Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Shadow writer    27/02/2017    2 recensioni
Dopo l'ultimo caso, che ha messo in discussione la sua carriera e la sua vita, il detective Harrison Graham credeva di aver finalmente trovato la pace insieme alla figlia, Emilia, e alla donna che ama, Tess. Ma un nuovo ed imprevisto caso lo trascina in un'indagine apparentemente inverosimile, in cui nulla è ciò che appare e nessuno appare per ciò che è. La ricerca lo costringe a collaborare con il suo acerrimo nemico, Gibson, ma soprattutto porta alla luce il fantasma del passato di una persona a lui molto, molto vicina, e a realizzare che forse, il detective non l'ha mai conosciuta veramente...
[AVVISO: "Smoke and Mirrors" è il seguito di "Blink of an eye", che potete trovare sul mio profilo]
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

 
11_ Verità



 
 
Harrison irruppe nell'ufficio del tenente Carter senza troppe cerimonie. La donna balzò in piedi, al di là della scrivania, prima di realizzare cosa fosse successo.
«Tenente» esordì «Ci sono due federali nel mio ufficio».
Lei sbuffò: «Temo che la disinfestazione non ci aiuterà in questa caso, Graham».
L'uomo strinse gli occhi, in uno sguardo affilato, così lei sospirò, lasciandosi cadere nuovamente sulla sua poltrona.
«Ti avevo detto di chiudere il caso prima che diventasse una questione federale».
«Che cosa me ne faccio di quei due ora?» replicò Harrison incrociando le braccia al petto con aria scocciata.
«Il tuo lavoro, Graham» rispose il tenente «E non comportarti come un bambino geloso dei propri giocattoli».
Non potendo ribattere a quegli ordini, l'uomo uscì dalla stanza e tornò nel suo ufficio, dove lo aspettavano gli agenti.
«Spero non ci saranno problemi nel far passare il caso sotto la nostra giurisdizione, detective» gli disse Donovan, non appena mise piede nella stanza.
Harrison prese un respiro profondo, ripensando alle parole di Carter.
«Ovviamente no» rispose, poi aggiunse, facendo implicitamente loro il verso: «Spero non ci saranno problemi nel mantenimento del mio ruolo e di quello dei miei colleghi all'interno dell'indagine».
L'agente parve colto in contropiede, ma si affrettò a replicare: «Come ho già detto, ora si tratta del nostro caso».
«Giusto» acconsentì Harrison «ma tramite le nostre informazioni. I miei colleghi ed io stiamo lavorando da settimane, abbiamo raccolto dati e seguito piste che voi non potete recuperare in poche ore. Voglio essere sincero con voi: avete bisogno di ciò che noi già sappiamo, quindi la nostra collaborazione è inevitabile. E non sto parlando di una collaborazione tra superiore e subordinati, ma tra pari».
I due agenti si scambiarono un'occhiata, poi Donovan fece un cenno di assenso: «Mi sembra una richiesta ragionevole».
Harrison rivolse loro un sorrisetto sghembo, poi si mise al lavoro per aggiornarli su ciò che non sapevano.
A loro si unirono Gibson e Sadie. Dalle loro facce si poteva intuire che avevano avuto entrambi una chiacchierata con Carter e avevano ricevuto la stessa risposta di Harrison.
