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Autore: nikita82roma    27/02/2017    1 recensioni
Rick ha detto a Kate che non sarebbe stato a guardarla mentre buttava via la sua vita. È tornato a casa dopo la consegna del diploma di Alexis quando sente bussare alla porta del loft. Ma non è Kate, è Esposito che lo avvisa che Beckett è in ospedale gravemente ferita. Si parte da "Always" ma il percorso poi è completamente diverso.
FF nata da un'idea cristalskies e con il suo contributo.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Rick Castle, William Bracken | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Castle era rientrato mestamente al loft. Il suo agente di scorta non aveva detto una sola parola, ovviamente sapeva, come tutti, ma manteneva il suo ruolo discreto. Varcata la soglia voleva andare direttamente in camera, chiudersi lì e non vedere nessuno ma Martha lo fermò prima che potesse riuscirci.

- Ora ragazzo mi dici tutto quello che è successo tra te e Katherine! Cosa hai fatto?

- Io? Io non ho fatto niente! È lei che di punto in bianco mi ha lasciato! Senza un motivo, mettendo in mezzo scuse ridicole! Per lei quello che c’era tra noi non era vero, capisci? - Sbottò Castle piuttosto nervoso

- Ne sei sicuro? Non è che le hai detto qualcosa che l’ha spaventata?

- No, mamma, no! Ed ora non voglio più parlarne.

- Richard, se sei innamorato di lei, lasciale del tempo, ma non ti arrendere. Lei ti ama, forse a parole potrà dire il contrario, ma io c’ero quel giorno e quella che ho visto era una donna distrutta dal dolore. Solo chi ama può stare così.

- Avrà cambiato idea. - Rispose brusco prima di sparire in camera sua.

 

Guardava il lato del letto vuoto, lì dove doveva esserci lei, anche se Kate in quella stanza non ci aveva mai dormito. A malapena c’era entrata una volta, imbarazzata, quando era rimasta qualche giorno al loft dopo l’esplosione del suo appartamento. Eppure lui la vedeva lì, forse perché in quelle settimane aveva cullate l’idea che lei sarebbe stata lì, appena risolta quella situazione, per sempre. E ripensava a tutte le donne inutili della sua vita che aveva portato su quel letto e l’unica veramente importante mai. Non era mai stata nella sua stanza, nel suo letto. Ma per lui era lì e non se ne andava mai, nemmeno se chiudeva gli occhi ed allungava una mano a sentire le lenzuola fredde, nella sua mente quello era il posto di Kate e disegnava anche il suo corpo a mezz’aria come se volesse accarezzarlo e non sapeva se ritenersi fortunato per aver accarezzato anche se per poco tempo il sogno di Kate Beckett divenuto realtà, ed era molto meglio di quanto avesse mai immaginato, disperato perchè lei lo aveva lasciato o solo uno stupido illuso che che credeva che lei sarebbe stata diversa, che si sarebbe lasciata andare, che si sarebbe fatta amare senza quelle paure che avevano vinto su tutto e sopratutto su loro.

 

 

I calci e i pugni contro quel sacco non migliorarono l’umore di Beckett, anzi servirono solo a farle capire il perché. Aveva il fiatone e dolore ovunque.

Il dottor Burke, però, era stato chiaro. Non l’autorizzava a riprendere servizio. Troppi due traumi così ravvicinati per essere serena, troppi anche conoscendo il suo stato emotivo e quel poco che gli aveva accennato di Castle prima di chiudersi in un “non ne voglio parlare” e in un “non c’entra niente con il caso”. Ed era proprio questo che aveva spinto Burke a farle prendere più tempo. Castle c’entrava: con il caso, con lei e con la sua voglia di affrettare i tempi e lui non le poteva permettere di riprendere servizio così, tanto che anche il suo medico all’ospedale aveva sconsigliato una ripresa immediata.

Era andata via di corsa dallo studio dello psichiatra, tentando di seminare anche le guardie, ma dovette arrendersi dopo poco. Sentiva il cuore batterle a mille nel petto ed il fiatone farsi prepotente. Non era solo fatica fisica, lo sapeva, ma detestava il suo corpo se non le dava le risposte che voleva. 

