Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Stella94    25/02/2017    7 recensioni
Dal primo capitolo:
"La pelle di suo marito contro la bocca era calda, emanava un dolce sentore di buono e abiti puliti.
Le piaceva la sensazione di averlo intorno a se, contro di se. Jon era sempre stato una fortezza di segreti, ma ora che l’aveva fatta entrare sapeva quanto valeva caro quel mondo inesplorato."
[Jonsa]
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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                                  L'ultimo desiderio nascosto 





                                                      


                                                    

                                                    Sposa del drago

 
 
 





Sansa Stark si guardava allo specchio riconoscendo nel proprio riflesso un’immagine completamente diversa.
Era un’abitudine che ripeteva spesso. Al mattino, prima di pranzo, nelle ore più lucenti del pomeriggio, dopo cena quando si spazzolava i capelli.
Non era cambiato nulla. Anche quel giorno l’aveva fatto parecchie volte, quando gli invitati al banchetto nuziale le concedevano qualche minuto per rinfrescarsi il viso, gonfiare il petto con grandi respiri nella solitudine in cui il suono ridondante degli archi e dei flauti era solo un sottofondo appena udibile e addirittura più piacevole.
Eppure adesso Sansa poteva scorgere delle nuove sfumature nei suoi occhi molto più lucenti, sulle guance un rossore che non aveva nulla a che fare con il vino, un colorito delicato che metteva in risalto la sua carnagione chiara come quella delle neve sulle terre desolate del nord.
Il cuore le batteva forte, un suono che aveva creduto che non sarebbe più stata in grado di sentire, e non era per nulla una sensazione fastidiosa, tutt’altro. Le piaceva percepire la vita fiorire dentro di lei, le piaceva quel suo nuovo aspetto e le piaceva il modo in cui tutto si muoveva, sorprendendola ad ogni battito di ciglia.
Posò la spazzola sulla toletta accanto al camino acceso. Da quando era arrivato l’inverno le notti erano un frastuono di vento, un sibilo incessante e continuo come quello di una madre addolorata dalla morte del figlio.
Sansa non aveva mai conosciuto l’inverno. Era nata in estate, e quando aveva compiuto tredici anni un lungo viaggio lontano da casa le aveva fatto scoprire le meraviglie, se pur non rimpiante, di un luogo sempre soleggiato, dal clima mite e dalle giornate lunghe.
Sembrava come se quella vita non le fosse neppure appartenuta. Solo poche ore prima era semplicemente Sansa Stark ora invece quel riflesso nello specchio le parlava di una donna diversa, e lei l’ascoltava.
Sansa Stark –Targaryen. Si sarebbe dovuta abituare a quel nome.
Per un’intera vita aveva ardentemente desiderato il titolo di regina, una corona di oro e rubini sulla sua testa dai capelli rossi come un timido tramonto. Eppure adesso che tutti si inginocchiavano al suo cammino, che abbassavano la testa aspettando i suoi ordini che di sicuro non avrebbero contraddetto, Sansa non si sentiva affatto più potente, né più bella, né più felice.
Era solo un’altra Sansa, ma ancora rotta. Jon sembrava non rendersene conto. Lui era stato attento, premuroso, non si era mai sbilanciato senza conoscere prima il suo punto di vista.
Dopo l’incontro con Daenerys Targaryen e la scoperta delle sue vere origini, gli uomini del nord si erano dimostrati ostili al nuovo re, altrettanto contrari ad avere una regina sul trono di Grande Inverno, e per nulla felici di servire una sudista che governava delle bestie demoniache capaci di ardere le loro vite così fragili, così preziose.
Visto alle strette, Ser Davos era stato il primo a proporre il matrimonio tra lei e l’ormai suo cugino Jon Targaryen, che Daenerys aveva legittimato come figlio di Rhaegar Targaryen e suo erede di diritto.
La madre dei draghi era stata d’accordo. Con una simile unione, non solo si sarebbe assicurata anche il controllo sulle terre del nord, ma Jon avrebbe potuto conservare il suo titolo di re, insieme al rispetto dei suoi alfieri. E Sansa?
Il suo futuro appariva come un grande buco nero, pieno di domande e dubbi che risuonavano simili ad echi nella sua testa.