«In questo fascicolo si parla della scomparsa di un uomo e di una donna» commentò Carson. «In che modo sono legati al nostro caso?» 
Harrison strinse i denti, ma Gibson intervenì anticipatamente: «I due si trovavano sulla scena del crimine dell'omicidio di Jason Shepard, prima che arrivasse la polizia. Il giorno seguente sono scomparsi e da allora sono cessati omicidi e furti. Crediamo sia fondamentale ritrovarli, perché potrebbero aiutarci».
«Aiutarci?» ripeté Carson perplesso. «E non credere possano essere loro i criminali che cerchiamo?»
«No» rispose Harrison in tono secco, «sappiamo che è impossibile».
L'agente Donovan si inserì nella conversazione: «Il detective Graham ed io seguiamo questa pista, mentre gli altri ricontrollano omicidi e furti. Solo procedendo in contemporanea e divisi possiamo ottimizzare i tempi».
Annuirono tutti, in cenno di assenso. Sapevano di non avere altra scelta.
Intervenì Sadie, consegnando ad Harrison e Donovan uno dei fogli che aveva con sé da quando era arrivata.
«Questa mattina sono arrivate tre segnalazioni di avvistamenti e alcuni agenti hanno effettuato i controlli» spiegò. «Due erano falsi allarme, ma il terzo richiede un maggiore approfondimento».
Harrison prese il foglio che gli veniva teso, mentre la donna proseguiva: «Si tratta di un video di sorveglianza di un negozio».
Il detective incrociò lo sguardo di Sadie e intuì ciò che non gli stava dicendo. Doveva essere lui a supervisionare quel video perché era l'unico in grado di riconoscere Tess e Calvin.
Fece un cenno in direzione di Donovan: «Andiamo».
Uscirono nel parcheggio e Harrison si diresse con decisione verso la sua Oldsmobile.
«Il lavoro ci impone l'utilizzo di un'auto di servizio» lo frenò Donovan, fermo accanto ad un'ordinaria vettura scura.
«Sono certo che potrà fare uno strappo alla regola, agente» replicò Harrison, ma lo l'altro gli rivolse uno sguardo penetrante, mentre si faceva più vicino.
«Sai perché ho scelto di lavorare con te, detective Graham?» gli chiese.
Harrison scrollò le spalle.
«Perché conosco quelli come te. Boriosi, arroganti, credono di non aver bisogno di nessuno e di non dover condividere nulla. Quelli come te, Graham, credono di essere un passo avanti agli altri e non sono disposti a rallentare, per nessuno».
«Stai dicendo che hai scelto di lavorare per me, per potermi tenere al guinzaglio?»
Donovan accennò un sorriso: «Puoi anche dirlo in quel modo».
Harrison lanciò uno sguardo alla propria auto, poi a quella dell'agente. Non aveva alcuna intenzione di darla vinta a Donovan, ma sapeva di essere in svantaggio. L'ultima cosa che voleva, in quel momento, era che lui scoprisse più del necessario riguardo Tess.    Doveva essere cauto.
Dieci minuti più tardi, Harrison si trovava sul sedile del passeggero, mentre Donovan stava dietro al volante.
«Le informazioni su Calvin Ward sono dettagliate e coerenti» disse ad un tratto l'agente, «ma quelle su Tess Graves sembrano frammentarie».

