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Autore: Sacapuntas    26/02/2017    0 recensioni
Sin dal giorno in cui il suo sangue si è mescolato agli scoppiettanti carboni ardenti, Eric Coulter ha la reputazione di essere il ragazzo più spietato, rude, indifferente e gelido della suo nuova Fazione. La sua fama lo precede, ma la cosa non sembra disturbarlo minimamente, e si gode i suoi vantaggi da Capofazione in completa solitudine. Ma a volte basta solo una parola di troppo, un profumo particolare e due grandi occhi ambrati per stravolgere e riprogrammare la mente di qualcuno.
Sentitevi liberi di aprire, leggere e, se la storia vi appassiona, lasciare una recensione, mi renderebbe davvero felice!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 11 - Una macchina complicata





Quando finisco di registrare tutte le Simulazioni -l'ultima era quella di Gabe-, guardo esausto l'orologio appeso alla parete e mi accorgo che la festa è cominciata da un bel po'. Dalla mia gola esce un rantolo mentre mi rilasso sulla sedia, strofinandomi gli occhi con il dorso delle mani. Penso proprio che analizzare una ad una ogni singola paura di ogni singolo iniziato sia un lavoro ben più stancante di tirare pugni al sacco da boxe o insegnare agli iniziati come tirare i coltelli. Ma non posso farci più di tanto, sono un Capofazione, ora. E se non voglio che Max pensi che sia un incompetente e prenda Quattro al mio posto, devo smetterla di lamentarmi.
Mi alzo dalla sedia e i miei piedi mi portano verso il mio appartamento. Saranno forse le tre di notte, ed io mi accascio sul mio tanto desiderato letto senza neanche togliermi gli scarponi. Le molle cigolano, ed è un suono stranamente rilassante, familiare. Sospiro e butto fuori dai polmoni una grossa quantità d'aria, lasciandomi cullare dalla morbidezza del materasso.
Se guardo a destra, verso l'unica grande finestra della stanza che si trova proprio accanto al letto, riesco a vedere soltanto una piccola striscia di cielo scuro. Stanotte non riesco a vedere neanche una stella, soltanto un ammasso informe di nubi nerastre che si accavallano le une sulle altre: sta per piovere: sento l'elettricità e la tensione nell'aria. O forse sarà solo dovuto al fatto che Elizabeth è giù nel Pozzo ad una festa piena di gente, con un vestito troppo corto per i miei -e suoi- gusti, e che io non posso raggiungerla perchè non voglio intralciare il suo allenamento.
Penso al suo piccolo corpo che si muove sinuosamente al ritmo della musica martellante, e sarebbe anche un pensiero accattivante se non fosse per il fatto che so che Samuel non le ha staccato gli occhi di dosso da quando l'ha vista andare al Pozzo con quel top nero indosso. Non che abbia colto il Candido a fissarla, ma so che Elizabeth gli fa un certo effetto e vederla indossare un indumento così rivelante lo avrà mandato in tilt. Elizabeth ha detto che sei il suo ragazzo. Lo so. Non cederebbe mai alle lusinghe di nessun altro. Lo so. Però potrebbe essere ubriaca. Ubriaca? Potrebbero approfittarsene. Potrebbero. È vero.
Immagino la piccola Elizabeth che cerca di respingere Samuel mentre tenta di baciarla, di togliere la maglietta, di toccarla in modo appropriato contro la sua volontà, e mi alzo dal letto con un grugnito animalesco, disgustato e infastidito da quella visione. A volte mi chiedo perchè la mia mente partorisca scene che mi mandano talmente tanto in bestia.

