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Autore: Waanzin    27/02/2017    1 recensioni
One shot ispirata dal costume alternativo "Lady HUNK" per Gina Foley nella modalità "Raid" di RE: Revelations 2 ambientato durante il corso dello stesso Revelations 2 e di Umbrella Corps.
Perché proprio la timida Gina è il volto dietro la maschera della versione al femminile del leggendario Mercenario? Cosa ha spinto una segretaria di TerraSave, data per morta da Claire e Moira all'inizio della loro avventura nelle grinfie di Alex Wesker, a diventare una tale femme fatale? Una storia di redenzione e perdizione allo stesso tempo, di come l'istinto può a volte farci diventare qualcosa che nemmeno noi avremmo mai potuto prevedere.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Prefazione.

Il motivo dietro questa piccola one shot è semplice: sentivo che c'era una storia da raccontare. Mi ha sempre fatto sorridere che Gina Foley, possibilmente la più anonima del gruppo di TerraSave e colei che per prima cade vittima degli infetti di Alex in Revelations 2, fosse anche il personaggio con i costumi alternativi più interessanti della modalità RAID del gioco (Jessica Sherawat, Lady HUNK e Rachel del primo Revelations sono tutti costumi alternativi di Gina).

Sicuramente poco più di un Easter egg, ma dato che il modello di gioco di Lady HUNK possiede, sotto la maschera, effettivamente il volto della timida Gina, mi sono chiesto: e se fosse davvero così? Se per qualche ragione oscura Gina fosse sopravvissuta, e ora vagasse per i cambi di battaglia sparsi in tutto il mondo di cui ci ha raccontato Umbrella Corps., come una pericolosa mercenaria? Questa idea mi ha dato l'opportunità di scrivere una storia che è sia di redenzione, che di perdizione. Cosa accadrebbe se una segretaria qualunque, sempre messa in secondo piano, si ritrovasse a diventare una macchina ammazza-armi biologiche? Nell'universo di RE, tutto è possibile. Spero che il risultato piaccia a voi la metà di quanto sia piaciuto a me scriverlo.

Waanzin.


 
IL MOSTRO DI FOLEYNSTEIN 
o di come Gina Foley divenne Lady HUNK

 

Il suo nome era Gina. Non era la più attraente del gruppo (e d’altronde, con Claire a capo, sarebbe stato difficile sottrarle quel primato), né la più intraprendente. Non si era mai fatta notare più del dovuto e si occupava delle pubbliche relazioni della compagnia senza mai lamentarsi. Il suo posto era in ufficio, dietro pile di scartoffie, ad accelerare la lenta degenerazione della sua vista che già da qualche anno la costringeva a portare degli ingombranti occhiali neri.

Una volta, il capo aveva detto di soppiatto che Gina era “tozza ma con tutte le curve al posto giusto”. Quando lo scoprì, Claire andò su tutte le furie, e i due non si parlarono per giorni. Lei dal canto suo aveva temuto che la sua carriera con TerraSave fosse a rischio, e se ne vergognava terribilmente. Ma al di là di quell’evento terribilmente imbarazzante, non era mai stata al centro dell’attenzione. Nella vita privata come al lavoro, Gina Foly era semplicemente un passante, una figura che faceva di sfondo alle vite degli altri, assai più ricche di eventi della sua.
 
Forse è per questo che Claire e Moira, quando la incontrarono coperta di sangue in un corridoio polveroso della deviata fabbrica sotto il comando della perfida Alex, non le prestarono attenzione più di tanto. Ricordava Claire darla per spacciata, a terra, e proseguire oltre senza versare una lacrima. Lo ricordava come un’immagine lontana, dispersa nella memoria, mentre lei tentava di arrancare ai margini della sua stessa coscienza, resa confusa e comatosa dalla perdita di sangue.

Non ricordava esattamente come si era trovata sull’isola, o di come si fosse separata dagli altri. Non ricordava nemmeno da dove fosse spuntato l’infetto, l’unica cosa che ricordava erano quegli occhi, quei profondi “occhi dell’animale”, che la scrutavano mentre una robusta pinza da lavoro la percuoteva lungo tutto il corpo. Non sapeva perché non si fosse trasformata (se la paura era il trigger, come scoprì più tardi, lei di sicuro ne aveva provata a pacchi) ma si convinse che tutto il sangue perso doveva aver diluito il virus all’interno del suo corpo, permettendole di sviluppare degli anticorpi in grado di combattere.

