoka d’istinto, spiazzata dal nuovo risvolto. Un rapimento del genere alla luce del sole era un chiaro segno di sfida alla Repubblica da parte dei Separatisti e mai fino ad allora si erano spinti a correre un rischio simile. Perché avrebbero dovuto farlo ora, di punto in bianco?
Obi-Wan parve comprendere l’insinuazione della togruta, la stessa che lo aveva tormentato durante l’attesa del suo ritorno su Coruscant. « A quel che risulta dietro a questa sparizione sembrano esserci Dooku e il generale Grevious. È stata disposta una nave e tracciata una rotta, non sono lontani. »
« È strano… »
« È esattamente quello che ho pensato anch’io. La guerra imperversa da anni e Dooku e Grevious si espongono con un’azione così pericolosa che potrebbe ritorcersi loro contro soltanto ora? No, non mi convince. Qualcosa non va e ho la brutta sensazione che l’Ordine dei Jedi sia già caduto in un tranello che non riesce neppure ad identificare. »
Gli occhi blu della togruta fissavano il volto del Maestro, si spostavano di tanto in tanto solo per non rimanere inchiodati al Jedi. E, ancor di più, alle faccende dei Jedi. Il suo istinto la spingeva a riflettere su questi strani eventi, a cercare di elaborare una teoria logica per venirne a capo, ma i sentimenti venivano poi a galla prepotenti e spegnevano ogni tentativo di ragionamento. Estraniavano quelle incombenze, non le riconoscevano più come proprie.
Obi-Wan aveva distolto lo sguardo per scuotere il capo tra sé, osservando il terreno. Sospirò assorto, ma più di tutto affranto: aveva già esposto la sua preoccupazione riguardo a qualcosa d’incombente e insolito, preoccupazione che non aveva fatto altro se non raddoppiare. Sulle sue spalle il fardello era opprimente e persino un grande Jedi come lui non poteva sottrarsi ad esso.
« Ahsoka… », continuò, lasciando sfumare la voce in un sussurro, « Temo che non sia un fatto casuale. Ti ho chiesto di venire qui per aiutarmi, perché in qualche modo so che guarderai con occhio diverso ciò che sta accadendo. Il Consiglio sta perdendo la fiducia… qualcosa di oscuro si è insinuato tra i Jedi da tempo, minando la fede che da sempre ci ha tenuti uniti. Ho paura che presto saremo impotenti se il presentimento che avverto si concretizzerà e questo rapimento… non è un buon segno. Ahsoka, se non possiamo più fidarci di noi, su chi potremmo fare affidamento? »
Le parole di Kenobi colpirono Ahsoka come una tormenta gelida, le fecero abbassare lo sguardo sotto il peso dei ricordi, del dolore, del conflitto e dell’insicurezza. Già, in chi potevano porre fiducia se non in loro, che erano una famiglia?
Non era certo una novità che il dubbio si fosse insinuato minaccioso nell’Ordine, creando incertezze piuttosto difficili da colmare. Ahsoka non era stata l’unica sfiduciata e a veder le spalle voltate di coloro in cui aveva sempre creduto; Obi-Wan aveva assistito di persona al momento in cui anche il Maestro Yoda era stato centro di discussione, quando il Consiglio aveva iniziato a pensare che il Lato Oscuro lo stesse traendo a sé attraverso la voce di Qui-Gon. La situazione non era certo migliorata con l’effettivo tradimento dell’allieva Barriss, ma in qualunque caso Obi-Wan aveva cominciato a riflettere profondamente su queste situazioni di disequilibrio, situazioni che mai sarebbero dovute accadere. Dubitare di un compagno Jedi significava dubitare di se stessi, e dubitare di se stessi in un momento tanto delicato equivaleva soccombere ad ogni tipo di minaccia imminente. Dooku e Grevious, dopotutto, non avevano inferto quel colpo tanto casualmente. Stavano approfittando della debolezza dei Jedi.
Obi-Wan fece per parlare, ma s’interruppe. Era consapevole di quanto quella constatazione toccasse Ahsoka in prima persona, si volse a dare uno sguardo al Tempio. « Sarà meglio che vada. »
Ahsoka rispose con un debole cenno d’assenso. Una mano del Maestro andò a posarsi con premura s’una sua spalla e solo allora si decise ad incontrare di nuovo i suoi occhi azzurri, profondamente sinceri. In quel momento comprese che Obi-Wan Kenobi aveva piena fiducia in lei e, in silenzio, gli fu grata.