Chi sarebbe stata Sansa Stark senza Jon? La moglie di un altro re, la moglie di nessuno, una vedeva, una donna, una sorella del silenzio, una signora, forse un dipinto dimenticato, una fanciulla vittima di soprusi.
Quando Jon le aveva proposto di diventare sua moglie, sottolineando con non poca premura, i vantaggi politici che avrebbe portato una simile unione all’imminente scontro contro il re della notte, Sansa aveva semplicemente annuito, pregandolo di lasciarla sola a fissare il vuoto per quelle che le erano sembrate infinite ore.
In quel lazzo di tempo, privo di rumori e di qualsiasi rilevante ricordo, Sansa si era messa ad immaginare il suo destino, quasi come una fattucchiera da villaggio. E non ci aveva visto nulla, ma solo gli spettri di un passato che ancora la tormentava.
Così, quella stessa notte, aveva bussato alla porta di suo fratello per due volte. E quando il ragazzo le aveva permesso di entrare nella sua stanza, lei gli aveva fatto solo un segno di assenso con la testa, poi gli aveva voltato le spalle, consapevole che non sarebbe stata capace di trattenere le lacrime ancora per molto.
Dal canto suo neppure Jon le era sembrato  troppo entusiasta di quell’unione e ancora  meno dell’idea di dover rinunciare per sempre alla possibilità di diventare uno Stark, con la legittimazione da parte della regina Daenerys che lo avrebbe reso agli occhi del mondo un Targaryen, l’ultimo figlio in vita di Rhaegar ed erede al Trono di Spade.
Era stato necessario per potersi recare insieme all’albero del cuore, non più come fratello e sorella, ma come un uomo ed una donna che giuravano di proteggersi, amarsi, rispettarsi e tenersi per il resto dei loro giorni.
Andò così.
Oh, Jon quella mattina era stato radioso, un dono, meravigliosamente elegante in un farsetto color diamante, con intrigati ricami neri e rossi, l’unica cosa che aveva concesso alla regina Targaryen di indossare, affinché le ricordasse il nome della sua casata. Appena l’aveva visto, Sansa per un attimo si era perduta, e in quel cortile bianco, sotto una cupola di nuvole grigie, aveva schiuso le labbra sentendo il battito del proprio cuore pompare contro la gola.
Com’era stato possibile?
Si guardò alle spalle osservando il suo abito da sposa abbandonato contro l’armadio semi aperto. Il tessuto di un blu pregiato riluceva di stelle sotto il bagliore delle candele. Anche quello era stata un’idea della regina, come il banchetto, i giullari, le pietanze e i giochi di luce e fuoco gentilmente offerti dai suoi draghi. Sansa era stata già sposata due volte, eppure non si era mai sentita tanto spaesata.
Per tutto il giorno, pensò, Jon non le aveva mai sorriso, e con il calare delle tenebre era diventato addirittura più taciturno, schivo, a tratti intrattabile ed irritato.
Con il tempo aveva imparato che tutte le persone si muovevano come in uno schema, e che era facile prevedere le loro mosse se eri abbastanza astuta da studiarne i movimenti.
Cersei aveva uno scherma, come lo aveva Joffrey, il mastino, Petyr Baelish, e persino il suo defunto marito Ramsay.
Era stata brava con loro, aveva capito subito, ed era sopravvissuta anticipando solo i loro passi, fiutandone le intenzioni.
Ma lo scherma di Jon era oscuro, freddo, offuscato da una nebbia fitta nella quale era impossibile scorgere qualsiasi figura. Non lo conosceva affatto, per quanto un tempo addirittura si consideravano fratelli, e nei suoi occhi c’erano sempre cose diverse e reazioni contrastanti.
La spaventava.
Quando sentì bussare alla porta scattò sullo sgabello e si aggiustò la vestaglia.
─Avanti.
Jon Targaryen si fece largo nella stanza con un’espressione esausta, avvilita ed esasperata. Ma il sorriso che rivolse a Sansa sapeva di comprensione e affetto.
Rimasero soli a guardarsi dopo quelle che le erano sembrate intere settimane. Jon indossava ancora il suo abito da sposo, i capelli più spettinati tirati all’indietro con un nastro. Aveva tolto la cappa e i guanti, la luce del fuoco acceso delineava la sua figura di oro e di rosso.