Devo andare a controllare la situazione. Voglio essere sicuro che tutto stia andando per il verso giusto. Non ho aspettato un'ora nell'Armadio soltanto per poi vedere Elizabeth in un angolo ansimare per il terrore della folla.
Attraverso l'appartamento con un'espressione furiosa in viso, e faccio per allungare la chiave nella serratura della porta.
Improvvisamente sento qualcuno bussare insistentemente e indietreggio, ritirando immediatamente la mano. Do' una veloce occhiata all'orologio, sono passate soltanto quattro ore dall'inizio della festa, e le feste degli Intrepidi finiscono poco prima dell'alba. Inoltre, nessuno viene mai a bussare al mio appartamento, neanche Max, specialmente a quest'ora. Certo, nessuno tranne Elizabeth.
Apro la porta e mi si para davanti la piccola figura barcollante della Candida. Sospiro, ed emetto quello che dovrebbe essere un verso di disapprovazione. Elizabeth ha una mano appoggiata sullo stipite di legno della porta, le gambe corte ora storte in una posizione di precario equilibrio. Indossa ancora il suo top nero, che ora è spostato da un lato e lascia scoperta una spalla. Solo ora mi rendo conto che il suo collo è decorato da entrambi i lati da una linea nera d'inchiostro che comincia chissà dove per poi finire poco sotto le orecchie. Solo ora mi rendo conto della grandezza del suo tatuaggio. Solo ora mi rendo conto di quanto sono curioso di vederlo.
"Eric!" la ragazza lancia un gridolino acuto non appena alzato lo sguardo, e mi getta le braccia al collo, stampandomi un lungo bacio sulle labbra. Mi stacco immediatamente, sia per la sorpresa, sia per la paura che qualcuno ci veda, e mi affretto a chiudere la porta a chiave alle sue spalle. La guardo barcollare fino al letto mentre un'espressione incredula mi si forma sul viso. Elizabeth inciampa sulle sue stesse scarpe e cade di faccia sul materasso morbido. Ride, la voce infantile e in qualche modo tenera ovattata dal tessuto delle coperte.
Ora che è in posizione prona, il top corto leggermente sollevato mi permette di vedere la parte inferiore della sua schiena, qualche centimetro sotto le scapole.
Noto con grande curiosità che c'è più inchiostro che pelle, un tatuaggio più grande di quanto mi sarei mai aspettato. Vorrei osservarlo meglio, studiarne ogni signolo dettaglio, ma capisco che devo prima aiutarla, dubito che sia anche lontanamente capace di capire dove si trova in questo momento. Mi affretto a sedermi accanto a lei sul letto e la faccio stendere di schiena, e lei alza le mani fino a sfiorare il mio viso ed assume un'espressione sorpresa.
"Caspita." sospira sorridendo lei, gli enormi occhi che si spalancano, diventando ancora più grandi e luminosi. "Hai degli occhi bellissimi, sai? È stata la prima cosa che ho notato di te. Cioè no, ho mentito. Hah! Una Candida che mente!" si copre la bocca con la mano per trattenere le risate. "La prima cosa che ho notato di te era che eri e sei tremendamente sensuale. Però sai essere anche parecchio sensibile. Mi piace quando sei sensibile. Diventi più umano. A me piacciono gli umani."

Non so se sentirmi lusingato, confuso, o qualsiasi altra cosa che comprenda il farsi milioni di domande sul perchè di quei complimenti tanto espliciti.
"Tu sei ubriaca, Elizabeth." alzo gli occhi al cielo. Mi massaggio una tempia con i polpastrelli. Non era previsto. Elizabeth alza un braccio e se lo pioggia davanti agli occhi, chiudendo le palpebre. "Dovevi soltanto seguire il piano, dannazione." la riprendo severamente.
"Sì, lo so! Ma poi Samuel mi ha offerto qualcosa da bere e in qualche modo sono riuscita a berne altri nove bicchieri." Nove bicchieri, per Dio! "Non so dove sia adesso, me ne sono andata perchè volevo stare con Eric. Hai presente? Quello bello da morire. A volte è crudele e insensibile, ma in realtà è un bravo ragazzo." sposta l'avambraccio dagli occhi e la sua espressione si trasforma, trasformandosi in una di pura sorpresa. "Eric! Sei qui! Quando sei arrivato?" ride e si sposta dal materasso, sedendosi su di me,  le braccia poggiate sulle mie spalle. Il suo alito puzza di alcool. "Sono contenta che tu sia il mio ragazzo, sai?" cerca di baciarmi ma io mi sposto immediatamente. Non voglio baciare Elizabeth, non quando è ubriaca fradicia.
"Dov'è Alice?" chiedo, allontanandola "Qualcuno ti ha vista venire qui? Qualcuno ti ha seguita?"
"No!" sbotta lei, sembra infastidita, se non offesa. "C'era troppa gente e me ne sono andata. Non mi sono mai piaciuti i posti affollati. Hai presente, ti senti tutti gli occhi addosso, come se stessero giudicando ogni tua mossa. Lo sai, una volta ho letto un libro che parlava di un assassino, anche lui aveva questa fobia. In realtà non era proprio un assassino, rapiva i bambini e li uccideva per poi mangiarli. Ho letto le lettere che scriveva nel suo diario. Il giorno prima di essere condannato ha scritto di aver mangiato il culetto di un bambino di quattro anni. Era un rapitore, pedofilo, assassino e anche cannibale." sussulta spaventata e mi afferra un braccio "Eric, sono anch'io una cannibale?"
"Per l'amor del cielo, no!" sbotto. Mi manca d'improvviso quell'Elizabeth silenziosa e calcolatrice. Quella che ho davanti non mi sembra neanche più la mia ragazza. "Perchè diavolo avresti voluto leggere il diario di... Sai cosa? Non mi importa. Stenditi e riposa finchè non ti sarà passata la sbornia."
"Non mi sono mai ubriacata prima d'ora." spiega lei, infilandosi sotto le coperte. Elizabeth guarda il soffitto, i suoi occhi luminosi brillano nel buio come quelli di un gatto. "Penso di aver fatto a botte con qualcuno, Eric."
"Be', certe cose non possono cambiare." sospiro e la lascio riposare, sperando di riavere indietro la mia ragazza il prima possibile.