Era tornata nella sua stanza, che adesso odiava con tutta se stessa, e si era precipitata in palestra per sfogarsi, ottenendo l’effetto contrario, il suo corpo che le ricordava perché non poteva tornare in servizio ed allora sembrava volerlo punire, lui colpevole di non assecondarla nei suoi propositi di riprendersi la sua vita.

- Adesso basta Kate! - le disse in tono dolce ma autoritario il John il personal trainer della palestra fermando il sacco. Lei diede altri due forti pugni che lo sbilanciarono un po', poi si tolse le fasce buttandole a terra ai suoi piedi, andando a prendere una bottiglietta d’acqua. Apriva le mani a fatica per quanto le aveva tenute strette mentre colpiva ripetutamente, si erano arrossate e non poteva escludere che sanguinassero anche in qualche punto.

- Dovresti fare qualcosa per quelle mani, tipo proteggerle meglio. - John l’aveva raggiunta ed aveva preso anche lui la bottiglietta appoggiandosi al muro vicino a lei che beveva a piccoli sorsi l’acqua fin troppo fredda. Di guardò le nocche graffiate e fece il titanico sforzo di aprire e chiudere.

- Non sono poi così male - rispose nascondendo una smorfia. 

- Già sono peggio. Usa dei guanti la prossima volta, così non ti ferisci. - La ammonì.

- Mi sono ferita in modi ben peggiori, ma grazie dell’interessamento. - Poggiò la bottiglia con forza sopra il frigo e tornò verso la sua stanza constatando mestamente che non era servito a nulla, né a sfogarsi né a stare meglio.

 

Non poteva stare più lì. Non ce la faceva. La presenza di Castle era ovunque, ma sapeva che era soprattutto nella sua testa. Fece come sempre, quando voleva qualcosa, agì d’impulso senza pensare alle conseguenze. Andò in camera tirò fuori una valigia è cominciò a buttarci dentro cose a caso dall’armadio. Le stampelle sbattevano una contro l’altra mentre lei strappava via con forza i vestiti, nemmeno preoccupandosi se si potevano rompere o no. Odiava anche quelli, perché se li vedeva pensava solo a come Rick glieli aveva tolti, uno per uno, non li immaginava sul suo corpo ma buttati a terra, insieme a quelli di lui, uniti ed intrecciati proprio come erano loro. Poi, in fondo sul piano di legno, afferrò distrattamente una maglia, una tshirt blu con lo scollo a V, un po' larga e sformata e la rabbia diventò di nuovo pianto quando se la portò istintivamente al volto: era la maglietta con cui Castle preferiva dormire, aveva il suo profumo e chiudendo gli occhi si illuse che aveva ancora il suo calore. Tante volte la mattina quando lui se la sfilava per andare a farsi una doccia lei la recuperava dal fondo del letto e con la scusa di piegarla la teneva con se, come un neonato con il peluche preferito, per scaldare il suo cuore per quei pochi minuti della sua assenza, quando era ancora calda della sua pelle.

Mentre piangeva senza riuscire a fermarsi su quel pezzo di stoffa dimenticato lì da Castle o dal destino che voleva ferirla ancora per quello che aveva fatto a lui, a lei e a loro, inspirava a pieni polmoni il suo profumo che arrivava come aghi dritto nei polmoni, così buono da fare male. “Lo sto facendo per lui. Lo sto facendo per il suo bene” si ripeteva. Sarebbe stato difficile, sapeva che già lo era. Ma Castle aveva mille motivi per stare bene ed andare avanti anche senza di lei. Era un uomo brillante con molte persone che gli volevano bene e si preoccupavano per lui, ce l’avrebbe fatta.

 

 

La Gates si era infuriata. Suo padre l’aveva supplicata di ripensarci, Lanie aveva cercato di convincerla inutilmente, ma Kate Beckett aveva deciso, sarebbe tornata nel suo appartamento. Doveva chiudere quella parentesi della sua vita, doveva tornare a quella che era sempre stata, prima dell’aggressione, prima che Castle entrasse nella sua vita, nella sua mente, dentro di lei con ogni sua molecola, nel suo mondo sconquassandolo e stravolgendolo. Doveva fare in modo che tutto quello non fosse mai esistito, doveva erigere di nuovo i suoi muri e barricarsi lì dietro, nascondendosi a tutto soprattutto ai suoi ricordi ed ai suoi sensi. 