Ha la stessa bellissima fierezza di un drago. Pensò, e solo a vederlo Sansa si sentiva andare a fuoco.
─Lord Peake ha dichiarato di non avere ancora lo stomaco vuoto dopo ventisette portate e sta ancora mangiato, Lord Stokeworth ha appena cominciato a russare sul seno di sua moglie. Lord Cockshaw è troppo ubriaco per reggersi in piedi così adesso ha ripreso a cantare la vergine del castello bianco e Lady Missy ha tentato nuovamente di darmi un bacio sulla bocca. Sono esausto.
Si gettò sul letto con le braccia aperte, e il sospiro avvilito che lo senti fare fece venire a Sansa la voglia di ridere.
Sarebbe stato bello se fosse stato sempre così. Loro due, senza un passato, con le pagine bianche di un libro da scrivere insieme.  Forse anche Jon avrebbe voluto trovarsi da tutt’altra parte, e quell’espressione di stanchezza che gli vedeva dipinta sul viso, poteva anche essere sconforto o avvilimento.
Sto pensando solo a me stessa. Ma non sto pensando a lui.
Sansa si sforzò di tenere quel sorriso aperto sulle labbra ancora per un po’, ma lo sentiva tirato, artificioso e forzato. Le faceva male troppo il cuore e la tensione le stringeva un nodo in gola.
─Non si può dire che non si stiano divertendo – intrecciò le mani sul grembo guardandolo da sopra la spalla ─A tale proposito, volevo ringraziarti per aver evitato la cerimonia della messa a letto.
Al sol pensiero di doversi sentire mani di perfetti sconosciuti sul suo corpo che le strappavano i vestiti di dosso per infilarla nel letto di suo marito, nuda come il giorno in cui era venuta al mondo, le toglieva il respiro facendole tremare le mani.
Non era stata lei a insistere con suo fratello- con suo marito- di lasciarla andare nelle loro stanze, in totale libertà e solitudine nel momento in cui avrebbe ritenuto più opportuno abbandonare il banchetto di nozze. Ma Jon era riuscito ad entrare nella desolazione dei suoi silenti, attraverso quel velo di rossore che le colorava le guance quando, indelicatamente, qualcuno faceva riferimento alla loro intimità.
Farò quello che dev’essere fatto. Aveva detto.  Ma a modo mio.
Jon girò il viso verso di lei mettendosi seduto sul letto.
─Non devi ringraziarmi. Ho fatto solo quello che ritenevo giusto, per te.
Abbassò la testa sulle sue dita, era diventato difficile guardarlo negli occhi dal momento in cui aveva accettato di sposarlo. Il silenzio che scese tra di loro sembrò un abisso di parole che non avevano il coraggio di pronunciare.
Il vento che ululava dietro le finestre, lo scoppiettio del fuoco che accendeva la stanza di rosso e di giallo, il suo respiro lento, che si sforzava di mantenere regolare, il bagliore tenue delle candele che danzava sulle parenti facendo muovere le ombre.
Sansa l’aveva già vissuto quel momento, quando era solo una bambina e poi solo una bambina sciocca. Aveva passato metà della sua vita ad immaginarlo. L’emozione, e la voglia, la curiosità e il desiderio, baci caldi, mani forti.
Parole dolci, sussurri profondi. Ma non era stato così neppure una volta.
Sguardi lascivi, morsi e schiaffi. Dolore e grida, orrore e paura.
Che cosa dovrei fare? Che cosa vorrebbe che io facessi?
─Al banchetto oggi mi sei sembrato triste.
Glielo chiese perché Sansa non era brava quanto lui a penetrare nei suoi silenzi sempre troppo spessi, e doveva capire quello che si sarebbe dovuta aspettare. Sarebbe stato più semplice se fosse stata preparata prima. Una preghiera silenziosa, un sospiro, e poi si sarebbe rimessa in piedi, davanti a lui, senza opporre resistenza.
─Non ero triste ─ Jon si passò una mano sul viso alzandosi dal letto ─Ero preoccupato. Daenerys ci teneva affinché tutti fossero a conoscenza della nostra unione, e delle mie vere origini. La verità è che non sono molto in vena di festeggiamenti.