                                                                                                        ***

Sono passate un paio d'ore, Elizabeth sembra essersi calmata. O almeno penso, perchè ha continuato a parlare a vanvera per i primi venti minuti e poi ha smesso, come se si fosse spenta all'improvviso. Io intanto ho spostato la montagna di vestiti dalla sedia al pavimento e mi sono seduto accando al letto, guardandola mentre il suo respiro si faceva più regolare.
È ora che mi rendo conto che non ho mai visto Elizabeth dormire, e penso che sia una delle cose più spettacolari del mondo. È come se fosse la Candida di sempre, silenziosa, tranquilla, ma senza quella ferocia negli occhi o quello sguardo perennemente indagatore. Sembra quasi umana. Il suo volto è rilassato e le sue labbra sono curvate in un debole sorriso. È rannicchiata sul fianco e si stringe le coperte al petto, deve sentire un freddo glaciale. La musica proveniente dal Pozzo, intanto, è finita, ed ora nella Residenza degli Intrepidi, sempre chiassosa e caotica, regna il silenzio più totale. Elizabeth dorme, ed il silenzio della notte mi circonda. Penso che potrei rimanere così per ore senza mai stancarmi, inebriato dalla perfezione del momento.
I capelli mossi le ricadono in morbidi ciuffi sulle guance, dandole un aspetto quasi innocente. Chissà com'era da piccola, mi ritrovo a pensare, quando ancora non aveva tutta quella smania di controllo, quando l'unica cosa che importava era giocare ed essere liberi. Immagino una piccola Elizabeth che corre nei suoi minuscoli vestiti da Candida, i capelli che ondeggiano sopra le sue spalle minute. Chi immaginava che quella bambina sarebbe un giorno diventata una delle nostre Intrepide migliori, se non la migliore.
Allungo una mano verso il suo viso e le sfioro la guancia con il pollice. Lei schiude gli occhi e trattiene la mia mano, dandomi un bacio sulle nocche scorticate dai troppi pugni dati.
"Sei tornata fra noi?" chiedo, ma dalla sua espressione ancora allegra capisco che è ancora brilla.
"Non lo so. Perchè non vieni a letto? Comincia a fare freddo, sai." mormora, chiudendo di nuovo gli occhi e spostandosi per farmi spazio. Non appena mi infilo sotto le coperte, lei si avvinghia a me in un abbraccio forte, quasi disperato. Appoggia la testa al mio petto, ed io rimango immobile. Non so come sentirmi. Poi decido di sbloccarmi e le accarezzo i capelli. Le mie dita indugiano sul suo tatuaggio. A differenza dell'ultima volta, lei non si ritira, ma, al contrario, ridacchia divertita.
Sto per fare una cosa sleale, che so che all'Elizabeth sobria non piacerebbe per nulla. La ragazza è ancora brilla, potrebbe dirmi qualcosa che quella parte riservata di lei si è ostinata a nascondermi per tutto questo tempo. Con un po' di fortuna, non se lo ricorderà nemmeno.

"Posso chiederti una cosa? Ma vorrei che mi rispondessi sinceramente." chiedo, raddrizzando la schiena e poggiando le spalle sui cuscini. Lei si stacca dal mio petto soltanto per stendersi su di me. Ancora una volta, non so che pensare. Vorrei davvero baciarla, toccarla, ma non se è ubriaca. Non così.
"Mh-mh." mugugna lei affermativamente. Le accarezzo i capelli, sperando che la mia domanda possa risultare discreta anche ad un'Elizabeth brilla.
"Cosa ti sei tatuata sulla schiena?" le chiedo tutto d'un fiato, e per un secondo temo di aver parlato troppo veloce. Mi chiedo se anche in queste condizioni possa capire che non sono tranquillo come voglio far sembrare. Per un istante interminabile lei non risponde, ed io mi pento subito di aver pensato di poterla ingannare.
"Oh, Eric." mormora poi, quasi dispiaciuta. Alza la testa e appoggia gli avambracci sul mio petto, in modo che i nostri occhi siano alla stessa altezza. "Vorrei tanto mostrartelo, ma non posso."
"Come mai?" aggrotto la fronte, la mia mano si ferma fra i suoi capelli. Sembrerebbe quasi seria, se non fosse per il sorriso distratto che ha sul volto.
"Vedi, Tori ha fatto un bel lavoro. È stata molto gentile con me, però mi ha raccomandato di tenerlo nascosto il più possibile. Dice che gli altri non capirebbero. Ma non solo è per questo che non te lo voglio mostrare. Io mi fido di te." esita, prima di continuare, e una luce attraversa i suoi occhi. Non so cosa sia, ma sembra quasi che una parte di lei sia tornata. "Non sopporto di scoprirmi troppo. Questo top nero... è orribile. Ma hai visto? Mi si vede tutta la pancia. Mi sorprendo che non sia una mia paura nello Scenario, in realtà. L'idea di dover togliermi i vestiti in presenza di qualcuno, intendo." ci ripensa su e poi ride, lasciando cadere la fronte sul palmo della mano. "Ah già, gli specchi."
"Gli specchi." ripeto io, come per esortarla a continuare. Poi la mia mente ripercorre quasi automaticamente gli ultimi giorni che ho passato insieme ad Elizabeth. Mi ha mentito, l'altra sera, quando stavo per toglierle la canotta di dosso. Mi ha detto che era per colpa delle Simulazioni, che non riusciva a pensare ad altro. Ora capisco perchè quella volta in palestra -sembra un periodo talmente lontano, quando ancora non si fidava di me al punto di presentarsi ubriaca nel mio appartamento- ha reagito in quel modo quando l'ho afferrata per i fianchi. Elizabeth mi ha mentito, più di una volta. Non so perchè mi soprendo tanto, dopotutto le ho mentito anch'io, e spesso anche. Ma Elizabeth che mente -a me, poi- è una novità che non riesco a mandare giù.