« So che farai la cosa giusta, non ho alcun dubbio su questo. »
Le labbra della togruta si storsero in una smorfia. « Ma… cosa devo fare? »
« Sai cosa devi fare. E poi sappiamo bene entrambi che, comunque, non seguiresti le direttive che potrei darti e faresti di testa tua. »
Obi-Wan aveva colpito e affondato il bersaglio, come sempre – persino armandosi di un sorriso quasi innocente e per nulla provocatorio. Ahsoka mascherò quella che sarebbe stata una grande alzata di sguardo al cielo, inspirò ed espirò.
« Ascolta ciò che ti dice l’istinto », proseguì il Maestro.
« Non credo che il mio istinto sia molto affidabile in questo momento. Non credo che mi dica qualcosa riguardo a questo. »
« Fidati, Ahsoka. Altrimenti perché saresti qui? Pensaci. E ascolta. »


 
two years ago 
 
Ahsoka non riusciva a dormire.
Si era voltata più e più volte, coprendosi, liberandosi delle coperte, mettendosi a pancia in giù e tentando l’ultima spiaggia con la tipica posizione fetale: non sapeva esattamente bene perché, ma quando si metteva sul fianco e portava le ginocchia quasi ad altezza dello stomaco, si sentiva al sicuro. Si sentiva a casa, protetta, in qualunque angolo della galassia si trovasse.
Quella notte, però, non riusciva a chiudere occhio comunque. La preoccupazione di Obi-Wan era divenuta anche la sua preoccupazione. Aveva deciso di seguire il suo Maestro, di non agire contro di lui nonostante fosse per un bene futuro e “superiore”. Non poteva farlo, non ne sarebbe nemmeno stata capace. Eppure, non riusciva a dormire.
Lasciò in silenzio e a passo furtivo la stanzetta, gentilmente offerta per la notte da un certo Owen, che Anakin sembrava conoscere da un po’ di tempo – ovviamente era stato schivo e indisposto a darle spiegazioni e lei non aveva voluto forzare il suo umore già teso.
Era strano vedere quello sguardo insolito nel volto di Anakin, molto strano. Ancor di più lo era percepire qualcosa di palpabile che stava esplodendo senza tregua all’interno dei suoi pensieri, radicato nelle sue emozioni non così ben trattenute dietro il temperamento assurdamente ambiguo. In certi momenti della giornata trascorsa nell’arida città di Tatooine, Ahsoka aveva avuto come l’impressione che Anakin stesse per dar voce ad uno sfogo epico e senza precedenti; il suo sguardo era divenuto talmente tirato e grave da farla preoccupare. A notte inoltrata, però, il Maestro non aveva ancora aperto bocca.
Ahsoka si lasciò guidare dalle proprie sensazioni all’interno della fattoria buia, passando per la saletta in cui avevano consumato la modesta cena. Muoveva passi cauti, intenzionata a non svegliare e spaventare i proprietari che gli stavano dando un riparo. Sarebbe stato davvero poco educato.
Camminò, camminò per qualche minuto senza vedere nulla prima di fermarsi.
Ecco, era proprio lì, oltre la porta. Riusciva a sentirlo.
Scrutò nell’oscurità la superficie che la divideva dalla percezione della presenza di Anakin. Se l’avesse scoperta forse l’avrebbe rimproverata, ma Ahsoka non ne era neppure così sicura. L’unica cosa certa era l’agitazione tangibile del Maestro, che alla togruta parve come essere sua.
Non riusciva a venirne a capo, Ahsoka. Anakin le aveva salvato la vita così tante volte che… non poteva sopportare il peso di vederlo toccato da qualcosa, senza sapere che cosa e senza poter fare assolutamente niente per alleggerire la morsa che l’opprimeva. Certo, aveva avuto modo di ricambiare il favore e risolvere situazioni critiche che avrebbero altrimenti avuto un finale diverso, ma questa era tutta un’altra storia. Era lontana dall’azione, dal pericolo e dalle missioni. E ad Ahsoka non piaceva affatto.
« Entra », interruppe il flusso dei suoi pensieri la voce di Anakin, all’interno della camera.
Ahsoka si ritrasse, indecisa se obbedire e palesare il fatto che si trovasse proprio lì, dove non avrebbe dovuto essere, o darsela a gambe e scatenare l’ira del suo Maestro il giorno successivo. Maestro arrabbiato significava niente più missioni pericolose, battutine sarcastiche senza tregua e lunghe giornate in Archivio con Jocasta e i Jedi più anziani.
Con un sospiro e molta esitazione, scostò la porta il tanto necessario ad intrufolarsi nella stanza, in maniera cauta e silenziosa. La richiuse allo stesso modo, delicatamente.