“Tsk,” si era detta allora, ignorando l’atmosfera surreale di quei pensieri fatti in quei momenti così disperati, “come nel rapporto Valentine su quello che le accadde a Raccoon, con il virus T penetrato nel suo corpo. Gina Foley, sei un’eroina e una sopravvissuta. Non ci crederà mai nessuno.”

Tuttavia, qualcuno dovette crederle. Perché Gina Foley, per la prima volta nella sua vita, combatté. E combatté con tutta se stessa, ignorando il dolore e l’agonia che avanzavano. Dapprima combatté contro il suo stesso corpo, si sforzò di rimanere conscia, di strisciare via da quel posto infame, facendo attenzione a non attirare gli sguardi di quei mostri putridi intenti a perseguitare Moira e Claire.

Poi, combatté per riacquistare il senno, superando la confusione. Trovò della fitta boscaglia, di quella tipica della tundra, e capì di essere da qualche parte in Russia. Lavò i suoi vestiti e se stessa in un fiumiciattolo, risalendolo il più vicino possibile alla fonte, nonostante nella boscaglia e nella nebbia occhi terribili sembravano fissarla ad ogni ora del giorno e della notte… si assicurò di tenere sempre puliti gli occhiali, sapeva che ne valeva della sua vita. Tenne persino le scarpe col tacco, appigliandovisi come a un cimelio, tenendo stretti i ricordi delle fredde mattine di Dicembre passati nei bar a raccattare caffè per la redazione e per Claire come se fossero ancore di salvezza. Combatté i morsi della fame, catturando e divorando tutti quegli animali e quei frutti che, con la sua poca esperienza, poté distinguere come sani e non velenosi.

Infine, combatté per davvero, contro i mostri e i trasformati dal virus che si trovavano a vagare nelle montagne dove aveva trovato rifugio. In un baule disperso, trovò un vecchio AK-74, un Kalashnikov risalente alla Guerra del Golfo che doveva essere stato portato sull’isola in tempi antichi. Le munizioni erano poche, ma dentro di lei si accese un fuoco, un istinto, una voglia di sopravvivere che on aveva mai sentito prima. Le munizioni bastarono, perché ogni colpo andava a segno, ogni sparo equivaleva ad un altro di quei mostri morti. Quando trovò, disperso nel bosco da qualcuno che prima di lei doveva aver provato a fuggire, un vecchio fucile a pompa e una manciata di proiettili, quasi rise: nemmeno le sarebbe servito poi più di tanto.

E così, Gina Foley combatté. Per giorni, poi mesi, poi forse un anno. Un giorno sentì delle esplosioni provenire dalla costa, ma quando le raggiunse, trovò soltanto i resti bruciati di quello che doveva essere stato un gigantesco mostro raccapricciante, lasciati a marcire sulla spiaggia nei pressi di alcune gallerie. Si stupì a rendersi conto di come non aveva mai pensato alla possibilità di mandare un messaggio di aiuto, o di trovare un mezzo per scappare dall’isola: presa come una bestia ella stessa dalla sola funzione primaria di sopravvivere, aveva quasi dimenticato che l’obbiettivo era sempre stato poter tornare alla sua vita normale… cosa che forse, sarebbe stata impossibile.
E così fu, perché il destino volle che a trovarla su quell’isola dispersa, mesi dopo la disfatta di TerraSave e il “rapporto Burton” sulle malefatte di Alex Wesker e del suo T-Phobos, non fosse una semplice missione di salvataggio: ad approdare sull’isola in cerca di campioni e brividi facili, furono invece i mercenari avvolti in inquietanti maschere antigas che venivano chiamati, non senza ironia, “Umbrella Corps.”.

