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Autore: lightvmischief    27/02/2017    2 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 2

 

Wayne apre il portone dell’edificio e mi fa da guida verso l’interno; alla mia destra ci sono delle tribune, mentre davanti a me e alla mia sinistra lo spazio è occupato da diversi scatoloni e scaffali.

Il ragazzo mi porta verso le tribune, dove sono raggruppate diverse persone.

«Hey, Wayne! Hai trovato qualcosa di utile là fuori?» gli chiede un ragazzo con la carnagione chiara.

«No, però ho trovato lei»

Wayne si sposta di lato e lascia che le persone mi vedano; ero rimasta dietro a lui durante il tragitto porta-tribune.

Una donna del gruppo mi guarda sorpresa, il ragazzo di prima mi rivolge un sorriso, mentre un altro ragazzo mi punta la sua pistola addosso.

Faccio un passo indietro, presa alla sprovvista, e metto una mano dietro alla schiena, pronta a tirare fuori la mia arma, se ce ne fosse il bisogno.

L’avrei già fatto se fossi stata in una situazione diversa, ma, considerando che queste persone potrebbero offrirmi cibo e munizioni, non l’ho fatto.

«Woah, Calum, amico, abbassa quella pistola.» gli ordina il ragazzo dalla pelle chiara.

«Wayne, come mai hai deciso di portarla qui?» continua il ragazzo, mentre mi guarda dalla testa ai piedi.

Alzo gli occhi al cielo; tutti uguali.

«Ve lo spiego dopo. Per il momento, fidatevi di me.» dice lui, lanciando uno sguardo accusatorio alla mia mano sulla pistola.

Alzo un sopracciglio e la tolgo, facendola ritornare a fianco della mia gamba.

«Okay… Allora, benvenuta, baby» dice il tipo con un ghigno.

«Chiamami un’altra volta ‘baby’ e potrai fare a meno della tua simpatia, quando sarai morto» gli rispondo, con un sorrisino sarcastico.

«Gentile e carina come poche, eh? Io sono Blaine, piacere»

«Kayla.»

Ci fu un momento di silenzio.

«Avete intenzione di farmi fare un giro? Ah, e tu potresti anche abbassarla quella pistola.» dico, rivolgendomi al ragazzo di prima.

Scuoto la testa e seguo Blaine, che mi fa un cenno con la mano.

Ci dirigiamo verso una porta che porta ad un corridoio: davanti a me c’è un’uscita di emergenza, mentre alla mia sinistra il percorso finisce con una svolta a sinistra.

Sulla parete a destra ci sono tre porte; entriamo nella prima.

«… Vedo che cominciano a scarseggiare acqua e proiettili» sento dire da una voce maschile, ma non riesco ancora a scorgere nessuna figura.

«Potremmo mandare due di noi a fare un’ispezione.»

Ora, vedo un altro gruppo di cinque persone; questa volta c’è solo un ragazzo, mentre le altre quattro sono ragazze, abbastanza giovani direi.

«Hey, Lynton! Ti presento il “nuovo acquisto” di Wayne.» dice Blaine, indicandomi con il pollice.

Saluto con un cenno della testa.

Non so cosa intendesse per “nuovo acquisto”, ma in questo momento non mi importa; la stanchezza e la fame stanno cominciando a farsi sentire.

«Siccome è nuova nel gruppo…» inizia il ragazzo biondo, Lynton.

«Io non ho mai detto di fare parte del gruppo.» protesto.

Non ne ho alcuna intenzione. Sto bene da sola, questo è stato solo un momento di debolezza.

«Ma sei nuova e sei qua, quindi, tecnicamente, fai parte del gruppo.» continua Blaine.

«Ho intenzione di andarmene domani mattina.» preciso, cercando di farglielo capire.

«In ogni caso, stavo dicendo che potremmo mandarla insieme a Calum a fare un’ispezione in giro, domattina. Solo per farle capire come funzionano le cose qui.» finisce Lynton, ignorandomi bellamente.

«Perfetto, vado io a dirlo a Calum.» dice Blaine, girando i tacchi e lasciandomi lì da sola.

Bene: dovrò fare il giro turistico da sola.

Che bella accoglienza.

***

Una ragazza era venuta da me e mi aveva affidato un posto nel quale dormire, prima. In questo momento, sono seduta proprio lì.

Mi ha detto di chiamarsi Mali e mi ha detto di essere la sorella del ragazzo che mi aveva puntato la pistola addosso, Calum. Non si assomigliano molto, a dire la verità; lei è stata la prima a chiedermi come stavo, mentre suo fratello è stato il primo a tentare di uccidermi.

Mali mi ha detto che con loro c’è anche la loro mamma; sono riusciti a scappare tutti quanti insieme, ma il padre è morto poco dopo essersi unito a questo gruppo.

Si è anche scusata per l’accoglienza di suo fratello, ma le ho detto di non preoccuparsi. Pensandoci, ho agito esattamente allo stesso modo qualche ora prima, con Wayne, il ragazzo del tetto, nonostante le circostanze fossero diverse.

Mi accomodo meglio sulle coperte su cui sono seduta: sono decisamente più comode e più calde del pavimento o dell’asfalto.

Il sole è tramontato: riesco a vederlo dalle finestre sopra le tribune. È buio fuori, ora.

Una bambina sale le tribune e si ferma due gradini sotto di me. Mi ricorda mia sorella.

Ha i capelli raccolti in due trecce, che le arrivano all’addome. Ha il viso dolce.