"Gli specchi!" rotola su un fianco e si sposta dal mio petto, sistemandosi al mio fianco. "Puoi immaginare qualcosa di più brutto dell'essere rinchiuso in uno spazio talmente ristretto, con tutte quelle facce che ti guardano? E non solo, tutte quelle facce sono le mie facce. È come se nell'ultima paura si combinassero le mie due paure più grandi. È terribile, santo cielo! Essere me, voglio dire, essere Elizabeth." mi guarda quasi sopresa, come se stesse realizzando quelle parole solo dopo averle pronunciate. Le brillano gli occhi, ma non sta per piangere. "Sai cosa si prova a non esser mai capace di stare tranquillo per un istante? È come quanto hai la nausea perchè hai mangiato troppo. Quella sensazione di debolezza... Quella morsa allo stomaco... È tipo... così. Solo che ce l'hai sempre, non solo dopo che mangi. Io non mangio molto, sai? Non mi piace il cibo che preparano qui, Norman sarà anche un'ottima compagnia, ma è un pessimo cuoco. Pensi che esistano corsi di cucina, qui? Norman dovrebbe frequentarli." borbotta inarrestabile, la fronte aggrottata in un'espressione pensosa.
"Ma di che stavamo parlando? Degli specchi, giusto." annuisce energicamente. Quando ricomincia a parlare, noto che il tono della sua voce è quasi dispiaciuto. "Non è bello studiare le persone, te l'ho mai detto? Non è bello perchè... è come sbucciare una mela fino al torsolo. Scopri tutti i segreti di una persona, li sfrutti a tuo vantaggio; trovi le sue debolezze, le sfrutti a tuo vantaggio; scopri le sue paure più profonde, e le sfrutti a tuo vantaggio. Capisci? Se scopri tutto su una persona -e con tutto intendo tutto-, non puoi averne davvero paura. È difficile temere qualcuno che ha paura del buio, come Gabe. O qualcuno che se la fa sotto davanti ad un ragno come Richard. Poi, quando hai finito di divorare anche quella mela, la getti insieme a tutti gli altri torsoli.
Alcune mele sono marce. Come Jonathan, sapevi che ha picchiato sua sorella minore una dozzina di volte? Quella povera ragazza è stata costretta a traferirsi nei Pacifici. Sono sicura che starà meglio... È per questo che Jonathan mi spaventa. È forse l'unico di cui ho paura. Pensaci, se ha avuto il coraggio di fare una cosa del genere ad un membro della sua famiglia, qualcuno che dovrebbe in teoria amare, cosa potrebbe fare ad una persona tanto odiata come me?" Elizabeth sospira e ride, coprendosi la bocca con la mano. Si volta verso di me, divertita, mentre io tento ancora di comprendere il suo rapido flusso di parole. "Non ho mai parlato tanto in vita mia, Eric. Neanche con Samuel."

