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Autore: Black Swallowtail    26/02/2017    0 recensioni
Nelle profondità dei Labirinti Phtumeriani, attraverso lunghe, intricate gallerie oscure ed abbandonate, si nasconde quel che resta di un dono di creature irraggiungibili dall'uomo. Attraversando questa antica tomba, un gruppo di scolari di Byrgenwerth scopre ciò che metterà in moto gli eventi che cambieranno il mondo — il Sangue Antico.
I giovani studiosi, con in mano la chiave di volta per trascendere l'umanità, daranno il via ad una catena di eventi che li porterà a lacerare il velo che divide umanità da bestialità, che aprirà i loro Occhi su quel che risiede sopra di loro.
Anni prima degli eventi di Bloodborne, si snoda la storia di Gehrman, Maria, Laurence, Micolash, Caryll e Willem — gli Scolari del Sangue Antico.
"Se solo avessimo saputo a cosa stavamo andando incontro, forse ci saremmo fermati.
O forse, come falene attirate da una fiamma, avremmo seguito fino all'ultimo il pallido fantasma di una sapienza cosmica, trascendentale.
Forse, eravamo destinati a bruciare fin dal principio. "
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gehrman, Lady Maria, Laurence, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IV — “The sacrifices we have made.”

Dal giorno dell'esperimento, con i mesi che sono trascorsi, tutto è andato avanti senza alcuna ulteriore discussione, nonostante la tensione sia palpabile, anche ora. Gli esperimenti proseguono senza intoppi e, ogni giorno, i risultati continuano a renderci diffidenti; sempre di più sono i pazienti che iniziano a lamentarsi di udire il rumore dell'acqua che si agita, o a sillabare nella notte il rumore di un gocciolare frenetico e costante che solo le loro orecchie percepiscono. Molti hanno iniziato a mostrare segni di rabbia e suscettibilità di stampo quasi bestiale, per cui Gehrman ed io abbiamo dovuto farli sparire silenziosamente da Byrgenwerth senza farci notare.

Nella notte, abbiamo portato via le cavie ormai ingestibili ed intrattabili e, nelle profondità del bosco, le abbiamo sgozzate una ad una, gettando i loro corpi in pasto alle belve, lasciandoci alle spalle le tetre radure ricolme di miasma paludoso. Nessuno si avventura mai nei Boschi Proibiti, ragion per cui, quando un corpo viene lasciato lì, non viene mai più ritrovato. La palude lo scioglie e lo corrode, le bestie lo divorano, le ossa scompaiono e nessuno osa fare domande.

Ormai, anche se gli altri studiosi non ne proferiscono parola, silenziosamente, nel profondo della loro mente, sanno cosa stiamo facendo. Le urla sono troppo forti, a volte, per essere soffocate ed il fatto che alcuni studenti scompaiano, ovviamente solleverebbe, normalmente, delle domande. Ma sapendo la natura del nostro scopo, conoscendone le finalità, nessuno vuole protestare e, in nome del progresso dell'uomo, lasciano che la nostra meticolosa ricerca continui.

Le trasfusioni di Sangue Antico continuano a fornire un esito non del tutto soddisfacente. I pazienti divengono, inevitabilmente, non solo ingestibili, ma vicini per abitudini ferali a dei mostri, per cui dopo poco vanno irrimediabilmente tolti di mezzo. Allo stesso tempo, tuttavia, l'assunzione del liquido sconosciuto sembra, per un istante, aprire le loro menti, una specie di terzo occhio che dà visioni orribili, prima che la loro mente vada in pezzi ed inizino a farfugliare di acque ed oceano. “Beh, possiamo dire che è un passo in avanti, o no?” sogghigna Micolash, piegandosi su un uomo che, rannicchiato sul letto, avvolto nelle sue coperte, continua a farfugliare frasi insensate sull'oceano, o ad imitare il rumore delle onde. Il suo sguardo è colmo di terrore, come se stesse guardando nelle profondità di un abisso. Proseguiamo oltre, ad una donna che, poggiata contro il muro e seduta sul pavimento, invece che sul letto, alza gli occhi sbarrati su noi due, quando la illumino fiocamente con la lanterna per esaminarla.

“Poggiala sul lettino, per favore,” mi chiede lo Scolaro, iniziando ad annotare nome e generalità del soggetto, prima di piegarsi su di lei con un monocolo per osservarne la pupilla dilatata, “Nulla di strano, ci vede normalmente.”

