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Autore: Christine Enjolras    26/02/2017    1 recensioni
Marius Pontmercy, sedici anni, ha perso il padre e, nel giro di tre mesi, è andato a vivere con il nonno materno, ora suo tutore, che lo ha iscritto alla scuola privata di Saint-Denis, a nord di Parigi. Ora Marius, oltre a dover superare il lutto, si trova a dover cambiare tutto: casa, scuola, amici... Ma non tutti i mali vengono per nuocere: nella residenza Musain, dove suo nonno ha affittato una stanza per lui dai signori Thénardier, Marius conoscerà un eccentrico gruppo di amici che sarà per lui come una strampalata, ma affettuosa famiglia e non solo loro...
"Les amis de la Saint-Denis" è una storia divisa in cinque libri che ripercorre alcune tappe fondamentali del romanzo e del musical, ma ambientate in epoca contemporanea lungo l'arco di tutto un anno scolastico. Ritroverete tutti i personaggi principali del musical e molti dei personaggi del romanzo, in una lunga successione di eventi divisa in cinque libri, con paragrafi scritti alla G.R.R. Martin, così da poter vivere il racconto dagli occhi di dodici giovanissimi personaggi diversi. questo primo libro è per lo più introduttivo, ma già si ritrovano alcuni fatti importanti per gli altri libri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Combeferre

Combeferre aveva ancora gli occhi chiusi quando percepì il debole calore del sole sul viso e sentì voci di ragazzi provenire dal corridoio. Aprendo le palpebre, la prima cosa che vide fu il soffitto e, una volta che fu cosciente del fatto di essere sveglio, gli parve di sentire nell’aria un leggero odore di umido; il suo sguardo corse subito verso la finestra: a giudicare dalla quantità di luce che entrava attraverso le fessure delle tapparelle, il sole doveva essere piuttosto alto in cielo. Si sedette lentamente sul letto e afferrò il suo cellulare per guardarne l’orologio: segnava le dieci e mezza. ‘Ma come? È già così tardi?’ pensò subito Combeferre.

“Enjolras! Perché non mi hai svegliato?” chiese d’istinto, voltandosi verso il suo compagno di stanza: Enjolras era ancora steso a letto e Combeferre, seduto contro la testiera, vedeva solo i lunghi capelli mossi lasciati sciolto che cadevano morbidi dal letto come una cascata dorata. “Enjolras?” provò a chiamarlo nuovamente Combeferre alzandosi per andare da lui. Questa volta ottenne un leggerissimo mugugno accompagnato da un’altrettanto lieve scrollata di spalle. Quando Combeferre arrivò davanti al letto di Enjolras, vide che il suo amico stava ancora dormendo profondamente, sdraiato un po’ scompostamente, quasi si fosse addormentato non appena toccato il materasso: era steso sulla schiena, con la testa rivolta verso il muro, un braccio lasciato a peso morto sul cuscino e l’altro sul torace, il che mostrava i lenti respiri che faceva il ragazzo. Quell’immagine di Enjolras fece comparire sul volto di Combeferre un’espressione molto dolce, e il giovane dai capelli biondo rame rimase a guardare il suo amico dormire per un attimo: era raro che si svegliasse lui per primo e osservare Enjolras addormentato gli faceva sempre un effetto strano. Nel vederlo dormire così serenamente, Combeferre si ritrovava davanti agli occhi tutte le fragilità di Enjolras che lui conosceva tanto bene; si sentiva come se avesse realizzato solo in quel momento che quel leader carismatico e forte che vedevano gli altri, in realtà, era il più piccolo del gruppo, con non meno problemi di loro. Alla fine, Combeferre decise di sistemare Enjolras nel sonno, per evitargli un torcicollo; quindi, delicatamente, fece in modo di girarlo su un lato, poi tirò la coperta fino alle spalle del biondino, così che non prendesse freddo. Fatto ciò, andò in bagno a darsi una sistemata, cercando di fare il meno rumore possibile. Quando tornò nella stanza, Combeferre vide che Enjolras stava ancora dormendo nella posizione in cui lo aveva lasciato, così indossò la sua vestaglia blu scuro ed uscì dalla camera, facendo attenzione a non fare rumore chiudendo la porta.