"Samuel." ripeto divertito, ma non riesco a nascondere una punta di amarezza. Non sono sicuro che io stia prestando attenzione a quello che mi sta dicendo lei in questo preciso momento, perchè sono ancora concentrato su quello che ha rivelato prima. Hai fatto una cosa disgustosa. Non lo dire. Se non ha voluto dirti questo genere di cose prima, ci sarà un motivo. Lo so, ma forse me le avrebbe dette, un giorno. Sicuro? Assolutamente. E allora perchè hai aspettato che si ubriacasse per fartelo dire? Stai zitto, non l'ho fatto. Oh, eccome se l'hai fatto.
"Che rapporti avete tu e lui?" sbotto con troppo impeto interrompendola, e lei alza la testa quasi allarmata.
"Era nei Candidi con me, ci conosciamo da quando avevamo cinque anni, è il mio migliore amico." Migliore amico, come no. Ricordo come mi ha guardato quando lei si è seduta in mensa accanto a me. Mi accorgo delle occhiate assassine che mi lancia ogni volta che mi vede. "Però in questi ultimi anni deve essersi preso una cotta per me. Sai, non sono cieca, mi rendo conto di questo genere di cose, quando le vedo. E in lui le vedo. E vedo anche come tu guardi lui. Ma non ti preoccupare, lui non è il mio tipo."
"Ah no?" ringhio io, cercando di nascondere la rabbia. Pensare a Samuel come un potenziale rivale è una cosa che mi rifiuto anche solo di pensare.
"No! Lui è troppo dolce, mi direbbe robe del tipo 'Elizabeth, io ti amo per quello che sei.' " e so che mentirebbe. Prima di tutto, perchè non sa cosa sono, lo so soltanto io, ed io non mi amo per niente proprio perchè lo so. Non voglio che qualcuno mi ami per quello che sono, ma qualcuno che mi aiuti a cambiare. Non voglio essere così, non voglio sbucciare tutte quelle mele e gettare tutti quei torsoli. Voglio imparare ad avere dei valori, delle qualità. Non sono mai felice, ed io voglio esserlo." la sua faccia è leggermente contratta in una smorfia di disgusto mista a tristezza.
Non avrei mai pensato di scoprire questo lato così privato di Elizabeth, sapere che è così delusa da se stessa da sostenere che nessuno potrà mai amarla per davvero. Io non so se amo Elizabeth, perchè non ho mai avuto occasione di capirlo davvero. La stimo, la ammiro, mi piace, la trovo stupenda, questo sì. Ma non sono sicuro di amarla, e non voglio mentire dicendo che sono sicuro di poterla cambiare. "Eric... Mi sento male."
"Va tutto bene." mi alzo di scatto, accantonando i miei pensieri in un angolo della mia mente, e prendo dal bagno un asciugamano umido e un secchio di plastica. "Sono solo alcuni effetti collaterali del bere come una pazza, Elizabeth." dico, ma non ne sono convinto. Penso sul serio che il suo malore sia strettamente collegato al fatto che ha rivelato tutte quelle cose in una volta, che abbia parlato così tanto. D'improvviso, mentre sono rannicchiato sul pavimento per sistemare il secchio accanto al letto, mi rendo conto che sono l'unica persona che conosce i segreti di Elizabeth, oltre a lei, e sono sicuro che ce ne sono un'infinità ancora nascosti dietro quegli enormi occhi. Mi alzo lentamente, rielaborando con estrema calma tutto quello che mi ha detto, per non tralasciare nessun dettaglio. La faccio sedere sul bordo del letto e lei si piega in avanti, tenendosi una mano sulla fronte.
"Ti ho annoiato, con tutto quel parlare, Eric? Sono sicura di averlo fatto. Non sembri uno a cui piacciono le chiacchere." appoggia la testa sulla mia spalla, l'aria rilassata e dormiente.
"No, Elizabeth." le bacio la fronte "È stato molto interessante ascoltarti."

                                                                                                     ***

"Una volta sono caduta dal ramo più alto dell'albero nel mio giardino. Ho fatto un volo di otto metri, e mi sono rotta il braccio." la voce di Elizabeth alle mie spalle rompe il silenzio di tomba che ha regnato in questa stanza per qualche decina di minuti, e mi fa alzare la testa di scatto. Con mia grande sorpresa, prima non ha vomitato, e pochi minuti dopo è ricaduta in un sonno profondo. Mi volto, incuriosito, abbandonando sul bordo del letto il pezzo di legno che stavo intagliando con il suo coltellino. Si mette a sedere tenendosi la fronte con una mano, come se potesse cadere da un momento all'altro. Ha i capelli lunghi scompigliati, l'espressione frastornata e la bocca storta in una smorfia di dolore. Le coperte bianche le ricadono in grembo quando si siede, le spalle ingobbite coperte dal tanto odiato top. Se qualcuno entrasse adesso, penserebbe che Elizabeth si sia da fare con il Capofazione. Il pensiero mi provoca una sensazione calda nello stomaco che non riesco ad identificare. "Ma quel dolore non era neanche lontanamente paragonabile a quello che sto provando adesso." sibila, inspirando la fredda aria notturna. "Dio... Cosa diavolo ci faccio qui? Perchè sono nel tuo..." all'improvviso si blocca e afferra il lembo della coperta, fissandolo intensamente cose se il tessuto bianco potesse darle una spiegazione, poi si volta di scatto verso di me, sgranando gli occhi. "Dimmi che non abbiamo..."
"No, Candida, non siamo andati a letto insieme." la interrompo e rivolgo di nuovo l'attenzione sul pezzo di legno poggiato sulle coperte. "Non sono ancora arrivato a livelli di meschinità tali da farmi una ragazza ubriaca." Stai mentendo. Ma la vuoi finire?
"Per mia fortuna. Puoi dirmi cos'è successo, per favore?" si abbandona di nuovo sul materasso, cadendo pesamente come un peso morto. Esito prima di risponderle, ma so che le devo dire qualcosa e anche in fretta, prima che si insospettisca. Elizabeth si insospettisce di tutto, specialmente ora che si è risvegliata nel mio letto e non ha idea di come ci sia finita.
"Tu cosa ricordi?" mi volto ancora verso di lei ed incrocio i suoi enormi occhi che mi stanno scrutando con attenzione. Distoglie lo sguardo da me e lo rivolge al soffitto, un braccio poggiato sulla fronte e l'altro abbandonato sul suo ventre. Si è risalita le coperte fino a poco sotto le clavicole. "Non sopporto l'idea di scoprirmi troppo" mi ha rivelato pochi minuti fa. Non ne vedo il motivo, a dir la verità. Senza esagerare, dev'essere una delle ragazze più sensuali che abbia mai visto -nonostante non superi il metro e sessanta, e il suo comportamento contribuisce a renderla ancora più desiderabile.
"Ricordo di essere arrivata al Pozzo con questo disgustoso abbigliamento." comincia con una certa nota di sarcasmo nella voce. Ed eccola che è ritornata, la mia Elizabeth. "C'era un sacco di gente ed ho cominciato a sentirmi male, poi Samuel mi ha visto -non sembrava molto sobrio- e mi ha convinta a bere qualcosa. Per i primi minuti non ho sentito nulla, poi ho sentito come se qualcosa scivolasse via dal mio corpo, mi sono sentita più tranquilla e..." sussulta e si copre la faccia con le mani. Impreca. È una delle poche volte che l'ho sentita imprecare. È divertente. Le chiedo cosa c'è che non va e lei per tutta risposta si rimette a sedere e scuote la testa debolmente.