“Eppure continua a farfugliare. Ascoltala,” mi siedo accanto a lei, la sento sussurrare a bassa voce, la bocca che si contrae violentemente, come mossa da un continuo spasmo. Sta sussurrando onomatopee per il gocciolare dell'acqua. Io e Micolash ci scambiamo un'occhiata stranita, “Cosa vuol dire?”

“Vorrei saperlo. Sembra quasi che vedano, o sentano, qualcosa collegato all'acqua. Ma perché? Forse i Grandi Esseri vivono nell'acqua?” schiocca la lingua, insoddisfatto, ma appunta ugualmente la sua conclusione, “Avremo tempo di rimuginarci dopo. Abbiamo quasi finito, mancano giusto due—”
Ascoltandolo distrattamente, faccio per alzarmi, quando sento un tremante tocco pieno di esitazione raggiungere la punta delle mie dita, come una silente supplica di non andare. La donna, agitata, mi stringe la mano, invitandomi a non lasciarla. La sua presa è talmente debole e spossata, che riesco a malapena a sentirne la pressione attorno al palmo, ma le rimango comunque accanto; non sarebbe la prima volta, che uno di loro muore davanti ai miei occhi. Tuttavia, nessuno, prima d'ora, si è teso ad afferrarmi, come in un disperato grido silenzioso di aiuto.

I suoi occhi incavati mi osservano per un lungo istante, prima di riuscire a trovare la forza di parlare. Mi piego leggermente su di lei, così che possa udire il suo sussurro soffocato, poco più che un respiro,“Credi che l'acqua… goccioli anche nel fondo del mare?”

Si porta una mano a coppa all'orecchio, come tentasse di udire meglio un suono preciso, terribilmente lontano, appena percettibile, “Senti il gocciolare? Drip, drop, slip, slop… Drip, drop… Slip...”

Mi volto un secondo, senza lasciare la sua mano, per richiamare Micolash, impegnato a trascrivere i sintomi di uno dei pazienti più rabbiosi, il cui sferragliare delle cinture costrittive arriva fino in fondo alla stanza. Quando nota la mia urgenza, scatta immediatamente al mio fianco, inginocchiandosi accanto alla donna sofferente, che per tutto il tempo, non ha fatto altro se non continuare ad imitare il suono di una goccia che precipita e a stringere la mia mano.

“Cos'ha di strano?” mi chiede lo studioso, gettandomi un'occhiata di traverso, piena di irritazione, “Non sta dicendo nulla di diverso dagli altri.”

“Prima mi ha chiesto qualcosa di insolito, qualcosa che aveva a che fare con il fondo del mare. C'è qualcosa di strano, non trovi?”

“Io credo che—”

La frase di Micolash viene bruscamente troncata dall'ululato di dolore della donna, che si irrigidisce di colpo, aggrappandosi disperatamente alla mia mano, gli occhi sbarrati, colmi di puro terrore, presa da un fremere incontrollabile, gli occhi pieni di lacrime. Si porta le mani al volto, singhiozzando sempre più forte, gemiti sconclusionati e soffocati, come se si stesse disperatamente proteggendo da una visione orribile.

Mi chino su di lei, scuotendola con dolcezza, come farebbe una madre con una bambina spaventata, sussurrandole dolcemente parole di conforto.“Va tutto bene, va tutto bene. Cosa c'è?”

“L'hanno uccisa… L'hanno uccisa...” lentamente, terrorizzata, apre uno spiraglio tra le dita, lasciando intravedere un suo occhio vibrante di terrore, “L'hanno uccisa… Gli dei ci aiutino,” il suo urlo lacera la stanza, facendo agitare tutti gli altri pazienti, un urlo della più sublime e pura paura che abbia mai sentito nella voce di un essere umano, talmente intenso da farmi vacillare per un istante, “L'HANNO UCCISA E LEI LI HA MALEDETTI TUTTI QUANTI.”

“Dalle un sedativo, subito.”

Micolash scatta ad afferrare una boccetta ricolma del medicinale e, grazie ai miei sforzi, riusciamo a tenerla ferma, incatenarla al letto, e farle trangugiare tutto il liquido nella fiala. Il suo corpo inizia a rilassarsi e, dopo qualche istante, rimane immobile, presa da un sonno pesante e, possibilmente, privo di sogni. Non vorrei che si svegliasse di nuovo agitata per via di qualche strano incubo. Mi volto verso lo studioso, che la sta ancora guardando con un'espressione a metà tra l'interesse ed il disgusto, proprio quella che ci si aspetta nell'uomo di scienza che osserva il suo deforme esperimento.