« Dovresti dormire. Hai bisogno di riposo per la giornata di domani. »
Anakin era rivolto verso un’apertura quadrangolare nella stanza, in piedi a gambe perfettamente divaricate e mani congiunte dietro la schiena. L’unica luce era data da una lampadina sul comodino, che rendeva la sua figura quasi lugubre. Ahsoka l’osservò per una manciata di secondi, sbattendo le palpebre più volte.
« Scusa, Maestro, non riuscivo a dormire », furono le uniche parole che la togruta riuscì a pronunciare, con un filo di voce.
La visione di Anakin le riempiva la vista, le impediva di pensare. Le sue percezioni la rendevano cieca e scosse il capo quando si rese conto di essersi scusata. Che fine aveva fatto il suo orgoglio? Ah, Skycoso l’avrebbe presa in giro a lungo una volta superato quello stato di stranezza! Ma, in fondo, Ahsoka poteva accettarlo, forse. Se l’avesse distratto dai suoi evidenti pensieri, era un prezzo sopportabile.
Anakin si volse appena, mostrò il suo profilo oscurato rivolto verso il basso. « Nemmeno io », sussurrò.
Il cuore di Ahsoka ebbe un tuffo. Un’ondata di malessere la investì in pieno, come vento torrido insopportabile. Si costrinse a muovere qualche passo, attenta a non provocare alcun rumore che avrebbe potuto infastidire il Maestro.
Raggiunse il bordo del letto e si sedette, prendendo il minor spazio possibile. Il suo sguardo era basso, fisso su di un punto al limitare poco illuminato della camera, d’un tratto interessante per poterla distogliere dalla sensazione di aver invaso un personale momento di meditazione e solitudine. Quando rialzò gli occhi, Anakin si era voltato e la guardava.
Ahsoka non vi lesse rimproveri, né fastidi, né volontà di cacciarla. Non vi lesse nulla, in effetti. Osservava il suo volto immobile e lui faceva altrettanto. D’un tratto, ogni percezione era svanita.
Nella stanza regnava il silenzio, un silenzio che neppure il fruscio dei loro respiri era in grado di spezzare. Maestro e Apprendista si guardarono per un tempo indefinito, forse soltanto minuti, minuti di ritrovata quiete in cui nessuno dei due sentì la necessità di colmare la distanza con parole casuali.
Ahsoka non era imbarazzata, nonostante fosse un momento insolito. Voleva aprir bocca per domandare se tutto andasse bene, certa del fatto che non andasse bene, nella speranza che Anakin aprisse uno spiraglio e le permettesse di avvicinarsi. Ma non disse nulla. Rimase fissa sui suoi occhi azzurri, stanchi.
Poi il Maestro si mosse, senza distogliere lo sguardo, si sedette accanto alla ragazza. Ahsoka non lo perse di vista, almeno finché non fu tanto vicino da sfiorarle un braccio con il suo. Allora tornò a scrutare un punto avanti a sé.
« Mia madre è morta », disse Anakin, dopo un altro breve attimo di silenzio.
La sua voce rivelò ad Ahsoka parte di quel malessere, la naturale confusione dominante quando si perde una persona cara. Lo percepì nel tono del suo Maestro: lo stordimento, la realizzazione della dura e cruda realtà. L’assimilazione priva di ogni accettazione.
Ahsoka si volse in un movimento lento, comprese il senso delle parole di Obi-Wan e anche lo strano comportamento di Anakin. Certo, era chiaro. Sapeva che Tatooine fosse il suo pianeta natale e sapeva anche, sempre dal generale Kenobi, che il passato di Anakin Skywalker fosse complicato. Certo, pensò. Era chiaro. Lui non era un Jedi come tutti gli altri, ma questa non era affatto una novità.
« Ero qui con… in una missione e lei è stata –– io non sono stato – », Anakin interruppe il flusso discontinuo, balbettato ed incerto. Era come se un peso opprimente cercasse d’impedirgli di aprir bocca, come se qualcosa di veramente tremendo e vomitevole gli portasse via il fiato, la forza di parlare, la voce. Inspirò più ossigeno di quanto i suoi polmoni necessitassero. « È morta. »
Lo sguardo di Anakin s’incollò al pavimento, le labbra si serrarono duramente. Ahsoka non gli staccava gli occhi di dosso, abbattuta. Cosa doveva fare? Cosa poteva fare? Niente, era la risposta. E annuì a tal consapevolezza, rivolta a se stessa, sfociando in una piccola smorfia.
« Anche i miei genitori sono morti », disse prima di rendersi conto di aver parlato davvero.