"...E ho... Per l'amor del cielo, ho cominciato a ballare." impreca di nuovo, sembra così preoccupata "Io!" urla, sbattendo un pugno sul materasso, proprio accanto a lei. Soffoco una risata perchè so che altrimenti la manderei su di giri e che se ne andrebbe via dal mio appartamento. Ed io non voglio che lasci la stanza in queste condizioni. "Poi mi devo essere stancata... Credo. E sono venuta a cercarti. È tutto quello che ricordo, fortunatamente. "Maledizione Eric, dimmi che non abbiamo combinato nulla."
"A giudicare dal tuo entusiasmo quando ti sei fiondata dentro e mi hai baciato, sembravi tu quella che voleva combinare qualcosa." mi godo la sua espressione oltraggiata per qualche istante, poi mi volto e continuo ad intagliare il legno. La segatura cade sul pavimento, delicata come il pulviscolo che la mattina vedo fluttuare fra i fasci di luce che filtrano dalla finestra. "Ma io mi sono rifiutato, se questo può farti pensare che io sia una persona migliore. Abbiamo solo parlato." Ed è stato molto più interessante, aggiungo mentalmente.
"Parlato." ripete lei, sento un tono di allarme nella sua voce. Si inginocchia dietro di me e appoggia le sue piccole mani sulle mie spalle. Sussulto -la ferita d'arma da fuoco brucia ancora- e lei si scusa velocemente. Sporge leggermente la testa al di sopra della mia spalla e finge di essere interessata al mio lavoro sul coccio ligneo. "E di... Di che cosa abbiamo parlato? Devo averti annoiata parecchio." si sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio dopo essersi schiarita la voce.
"Per niente." mi limito a rispondere. Mentre dormiva ed io ero rimasto da solo con i miei pensieri, ho deciso che non le racconterò quanto mi è stato detto dall'Elizabeth ubriaca di poco prima, la mia piccola complice. Sento le sue dita muoversi nervosamente sulla mia pelle. Vuole sapere di più, ma io non cederò. Non stavolta.
"E di che cosa ti ho parlato, esattamente? Scommetto che ho blaterato riguardo a un sacco di cose inutili." appoggia il mento sulla spalla buona e sento la sua pelle tendersi in un finto sorriso divertito.
"Anche." faccio spallucce, nel mio tono c'era qualcosa che l'ha visibilmente irritata.
"E non me lo vorresti dire, di grazia?" ringhia lei, rinunciando al tentativo di sembrare disinteressata all'argomento. Mi alzo e per poco lei non cade in avanti. Mi guarda stupita mentre io mi volto verso di lei, aggrottando la fronte. È finito quel periodo dove era lei a sapere tutto, e dove ero io quello che voleva delle risposte. Non vorrei mai farle del male psicologico -perchè so che ora gliene sto infliggendo- ma è l'unico modo che ho per salire di un gradino e posizionarmi sul suo stesso livello.