C’erano diversi studenti che andavano e venivano nello stretto corridoio e nell’aria ancora si potevano sentire i profumi della colazione: la domenica molti ragazzi se la prendevano comoda e, non scendendo al ristorante per la colazione, la cucina del piano veniva utilizzata a tutte le ore, diffondendo nei corridoi tutti gli aromi dei cibi preparati. Combeferre non sapeva se avrebbe trovato i suoi amici una volta arrivato nella sala comune: nel weekend non erano soliti imporsi orari in cui svegliarsi, quindi ognuno si organizzava come meglio credeva. Quella mattina, tuttavia, li ritrovò ancora seduti al solito tavolo intenti a fare colazione. Sembrava una mattina ordinaria: Bahorel e Grantaire stavano mettendo alla prova il loro fegato con una montagnetta di pancakes, Joly, avvolto nel suo plaid bianco a pois beige, era impegnato a curare una leggera scottatura che Bossuet si era procurato sul braccio, mentre Jehan affogava dei biscotti con gocce di cioccolato nel suo tè.

“Buongiorno a tutti” li salutò Combeferre.

“Ah!” esclamò Bahorel alzando lo sguardo. “Ecco che uno dei caponi si fa vivo!” Mentre disse questo, recuperò una piccola caraffa d’acciaio e iniziò a rovesciare dello sciroppo d’acero sui pancake. “E il bello addormentato?”

“Sta ancora dormendo, stranamente” ammise Combeferre andando verso la cucina. Prese la sua ciotola fuori azzurra e dentro rossa, la riempì di latte freddo e recuperò una confezione di Kellogg’s Extra al cioccolato fondente. “Non mi capita quasi mai di alzarmi prima di lui, quindi ho pensato fosse meglio lasciarlo dormire” disse tornando al tavolo. Mentre si sedeva accanto a Jehan, notò che il minuto ragazzino sembrava quasi sentirsi in colpa, anche se non riusciva a immaginarne il motivo.

“Magari ha dormito male anche lui a causa del temporale” propose Grantaire sfilando un pancake dal basso della montagnetta: evidentemente non amava lo sciroppo, perché una volta che mise la frittella nel piatto la cosparse di marmellata all’albicocca.

“Quale temporale?” chiese Combeferre rovesciando i cereali nella ciotola.

“Ma come?” chiese subito Joly girandosi verso di lui. “Non hai sentito nulla?”

“No… dormivo di sasso.”

“Allora Enjolras non esagera quando dice che non ti sveglierebbe neanche una cannonata!” disse Grantaire quasi ridendo.

“Beh, non posso negarlo: ho un sonno molto pesante.” Come finì di parlare, Combeferre sentì un sonoro ‘Quack quack quack’ avvicinarsi a loro al ritmo di un passo stanco. “Buongiorno Courfeyrac!” lo riconobbe subito: il rumore prodotto dalle sue babbucce a forma di papera era inconfondibile. Courfeyrac entrò nella stanza e rispose con un borbottio indecifrabile: indossava un pigiama arancio sgargiante e i suoi capelli erano più spettinati del solito. Arrivato al tavolo, si lasciò cadere nella sedia accanto a Combeferre e fece cascare la testa e le braccia davanti a sé.

“Buongiorno non è adatto…” disse Bossuet guardandolo. “Ti vedo sconvolto, Courfeyrac.”

“Ho fatto fatica a dormire per colpa dei tuoni…” disse Courfeyrac in un mugugno senza alzare la testa dal tavolo.

“Forse dovresti mangiare qualcosa. Ti darebbe un po’ di energia” gli propose Joly, allarmato.

“Forse sì” disse alzando giusto lo sguardo. Guardando davanti a sé, trovò Bahorel e disse: “Maciste, vai a riempire la mia tazza con latte e me la porti qui assieme al Nesquik, per favore?”

Bahorel lo guardò in silenzio per un attimo, poi appoggiò la sua tazza con un baloon con la scritta ‘F#!K’ al suo interno. “Certo” gli disse infine, iniziando a sollevarsi dalla sedia. Poi si sistemò, riprese in mano la tazza e, accingendosi a sorgeggiare il caffè aggiunse “Che no!”

“Ma sei cattivo!” disse Courfeyrac sbiascicando: se non avesse mugugnato già prima, Combeferre avrebbe giurato che stesse per piangere.

“Te la prendo io, ho capito” disse pazientemente Bossuet.

“Vedi di non farla cadere, amore!” gli disse Joly guardandolo andare in cucina.

“Oh suvvia!” disse Bossuet camminando all’indietro. “È successo solo una volta!”

“Sì, giusto: una volta sola sta settimana!” lo corresse Joly. “Courfeyrac dov’è Marius?” chiese poi stringendosi nella coperta.