“Non so di cosa stesse parlando, ma mi ha dato i brividi.” mi limito a commentare, sistemandomi una ciocca di capelli scivolatami sugli occhi durante la colluttazione per tenere la folle al suo posto. Micolash, dal canto suo, sembra estremamente interessato, a giudicare dalla solerzia con cui prende appunti, “Ha parlato del mare, di un assassinio… Non capisco, ma sembrava qualcosa che interesserà sicuramente Laurence. Io finisco gli ultimi esami, posso cavarmela da solo. Maria,” strappa un foglio dal suo registro, porgendomelo dopo averlo accuratamente ripiegato, “Porta questo all'attenzione degli altri. Dobbiamo discuterne il prima possibile.”

Ripongo la nota nella tasca della giacca e mi lascio alle spalle la camera buia dei pazienti, chiudendo delicatamente la porta con un tonfo. Il sole mattutino è nel culmine del suo arco, l'ispezione ha occupato molto più tempo del previsto, ma Micolash è un uomo fin troppo diligenete quando si tratta di annotare minuziosamente ogni aspetto dell'esperimento. Questi controlli sono necessari per valutare i nostri progressi ed ormai ho fatto lo stomaco alle scene di follia e dolore che genera la nostra marcia verso la Verità Ultraterrena. Ormai, non c'è più compassione per il loro dolorante stato; dopotutto, sono vittime sacrificali che di loro spontanea volontà sono giunte al macello, la scelta è stata loro, unicamente la loro. La sofferenza che provano è per un bene più grande, per questo dobbiamo succedere nella nostra impresa – per non sprecare le loro vite, non renderle un'inutile risorsa bruciata nel nome del fallimento.

La nota spiegazzata di Micolash è una descrizione precisa dello stato della paziente e del suo improvviso delirio, riportando, con cura, le parole che ha gridato in preda a quell'accesso di follia. Non riesco a capirne il significato; in qualche modo, sono generate dal Sangue Antico, dall'apertura di uno degli Occhi che Maestro Willem ricerca tanto disperatamente, quindi devono avere una certa importanza. Che siano collegati ai Grandi Antichi, in qualche modo? Ma chi avrebbe commesso questo sedicente omicidio? Chi è stato ucciso tanto brutalmente?

Laurence è sul balcone, insieme a Willem. Salita la scala a chiocciola, li intravedo attraverso l'uscio lasciato accostato. La loro discussione non sembra esattamente ostile, ma posso percepire, dal loro tono, quel nervosismo, quella vaga ostilità che continua ad aleggiare in ogni discorso che intercorre tra loro. Mi fermo sull'uscio, senza interromperli, con l'intenzione di cogliere almeno un frammento del loro discorso, nonostante la distanza.

Willem è seduto sulla sua sedia a dondolo, si lascia trasportare ritmicamente dalla leggera brezza che soffia da ponente, picchiettando le dita sul lungo bastone da Rettore, ascoltando Laurence al suo fianco, anch'egli con lo sguardo perso all'orizzonte.

“—è passato un anno da quando abbiamo trovato il Sangue Antico, Maestro, eppure i nostri progressi procedono ancora terribilmente a rilento. I reperti di Fantasmi ormai hanno confermato i nostri sospetti sugli Phtumeriani, sulla discendenza dei Grandi Esseri. Eppure, non riusciamo ad andare oltre.”

Willem sospira, stancamente, il sospiro di un uomo che si avvicina alla vecchiaia, massaggiandosi la fronte e rimanendo in silenzio per un istante, prima di rispondere, “Quello di cui abbiamo bisogno, mio Laurence, sono gli Occhi. Le nostre menti sono ancorate a questo piano e non riescono ad osservare oltre…” gli indica l'orizzonte, sul quale si ammassano nuvoloni scuri, “Quello che vediamo non è altro che un frammento pallido e marginale. Ci servono più Occhi, più conoscenza, solo allora potremmo ottenere la verità. Laurence, i nostri Occhi—”

“Sono ancora chiusi, lo so!” L'improvviso scatto di Laurence mi fa trasalire. È raro vederlo perdere la pazienza e sono sicura che mai, prima d'ora, lo abbia fatto di fronte a Willem o, ancora peggio, gli abbia urlato contro. Ma ora, sembra terribilmente esasperato, oltre che provato. È vero che, in tutto questo tempo, i nostri esperimenti non hanno subito alcun sostanziale progresso. Siamo fermi, a metà tra il nostro territorio, umano, e i confini di quello superiore, dei Grandi Esseri che ci osservano. Comprendo la sua frustrazione. Abbiamo visioni troppo diverse, che si osteggiano a vicenda, e ci siamo arresi alla volontà di Willem per via del rispetto che proviamo nei suoi confronti. Tuttavia, i suoi metodi non ci stanno portando da nessuna parte.