"Perchè tante domande, Elizabeth? Hai qualcosa da nascondere?" le restituisco il coltellino, gettandolo sulle coperte accanto a lei. Elizabeth non lo nota neanche e dal suo sguardo sorpreso capisco che sta cercando qualcosa da dirmi in risposta. Elizabeth sfoglia il suo repertorio invisibile di risposte taglienti da darmi, ma sembra non trovarne nessuna. La guardo dall'alto in basso perchè so che è una cos che non riesce a sopportare. Infatti, dopo interminabili secondi di silenzio, si alza e mi affronta. Non che la cosa cambi, dopotutto, dal momento che la supero di almeno trenta centimetri.
"Io non ti nascondo niente." posa il suo sguardo sul mio collo, e sputa quella frase come se fosse veleno. La luce della luna che penetra dalla finestra alla mia sinistra le illumina di una debole luce argentea solo metà del viso, lasciando nell'ombra la metà destra. I suoi occhi brillano di un grigio smorto, adesso, e anche se ora sono infastidito dal suo comportamento, continuo a trovarli bellissimi. Ma devo concentrarmi su un particolare più importante: sta evitando il mio sguardo. Sta mentendo. A me. Di nuovo.
"Guardami dritto negli occhi e ripetimelo, Elizabeth." sibilo, lei alza il viso e scruta per qualche secondo la mia espressione. Non so cosa possano rivelare i miei occhi adesso, so solo che mi sento deluso dal fatto che mi abbia mentito per tutto questo tempo. Elizabeth schiude la bocca e sbatte le palpebre un paio di volte prima di richiuderla di scatto, come se ci avesse ripensato all'ultimo secondo. "Sto aspettando." mormoro a denti stretti, lo sguardo fisso su di lei.
"Maledizione a me e a quando ti ho insegnato tutte queste cose!" sbraita dopo interminabili secondi di silenzio, e si allontana da me. Si guarda intorno come per cercare qualcosa da rompere, ma in questo appartamento non c'è niente a disposizione della sua furia. Tranne me, ovviamente. Emette un verso irritato e si lascia cadere sul bordo del letto, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani fra i capelli. Io sono davanti a lei, a qualche metro di distanza, e la guardo in attesa di una risposta. Vorrei consolarla, sedermi accanto a lei e dirle che non mi importa. Ma mentirei ulteriormente. Voglio sapere. Devo sapere.

"Ti ho parlato delle mie Simulazioni." alza lo sguardo verso di me, una ciocca scura le ricade davanti agli occhi dandole un aspetto minaccioso. Ma non posso avere paura di lei, non adesso. "L'ho fatto, non è vero?"
"Mh-hm." annuisco, storcendo le labbra in una smorfia contrariata. Non c'è voluto molto prima che lo scoprisse, dopotutto.
Sospira esasperata, e abbandona entrambi i gomiti sulle cosce. La sua postura ingobbita e il tono della voce tremolante mi farebbe pensare che sia esausta. E forse lo è. Esausta per tutto, per aver capito che ora so cose di lei che non voleva che sapessi, per non esser riuscita a controllare le sue stesse parole.
"Ti ho parlato degli specchi. Ti ho detto che odio il mio corpo." continua, la voce rotta dalla rabbia. Annuisco anche questa volta. Sentirsi elencare questo genere di cose dalla parte sobria di lei fa uno strano effetto. Certe cose non si possono tenere nascoste troppo a lungo, suppongo. Chissà per quanto tempo altro ne sarei rimasto all'oscuro. Dovrei ringraziare Samuel, per questo? Per avere fatto ubriacare Elizabeth in modo da scoprire parte dei suoi segreti? No, il solo pensiero mi fa rabbrividire disgustato. "Ti ho detto che non riesco a sopportarmi." annuisco di nuovo. Lei sembra trattenere una risata, poi, con un tono meno furioso, continua "Ti ho fatto un sacco di complimenti."
"L'hai fatto." mormoro, e sto per dire qualcos'altro -per esempio che li ho graditi parecchio-, ma lei dice una cosa che mi blocca le parole in gola.
"E, Dio, ti ho detto di mia madre..." non annuisco e rimango in silenzio. Lei alza la testa, incuriosita e allarmata dalla mia assenza di risposta. Capisce troppo tardi che non ha mai menzionato sua madre, nella piccola conversazione che abbiamo avuto. Impreca sotto voce e si prende la testa fra le mani. Delicati boccoli castani le ricadono sulle braccia.
"Non mi hai mai detto di tua madre." le faccio notare con una punta di curiosità nel tono di voce, come se la sua reazione non avesse reso ovvio quel particolare.
"Lo so, Eric." sbotta lei, alzando minacciosamente gli occhi sui miei. Mi ricorda ancora uno di quei felini che si sono estinti centinaia di anni fa. La prima volta che li studiai, quando ancora ero un Erudito e frequentavo la scuola, pensai che avessero uno sguardo feroce ma magnetico. Sai che di fronte ad uno di loro dovresti scappare, ma non ci riesci perchè sei ipnotizzato da quegli occhi ramati. Ed è così che mi sento ora, intimorito, ma attratto allo stesso tempo.
"Ma ora lo voglio sapere." aggiungo con un piccolo cenno della testa. Lei si alza, infilando il coltellino nella tasca posteriore e afferrando un mio maglione dal pavimento. Non mi importa che sta prendendo un mio indumento -per Dio, ne ho a migliaia-, l'unica cosa di cui mi rendo conto è che non sta rispondendo.
"Ma io non te lo dirò." replica lei, imitando il mio irritante tono di voce che su di lei risulta ancora più fastidioso, se possibile. Si dirige verso la porta, ma io la raggiungo con due lunghe falcate e le afferro con troppa violenza il braccio. Non avresti dovuto. Lo so.