A quella domanda, Courfeyrac sembrò risorgere. “Si è alzato presto per andare a messa!” disse a voce alta, quasi fosse indignato. “Ma ti sembra possibile?!”

“Perché no, scusa?” gli chiese Combeferre tirando su una cucchiaiata di cereali. “Solo perché tu non ci vai non significa che sia un sacrilegio essere credenti.” Nel frattempo, Bossuet riapparve con la tazza di Courfeyrac piena di latte e Nesquik fino all’orlo e la poggiò davanti al suo proprietario. Quando tornò al suo posto, guardò Joly soddisfatto, come un cagnolino che porta il bastone al suo padroncino, e Joly, per scherzare, gli accarezzò la testa dicendogli ‘Ma bravo il mio piccolino!’. Fu allora che Bossuet approfittò della breccia aperta nella coperta di Joly per infilarsi sotto al plaid con lui e iniziare a baciarlo sulla guancia e sul collo. Guardarli scambiarsi tenerezze a Combeferre riempiva sempre il cuore di dolcezza: li aveva aiutati nella loro relazione fin dall’inizio, quando erano andati a confessare la cosa a lui e ad Enjolras con gli occhi pieni di paura per le reazioni che avrebbero potuto avere gli altri, quindi vederli felici lo inteneriva particolarmente.

“Beh tu non ci vai” disse Courfeyrac a Combeferre, riportandolo alla realtà.

“Il rapporto che ho con la mia fede non è affar tuo, ne abbiamo già parlato” disse Combeferre tornando a mangiare la sua colazione. A Combeferre non andava di toccare quell’argomento e Courfeyrac lo sapeva bene.

“Hai ragione, scusami” disse Courfeyrac. “Sono solo un po’ stanco. Ma Enjolras?”

“Sta dormendo.”

“Ma come? Che ha combinato stanotte?” chiese Courfeyrac prendendo quattro fette di pane tostato dal piatto al centro del tavolo e diversi panetti di burro dal cestino accanto. “Non è da lui dormire fino a tardi!”

“Ah non lo so” disse Combeferre aggiungendo altri cereali nella ciotola. “Io non mi sono accorto di nulla: mi sono alzato che dormiva e non mi sembrava giusto svegliarlo.”

“Effettivamente è strano” disse Grantaire guardando pensieroso verso il corridoio. “Sarà stato alzato questa notte, altrimenti sarebbe sveglio…”

“È colpa mia!” ammise Jehan agitato. Lo disse ad alta voce e Combeferre fu sicuro che quello fosse il volume più alto che gli avesse mai sentito usare. Tutti si fermarono a guardarlo confusi.

“Colpa tua?” disse Combeferre dolcemente, mettendogli una mano sulla spalla. “Che vuoi dire?”

Jehan sembrava decisamente messo a disagio dagli sguardi degli altri, ma quando guardò Combeferre sorridergli parve trovare il coraggio per continuare. “B-beh…” iniziò incerto, “nel senso che era con me…”

Nel sentirlo, Grantaire sputò il latte nella sua tazza fuori bianca e dentro verde con scritto ‘I drink – you’re cute’: probabilmente si era ingozzato, perché iniziò a tossire come se si stesse strozzando. Alla fine, visto che la situazione non sembrava migliorare, Bahorel gli diede una forte botta sulla schiena e riuscì a liberargli la gola. Dopo che ebbe ripreso fiato, Grantaire disse, con la voce ancora un po’ strozzata: “Che hai detto, scusa?!”

“Che era con me…” riprese debolmente Jehan. Combeferre lo vide nascondersi nella larga felpa che indossava sopra al pigiama, quasi fosse una tartaruga che si ritira nel guscio. Riusciva a vedere lontano un miglio che Jehan era a disagio a parlarne, quindi pensò di prenderlo in disparte.

“Vieni con me un attimo” gli disse Combeferre alzandosi dal tavolo. Mentre Jehan si alzava, Combeferre guardò gli altri cercando di fargli capire che ci avrebbe pensato lui, ma forse solo Courfeyrac e Joly avevano decifraito il suo cenno; poi lui e Jehan andarono a sedersi sul divano.      “Te la senti di raccontarmi come sono andate le cose?”