Come attratta da un raggio traente, l’attenzione di Anakin balzò verso la sua apprendista e i due si ritrovarono di nuovo occhi negli occhi. Questa volta c’era qualcosa di diverso, qualcosa a cui Ahsoka non resistette molto.
Deglutì, la togruta, inspirando e deviando lo sguardo verso il basso. Non riusciva proprio a continuare avendo avanti a sé gli occhi di Anakin. « Come sai, il Maestro Plo mi ha portato al Tempio quando avevo solo tre anni e da allora non sono più tornata sul mio pianeta », morse istintivamente il labbro inferiore, consapevole dello sguardo del Maestro su di lei. « Non ricordo molto, ero troppo piccola e… tutto mi appare così sfocato, come se non appartenesse a me ma fosse la memoria di qualcun altro, di una persona diversa, che non sono io. Mio zio si è preso cura di me, Plo mi raccontava spesso delle storie della mia famiglia, di come fossero uniti da un legame profondo, di come tutto il nostro popolo sia parte di questo grande legame. »
Senza rendersene conto, concentrata sulla sua stessa storia e sulla sua voce, aveva sollevato le mani per simulare con un gesto il collegamento tra i Togruta e l’intero universo. Per un istante fugace fu come se tutto avesse un ordine logico perfetto e le strappò un piccolo sorriso, che subito venne spento dalla consapevolezza della realtà.
Le braccia tornarono a poggiarsi sulle proprie gambe, le spalle si abbassarono con un fremito e così il suo sguardo.
« Io però non credo di farne parte. Il Tempio è la mia casa, i Jedi sono la mia famiglia. Non c’è niente di più importante e sacro, per me. Questa vita è chiara e nitida, non è confusa come il passato. Forse per questo motivo non mi sono mai decisa a tornare su Shili. Questo è il mio posto. »
Anakin osservò Ahsoka in silenzio ancora per un po’. Distolse lo sguardo per tornare a puntarlo  verso il basso, avanti a sé. Non parlò, non disse più nulla. Nessuno dei due lo fece e rimasero entrambi in quella sorta di dimensione completamente estranea all’universo là fuori, lontana dal tempo, lontana dallo spazio.
La mano del Maestro si mosse preda di un impulso incontrollato, pacata, e andò a stringere quella della sua apprendista. Guardò in faccia le miriadi di ragioni che l’avevano spinto, anche contro la logica del Consiglio, a difendere Ahsoka a spada tratta, senza alcun dubbio. Non aveva pensato due volte a rischiare la vita per intercedere, a sacrificarsi pur di salvarla e sapeva, lì, mano nella mano, che Ahsoka era disposta ad affrontare simili pericoli per lui. Anakin faceva parte della famiglia di Ahsoka, Ahsoka faceva parte della famiglia di Anakin. E per nessuna ragione la famiglia andava abbandonata. Mai.


 
present day
 
Il Tempio sembrava avvolto nella sua tipica quiete, un velo di sottile tranquillità che ancora celava le insidie rimanenti della guerra. Possibile?
“Il Consiglio sta perdendo la fiducia.”
“Se non possiamo più fidarci di noi, su chi potremmo fare affidamento?”
“Sai cosa devi fare.”
“Fidati.”
“Altrimenti perché saresti qui?”
Ahsoka osservò il Maestro raggiungere l’entrata, salire la gradinata e svanire. Provò un moto di profonda amarezza nel cogliere i dettagli del Tempio, le scanalature, le imponenti statue, il lungo corridoio che l’aveva allontana per sempre da quel posto.
Il ricordo era impresso a fuoco nella sua memoria. Ogni tanto aveva il sopravvento, sgusciava fuori dal cassetto in cui era custodito, dominava i suoi sogni e influenzava il suo stato d’animo. Le insinuava miriadi di dubbi, incertezze che altro non facevano se non accrescere e trascinar via qualunque tipo di risoluzione. Forse non ce n’era una vera, una risposta, e accettare questa verità era un ostacolo non da poco anche per una mente aperta come la sua.
Dopo pochi minuti Obi-Wan riapparve, scese frettolosamente le scale. Al suo seguito c’era Anakin Skywalker, ansioso.
Ahsoka si ritrasse contro la parete non appena mise a fuoco il suo Maestro, le mani tese, lo sguardo deciso, irremovibile e tirato anche a distanza, quella particolare aria di presunzione e ostinazione che lo rendeva diverso da tutti gli altri.