"Mi hai detto una miriade di cose che avresti preferito tenere nascoste. Puoi dirmi anche questa." sibilo, chinandomi in modo che i nostri occhi siano alla stessa altezza, la mano ancora stretta sul suo avambraccio sinistro. Quando si volta, i suoi capelli ricadono tutti da un lato della testa, scompigliandosi ancora di più, e mi rendo conto che i suoi occhi sono lucidi come mai prima d'ora.
Una lacrima sta per rigarle la guancia destra, ma lei la trattiene con determinazione. Mi guarda e la rabbia le accende gli occhi, facendoli diventare quasi rossi. Non so se sia soltanto frutto della mia immaginazione o no, ma so di per certo che mi sento a disagio davanti al suo sguardo, ora più che mai. Non posso arrendermi così facilmente, non deve succedere mai più. Se mi rivela anche questa cosa, forse mi guadagnerò la sua fiducia. O il suo odio più puro.
"Dimmelo, Elizabeth!" grido, e la mia voce non fa in tempo a rieccheggiare da una parete all'altra della stanza, perchè lei risponde immediatemente, quasi accavallando le sue parole sulle mie.
"Mi picchiava, Eric, cosa pensi che facesse?!" con uno strattone si libera dalla mia presa e mi spinge con molta più violenza di quella notte, quando era furiosa con me perchè le avevo quasi impedito di saltare sul treno. Sento una fitta alla spalla ma non glielo faccio notare, non penso che gliene importerebbe, in questo momento. Mi sbilancio all'indietro ma non cado, perchè sono troppo concentrato sul suo volto paonazzo dove ora le lacrime scorrono senza sosta. Avanza verso di me, un passo lento ma deciso. Ora mi ricorda davvero un grande felino. E so che dovrei scappare da lei, allontanarmi. Ma non riesco. Vorrei riavere la tranquilla Elizabeth di prima, quella dallo sguardo rilassato e il sorriso timido sulle labbra. Mi spinge di nuovo, con meno forza di prima. "Perchè pensi che mia madre sia nel mio Scenario della Paura?" mi spinge di nuovo, stavolta non riesce a trattenere un singhiozzo, le sue braccia stanno perdendo quella forza che le ha fatto scattare i muscoli con tanta violenza poco prima. "Perchè pensi che me ne sia andata da lì?" penso che vorrebbe spingermi di nuovo, ma all'ultimo le forze l'abbandonano e, invece di colpirmi ancora, poggia i pugni sul mio petto e abbandona la fronte su di esso, lasciandosi travolgere da un fiume di singhiozzi e lacrime.

Non riesco a muovermi anche se vorrei, ma non voglio scambiare quel gesto per una richiesta di affetto. Elizabeth non vuole essere compresa adesso, vuole rompersi in mille pezzi per poi ricomporsi più forte di prima. Dopo pochissimi secondi fa un passo indietro e si allontana da me, asciugandosi gli occhi e sistemandosi i capelli da un lato.
"Ti ringrazio, ma penso che proseguirò il mio allenamento per le Simulazioni da sola." dice, nel tono della sua voce riesco a sentire ancora una sfumatura di rabbia. Vorrei risponderle, ma lei è già sparita in corridoio, sbattendosi la porta alle spalle.
Sono rimasto da solo in questa stanza buia, illuminata soltanto da un raggio di luna che si allunga sul pavimento, disegnando un rettangolo grigio contro le assi di legno scure. E ho paura. Paura di aver fatto una mossa azzardata e di averla persa per sempre. Paura di non rivederla mai più, di non baciarla mai più, di non toccarla mai più. Paura che Samuel possa prendere il mio posto o peggio, che possa farlo Quattro. Paura che non possa superare la prova finale del secondo modulo che si terrà fra due settimane. Paura che non camminerà più attraverso i tunnel della Residenza degli Intrepidi. Ho paura di aver rotto qualcosa in lei, di aver tolto la chiave di volta di tutto quello che aveva costruito per essere invincibile, e di averla fatta crollare. Non è scappata dai Candidi perchè non era abbastanza onesta, è scappata da quella Fazione per trovare pace in quest'altra. Ed io sono sicuro di aver turbato la sua tanto bramata pace, facendo risalire a galla ricordi indesiderati.
Elizabeth era una macchina complicata, ed io sono stato così incosciente da giocarci e romperla. 
   
 
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