Jehan fece segno di sì con la testa, ma gli servì un attimo per cominciare. Alla fine si decise a confidarsi con Combeferre: “Ieri notte è saltata la corrente e io… io mi sono svegliato nel cuore della notte che la luce non si accendeva…” Jehan fissò di nuovo Combeferre negli occhi imbarazzato e abbassò subito lo sguardo. Ma il ragazzo dai capelli biondo rame gli accarezzò delicatamente la schiena e lo esortò a continuare, quindi lui proseguì. “E-ero spaventato e così… così ho chiamato Enjolras e lui è venuto subito da me. M-mi ha promesso che sarebbe rimasto lì finchè non mi fossi addormentato... e così ha fatto… E-era davvero tardi quando ho chiuso gli occhi…”

Combeferre era confuso: perchè tanti problemi per dormire? Non capiva. Rimase per un attimo a riflettere in silenzio, poi pensò di aver capito e riprese: “Jehan…” Il minuto ragazzino si girò di scatto verso di lui, tirando nervosamente il cordino del cappuccio. “Enjolras mi ha detto che di notte viene a spegnerti la luce...” Nel guardare gli azzurri occhi spalancati di Jehan, Combeferre iniziò ad essere certo di aver centrato il punto. “Non è che per caso hai paura del buio?”

Jehan tornò con lo sguardo basso e, dall’espressione che aveva in viso, sembrava quasi che avrebbe voluto scomparire del tutto. Non riusciva nemmeno a parlare: si limitò a far segno di sì muovendo leggermente la testa. “E…” iniziò titubante, “Era una cosa che avevo detto solo ad Enjolras… mi aveva promesso di non dirlo a nessuno…”

“Non te ne devi vergognare, sai?” gli disse subito Combeferre. “È normale aver paura: tutti siamo spaventati da qualcosa.”

“È che…” riprese Jehan. “È che di solito sono i bambini che hanno paura del buio…”

“Sai: esiste l’auclofobia, ovvero la fobia del buio. Le fobie sono paure irrazionali contro le quali noi non possiamo fare nulla, perciò non devi vergognarti se hai una paura che sembra da bambini. Tantissime persone sono terrorizzate dal buio o dai tuoni, dai clown, dai cani… ci sono cose che sono fuori dalla nostra comprensione e che, forse, non ci passeranno mai.”

“Grazie, Combeferre” disse Jehan sorridendo. Poi il suo sguardo si rabbuiò di nuovo e sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, quindi Combeferre attese in silenzio pazientemente, senza mettere a Jehan alcuna fretta. “Non lo dirai agli altri… vero?” disse infine il ragazzino dai capelli rossi con un filo di voce.

“Se non vuoi che io gliene parli, non lo farò, te lo prometto.” A Jehan quella promessa sembrò bastare: del resto, per Combeferre fare una promessa voleva dire la sua parola d’onore, lo sapevano tutti. Jehan lo ringraziò e tornarono al tavolo dagli altri.

Combeferre era consapevole che tutti sapevano di poter contare su di lui. Era una specie di confessore per tutti all’intero del gruppo: se qualcuno voleva liberarsi di un peso sulla coscienza o cercare di risolvere un problema all’apparenza senza soluzione, doveva recarsi da lui. Sapeva ascoltare pazientemente ogni storia, essere comprensivo e dolce, ma anche discretamente severo qualora fosse necessario, e dava sempre il consiglio migliore. Sapeva sempre come comportarsi davanti alle più svariate situazioni senza perdere mai la calma e la lucidità mentale. La maggior parte delle volte lui e Enjolras lavoravano in coppia e i ragazzi sapevano di poter contare sul loro appoggio e la loro discrezione: anche se Enjolras sapeva essere molto severo in certe situazioni, Combeferre riusciva sempre ad ammorbidire le sue soluzioni spesso troppo rigide. Tuttavia, c’erano occasioni in cui Combeferre preferiva occuparsi del resto del gruppo da solo: sapeva che Enjolras aveva molte cose di cui occuparsi e altri pensieri per la testa, quindi cercava di non dargli altre preoccupazioni, lasciandolo all’oscuro dei fatti che gli venivano raccontati. Ogni tanto, gli altri ragazzi tiravano dentro anche Courfeyrac come confessore e Combeferre divideva volentieri il peso di quel compito con lui qualora non potesse contare sulla presenza di Enjolras: Courfeyrac poteva sembrare distratto e un po’ bambino, ma tutti sapevano che, in fondo, anche lui era in grado di ascoltare e consigliare seriamente quando ce n’era bisogno, Combeferre se ne era reso conto. Era anche per questa loro qualità che i tre ragazzi venivano considerati da tutto il gruppo come delle figure di riferimento; dei capi, come li aveva definiti Bahorel una sera. Combeferre ricordava che all’inizio la cosa li aveva messi  parecchio a disagio, ma alla fine Grantaire e Bahorel erano riusciti a convincerli ad assumersi quel ruolo. Combeferre, dal canto suo, aveva preferito definirsi una guida, mentre Courfeyrac adorava pensare di essere il centro del gruppo, e non aveva poi tutti i torti: in fin dei conti, era lui che in qualche modo li aveva uniti tutti in un solo gruppo. Fu così che Combeferre e Courfeyrac cedettero volentieri ad Enjolras il ruolo del capo vero e proprio: nelle vene di quel biondo ragazzino scorreva il senso di giustizia e il suo cuore batteva al ritmo dei tamburi di rivolta; aveva la giusta severità e il dovuto polso per essere giudicato un leader a tutti gli effetti. Enjolras, ancora quattordicenne al tempo, non era convinto di assumersi un dovere del genere; tuttavia, in un modo o in un altro, continuare a prendersi cura del gruppo lo aveva reso un capo a tutti gli effetti.