L’ultima volta, mesi prima, l’aveva guardato dritto negli occhi, spiegando che non sarebbe potuta rimanere, che avrebbe dovuto cercare da sola la sua strada, senza il Consiglio e senza di lui. Doveva trovare qualcosa in cui credere ancora, qualcosa di abbastanza potente da dare una definizione alla sua essenza spogliata di ogni fiducia. Si era voltata, aveva percepito lo sguardo di Anakin e la sua amarezza, quasi in grado di perforare la muraglia instaurata con quella decisione.
“Lo so”, aveva risposto, comprendendo fino all’ultimo granello di polvere cos’aveva sempre tormentato il Maestro, le sue emozioni represse, stipate e contenute al punto tale d’avvertire ogni movimento come un opprimente dolore, un fardello indicibile. “Lo so.”
Ahsoka lo sapeva anche in quel momento, nonostante non avesse mai immaginato di poter rivedere Anakin così presto – di poterlo rivedere in generale. A dire il vero, non aveva ponderato la possibilità di fare ritorno, il peso di ritrovarsi a Coruscant, al Tempio, vicina all’Ordine. E ne fu sopraffatta.
La navetta che attendeva i due Jedi partì. Ahsoka si scostò ancora, si appiattì al muro e guardò ristabilirsi la distanza.
Cosa avrebbe detto Anakin se un giorno avesse saputo della sua presenza lì? Cosa avrebbe pensato? Avrebbe capito? Si sarebbe sentito, in qualche modo, tradito? Ahsoka etichettò tutte queste come una serie di domande alle quali non voleva rispondere, non voleva sapere. In effetti, non era nemmeno sicura di voler sfoderare il coraggio necessario a mettere di nuovo piede al Tempio – anche se un istinto molto prepotente premeva con forza sul desiderio di entrarvi, di respirare quell’aria, immergersi in quell’ambiente per scacciare una volta per tutte i dubbi sulla sua partenza. Per eliminare il rimorso, la nostalgia, le fatidiche parole “e se”.
“Altrimenti perché saresti qui?“, ripeté nella sua mente la voce di Obi-Wan. L’istinto le diceva che avrebbe dovuto affrontare quella sfida, ancora e ancora, fidarsi delle parole del Maestro e superare la ferita che si stava pian piano cicatrizzando invisibile. Premeva sulla sua volontà, le infondeva la curiosità di voler risolvere a tutti i costi quel mistero, scatenava la sua coscienza.
Ahsoka poteva scegliere. Poteva voltarsi, come già aveva fatto mesi prima, ripercorrere la stessa strada e tornare alla nave di Drake. Magari poteva anche abbandonare il pianeta, seguire quell’uomo e Marek dovunque il fato ( o la necessità ) li conducesse. Poteva andare via. Oppure poteva ascoltare la voce che continuamente la tormentava ed entrare.
Lasciò la parete, sistemando il mantello perché la coprisse adeguatamente, e si avviò verso l’entrata del Tempio. Non seppe mai che Anakin si era voltato nella sua direzione e aveva percepito la sua presenza.
 
Le statue imponenti la fecero sentire una piccola intrusa, ai piedi dell’alta entrata.
Ahsoka percorse il corridoio lanciando occhiate furtive tutt’intorno, sforzandosi per non fissare troppo a lungo lo sguardo sui Jedi ch’entravano e uscivano. Il fatto che non potevano riconoscerla la rese più sicura, se di sicurezza si poteva davvero parlare.
Varcò la soglia, giunse nel grande salone da cui si diramavano le numerose direzioni. Mai come allora le sembrò d’aver messo piede in un labirinto e rimase ad osservarne la bellezza immobile. Ogni particolare era in grado di evocare un ricordo e questo fu il motivo principale per cui, dopo una manciata di secondi, Ahsoka scoprì il capò e si diresse senza pensare verso le varie stanze.
Ne superò parecchie, evitando di soffermarsi dov’erano presenti altri Jedi. Se c’era una cosa che non voleva era incrociare volti noti, affrontare troppo passato nel medesimo giorno.
Il fragore delle spade laser attirò Ahsoka nella sala in cui, di solito, si addestravano i giovani padawan. La togruta si fermò ad osservare i ragazzini compiere mosse difensive, gli occhi coperti per far sì che fosse la Forza a guidarli anziché la vista. Molte volte il Maestro Obi-Wan aveva detto anche lei che la vista era un senso ingannevole, e avrebbe dovuto affidarsi e ricercare qualcosa di più sicuro, qualcosa di più solido. La Forza.
Si allontanò quando tornò a ripresentarsi la sgradevole sensazione del nodo alla gola, l’impossibilità del respiro. Non poteva assistere a tutto ciò senza percepire il fardello che da mesi trascinava con sé, saldamente agganciato alla propria vita. Era quasi estenuante, in un certo modo.