Harrison strinse involontariamente i pugni e replicò: «Le informazioni presenti sono quelle strettamente necessarie».
«Ho letto che la donna è scomparsa di notte. Viveva con qualcuno?»
Il detective maledì la memoria di Donovan. Aveva a malapena avuto il tempo di sfogliare i dossier e aveva già memorizzato tutto.
«Il suo compagno» rispose.
«Lo avete interrogato?»
«Sì».
Donovan gli lanciò un'occhiata perplessa: «Il fascicolo non riporta nulla».
«Perché lui non aveva nulla da dire» ribatté Harrison stringendo i denti.
L'altro si lasciò sfuggire una secca risata di scherno: «Come è possibile che non si sia accorto di nulla?»
«Forse perché dormiva» replicò il detective seccato, «come ogni persona di notte».
«Che tipo è la signorina Graves?» proseguì Donovan, ignorando il tono del passeggero.
«Ventisei anni, insegnante delle scuole medie».
«Sembra una persona innocente».
«È una persona innocente» lo corresse Harrison.
Donovan lo guardò per qualche istante attraverso lo specchietto, senza parlare e il detective si maledì mentalmente.
«Siamo quasi arrivati» avvisò, prima che l'agente potesse dire alcunché.
Si fermarono in un piccolo parcheggio davanti alla vetrina di un negozio di ferramenta.
Entrarono e si presentarono al proprietario, un uomo ben piantato dal cranio rasato e una barba corta.
«Vi mostro le registrazioni» disse loro, conducendoli in una piccola stanza dietro al bancone.
Su una scrivania erano posati due schermi, su cui erano trasferite le immagini delle telecamere. Mentre il proprietario prendeva posto davanti ai monitor, Donovan estrasse dal suo fascicolo una fotografia di Tess. La tenne davanti a sé, per poterla confrontare con le immagini del filmato. Dall'esterno venne il rumore di voci e passi, così il proprietario del negozio si alzò in piedi e, scusandosi, uscì per servire i clienti. 
Donovan occupò il suo posto alla scrivania e prese possesso del mouse. 
«Seguendo lo schema degli avvistamenti precedenti» esordì l'agente, «in questo filmato non dovrebbero essere loro. Inizialmente si sono allontanati, poi si sono riavvicinati di qualche miglia e ora sembrano aver cambiato completamente itinerario. Non ha senso».
«Crediamo si stiano nascondendo» replicò Harrison con un cenno d'assenso.
Appena il filmato fu pronto, Donovan lo avviò. Le due telecamere inquadravano l'interno del negozio da due angolazioni diverse. I colori erano sbiaditi, ma la qualità discreta. Dalla porta entrarono due persone, un uomo, con un cappellino da baseball in testa, e una donna, con una berretta di lana.
«Eccoli» disse Donovan indicandoli.
Harrison contrasse nervosamente la mascella e sentì il suo cuore accelerare velocemente. Studiò la figura femminile, cercando in lei ogni traccia di Tess.
Il suo cuore voleva che si trattasse di lei, ma il suo cervello non voleva che quella, camuffata e lontana da lui, fosse la sua Tessie. Nelle riprese, l'uomo uscì dalla prima inquadratura ed entrò nella seconda, vagando tra gli scaffali.
La donna, rimasta sola, cominciò a guardarsi intorno, da sotto la berretta. Poi parve notare la telecamera nell'angolo del soffitto. Si avvicinò, continuano a fissare la telecamera.
Donovan picchiettò sullo schermo.
«È lei?» chiese.
Harrison si concentrò sull'immagine. La donna era così vicina alla telecamera che il suo sguardo pareva trapassare lo schermo e trafiggere il detective. L'uomo si sentiva paralizzato da quello sguardo, perché quella era Tess e i suoi occhi gli stavano parlando.
Donovan bloccò il nastro e si voltò verso di lui, scuotendolo dalla sua aria inebetita.
«È lei» ripeté l'agente, e questa volta non era una domanda. Non c'erano più dubbi che quella fosse Tess, ma la sua espressione non era facile da interpretare. 
Donovan indicò il volto della donna sullo schermo. «Ho sentito dire che ti piace decifrare le persone» disse al detective, «Cosa ne pensi di lei?»
Harrison scrutò il viso della donna, studiandone ogni piega.
«Sta guardando la telecamera come se fosse una persona a cui fare una confessione»
«Quale confessione?» lo incalzò Donovan.
Harrison socchiuse gli occhi, concentrato. Sentiva un battito ritmico martellargli le tempie.
«È preoccupata, cerca aiuto».
«A chi rivolge la sua richiesta?»
Il detective fissò l'immagine, senza sbattere le ciglia. Il suo cervello lavorava, elaborando informazioni e convertendole in nuovi dati.
Si presentavano domande, cercava risposte in ciò che sapeva e scansava ciò che ignorava. Perché Tess era stata lì? Perché aveva guardato la telecamera? Improvvisamente ebbe un'illuminazione.
Il primo indizio che avevano avuto sulla fuga di Tess e Calvin, era stato un prelievo. Facile. Troppo facile, se da parte di due persone così attente e scrupolose. La casa di Ward era impenetrabile e perfino il maggiordomo sapeva come comportarsi con la polizia, quasi avesse ricevuto precise istruzioni. Non era concepibile che tali persone avessero commesso un errore tanto ridicolo come prelevare da una carta rintracciabile. 
Lo sapevano, ma lo avevano fatto lo stesso.
Perché era ciò che volevano. Essere trovati.
E in quel fotogramma, Tess sembrava supplicare: «Vieni da me. Trovami». 
 