─E di matrimoni.
Concluse per lui Sansa, sorprendendosi di averlo colpito tanto da farlo stare fermo, ad osservarla da sopra la spalla mentre si sbottonava il farsetto. Se ne liberò gettandolo lontano in malo modo. Vecchie abitudini dei guardiani della notte, troppo tempo trascorso nell’esclusiva compagnia di soli uomini.
Quando cominciò a slacciarsi i lacci della tunica la ragazza cominciò a sentire un calore spargersi sotto le guancie, e distolse lo sguardo, sicura che restare a guardare non sarebbe stato corretto.
─Avrei voluto che le cose fossero andate in modo diverso.
Magari senza dover essere costretto a sposare la sorella a cui voleva bene di meno, o una donna rotta, usata, deturpata, fragile e incostante.
Quando Sansa aveva conosciuto Daenerys, bella e micidiale, in groppa ad uno dei suoi draghi, aveva pensato che al mondo non esistessero donne più belle di lei, e aveva provato invidia, vergognandosene, del modo in cui gli uomini le si rivolgevano abbassando sempre prima il capo, e quella luce nei loro occhi che si accedeva ogni qual volta lei gli faceva dono di un sorriso, di un’occhiata più insistente.
Era il genere di donna che avrebbe dovuto meritare Jon Targaryen, re del Nord, nato dai lombi del principe Rhaegar e dall’indomito coraggio di Lyanna Stark, incantevole in un modo selvaggio, accattivante.
─Capisco.
Balbettò conficcandosi le unghie delle dita dei palmi. Avrebbe potuto spazzolarsi per tutta la notte, e per altre notti ancora. Ogni volta che Jon l’avrebbe guardata si sarebbe reso conto di essere costretto ad espiare una condanna senza fine.
Sognavo l’amore, una corona, un cavaliere, un castello. Ho una corona, un cavaliere, un castello, ma non avrò mai l’amore e le canzoni dolci. Non sarò mai abbastanza per essere amata.
Quando alzò lo sguardo trovò suo marito nudo per metà, con i piedi scalzi e i riccioli scuri che gli ricadevano sulla fronte. Deglutì.
Jon appariva proprio come avrebbe dovuto essere un figlio di un drago. Sansa aveva sempre sospettato che chi nascesse dal fuoco avrebbe dovuto brillare in ogni circostanza, anche al buio, tra le tenebre, l’oscurità, la nebbia e la pioggia. Suo marito era un sole.
Il bagliore delle candele rifletteva sul suo corpo. Non la assorbiva, la intensificava. Linee morbide, sinuose e perfette, delineavano il suo petto che, se pur cosparso da numerose e terribili cicatrici, rimaneva egualmente bello, virile e proibito.
Sansa non aveva mai avuto l’occasione di ammirare uomini tanto affascinanti.
Joffrey le era apparso un fanciullo dalle graziose fattezze da bambina, ma la mostruosità che celava nella sua anima deteriorata, aveva trasformato i suoi tratti gentili in forme viscide, grottesche, raccapriccianti. Tyrion Lannister si era dimostrato cortese e attento, paziente nel donarle il tempo di cui aveva bisogno. Ma la deformità del suo aspetto non era mai stato il segreto di nessuno, e così Ramsay Bolton, dalla pelle pallida e occhi grigi severissimi, si era preso tutto di lei, senza neppure preoccuparsi di chiedere.
Ma Jon era forte, alto, dalla pelle di alabastro e gli occhi profondi e gentili. Il suo corpo era tracciato da muscoli duri e ben visibili e solo a guardare le sue braccia  si sentiva già protetta.
Se solo fossi stata diversa.
Lo vide armeggiare con i lacci del suo pantalone, e uno scoppio di sgomento la fece arretrare sullo sgabello su cui era seduta, il legno che sfregò contro il pavimento producendo un rumore stridulo.
Dei sta per prendermi. Sa che non può tirarsi indietro. Sta per succedere ancora. Quanto male farà questa volta?
Jon si fermò all’istante. Attirato dal fragore generato dal brusco movimento di Sansa, si girò nella sua direzione, le labbra leggermente schiuse.