Questa storia degli Occhi è come un peso che ci trascina in basso, che ci impedisce di avanzare. Le uniche, sostanziali, nuove scoperte, seppur di carattere marginale, sono state quelle ottenute con il Sangue Antico. Nonostante questo, nessuno di noi ha protestato. Abbiamo lasciato Caryll a scrivere le sue rune, Micolash ad ispezionare ogni giorno uomini sofferenti, Laurence a sperimentare con mezzi insufficienti per il timore di contraddire la sua volontà.

Digrigno i denti.

Un dannato peso su tutti noi…

“Oh, ha chiamato anche te, Maria?”

Alzo gli occhi di scatto per incontrare quelli di Gehrman, poggiato contro la balaustra della scala, sull'ultimo gradino, le mani nelle tasche, che mi osserva con un mezzo sogghigno, “Non ti avevo forse detto che origliare è una pessima abitudine? Ed io che credevo che a Cainhurst foste tutti dei signori.”

Le mie guance iniziano ad ardere per la vergogna e la mia presa sul foglio si fa abbastanza forte da stropicciarlo irrimediabilmente. Scuoto la testa, “Non stavo...”

“Origliando? No, suppongo di no. Una signorina di Cainhurst come te, al massimo, potrebbe aver colto, per caso s'intende, un frammento di conversazione, non è così?”

Vorrei gridargli di smetterla. Smetterla di continuare a pronunciare quel nome, a ricordarmi quel posto, quella ripugnante corte di falsità e di ipocrisia, di maschere e viscido servilismo, di abominevoli pratiche, di ributtante edonismo, di tradimenti e di legami di sangue. Ho fatto di tutto per soffocare il mio passato, per stracciarlo e dimenticarmene, ma non posso lavare il mio sangue. Non posso mondare il mio odio.

“Smettila...” ringhio a bassa voce.

“Stavo scherzando.”

“Lo so.”

Mi si avvicina, poggiandomi una mano sulla testa, come farebbe un padre con una figlia, scompigliandomi appena i capelli diafani, di quel colore cenere, quasi albino, che indica la mia discendenza dalla Regina Annalise, “Mi dispiace, Maria.”

“Lo so.”

Rimaniamo in silenzio per un lungo istante, ognuno perso nei propri pensieri, proprio come ai tempi dell'addestramento. In un certo senso, non mi dispiace, questa situazione. Mi ricorda tempi più felici. Non è passato molto tempo, ma la nostalgia in me è ancora abbastanza forte da farmi assaporare un momento come questo, quando ancora non stavamo combattendo contro noi stessi, contro l'universo stesso, per raggiungere una verità tanto distante da apparire come un miraggio vibrante.

“Maria, ascolta—” L'improvvisa frase di Gehrman viene troncata da Laurence che rientra dal balcone, l'espressione incupita, segno più che chiaro dell'ennesimo fallimento del tentato dialogo con Willem. Quando ci intravede, tuttavia, cerca di nascondere la sua insoddisfazione e l'irritazione, mettendo su una maschera di circostanza e salutandoci con un cenno secco del capo.

“Vi ha convocati il Maestro?” chiede, rivolgendosi a Gehrman, “Deve essere per qualcosa di importante.”

“Non te ne ha parlato?”

Laurence scuote la testa, ma il mio maestro d'armi gli dà un colpetto alla spalla, “Ti aggiornerò io, allora.”

“Micolash vorrebbe parlarti. È urgente. Tieni questo.” mi affretto ad aggiungere, porgendo al nostro compagno la pagina stropicciata, che afferra rapidamente, ringraziandomi; dopo questo rapido scambio di battute, Laurence scende frettolosamente le scale, scomparendo dalla nostra vista, probabilmente recandosi immediatamente al laboratorio. Spero riescano a venire a capo della frenesia improvvisa di quella paziente, perché, in qualche modo, sembra un ulteriore, faticoso passo in avanti, dopo un così lungo tempo di stallo.

