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Autore: Jade Tisdale    27/02/2017    1 recensioni
Post seconda stagione | Nyssara
È passato un mese dalla sconfitta di Slade, e mentre Starling City cerca di risollevarsi in seguito ai danni subiti, il Team Arrow continua a vigilare sulla città, proteggendola dai numerosi e frequenti pericoli.
Sara, invece, ha fatto ritorno a Nanda Parbat. Ma qualcosa, o meglio, una notizia, potrebbe dare una nuova svolta alla sua vita. E mettere a rischio quella di chi le sta intorno.
*
«La tua ragazza» sussurrò la mora «è questa Nyssa?»
Sara annuì, arrossendo lievemente.
«Dev'essere una persona splendida. Voglio dire, se è ancora con te dopo aver saputo di questa storia, significa che ti ama veramente.»
*
«Credevo di essere perduta per sempre» sussurrò, solleticandole dolcemente la pancia nuda «ma poi sei arrivata tu, e hai sconvolto completamente la mia vita. Tu mi hai ritrovata, Sara. Mi hai ritrovata e mi hai fatta innamorare follemente di te con un semplice sorriso.»
Nyssa intrecciò la propria mano in quella di Sara, rossa in viso.
«E poi» proseguì, con un sussurro «in questo inferno chiamato vita, stringerti la mano è la cosa migliore che mi sia potuta capitare.»
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nyssa al Ghul, Oliver Queen, Ra's al Ghul, Sarah Lance, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is the most powerful emotion'
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Capitolo 10: 
Last call

 

 

 

 