 
 
 
 
 
 
La polvere sollevata all'interno del capannone volteggiava nei coni di luce dorata. Tutto il resto era immobile, come congelato. Gli scaffali semi svuotati, le macchine arrugginite, le sedie ribaltate.
Anche Tess era immobile, come tutto il resto, e fissava i corpuscoli di polvere illuminati dai raggi del sole. Li vedeva vagare nell'aria e li sentiva posarsi sui suoi vestiti.
L'unico rumore all'interno del capannone era quello dei passi di Calvin, avanti e indietro, di fronte a lei.
«Che tu sia fermo o in movimento, la situazione non cambierà» gli disse la donna, spostando lo sguardo dalla polvere a lui.
Calvin non si fermò: «Però mi fa sentire meglio, piuttosto che rimanere inerte».
Tess si alzò in piedi e lanciò un'occhiata all'ingresso dell'edificio. L'intero quartiere in cui si trovavano pareva disabitato, quindi si sarebbero accorti ad ogni minimo movimento. Ma in quel momento, l'unico a non stare fermo, era Calvin.
«Ci riuscirà» le disse l'uomo.
Lei si voltò a guardarlo, sollevando le sopracciglia con aria interrogativa.
Calvin si avvicinò: «Intendo il tuo detective. Riuscirà a trovarci».
Tess annuì, stringendo le braccia intorno al suo corpo.
Sapeva perfettamente quanto delicata fosse la loro situazione. Se i criminali si presentavano prima della polizia, potevano trattenerli il tempo necessario perché gli agenti li arrestassero, ma il piano saltava se la polizia si presentava in anticipo o se non si presentava affatto. Nel primo caso, la loro fuga sarebbe stata inutile, perché i criminali non avrebbero rischiato di avvicinarsi, nel secondo caso, loro due sarebbero morti.
«Pensavo che non ti avrei più rivista» le disse Calvin, distogliendola dai suoi pensieri. La donna alzò lo sguardo e scoprì che si era avvicinato ancora e la stava guardando negli occhi.
«Anche io» replicò «E credevo anche di aver eliminato dalla memoria quella parte della mia vita».
L'uomo si passò una mano tra i capelli biondi, scompigliandoli.
«Sai cosa ricordo di quel periodo? Ricordo le notti trascorse a vagare nel buio, i tramonti che abbiamo guardato da ogni angolo, i posti in cui ci rifugiavamo per scappare dagli altri».
«E da noi stessi» aggiunse Tess mordendosi le labbra. Alzò gli occhi e incrociò quelli acquamarina di Calvin.
«Stiamo facendo la cosa giusta» gli disse «È arrivato il momento di guardare in faccia il passato».
 
 
 