Ahsoka proseguì lungo il corridoio, forse puntando agli Archivi, forse intenzionata a dare uno sguardo agli ultimi avvenimenti per accertarsi di aver almeno fatto un tentativo, forse confermare a se stessa che la fiducia di Obi-Wan non era sprecata. Forse stava agendo per lei, Ashla, per dimostrare che tipo di persona poteva essere: una codarda interessata solo a sopravvivere o una ragazza che aveva a cuore molti valori, ai quali non intendeva volgere le spalle.
Nel bivio che la lacerava, Ahsoka si fermò. I suoi occhi intravidero un panorama familiare, delle pareti rassicuranti, un intero mondo.
La sala della meditazione era vuota, esattamente uguale a come la ricordava – del resto, cosa sarebbe dovuto cambiare in così poco tempo? Non erano altro che mesi, mesi che acquistarono tutto il loro peso non appena Ahsoka varcò la soglia già aperta.
Inspirò l’aria nella piccola stanza, colma di ricordi, di energie non sue, di riflessioni, di silenzio. I mesi parvero anni, passo dopo passo somigliavano ad un orologio impazzito, le lancette irrefrenabili ed irraggiungibili.
« Sapevo che un giorno saresti tornata. »
Gli occhi di Ahsoka abbandonarono il pavimento grigio, balzarono s’un punto avanti a sé. « Non sono tornata, Maestro Plo. »
Quando si volse, vide il Maestro immobile sulla soglia, le mani congiunte. Ahsoka lo guardò con le labbra serrate, appena rivolte all’ingiù, in un misto di nostalgia e di celata tristezza. Non provava rancore, la togruta, non lasciava che la rabbia facesse di lei una schiava, mai, ma non poteva negare quanto avesse fatto vacillare la sua fiducia veder dubitare il Maestro Plo. Quanto l’avesse ferita.
Plo Koon era importante per Ahsoka, il primo Jedi che conobbe, colui che la condusse al Tempio ove iniziò la sua istruzione. Plo Koon era un amico, un secondo padre, un custode. Plo Koon avrebbe sempre avuto un posto speciale nel cuore di Ahsoka, nonostante tutto.
« Sento che c’è un conflitto dentro di te, piccola Ahsoka », disse il Maestro, con tono pacato.            
Ahsoka non poté fare a meno di ripensare a quel sogno frammentato, quel sogno strano in cui ricordava parole simili dal sapore profetico. “ Ci sono molte contraddizioni in te. E in lui “.
« Sto cercando di trovare la mia strada, Maestro », rispose semplicemente.
« La tua strada o te stessa? »
Ahsoka non ribatté, sbattendo le palpebre più volte. Poi abbassò lo sguardo e una smorfia d’ovvietà comparve sul suo volto. « Credo entrambe le cose… »
Plo Koon inclinò il capo, studiò la bambina che per primo aveva portato in quel Tempio, ora una ragazza, una giovane donna. Lasciò la soglia della stanza, mosse qualche passo con estrema calma, portando con sé la solita aura di mistero che mai l’abbandonava.
« Ricordo il giorno in cui ti trovai, in missione su Shili. Non era previsto che mi fermassi per un lasso di tempo prolungato, ma percepii che la Forza era molto potente e se avessi cercato senza demordere avrei trovato colui in cui scorreva. »
Ahsoka puntò lo sguardo sul Maestro Plo, lasciando che la sua voce le riempisse l’udito e la grande voragine che la divorava. Le sue labbra si storsero, una spalla minacciò di alzarsi, di voler apparire meno coinvolta di quanto non fosse.
« Eri tu, piccola Ahsoka », Plo Koon le posò una mano su quella spalla, guardandola dall’alto con apprensione e… tenerezza, per quanto fosse nelle sue capacità. Le emozioni del Maestro erano talmente ermetiche ed incomprensibili che talvolta parevano non esistere. Ahsoka sapeva però quanto questa credenza fosse errata, uno sbaglio comune per chiunque percepiva il distacco di Plo come pura indifferenza: egli era un Jedi molto potente, un guerriero formidabile, con il perfetto controllo del proprio essere e dei sentimenti che lo sfioravano.
« Sono dispiaciuto per ciò che è successo », proseguì il Maestro, « e per aver lasciato che la mia fiducia vacillasse. Nutro la speranza che un giorno tu possa fare ritorno a casa. »
Ahsoka trattenne il respiro, sentì gli occhi inumidirsi al suono della parola casa. Già, casa. Un concetto indefinito e mutevole, che tuttavia non lo era stato sempre. Solo alcuni mesi prima il Tempio era la casa di Ahsoka ed ella comprese ciò che Plo Koon intendeva davvero.