La ragazza sapeva bene cosa ci fosse dipinto sul suo viso, anche senza doversi guardare in uno specchio. Paura, tensione, ombre nei suoi occhi che si muovevano mostrandole vecchi fantasmi che ancora le tormentavano il sonno.
Doveva avere le iridi lucide e grandi, le pupille dilatate, la mascella tesa dallo sforzo di tenere le labbra chiuse e il mento fermo.
Si aggrappò alla toletta, rendendosi conto di quanto fosse instabile la sua presa a causa di un tremito improvviso e incontrollato.
Si diete della stupida, cercò di liberarsi di quel nodo in gola deglutendo. Jon restò a fissarla per quello che apparve come un tempo infinito, senza muoversi, respirando appena. Poi abbassò il suo sguardo verso le mani, ancora ferme a mezz’aria nel tentativo di liberarsi dei pantaloni. E capì.
Per Sansa fu come se all’improvviso si fosse trovata alle pendici di una collina, che a poco a poco, masso dopo masso, le stava cadendo addosso.
Era stata brava a costruire un riparo sopra di se. Per tanto tempo l’aveva tessuto, con false rassicurazioni, sorrisi tirati, certezze troppo sottili e fragili. Era stato abbastanza solido da nasconderla e fare in modo che nessuno si accorgesse di quei demoni che le si aggiravano intorno. Ma era bastato un filo di luce, uno sguardo più profondo, ed ecco che si era aperto uno squarcio, rendendola piccola, vulnerabile e nuda.
Si morse la lingua con i denti e sentì dolore. Se fosse stata determina nel fissare un punto fermo davanti a se, allora sarebbe stata anche capace di trattenere le lacrime.
Finalmente lo sentì sospirare, non ne poteva più di quel silenzio carico di vergogna e sensi di colpa. Si meravigliò quando lo vide dirigersi verso di lei, e nel momento in cui le si inginocchiò di fronte non fu più in grado di fissare nulla se non Jon, un dono ancora di sconosciuta natura fermo al cospetto della sua fragilità.
─Hai paura di me?
Sansa strinse i pugni sulle sue gambe. ─Non posso avere paura di te. Sei mio marito.
Rispose, ritenendo giusto rivolgersi a lui nel modo in cui una signora avrebbe fatto nei confronti di suo marito. Del re.
─Già ─C’era una sorta di pacifica rassegnazione del tono del ragazzo ─Ma essere uniti con la benedizione degli Dei non ha impedito al tuo precedente consorte di farti del male, non è così?
Un brivido le percorse la schiena. Se le mura di Grande Inverno avessero potuto raccontare le cose a cui aveva assistito, sarebbero state storie atroci, ricche di urla e implorazioni, richieste d’aiuto perse nel vuoto. La verità è che non c’era bisogno che qualcuno le portasse a galla, quei ricordi erano tutti lì, pesanti tanto quanto maestosi macigni, vividi come una presenza costante che non poteva ignorare.
─Loro si aspettano che…
─So che si aspettano. ─La interruppe Jon appoggiando una mano sul suo ginocchio, sopra il tessuto fine della tunica. Bastò quel lieve contatto ad innescare in lei un brivido che la percorse lungo tutto la spina dorsale ─Ma questo non vuol dire che dobbiamo farlo adesso.
Cercò di penetrare a fondo nei suoi occhi, cercò di leggere qualcosa di più in suo marito oltre la sua incurante cortesia, che non aveva mai sperimentato prima.
Tu cosa vuoi, Jon?
Immaginò una vita diversa, una dimora diversa, una moglie diversa. Soprattutto una moglie diversa.
Chi voleva rendere la compagna della sua vita una donna mutilata, sfregiata, rovinata? La propria sorella?
Lui era lì, in ginocchio, ai suoi piedi, pronto a negarsi tutto per darle ogni cosa.
Famiglia, dovere, onore.
La sua mano era incredibilmente calda contro la pelle.
─Un matrimonio non consumato non è un matrimonio valido ─ constatò torturandosi le dita, quasi a ribadire un concetto di cui Jon non poteva essere a conoscenza ─E la regina Daenerys vuole assicurarsi un erede per la sua discendenza.