Dieci anni prima
 
La strada era buia. Una via piccola, stretta dai muri delle abitazioni che la delimitavano, come un vecchio borgo medievale europeo. La luce era sufficiente per distinguere le forme delle cose, ma non per stabilirne i colori. Proveniva dagli unici due lampioni della strada, posti uno all'inizio e una alla fine.
Più si avanzava, più la via si faceva scura, le tenebre dense e il silenzio della notte assordante.
Ogni piccolo rumore era un tuono che poteva significare il battito d'ali di un gufo, come dei ladri che cercavano di introdursi in un'abitazione, approfittando della notte.
Sulla sinistra della strada, stava un alto cancello di ferro, chiuso da un catenaccio massiccio. Al di là di questo si distingueva un cortile cupo, dei ciottoli su cui si allungavano forme ritorte e lugubri.
«Voglio entrare qui» sussurrò una voce levandosi tra gli altri suoni della notte.
Apparteneva ad una scura sagoma alta e sottile. La stessa figura che aveva parlato fece una risatina, mentre si avvicinava all'alto cancello.
Una seconda figura, più bassa della prima, camminava qualche poco più indietro, con passo esitante.
Teneva le braccia incrociate al petto, per difendersi dalla notte, e le conferivano un'aria di disappunto.
«Scordatelo» disse infatti quest'ultima «Questo posto mette i brividi».
La prima sagoma tornò indietro, per avvicinarsi all'altra.
«Ne vale la pena» cercò di convincerla «Mi hanno detto che contiene un sacco di tesori!»
Nonostante il suo tono euforico, l'altra non cambiò idea e rimase distante dal cancello.
«Guardiamo solo» le disse «Promesso».
Prima che l'altra potesse replicare, la figura più alta si arrampicò velocemente sul cancello e atterrò all'interno del cortile.
«Vieni fuori!» sbottò sottovoce l'altra «O giuro che ti ammazzo!»
«Hai paura?» la schernì la voce all'interno del cortile.
L'altra imprecò sottovoce, poi si decise a seguire il compagno e si arrampicò sul cancello.
Quando scese, si trovò in uno spazio delimitato da edifici su tre lati, ma solo su uno di questi si apriva una porta.
La figura più alta era accanto a questa e cercava di aprirla, invano.
«Oh, eccoti!» disse vedendo che anche l'altra era all'interno del cortile «Ho bisogno che tu apra la porta».
«Per favore».
«Per favore» ripeté sbuffando.
La figura più bassa si avvicinò alla porta, si accucciò, ma esitò, prima di mettersi al lavoro.
«Sei sicuro che non ci sia nessuno?»
«È un negozio» fu la replica «A quest'ora hanno chiuso da un pezzo».
Si udì un rumore metallico, poi uno scatto meccanico. Quella che aveva scassinato la porta si alzò in piedi e arretrò, lasciando al compagno l'onore di precederla.
Il più alto ridacchiò sottovoce, poi estrasse una torcia e illuminò l'interno dell'edificio. Davanti a loro si apriva un corridoio lungo e stretto, su cui si affacciavano molte porte.
Quello che teneva la torcia avanzò e l'altra, seppur esitante, decise di seguirlo, piuttosto che rimanere sola all'esterno.
«Questo posto sembra il set di un film horror» commentò poi, lanciando un'occhiata scettica alle porte di legno scuro e ai muri scrostati.
«Assapora l'adrenalina» replicò l'altro, in tono divertito ed eccitato.
Raggiunsero il fondo del corridoio ed entrarono in una stanza ampia, che sotto la luce della torcia si riempì di ombre scure e lugubri.
«C'è un'interruttore» disse il più alto, indicandolo con la luce della torcia. Si avvicinò e, quando lo fece scattare, la sua compagna sussultò.
Delle lampade tremolanti si accesero, rivelando nel loro fascio flebile gli oggetti che affollavano la stanza. Ovunque si trovavano antichi mobili, pieni di polvere, e su questi o sul pavimento, stavano gli oggetti più vari, da orologi a pendolo, set di ceramiche, a vasi e cornici.
«Guarda» disse la figura più bassa, ancora tremante, indicando il pavimento «Qualcuno lo ha lavato di recente».
Sulle mattonelle si vedeva infatti l'acqua che andava progressivamente asciugandosi.
«Cerchiamo di non lasciare impronte» fu la replica, mentre lui avanzava tra le cianfrusaglie. Aprì l'anta di un orologio a cucù e vi guardò all'interno.
«Ehi, guarda questo» chiamò euforico la compagna.
«Non è divertente» sottolineò lei, ferma vicino alla porta.