L’essere eletti vertici massimi del gruppo, aveva provocato che l’entusiasmo di Courfeyrac crescesse esponenzialmente, fino a far sì che il ragazzo dalle orecchie a sventola iniziasse a definirli ‘Il magico trio’ o ‘Il triumvirato’, appellattivo che i tre ragazzi conservavano ancora dopo due anni.

Quando Jehan e Combeferre tornarono al tavolo, Courfeyrac stava divorando l’ultima fetta di pane. “Ehi! Tutto risholto?” chiese con la bocca ancora piena.

“Sì, è tutto a posto” disse Combeferre tranquillamente, tornando a sedersi. Nonostante non fosse stata una conversazione particolarmente lunga, i suoi cereali stavano già diventando una sorta di poltiglia. Combeferre allungò lo sguardo dall’altra parte del tavolo, dove era seduto Grantaire, e lo vide girare distrattamente il cucchiaio nella tazza. Poi spostò lo sguardo su Bahorel e lo vide parlargli sottovoce, senza sentire nemmeno una parola di ciò che gli stava dicendo. Era dall’inizio della settimana che Grantaire alternava momenti di allegria ad altri in cui sembrava stare poco bene: ma non era Joly il malato? “Qualcosa non va, Grantaire?” gli chiese immediatamente: non riusciva a fingersi tranquillo.

“Non è niente di che, tranquillo” rispose Grantaire alzando la testa. “È solo che ultimamente fatico a dormire bene, tutto qui.” Gli stava raccontando una bugia, Combeferre ne era convinto. Con Grantaire lui non era mai riuscito ad avere un legame particolarmente profondo, ma, del resto, Grantaire era più il tipo di ragazzo che se ne sta sulle sue: solo Bahorel e Enjolras sembravano avere un rapporto stretto con lui all’interno del loro gruppo. Combeferre pensò che non fosse il caso di insitere, quindi decise di non chiedergli più nulla a riguardo.

“Allora” disse Courfeyrac alzandosi in piedi, accompagnato da un sonoro ‘quack’. “Che cosa facciamo pomeriggio?”

“Pomeriggio?” chise Bahorel appoggiando il braccio sullo schienale della sedia. “Non possiamo rilassarci, per una volta?”

“Ma dai! Non fate i vecchi!” disse Courfeyrac camminando in giro. Combeferre non riusciva a prenderlo sul serio ascoltando il suono delle sue babucce... “Finchè non siamo sommersi di compiti approfittiamone per fare qualcosa assieme, no?”

Bossuet, che nel frattempo aveva preso in braccio Joly, tirò fuori la testa da sotto la coperta e, appoggiandosi al petto del suo ragazzo disse: “Veramente io e Joly avevamo altri programmi…”

“Oh, andiamo!” disse Courfeyrac facendo un balzo: il ‘quack’ che si sentì al suo atterraggio rese la scena troppo ridicola perché Combeferre riuscisse a trattenere un leggero risolino. “Potete rimandarlo a tutte le notti che vi pare! State un po’ con noi, no?!”

“Aspetta! Ma che hai capito?!” chiese subito Joly, evidentemente molto in imbarazzo. “N-non intendeva… No!”

“Pensavamo di fare una passeggiata, ecco… da soli…” disse Bossuet, stingendo a sè Joly, forse per tranquillizzarlo. “Ma niente di quello che pensi tu.”

“Ma siete stati da soli tutta la settimana perché lui non stava tanto bene! Adesso che sta meglio, facciamo qualcosa assieme, no?”