I muscoli del suo giovane volto ebbero piccoli guizzi, abbassò lo sguardo per celarli. Gli occhi iniziarono a bruciare di lacrime trattenute, di delusione, di sfiducia, di perdita. Ahsoka aveva imparato bene, oramai, che le perdite più brutali erano quelle inconsapevoli, quelle che non si facevano notare perché non erano fisiche e concrete. Erano mostri silenti, difficili da accettare poiché difficili da individuare. Ahsoka aveva perso ogni certezza, aveva perso se stessa.
Qualcosa trapassò la sua vista offuscata, innescò un meccanismo di pensieri immediati, impulsivi e a catena. Ed ebbe la risposta che stava cercando.
Le dita affusolate strinsero le impugnature delle due spade laser agganciate alla cintura, mentre le iridi lucide si levarono ad incrociare di nuovo il Maestro Plo.
“La tua spada laser è la tua vita. Non separartene mai, per nessuna ragione al mondo.”
Il kel dor scrutò attentamente i lineamenti della sua piccola Ahsoka, notò ogni più minuscolo movimento. Si trovò faccia a faccia con il suo conflitto interiore, separato solo da un velo di lacrime non ancora versate, e lo comprese. Comprese tutto.
Guardò verso il basso e vide le mani di Ahsoka strette alle spade laser. Una lacrima solcò la guancia della ragazzina, attraversò il tribale bianco senza pietà, cadde sul mantello. Plo Koon vide anche questo e senza dire una parola avvolse le spade laser che gli stava porgendo in una richiesta quasi disperata, tacita, dolorosa.
“La tua spada laser è la tua vita.”
“Ti stanno chiedendo di tornare. Io ti sto chiedendo di tornare.”
“ Mi dispiace, Maestro, ma non tornerò.”
Le spade laser lasciarono le dita di Ahsoka, che sentì la morsa pungente di quel luogo alleviarsi. Poteva tornare a respirare a pieni polmoni, ora, poteva camminare, intraprendere di nuovo l’ampio corridoio del Tempo e scendere quelle gradinate una volta per tutte. Non aveva più la sua treccia da padawan, non era più un’apprendista, non era più un Jedi.
Fece un lento cenno con il capo, congiungendo le mani in segno di saluto. « Addio, Plo », disse in un sussurro.
Plo si sporse solamente un po’ in avanti, sovrastandola con la sua altezza. « Addio, mia piccola Ahsoka. »
Ahsoka serrò le palpebre e le labbra con forza, tornando a fronteggiare il Maestro. Qualcosa si ruppe nello strano equilibrio del silenzio della sala della meditazione e le lacrime trattenute scesero impetuose, creando solchi indelebili.
Non riusciva né a parlare né a pensare: doveva uscire dal Tempio e raggiungere la nave di Drake e Marek. Braccia e gambe sembravano non obbedire più ai comandi, forse perché non ne ricevevano. E poi si mosse, colta da una spinta improvvisa, da uno slancio involontario. Si gettò contro il Maestro Plo e lo abbracciò.
Ahsoka aveva nuovamente chiuso gli occhi umidi, bagnò la tunica marrone del Jedi con le proprie lacrime e percepì la sua stretta stringerla per l’ultima volta. Una parte di sé avrebbe voluto trattenere quell’attimo più a lungo, fermarlo per far sì che non giungesse alla sua fine; la parte opposta, invece, voleva scappare, correre lontano, sperando che nella fretta i ricordi cadessero a terra e non soffrisse la nostalgia quanto la perdita. Ma, in fondo, sapeva che non era possibile.
Si riscosse da quello stato, allontanandosi, avviandosi senza indugio verso l’uscita della sala. Non voleva voltarsi indietro, voleva andare avanti.
« Fa’ attenzione. »
La voce profonda di Plo Koon la costrinse a fermarsi sulla soglia, volgendo solo il profilo alle sue spalle.
« C’è una tempesta all’orizzonte », disse Plo, guardando attraverso le finestre della saletta. « Suggerisco prudenza. Che la Forza sia con te. »

 
Angolo dell’autrice.
Ben ritrovati con questo capitolo tutto incentrato su Ahsoka. 
Allora, sì, ci sarebbero troppe cose da dire… ma sarò brevissima, giuro.