─Non mi importa di ciò che vuole la regina Daenerys ─Dei! Il tono della sua voce ─L’accordo è stato rispettato. Ti ho presa come mia moglie, davanti agli Dei e agli uomini. Ma questo riguarda solo noi.
─Sai che non è così.
─Vuoi fare l’amore con me?
Amore. Non aveva mai pensato al sesso come un atto d’amore.
Quando era stata abbastanza grande da capire realmente come gli uomini generassero i bambini, Septa Mordane aveva sempre definito quel particolare aspetto della procreazione come un atto osceno ma necessario. Una donna devota ai Dei non provava piacere nel concedersi al proprio uomo, né cercava le sue attenzioni e non si lasciava sopraffare dal desiderio.
Così Sansa, con il tempo, aveva imparato che, quando sarebbe stato il momento giusto, lei avrebbe dovuto pregare, lasciarsi guidare dal proprio uomo, essere paziente abbastanza da soddisfarlo e accogliere la sua compagnia ogni qual volta lui ne avesse avuto bisogno.
Ma nessuno l’aveva chiamato amore, né lei l’aveva mai provato.
Le venne da pensare che forse Jon l’aveva conosciuto quell’amore e si sentì un po’ a disagio, infastidita, perché dopotutto adesso lui era suo, e non riusciva ad immaginare che potesse essere appartenuto  ad un’altra.
Si portò una mano al petto quasi a voler fermare il battito del suo cuore turbolento. Se Jon l’avesse sentito sarebbe entrato troppo infondo. E lei non capiva cosa ci fosse e non era pronta a scoprirlo.
Tu cosa vuoi Jon?
Rimase in silenzio troppo a lungo, a tormentarsi le labbra con i denti. Il tono con cui le aveva posto quella domanda le faceva pensare che lui sarebbe stato disposto a concedersi se lei avesse risposto di si.
Famiglia, dovere, onore.
Ma a quel punto non sarebbe stato amore. Non lo sarebbe stato per entrambi.
─Sono spaventata dall’idea di perdere il tuo ricordo. ─ Ammise, sentendo gli occhi gonfiarsi di lacrime ─Perché quello che siamo adesso mi piace. Ma se ci spingiamo più in là, l’immagine che ho di te potrebbe cambiare, le speranze che ho su di noi potrebbero cambiare.
Oh, Dei, datemi la forza!
Osservarlo le dava un profondo senso di sicurezza. Il suo viso rivolto verso di lei, i capelli che lo incorniciavano di nero e di oro. Le labbra piene, mezze schiuse per respirare, le pupille grandi, dense, e profonde, nelle quali ci si vedeva riflessa, pensando che non sarebbe stata mai quella che avrebbe voluto.
C’erano come mille volti intorno a lei, presenze che la mettevano in allerta ricordandole di continuo un passato da cui non poteva sfuggire.
Jon strinse la presa sul suo ginocchio assottigliando le labbra in una smorfia avvilita.
─Credi che io ti farei del male? Che sarei violento?
─Non so cosa ci sia oltre al male e alla violenza.
Vide come un lampo nei suoi occhi, qualcosa che aveva a che fare con una scintilla di rabbia, tra l’aura di un senso di colpa fitto e oscuro. Sansa sapeva che si stava colpevolizzando per essere stato troppo lontano da non sentire le sue grida d’aiuto quando le aveva implorate contro il cielo.
Ma poi quell'ombra si diramò e scoppiò una stella nel suo sguardo. Era lucente e viva, grande, immacolata. Sansa ne era attratta tanto da rimanere a fissarla, a chiedersi se fosse stato davvero giusto ritenerla una cosa solo sua.
Jon strinse la presa sul suo ginocchio. Il tessuto della sottoveste si increspò sotto quella pressione alzandosi di poco.
─Sansa, tu mi conosci come tuo fratello ─ Convenne accarezzandole la pelle da sopra la tunica bianca ─Quello un po’ imbronciato, sempre taciturno e schivo. Il corvo, il Lord Comandante dei Guardiani della Notte. Colui che ha ucciso per te. Il re. Ma posso essere molto di più, il marito che tu meriti. So già leggere nei tuoi occhi. Quando arriverà il momento, quando entrambi saremo pronti, io sarò l’uomo che speri che sia. So che non lo vuoi. So che non vuoi me, ma renderò il ricordo che hai di noi ancora più prezioso. Lo giuro.