Il sottotenente che l’aveva trovata, per poco non la scambiò per un infetto particolarmente ben conservato, ma aver tenuto relativamente puliti i vestiti e se stessa in tutto quell’inferno fu una manna dal cielo perché le evitò di essere abbattuta come un mostro o uno zombie qualunque. Portata a bordo dai Mercenari, che scoprì più tardi essere al soldo di una delle più potenti compagnie farmaceutiche nella corsa ad aggiudicarsi le spoglie della defunta Umbrella, le venne chiesto di raccontare nei minimi dettagli ciò che aveva vissuto.

Si aspettava che da lì a breve sarebbe tornata a essere la solita Gina di sempre, con un appartamentino a New York City, alla costante ricerca di un lavoro per mantenersi. L’aveva bramato, desiderato con tutta se stessa, per giorni e mesi che le erano sembrate decadi. Ma quando l’elicottero giunse a una clinica privata negli Stati Uniti dal quale non le fu permesso né di uscire né tantomeno di contattare l’esterno, mentre i medici della compagnia le effettuavano verifiche su verifiche (senza dubbio interessanti al T-Phobos che il suo sangue aveva riadattato), seppe che quella non era più un’opzione.

Ancora una volta, Gina combatté, contro se stessa, contro i suoi ricordi e contro l’ultimo pezzo di umanità che le rimaneva, e decise che non avrebbe finito i suoi giorni come una cavia. Non dopo quello che aveva passato. Chiese e richiese a gran voce di poter parlare con le alte sfere e alla fine ottenne un breve ma intenso incontro con il capo della sicurezza della compagnia, che non si mostrò mai a lei, ma le parlò con una voce fredda e distaccata da dietro una lastra di vetro a specchio.
Poteva vedere solo il suo stesso riflesso, seduta sul lettino ospedaliero nella sua vestaglia da paziente, ma quel momento era fatidico: inghiottì la sua esitazione e chiese di poter diventare un addetto alla sicurezza. Il patto fu stretto in fretta: sapevano di cosa era stata capace sull’isola, avevano ascoltato il resoconto, e la ricerca sui suoi anticorpi al T-Phobos era passata in secondo piano in favore di qualche nuovo progetto che stava ricevendo più fondi (qualcosa riguardante un’arma biologica dalle sembianze di una bambina, come scoprì Gina in seguito).

Le fu intimato di mantenere la massima segretezza e di essere leale alla compagnia, ma finalmente le fu restituita la sua vita… insieme a un bel po’ di armi e attrezzatura per svolgere le missioni che le avrebbero assegnato. Il suo primo giorno all’armeria della compagnia, circondata da fucili e calzoncini in kevlar, aveva ricordato di come fosse sopravvissuta per quasi un anno tra le armi biologiche nella sua camicia e gonna da ufficio… e, con un sorriso sulle labbra più adatto ad una bestia famelica che alla timida e piccola Gina Foley, aveva chiesto di poter avere una versione del giubbotto senza pantaloni. Se doveva morire combattendo, l’avrebbe fatto in gonna.



Oggi, Gina Foley è un mercenario leggendario di cui gli altri membri degli Umbrella Corps. narrano le leggende tra una birra e l’altra. Le sue gambe scoperte e la maschera antigas sono un’accoppiata bizzarra e la sua incredibile abilità di sopravvivere a qualsiasi situazione, unita ad esse, le hanno fatto guadagnare il soprannome di Lady HUNK. “La degna erede di Mr. Death”, la definisce più di qualcuno dei suoi ex-compagni, al ritorno alla base dall’uno o l’altra missione in zone cosparse dalle armi biologiche, a cui spara in mezzo agli occhi senza quasi vederle, un sorriso sulle labbra che nessuno poteva vedere, coperto dalla maschera.

Lei, d’altronde, non ci sta troppo a pensare. Come una macchina, salta di missione e missione. Un giorno, un suo compagno particolarmente rozzo probabilmente le dirà, poco prima di arrivare sul campo di battaglia: “Sei tozza, ma hai decisamente tutte le curve al posto giusto.”

…e con un sorriso e un bagliore sulle lenti a contatto che le coprono gli occhi, Lady HUNK indosserà la sua maschera antigas, riderà di gusto e si getterà nella mischia, pronta a far fuoco ancora una volta.




IL MOSTRO DI FOLEYNSTEIN - FINE.
  
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