L'altro alzò gli occhi al cielo e continuò a girovagare tra gli oggetti. Apriva le ante due mobili, con le sue mani guantate, ammirava il suo riflesso distorto in specchi antichi, e scrutava dipinti secolari.
«Aspetta» lo bloccò la compagna, bisbigliando sottovoce «Ho sentito dei passi».
Lui rise, come se si trattasse di una battuta.
«Non è uno scherzo!» sibilò l'altra nervosamente.
Lui si fermò e tese l'orecchio, in ascolto.
Improvvisamente, la porta da cui erano entrati, si spalancò e ne emerse una figura scura che si lanciò sulla ragazza che era rimasta indietro.
Quella cercò di scrollarsi la persona di dosso, dimenandosi violentemente.
Quando ci riuscì, la spinse per allontanarla da sé. Solo in quel momento riuscì a vedere il suo volto. Si trattava di un ragazzino pallido e gracile.
A causa della spinta e del pavimento bagnato, quello si ribaltò indietro e picchiò la testa contro il termosifone alle sue spalle, poi stramazzò a terra. E non si mosse.
La ragazza era immobile, tremante, senza aver ancora compreso quello che era successo.
«Dobbiamo andarcene» le disse il compagno, raggiungendola velocemente. Prima che potessero uscire dalla stanza, qualcun altro varcò la soglia e si piazzò davanti a loro.
Si trattava di un uomo di media altezza, dalla pelle raggrinzita, con i radi capelli sul capo aggrovigliati in un gomitolo.
Guardò loro, poi il ragazzino steso a terra.
«Cosa gli avete fatto?» ringhiò con voce simile a quella di una bestia.
Il ragazzo intruso afferrò il polso della compagna per trascinarla all'esterno, ma l'uomo stava esattamente davanti alla porta. Improvvisamente questo estrasse dai suoi abiti un oggetto lucido e lo puntò verso i due.
I ragazzi trattennero il fiato ancora prima di realizzare che si trattava di una pistola.
«Cosa avete a mio figlio?» ripeté l'uomo, senza smettere di minacciarli.
«Signore, noi...» cominciò il ragazzo, ma il rumore di uno sparo lo interruppe. Lui si accucciò di scatto e un altro proiettile passò dove prima c'era la sua testa.
I due si lanciarono dietro ad un armadio. 
«Dobbiamo uscire di qui» mormorò la ragazza, tremando.
«Lo so, Tess, ma nel caso non te ne fossi accorta, quel tipo ha una pistola!»
Un altro sparo lo fece sussultare, così il ragazzo agì d'impulso. Afferrò un bastone che stava appoggiato accanto a loro e si risistemò bene dietro all'armadio, facendo cenno alla compagna, Tess, di non fiatare.
Lei annuì e trattenne il respiro.
Sentirono il rumore leggero dei passi dell'uomo che si avvicinavano all'armadio dietro cui si nascondevano.
Il ragazzo fece segno alla compagna di spostarsi dietro ad un altro mobile, per allontanarsi. Lei obbedì silenziosamente.
Lui rimase da solo dietro all'armadio, mentre i passi si facevano sempre più vicini.
Quando vide l'ombra dell'uomo allungarsi al suo fianco, lanciò una tazza in quella direzione e al movimento seguì uno sparo istintivo.
Il ragazzo approfittò della breve distrazione per balzare avanti e colpire l'uomo con il bastone.
L'altro lasciò cadere la pistola per la sorpresa, ma il suo avversario non gli diede il tempo di riprendersi, perché lo colpì ancora una volta con il bastone, poi ancora, e ancora, e ancora, e ancora.
«Basta! Cal!» la voce di Tess lo riscosse e solo in quel momento realizzò ciò che aveva fatto.
L'uomo si era ormai accasciato a terra, con il volto tumefatto e pieno di sangue.
Calvin guardò la compagna, che aveva le guance rigate dalle lacrime e non riusciva a smettere di tremare.
«Cosa abbiamo fatto?» domandò lei con la voce rotta dal pianto.
Il ragazzo cercò di ragionare lucidamente, invano. Come in trance, si abbassò verso l'uomo, per vedere che il suo petto non si muoveva. Allora si rialzò e si diresse verso il ragazzino. Sul pavimento bagnato, intorno alla sua testa, si era aperta una pozza di sangue.
Non aveva bisogno di controllare se il suo cuore batteva ancora, per sapere che, invece, si era fermato.
Si voltò verso Tess, alle sue spalle. La ragazza era piegata su se stessa, come se il dolore la lacerasse da dentro.
Calvin tornò verso di lei, più per istinto che per lucidità mentale. 
«Dobbiamo andarcene» le disse.
La ragazza alzò il capo. I suoi occhi erano rossi e gonfi, il volto era madido di lacrime e ancora non aveva smesso di tremare.
Aprì le labbra e ripeté: «Che cosa abbiamo fatto?»
 