Seguo Gehrman sul balcone, il sole che viene coperto da nuvole temporalesche di passaggio, di un colore terribilmente scuro, come un presagio di sventura. Non sono mai stata una persona influenzabile, né superstiziosa, ma da quando, mesi fa, Caryll mi ha rivolto quella frase criptica, ed allo stesso tempo catastrofica, ho sentito una specie di brivido percorrermi la schiena ed ora temo i temporali e le nubi tempestose.

Alla fine, a distanza di mesi, nessuna tempesta mi ha spazzata via, ed ho finito per smettere di dare importanza a quelle parole, tuttavia, ogni tanto, le sento echeggiare nella mia mente, come una sorta di profezia in attesa di avverarsi. Scrollandomi via la sensazione di inquietudine, ci avviciniamo a Willem, che sembra ancora assorbito dal lago, al quale sembri sussurrare qualcosa, parole perse nel vento, che non riesco a comprendere. Non è una novità, oltretutto, che il Rettore si rivolga al Lago della Luna, il suo più grande confidente, al quale bisbiglia le sue preoccupazioni, le sue ambizioni.

In questo preciso momento, Maestro Willem mi appare come un uomo vecchio, molto più vecchio di quanto sia, e tormentato dalla Verità Ultraterrena, dalla sua incapacità di vederla, dalla sua mancanza di Occhi.

“Maestro Willem, voleva parlarci di qualcosa?” esordisce Gehrman, arrivandogli al fianco, le mani ancora affondante nelle tasche, in una posa informale, quella di due amici che osservano il cielo grigio ed uggioso.

“Il Lago è stranamente silenzioso, oggi...” sospira lui, di rimando, pensoso, parole più rivolte a se stesso che a noi. Dopo un secondo, inclina leggermente la testa verso il mio maestro, “Ti ho convocato con la tua apprendista, perché ho ricevuto una notizia della massima importanza, qualcosa per cui ho assoluto bisogno di voi.”

Si schiarisce la voce, come preparandosi a dirci qualcosa di incredibilmente importante. L'atmosfera, per qualche motivo, è terribilmente pesante. Le nuvole iniziano a farsi più fitte, più scure, come una cappa nerastra che grava sulle nostre teste. Sembra esitare, indeciso sul da farsi, limitandosi a far ondeggiare e scricchiolare ritmicamente la sua sedia a dondolo, seguendo un movimento irregolare, nervoso. Qualcosa di talmente grave, di talmente segreto, che nemmeno Laurence ne è a conoscenza; qualcosa che solo noi possiamo conoscere, per la quale gli serve assolutamente il nostro aiuto.

Per qualche ragione, le parole di Caryll risuonano terribilmente nitide, ora, proprio come le avesse pronunciate ora.

Ci sarà una tempesta.

“Un Grande Essere si è spiaggiato, lontano da qui, sulla costa.”

Devo prepararmi...

“Un Grande Essere? È sicuro di quello che dice, Maestro Willem?”

“Sì… Tuttavia, Gherman, è accaduto qualcosa di terribile. Quel Grande Essere—è morto.”

“Morto?!”

...Mi spazzerà via.

“Sì. È stato ucciso, e le profondità del mare lo hanno riportato indietro. Dovete recuperarlo, immediatamente.”

Un lampo in lontananza. Il vento si alza più forte, rabbioso.

Ci sarà una tempesta.

 

Lontano, sulle coste del mare che si estende ben oltre l'orizzonte, tanto grande da far impallidire perfino il Lago della Luna, sorge un piccolo villaggio di pescatori. È un luogo come un altro, ignorato dal mondo, come i tanti agglomerati di case fatiscenti che sorgono sparse lungo la linea di pietrisco e scogli a strapiombo sulle profondità oceaniche. La sua popolazione è composta da semplici uomini, che vivono di pesca e di caccia alle balene, imbarcandosi sulle loro imponenti navi di legno e ferro, fiocine ed arpioni alla mano, andando alla caccia di bestie enormi che possano permettere loro di sopravvivere ancora un po' in quel luogo così solitario, sferzato dal vento salmastro.

La vita scorreva pacifica, quasi stagnante, senza alcuno scossone o particolare agitazione diversa dalle solite difficoltà di chi vive in un piccolo gruppetto di case legnose o in muratura, ben lontane dalla magnificenza degli edifici della grande Yharnam o dalla possanza delle spesse mura di Byrgenwerth. La loro venerazione va a sconosciuti dei del mare, che allungano la loro generosa mano quando vengono ricompensati con offerte, fornendo in cambio di libagioni, protezione e benedizione. I loro sono riti pagani, che affondano radici in una tradizione di vecchi lupi di mare e pionieri di tempi dimenticati, uomini che nel mare hanno vita, sostentamento e morte.