Premeva per tornare a lavoro ma i suoi medici erano inflessibili, sia Burke e che il medico dell’ospedale sostenevano che non era ancora pronta. Nonostante questo ufficiosamente aveva ricominciato ad indagare da sola. Appena arrivata nel suo appartamento come prima cosa aveva riaperto le ante della sua lavagna personale ed aveva aggiornato con quello, poco, che sapeva. Pensare a quello l’aiutava a tenere la mente occupata e a liberarsi del pensiero ingombrante e doloroso di Castle che però inevitabilmente tornava ogni volta che pensava a questo o quell’evento che avevano vissuto insieme. Di fatto nella sua vita negli ultimi 4 anni erano ben poche le cose che non fossero direttamente legate a lui, si era accorta che lui era in ogni suo ricordo, volente o nolente, anche in quelli personali e privati che avrebbero avuto ben poco a che fare con lui se non fosse che adesso anche se pensava ai suoi ex, di fatto non riusciva a non pensare a lui, a come tutte quelle storie sbagliate e quei rari incontri casuali erano solo per non ammettere a se stessa che era di altro che aveva bisogno, che quelli erano solo modi per non impegnarsi. Con Castle sì, si sarebbe impegnata. Con lui, vedeva il suo futuro, per la prima volta non da sola ma con qualcuno al suo fianco ed era riuscita anche ad immaginarsi una famiglia. Le venivano i brividi adesso al pensiero di quel sogno lucido e doloroso. Provava malinconia e nostalgia per quella se stessa che non c’era mai stata se non come un flash nella sua mente, una proiezione mentale che le aveva scaldato il cuore. Si poteva rimpiangere qualcosa che non si aveva mai avuto, qualcosa che non era mai stato? Kate ne rimpiangeva l’idea, il sogno di aver accarezzato la possibilità che anche per lei ci fosse spazio per avere una vita normale, quella che sognava da ragazzina e che per anni aveva cancellato dalla sua mente. Doveva cancellarla di nuovo, insieme a Castle e a tutto quello che lui rappresentava. E Castle rappresentava tutto anche se ammetterlo era pericoloso e doloroso.

 

 

Passava spesso al distretto. Così spesso che molti dei suoi colleghi la consideravano a pieno titolo di nuovo effettiva anche se non lo era. La Gates non aveva accettato all’inizio di buon grado la sua presenza, poi si era accorta che, come sempre, le sue osservazioni e le sue intuizioni erano più che preziose. Così quando stavano ricostruendo per l’ennesima volta i fatti di quella notte, Kate fece una domanda alla quale nessuno aveva dato una risposta che risultava soddisfacente. Il suo cellulare era scomparso, ma perché nessuno aveva pensato di tracciare i suoi spostamenti? A casa di Flynn non c’era, quindi di sicuro non era lui ad averlo preso. Esposito più di tutti gli altri cercò di giustificare la mancanza dicendo che sicuramente uno esperto come Maddox non lo avrebbe tenuto, che probabilmente lo aveva preso qualche ladruncolo senza scrupoli di sincerarsi se lei fosse ancora viva. L’ispanico sapeva che se avessero tracciato il numero avrebbero scoperto cosa era accaduto e lui sarebbe stato nei guai: aveva sottratto una prova dal luogo di un tentato omicidio ed aveva mentito ai suoi colleghi ed amici. Sapeva, inoltre, che anche Castle avrebbe avuto la sua dose di guai e visti i rapporti, o non rapporti, che c’erano tra lui e Kate non sarebbe stato il massimo per nessuno dei due. Javier sapeva che Rick non aveva detto nulla a Beckett ed ora quella bomba stava per esplodere tra le mani di tutti, visto che Kate era decisa ad avere quei tabulati e anche se non era ufficialmente in servizio nessuno di loro disse più nulla dopo che aveva fulminato Esposito con lo sguardo per le sue obiezioni.