Questo era il capitolo che aspettavo di scrivere sin da quando ho deciso d’iniziare questa FF. Mi sono immaginata tutto, come un film (?), e ho avuto ben chiaro che sarebbe stato uno dei momenti ‘ portanti ‘ di Ahsoka. Tornare su Coruscant, parlare con Obi-Wan, rivedere Anakin ma decidere di restare nascosta – è consapevole, nel suo cuore, di non poter / voler tornare, il Tempio glielo conferma soltanto. Lei non è più un Jedi, quel capitolo è definitivamente chiuso e lo sa. Spogliarsi delle spade laser è un atto molto simbolico.
Il flashback ( che cronologicamente si colloca più o meno dopo la quarta stagione di Clone Wars ) è il primo su Ahsoka e Anakin, e prometto che non sarà senz’altro l’ultimo. Adoro alla follia il legame tra loro, la dinamica Maestro-Apprendista che hanno sviluppato. Rafforza i sentimenti e le motivazioni attuali di Ahsoka, il suo conflitto, e accenna anche alle sue origini. ( l’episodio al Tempio cui si fa riferimento, dove Anakin ha rischiato, è un altro flashback avvenuto subito prima di questo, che sarà presente nel prossimo capitolo )
In fine… doveva essere Plo Koon l’ultimo Jedi prima dell’addio. Lui l’ha portata al Tempio, lui tiene le sue spade laser e lui chiude il suo cerchio con l’Ordine. Da qui in poi le cose inizieranno a cambiare sensibilmente. 

 
Il prossimo capitolo sarà dedicato ad un'analisi del Lato Oscuro incombente, non solo da parte della nostra eroina, ma anche Drake affronterà i suoi demoni. Verrà postato venerdì 3 marzo, sotto trovate un piccolo estratto in flashback.
A presto!
 


 
Estratto: capitolo 05.
Seeds of the Dark Side
 
E in quel momento, Anakin smise di opporre resistenza, smise di lottare. Le sue braccia scivolarono come prive di vita lungo il suo corpo, le labbra si schiusero e il suo volto si rilassò con dolore alla morsa di Ahsoka.
Il respirò lasciò definitivamente i suoi polmoni e la sgradevole sensazione di andare fuoco lo invase. Dovette reprimere l’istinto di sopravvivenza che gli ordinava a gran voce di ribellarsi, di cercare di muoversi, d’inspirare, di fare qualsiasi cosa. Dovette sopprimere anche la rabbia che covava per quella sorta di cosa, che aveva osato fare del male alla sua Ahsoka. Si lasciò andare.
Ahsoka non cessò di usare la Forza contro di lui, ma lo guardò confusa. Cosa voleva fare? Forse dopo tutto il clamore e la reputazione del suo nome Anakin Skywalker voleva morire? Bè, lo avrebbe senz’altro accontentato.
La sua espressione si dipinse di pura determinazione, godeva già del momento della vittoria e non sarebbero stati un paio di Jedi incapaci a fermarla. No. Niente poteva frapporsi fra la Luce e l’Oscurità, l’eterna dicotomia ove molti si erano intromessi ed erano sfortunatamente finiti come presto avrebbe concluso il suo viaggio Anakin Skywalker. Obi-Wan Kenobi lo avrebbe raggiunto subito dopo.
Gli occhi azzurri del Maestro erano fissi su quelli gialli e contornati da venature nere di Ahsoka. La disturbava addirittura quello sguardo fermo, ancora troppo vivo per i suoi gusti. Provò un moto di fastidio nell’osservarlo e dovette distogliere la vista per soccombere ad un brivido.
« Ahsoka », si sforzò di far uscire un filo di voce Anakin.
Ahsoka emise un lamento, serrò le palpebre e si contorse sul posto. La mano ebbe un lieve cedimento, la presa si allentò. « No! »
« Ahsoka, guardami », Anakin sfruttò la sua temporanea debolezza, l’usò per aggrapparsi a quella flebile luce che ancora riusciva ad intravedere: la speranza. « Guardami. »
La presenza del Jedi stava divenendo insopportabile per Ahsoka, che portò freneticamente la mano libera alla tempia. La sua voce, quello sguardo, la sua resa così calma, quieta, piena di disgustosa fiducia, le facevano venire la nausea e trattenere il fiato. Una fitta iniziò a farsi sentire all’altezza del petto, la testa le doleva. Non c’era spazio in mezzo a quel caos, non c’era abbastanza spazio…
« Ahsoka, guardami. »
Ahsoka si fissò di scatto su Anakin, gli occhi gialli sgranati ed immobili. Se avesse avuto la capacità di gettare fiamme al solo sguardo, avrebbe incenerito il Maestro senza esitazione e senza errore. Ma più lo guardava e più sentiva dolore.
 



 
   
 
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