 
Tess strinse le ginocchia al petto, cercando di scaldarsi. Il magazzino era ampio e la temperatura esterna stava calando velocemente. 
Lanciò un'occhiata a Calvin, che aveva ripreso a camminare avanti e indietro.
Era incredibile come la mente fosse così straordinariamente malleabile.
Quando si era separata da Calvin, otto anni prima, aveva involontariamente applicato un processo di rimozione di tutto ciò che poteva esserle dannoso. Si era poi allontanata per studiare e rimanendo lontana da casa, non c'era nulla che potesse legarla al passato. Elliot non sapeva nulla di lei ed era stata la sua occasione per ricominciare da capo. Aveva solo dovuto sbattere la porta in faccia agli incubi e ai sensi di colpa angoscianti.
E ci era riuscita. Ciò che era avvenuto in quel negozio tetro era diventato solo un ricordo offuscato e non troppo nitido, che aveva smesso di tormentarla nel momento in cui lei aveva smesso di ricordarlo a sé stessa. Elliot era tutto ciò di cui aveva bisogno, la  nuova famiglia per la nuova Tess. Tutto andava a gonfie vele. Le bastava rimanere lontana da casa, lontana dagli sguardi inquisitori dei suoi genitori che sembravano conoscerla troppo bene perché lei potesse mentire. Si era fatta quindi sempre più distante, aveva limitato i rapporti e ridotto i contatti e, per quanto soffrisse nel portare quel peso dentro di sé, sapeva di non poterlo condividere con nessun altro, al di fuori di Calvin, che credeva di aver ormai perduto per sempre.
Invece, da quando lo aveva incontrato, al ricevimento, tutti quegli anni di sforzi e rimozione di ricordi, si erano annullati, sotto il peso di un passato che richiedeva di essere guardato in faccia. Gli ultimi giorni trascorsi in fuga, l'avevano riportata a quei momenti in cui lei e Calvin, consapevoli di dividere lo stesso segreto, scappavano da tutti gli altri, rintanandosi in loro stessi.
Erano tornati i sedicenni pieni di paura, che cercavano consolazione nell'altro con la consapevolezza che non ve ne era alcuna.
Tess sapeva che si era trattato di un incidente, che non avrebbe mai consenzientemente anche solo ferito un ragazzino e che Calvin aveva agito per legittima autodifesa, ma aveva riesaminato a lungo gli eventi di quella notte, realizzando che neanche loro due erano innocenti. Si erano introdotti in quel negozio di nascosto, senza alcun diritto di farlo. Negli anni successivi a quell'avvenimenti, i due avevano raccolto informazioni sulle due vittime, sperando di riuscire ad aiutare in qualche modo la famiglia rimanente, ma ciò che avevano scoperto, li aveva terrorizzati ancora di più. La famiglia di Larry Beaver poteva essere descritta in ogni modo fuorché normale. Spaventati dal genere di persone in cui erano incappati, Tess e Calvin avevano preferito fingere che nulla fosse avvenuto, perché sapevano quali sarebbero state le conseguenze. La follia dei Beaver aveva portato i familiari rimanenti ad assassinare chiunque avesse mai ostacolato il capofamiglia, Larry, come dimostravano gli omicidi di Collins, Shepard, Grisham e i furti alle diverse esposizioni. Di certo sapevano come si organizzava ad arte una vera vendetta.
Tess spostò lo sguardo verso la porta del magazzino.
E ora, pensò, è sono una questione di tempo.
 
 
 
 
 
 
Angolo autrice
Ciao a tutti e grazie di essere arrivati fino a qui. Volevo scusarmi per il mega ritardo dell'aggiornamento ma sono stata molto occupata e ho preferito finire bene il capitolo prima di pubblicarlo. Di certo non è un capitolo "leggero" e spero che tutte le spiegazioni che contiene siano state sufficienti per compensare il ritardo! :)
Mi scuso ancora e ringrazio tutte le persone che stanno seguendo la storia, dai lettori silenziosi a quelli che hanno trovato i tempi per farmi sapere cosa ne pensavano. Grazie a tutti! :)
Cosa ne pensate della storia? La trama sta prendendo la piega che vi aspettavate o vi ha deluso? Fatemi sapere! 
Alla prossima :)
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Shadow writer