Le sorrise e Sansa gli fu grata. Lo credeva. Una parte di lei sapeva cosa si sarebbe aspettata.
Sentì un frammento di quella tensione sciogliersi, e quasi il cuore più leggero. Quella stella non aveva smesso di brillare, e Sansa era certa che l’avrebbe trovata lì tutte le volte in cui tenebre e ombre avrebbero minacciato di soffocarla.
Forse quel dolore adesso mi è stato ripagato. Forse soffrire è stato necessario.
Lo vide alzarsi muovendo alcuni passi. E fu strana la sensazione che la pervase. Come un assurdo, incredibile desiderio di corrergli dietro, un'improvvisa mancanza,  uno squarcio vuoto nel petto.
Chiamò il suo nome e Jon si voltò.
A quel punto anche Sansa si era rimessa in piedi, con i capelli di fuoco che le ricadevano lunghi dietro le spalle, la veste bianca sottile che non celava abbastanza bene le curve armoniose del seno rotondo.
Allungò le braccia e si gettò contro il suo petto. L’impatto fu tanto violento e inaspettato che Jon perse l’equilibrio per qualche secondo. Ma quanto riacquistò tutta la fermezza, la stretta che ricambiò fu solida e inscindibile.
La pelle di suo marito contro la bocca era calda, emanava un dolce sentore di buono e abiti puliti.
Le piaceva la sensazione di averlo intorno a se, contro di se. Jon era sempre stato una fortezza di segreti, ma ora che l’aveva fatta entrare sapeva quanto valeva caro quel mondo inesplorato.
Non era  mai stata stretta così da un uomo, da un uomo come Jon, tutti muscoli duri e sodi, pelle di fuoco e di sole. Ispirò forte, gonfiando i polmoni di lui, persino il ritmo del suo cuore contro il timpano era un suono talmente dolce da tentarla a restare così  per tutta la notte, ferma ad ascoltarlo andare lento, e poi ripartire in corsa.
Alzò lo sguardo trovando nei suoi occhi comprensivi il coraggio di stringere più forte.
─Grazie.
Mormorò, e quando un angolo della bocca si allungò in un sorriso appena accennato, giurò a stessa che sarebbe stata coraggiosa abbastanza, e forte, e determinata.
È mio marito. È una parte di me. È la spalla su cui piangerò, e il cuscino dei miei sogni. È il mio amico, e mio confidente. È mio complice, e mio comprensivo maestro. Ha tutto ciò che sono, e quella che sono destinata ad essere. È mio, in un voto inscindibile e perfetto. È tutto quello che mi è rimasto, e la cosa di cui dovrò prendermi più cura.
Sembrava tutto così semplice eppure faceva paura. Si rese conto che l’idea di allontanarsi la turbava, ma Jon le strinse una mano rincuorandola con le sue dita calde e forti.
─Mettiamoci a dormire.
Le propose conducendola verso il letto. Le lenzuola calde l’avvolsero come un abbraccio profumato e confortevole, entrambi distesi su un fianco a fissarsi per quelli che le sembravano secondi lunghi un’eternità.
Poi sopraggiunsero i sogni, e forse immaginò soltanto si sentirsi stretta, accoccolata contro pelle di pioggia e di bosco.
Un respiro sopra la guancia, una parola, quella carezza gentile come il tocco di una piuma.
Un bacio sulla fronte.
 
 
CONTINUA…

 
Ed eccomi qui!! Vi sono mancata? A dire il vero, questo capitolo mi ha dato parecchi grattacapi. Ho rischiato più volte di perderlo (colpa del mio pc) ed è stato più complicato del previsto. L’idea di questa long nasce dal desiderio di unire parecchie idee e storie che avevo in sospeso. Così ho deciso di ripartire dall’inizio, e di proporvi questa nuova storia che spero vi piaccia.
Cosa posso dirvi? Spero che come inizio vi sia piaciuto, fatemi sapere se vale la pena continuarla o meno!
Vi mando un grosso bacione! Siete il mio carburante!

 
 
   
 
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