“Pensiamoci una volta che ci siamo tutti, ok?” propose Combeferre per mettere fine all’insistenza di Courfeyrac.

 

Terminata la colazione, Combeferre pensò di andare in camera a vestirsi. Iniziò a chiedersi se Enjolras fosse sveglio oppure dormisse ancora, quindi cercò di aprire la porta quanto più silenziosamente poteva. “Buongiorno…” disse Enjolras farfugliando. Era ancora sdraiato a letto.

“Ehi! Buongiorno!” lo salutò Combeferre pieno di sorpresa. Quando arrivò accanto al letto di Enjolras, vide il suo amico steso a pancia in giù, con la testa rivolta verso il centro della stanza, un braccio penzolante e l’altro sotto il cuscino, le gambe piegate in qualche modo sotto le coperte. “Credo che sia la posizione più scomposta che ti abbia mai visto assumere” disse Combeferre sorridendo mentre lo osservava dall’alto.

Enjolras alzò lo sguardo senza muoversi di un solo centimetro e sospirò, dicendo: “Non ce la posso fare stamattina…” La sua voce era un unico mugugno.

“Noto!” constatò Combeferre già sul punto di ridere. Combeferre pensò che fosse ora di alzare le tapparelle e, nel farlo, vide Enjolras chiudere di scatto gli occhi infastidito dal sole, emettendo un leggerissimo gemito, quasi inudibile. Poi Combeferre si sedette accanto a lui e rimase a guardarlo per un attimo: sembrava stesse per riaddormentarsi. “Nottataccia?”

“Decisamente” disse Enjolras senza aprire gli occhi. “Fortunatamente è domenica!” A Combeferre venne da mettergli una mano sulla schiena. Nel sentirlo, Enjolras aprì gli occhi di scatto e lo guardò.

“Vuoi qualcosa da mangiare?” chiese Combeferre. “Vado a prepararti qualcosa e te lo porto qui, se vuoi.”

“Grazie per il pensiero, ma non ho fame, davvero.” Combeferre continuò a guardare Enjolras pensieroso e il biondino alzò lo sguardo, sorridendo. “Sto bene, non preoccuparti per me.”

“So che eri da Jehan” confessò alla fine Combeferre. Nel sentirlo, l’esile ragazzo spalancò le palpebre e si girò sulla schiena per guardare dritto negli occhi Combeferre. “Da quanto lo sai?” chiese il ragazzo dagli occhi verdi quando Enjolras si fu sistemato per bene nel letto, con le gambe piegate e le mani sul ventre.

“Che si addormenta con la luce accesa lo so da un anno e mezzo: l’ho scoperto una notte mentre andavo in cucina a prendere un bicchiere di latte” iniziò a spiegare Enjolras, guardando fuori dalla finestra. “Che ha paura del buio dallo scorso inverno, quando siamo andati in settimana bianca con la classe: ero in camera con lui. Non riuscivo a dormire e l’ho sentito quasi… piagnucolare, così mi sono accorto che era terrorizzato. Mi sono alzato e sono andato da lui per sapere che cosa avesse.”

“E lui ti ha confessato tutto.”

“Esatto. Gli ho promesso che a voi non avrei detto nulla e così ho fatto.”

“Quindi ogni volta che c’è stato un temporale sei andato da lui…”

“Sì. Avrei voluto parlartene, ma non potevo… e poi non avrei comunque volutoo darti anche questa preoccupazione.” A Combeferre scappò una breve risata nel sentire quelle parole. Enjolras abbassò lo sguardo e lo fissò con occhi pieni di confusione. “Perché ridi?”

Combeferre guardò davanti a sé e disse: “Rido perché trovo davvero buffo che hai cercato di fare la stessa cosa che io tento di fare con te: non darti preoccupazioni.” Poi si girò verso Enjolras e gli sorrise. “Sei impossibile: non riesco a farti stare buono!”

Enjolras rispose al sorriso e chiese subito: “Tu davvero ancora ci provi? Non riesco a capire se sei più tenace o pazzo a tentare di farmi star tranquillo.”

“Probabilmente sono pazzo. Solo che mi spiace sapere che ti diamo altri pensieri.”

“A me fa bene essere impegnato, lo sai: non mi dà il tempo di riflettere” disse il ragazzo dagli occhi azzurri tirandosi su e mettendo le braccia sulle ginocchia. “Ma ammetto che oggi mi servirebbe una pausa…”

“Temo che non potrai riposarti…” disse Combeferre, allarmando leggermente Enjolras.

“P-perché?”

   
 
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