Quando dedichi la tua vita al mare, e ne fai la tua sposa, allora ne arrivi a conoscere i segreti; e quando passi gran parte della tua esistenza a scolarne i flutti rabbiosi, allora puoi dire che, effettivamente, sia più casa della terra.

Ma nemmeno il più abile dei marinai avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe accaduto, in quella notte di tempesta rabbiosa, quale orribile catena di eventi avrebbero scatenato tutti loro, armandosi di catene, lance e fiocine, per abbattere il mostro che avevano osservato alzarsi dal mare gocciolante.

La notizia ci è giunta inaspettata, ci ha preso tutti alla sprovvista, ma cosa potevamo fare, se non partire immediatamente?

Ormai mesi e mesi fa, una tempesta terribile ha sconvolto i mari attorno al Villaggio dei Pescatori. I pesci morivano, di balene non ce n'era nemmeno traccia. Per quanto avessero pregato il loro dio e sacrificato tutti i loro averi, nessuno aveva risposto alla loro chiamata. Solo un orripilante mostro si era alzato dalle onde del mare, una figura pallida, cadaverica, enorme, che li aveva osservati da lontano, mentre le navi si avvicinavano a lei, brulicanti di uomini urlanti, pronti ad arpionare e massacrare quel mostro che aveva gettato una maledizione sulle loro case. Quegli ottusi marinai, sulle loro navi di legno e metallo, hanno attaccato un Grande Essere che si è rivelato a loro, dalle profondità del mare.

I flutti rabbiosi dell'oceano in tempesta li ha inghiottiti, straziati, tormentati, uccisi. La creatura ha continuato a combattere, rabbiosamente, per non cadere preda i quegli arpioni che trapassavano la sua carne. Ha combattuto con tutta la sua disperazione, mentre la tempesta, attorno, infuriava e si scatenava, rovesciando imbarcazioni e affogando tutti quegli uomini, una schiera, un esercito di invasati alla ricerca di redenzione per le loro case, per il loro Villaggio morente.

Poveri sciocchi, hanno strenuamente assaltato quell'essere divino, affondando ripetutamente le armi in lui, squarciando la sua pelle diafana, facendo schizzare sangue cremisi, tingendo il mare dello scuro rosso della morte, rendendolo torbido e maledetto. Quello scontro titanico si è protratto, finché il corpo del Grande Essere non è stato punteggiato di squarci, ferite e piaghe, finché, infine, stremato, non è crollato inerme su di loro, per ricevere l'ultimo attacco, il colpo di grazia.

Il mare si è aperto, inglobando, infine, il cadavere del Grande Essere, ucciso da meri uomini, da pescatori agguerriti e rabbiosi, per eliminare una maledizione inesistente – ed è questa la prova più grande della loro natura ultraterrena, ma non divina. I Grandi Esseri possono morire. Possono essere uccisi da mano mortale. Ma, al contrario di noi, non lasciano di certo che tutto finisca in questo modo.

Pochi giorni fa, il mare in tempesta ha depositato qualcosa, sulle spiagge di quel solitario, abbandonato Villaggio di Pescatori. Un cadavere, un gigantesco corpo senza vita, dal colore diafano, quasi trasparente, un bianco più pallido della morte stessa. E così, il Grande Essere è tornato sui loro lidi, ma questa volta, ha portato con sé una maledizione orribile.

Solo in quel momento, solo quando il peccato è stato consumato e la punizione è giunta, solo allora hanno capito quale errore irreparabile avessero compiuto.

Hanno ucciso un essere sovrannaturale, al di là del mondo, dell'umanità.

Ai loro occhi, deve essere stato un vero e proprio dio. Lo hanno pregato, ma il cadavere non ha risposto.

Dalle profondità marine, Madre Kos è tornata, per portare la sua maledizione su un Villaggio di Pescatori.

Per questo, mentre la tempesta lì fuori imperversa, siamo saliti su questa carrozza, diretti verso una cittadina fatiscente e distrutta, costruita sulle cose erose del mare, un agglomerato come un altro di casupole di legno o muratura.

Verso il Villaggio di Pescatori… E verso Madre Kos.

 

   
 
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