Alza lo sguardo e mi vede, io le sorrido e lei abbassa lo sguardo, mentre io lo distolgo.

«Mi hanno detto di chiamarti. Si mangia» sento, qualche secondo dopo.

È lei, che ora mi sta guardando e mi fa un cenno con la testa, verso i gradini delle tribune: vuole che io la segua.

Così, mi alzo e mi stiracchio: i miei muscoli sono un po’ indolenziti.

Lei mi fa strada e io la seguo.

«Quanti anni hai?» mi chiede lei, non appena la raggiungo al suo fianco.

«Ne ho venti. Tu, invece?»

«Io ne ho dieci.» risponde e, per la prima volta, mi fa un sorriso.

«Ti trattano bene, qua?» le chiedo, sorridendole a mia volta.

«Sì. Oggi, Lynton mi ha regalato una bambola che ha trovato fuori. L’ho chiamata Rachel.»

Questa bambina sembra così felice, sembra quasi che non sappia cosa ci sia là fuori. Ed è un bene.

Nessun bambino dovrebbe vivere in un mondo così. Non se lo meritano.

Attraversiamo lo stesso corridoio in cui mi ha portato Blaine un’ora fa e lei apre la porta di una stanza, dicendomi che è qui dove mangiano.

Ci sono diversi tavoli e delle panche di legno, ordinate in due file, una non troppo distante dall’altra. Si sono organizzati piuttosto bene.

Noto che ci sono altri due bambini e che la ragazzina che era con me li raggiunge; ci sono anche alcune persone anziane, ma c’è un numero evidente di giovani. Sono un gruppo decisamente numeroso.

Vedo che sono tutti quanti seduti, o quasi: in piedi, a servire ai tavoli – quasi a come un vero ristorante – ci sono cinque ragazzi e due ragazze, tra cui Mali.

Lei non mi ha detto come funzionano le cose qui, nonostante non dovrei rimanere per altro tempo, anche se, al momento, sto rivalutando la scelta.

Vado a sedermi al tavolo più vicino alla porta, che è anche il più vuoto. Mi siedo sul bordo della panca.

Uno dei ragazzi mi vede e si avvicina: deve avere qualche anno in più di me, ma è carino.

«Ciao! Tu devi essere… Kayla, giusto?»

«Sì» rispondo, abbozzando un sorriso.

«Ecco, tieni. Non sarà molto, ma è sempre meglio che niente.» dice, appoggiando sul tavolo un piatto di plastica con del pesce dentro.

Poi, se ne va, non lasciandomi il tempo di ringraziare.

Era da un anno che non vedevo del pesce; fino ad ora ero andata avanti con qualche barretta energetica e fagioli di fortuna.

Guardo negli occhi le due donne sulla panca davanti a me, ognuna agli opposti di questa, prima di avventarmi sul piatto di cibo.

In pochi minuti ho già finito tutto quanto il pesce. Ero affamata.

«Non credere che tu non abbia più niente da fare, ragazzina.» mi riprende una delle due signore, proprio mentre mi stavo alzando.

«Non essere così aggressiva, Olivia.» replica l’altra signora.

«Mi dica cosa devo fare, allora» rispondo a Olivia, mettendomi le mani sui fianchi e alzando un sopracciglio.

Non mi piaceva venir trattata come una bambina capricciosa. Non lo sono e non lo ero mai stata.

Sono arrivata fino a questo punto e non per pura fortuna.

«Ehi, calmatevi tutti quanti.» dice lo stesso ragazzo di prima.

È più alto di me di parecchi centimetri, ha i capelli scuri, gli occhi scuri e la pelle olivastra.

«Io sono calma.» replico, rilassando le spalle e facendo tornare le braccia a fianco del mio corpo.

Non è vero. Non sono per niente calma.

Ma stanotte voglio dormire in pace.

«Olivia intendeva chiederti gentilmente se ti andrebbe di aiutarci a pulire quando tutti quanti hanno finito di mangiare» mi spiega il ragazzo.

«Gentilmente, certo…» ripeto a bassa voce, alzando gli occhi.

Non le stavo certamente simpatica a questa Olivia, si era capito.

«Okay» riprendo il discorso, rispondendo alla domanda.

Prendo il mio piatto e quelli delle due signore e seguo il ragazzo.

«Mi dispiace per prima. Devi capirla, ha perso suo figlio poche settimane fa e non se n’è ancora fatta una ragione.» mi spiega, mentre mi guida verso una porta.

Non sono ancora riuscita a capire quante vie d’uscita ci siano, prima di tutto perché non ho ancora fatto un giro dell’edificio. Ma potrebbe essermi utile nel caso decidessi di restare.

«Non ti preoccupare»

***

Salgo le scalinate, cercando di evitare le altre persone sdraiate, e arrivo allo spazio che mi hanno dato. Ovviamente non sono da sola sullo scalino, ma tra me e gli altri c’è un po’ di spazio e mi va più che bene.

Mi siedo sulle coperte e appoggio la schiena al muro; mi tolgo la camicia che indosso e rimango in canottiera. Non mi tolgo le scarpe; voglio essere pronta se mai dovessi scappare.

In città riuscivo a dormire per qualche ora soltanto; non era sicuro e mi svegliavo continuamente nella paura di poter essere attaccata.

Sento la canna della pistola premermi contro la schiena, me ne ero scordata. La sfilo dai jeans e la metto dentro al mio zaino.

Questa notte non me ne dovevo preoccupare.

Avrei potuto anche abituarmici.

   
 
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