 

Passò poco più di un giorno da quando Kate aveva fatto quella richiesta, spalleggiata da Price che si dava dello stupido per non averci pensato prima, a quando Kevin la chiamò per dirle di andare al distretto.

- Beckett… c’è una cosa che devo dirti… - Ryan si rigirava un foglio tra le mani sotto lo sguardo inquisitore di Kate - Ho analizzato gli ultimi movimenti del tuo cellulare dopo… dopo quella sera… E… Beh… Guarda tu stessa…

Kevin le passò il foglio che cominciò a leggere: celle segnalate, quadranti di riferimento, percorsi e tutto il resto. Non c’erano molti dubbi. Kate sbattè i fogli sul tavolo. C’era rabbia, delusione e tristezza. Price lesse i risultati e ordinò a due agenti di andare a prendere il sospettato e portarlo al distretto. Subito. Era la prima volta da quando era arrivato al dodicesimo che Nick si prendeva la libertà di agire in completa autonomia: Beckett, Esposito e Ryan lo guardarono stupiti senza dire nulla. Ma legalmente aveva ragione lui e non potevano farci nulla.

 

Castle uscì dall’ascensore tenuto sottobraccio da due agenti. Ai suoi polsi luccicava il metallo delle manette. Percorse il corridoio e gli fece male più che quella situazione che non capiva e non voleva capire, vedere che la sua sedia era ancora lì. Quello fu doloroso, più di una di quelle manette troppo stretta con poco riguardo dallo zelante agente, tanto che pensò avesse fatto apposta ma non disse nulla. Aveva a mala pena capito quello che gli avevano detto. Era in arresto per l’aggressione a Beckett. Il suo cervello si rifiutò di sentire altro. Si lasciò ammanettare e portare via come un burattino, ringraziò solamente che in quel momento era a casa solo, per evitare il dolore e l’umiliazione alle sue due chiome rosse.

In macchina mentre lo portavano lì non provò nemmeno a capire cosa voleva dire tutto quello. Pensava solo che l’avrebbe rivista, probabilmente, dopo quasi due settimane da quando aveva sentito le sue mani stringergli il volto e nei suoi occhi aveva letto il suo stesso dolore mentre lo mandava via. Voleva chiedergli perché ma non aveva più avuto il coraggio di farlo. Aveva vissuto per lo più il suo dolore da solo. In camera o seduto in qualche parco a guardare il nulla. Non aveva più scritto e non aveva intenzione di farlo, almeno per ora. Non vedeva quello come un arresto ma come la possibilità di vederla e di parlarle. Al resto, poi, avrebbe pensato il suo avvocato.

Riuscì a focalizzare la sua sedia solo per un istante, si era fermato involontariamente, ma uno dei due agenti lo strattonò obbligandolo a seguirlo nella sala interrogatori. Prima di entrare incrociò lo sguardo di Esposito dispiaciuto e teso, ma non gli diede peso. Ora era seduto dalla parte opposta di dove solitamente sedeva con Kate, era lì dove lei lo aveva fatto sedere la prima volta, quando lo aveva arrestato. Ma in quella occasione era decisamente più sfrontato e sicuro di sè di quanto non lo fosse in quel momento, puntava a fare colpo su di lei ad annoverarla tra le sue conquiste, quella graziosa e troppo decisa poliziotta con il volto ancora da ragazzina. Non aveva ancora scoperto tutta la meraviglia di Kate Beckett che ora, invece, amava sotto ogni punto di vista. Non conosceva le sue paure e la sua forza, la sua dolcezza e la determinazione, forse aveva intravisto in lei qualcosa di più o era solo una sfida. Erano passati quattro anni, lo aveva reso l’uomo più felice e più triste del mondo ed era sempre la sua sfida.

Quando Castle sentì la porta aprirsi sobbalzò e fece un profondo respiro prima di alzare lo sguardo e cercare gli occhi di Beckett: non li trovò mai. Erano entrati i due agenti di prima che lo fecero alzare senza troppa cortesia e lo condussero in un’altra stanza.

   
 
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