L’odore di brioche calda si diffuse all’interno dell’appartamento con molta rapidità, arrivando addirittura a svegliare completamente Sara, che era in una condizione di dormiveglia da una buona mezz’ora. La bionda si passò una mano tra i capelli spettinati, per poi stiracchiarsi e lasciarsi andare ad un lungo sbadiglio.
Pochi istanti dopo raggiunse Nyssa in cucina, intenta a imbandire la tavola con diverse pietanze dall’aria gustosa. «Buongiorno» esclamò quest’ultima non appena la notò.
«Giorno» si limitò a rispondere Sara, osservando con interesse i vari piatti disposti sul tavolo. «Non dirmi che hai davvero imparato a cucinare i pancakes.»
«Credimi, è più facile di quanto sembri. Adam mi ha spiegato giusto ieri come si preparano. Devo dire che i primi tentativi sono stati veramente orribili, ma dopo aver passato mezza giornata ai fornelli ho finalmente capito dove sbagliavo e posso dire con orgoglio che ho cucinato i pancakes migliori del mondo. Perciò, visti i miei risultati, non potevo privarti di una colazione coi fiocchi» spiegò, lasciando all’amata un bacio sulle labbra.
Quest’ultima spostò lo sguardo dalla sua colazione a Nyssa un paio di volte prima di riprendere la parola. «Se hai davvero intenzione di viziarmi per tutto il resto della gravidanza, allora sappi che lo stai facendo nel mondo giusto» affermò, dopodiché si sedette al proprio posto e addentò la punta della sua brioche alla marmellata. «I lati positivi di avere un bar sotto casa.»
«I lati negativi di non lavorarci» disse Nyssa, incrociando meccanicamente le braccia. «Sarebbe veramente comodo. Dovrei solamente attraversare la strada anziché farmi il tragitto a piedi ogni giorno.»
«Ti ho già detto che puoi prendere un taxi. Ti risparmieresti la fatica.»
«Fatica? Una passeggiata di prima mattina fa più che bene.»
«E allora perché ti lamenti?»
La figlia di Ra’s piegò appena la testa di lato. «Non mi sto lamentando. Sto solo dicendo che avrei meno strada da fare. E se ti accadesse qualcosa sarei qui in meno di due minuti.»
«Ah, ecco qual è il problema.»
«Lo sai come la penso. Solo perché non ne parliamo mai non significa che questa situazione non mi preoccupi.» Nyssa sospirò, sedendosi di fronte a Sara. Poi, servendosi della forchetta della bionda, prese un pezzo di pancake dal suo piatto e se lo mise in bocca. «Forse dovrei mettermi in contatto con qualcuno della Lega. Giusto per capire se mio padre ha iniziato a farsi domande sul mio allontanamento. Sono passati due mesi e non ha ancora mandato nessuno a cercarmi. Mi sembra troppo strano.»
«Devi rilassarti, okay? Magari si è dimenticato di te. Può capitare. Soprattutto quando si hanno tanti figli in giro per il mondo.»
«Non sei spiritosa» borbottò la mora, facendo una piccola smorfia.
Sara delineò un sorriso, per poi farsi seria nel giro di pochi secondi. Inghiottì con calma l’ultima parte della brioche, si passò un tovagliolo di carta sulle labbra e puntò il suo sguardo in quello di Nyssa. «Perché non mi hai mai detto degli alloggi ospedalieri di Nanda Parbat?» Fece una pausa per osservare la reazione dell’amata, ma quest’ultima non si scompose. «Insomma, sapevo che c’erano dei medici, ma camere sotterranee piene di macchinari e lettini… sembrava di essere davvero dentro a un ospedale.»
Nyssa poggiò con cura la forchetta sul tavolo, scrollando le spalle. «In realtà, non è che non te lo volessi dire, semplicemente non ce n’è mai stato bisogno. Fin dal primo giorno in cui sei arrivata a Nanda Parbat ci ho sempre pensato io a medicarti. Quando hai preso parte alla tua ultima missione è andata diversamente perché io non c’ero, altrimenti è molto probabile che ne saresti rimasta all’oscuro fino ad oggi.»
A quelle parole, Sara aggrottò d’istinto le sopracciglia. «Non dico che imparare a medicarsi da soli sia una cosa di poco conto, anzi, se non mi fossi trovata in certe situazioni e se tu non fossi stata sufficientemente dura con me, di sicuro non avrei mai capito come suturare correttamente una ferita o rimuovermi da sola un proiettile. Quello che non capisco è… perché non viene utilizzato frequentemente?»
«Perché è il volere di mio padre. Lo sai che quando un membro della Lega è in fin di vita deve cavarsela da solo, altrimenti non verrà ritenuto degno del proprio nome. Tuttavia, negli ultimi anni ci sono state delle eccezioni. Sebbene la morte in battaglia venga considerato un disonore, ci sono sempre guerrieri che non vale la pena perdere, e ciò ha spinto mio padre a rapire dei medici per essere certo che in situazioni critiche i suoi uomini migliori sarebbero stati salvati. Inutile dire che molto spesso anch’io ho fatto in modo che dei mercenari non morissero senza chiedere la sua autorizzazione. Ma con te non è mai stato necessario. Ce la siamo sempre cavata, e ho voluto evitare di farti conoscere quel luogo perché temevo che potessero farti del male anziché guarirti.» Nyssa strinse la mano destra di Sara nella propria e le dedicò un sorriso dolce. Entrambe ricordavano con orrore quanto fosse stato difficile vivere a Nanda Parbat dopo che la loro relazione era ormai stata resa nota a tutta la Lega. Molti mercenari avevano ripudiato Sara, attaccandola e incolpandola di aver abbindolato Nyssa inducendola a compiere peccato. Nemmeno Ra’s l’aveva presa bene, anche se non aveva mai alluso al fatto che non accettasse quella relazione perché Sara era una donna, quanto perché aveva compreso che il sentimento provato da Nyssa nei suoi confronti era veramente forte, e temeva che ciò avrebbe potuto influenzare le sue decisioni future. «Quando siete andati a cercare Bao Lee, io ero appena partita a mia volta per una missione. Dopo il tuo svenimento, i mercenari che erano con te devono averti portata laggiù proprio a causa della mia assenza. Ma quando sono tornata a casa e sono stata informata di quanto accaduto, gli alloggi ospedalieri erano completamente deserti e per un attimo ho temuto che…»
Nyssa inspirò profondamente, chiudendo gli occhi per qualche istante. Sara la osservò in silenzio, per poi dischiudere le labbra e pronunciare quelle parole che tanto la spaventavano. «Pensavi che me ne fossi andata di nuovo, non è vero?»
La mora riaprì gli occhi, per poi annuire debolmente.
«Ti avevo promesso che non sarei più scappata, e non ho intenzione di infrangere quel giuramento. Lo so che dopo tutto quello che abbiamo passato può risultare difficile fidarsi di me, ma‒»
«Io mi fido di te» affermò l’Erede del Demonio, gli occhi carichi di sentimento. «Non mi fido di mio padre. Poteva averti spinta ad andartene per poi farmi credere che fosse stata una tua decisione. Insomma, ero spaventata a morte. Ho anche creduto che ti avesse uccisa, o peggio, che qualcuno lo avesse informato che eri stata portata nel reparto medico e che lui avesse ordinato ai dottori di farti una flebo con del veleno. Ti ho cercata in ogni angolo della Lega senza trovarti e ho davvero pensato che te ne fossi andata per sempre.»
«Mi ero semplicemente rintanata in camera mia per assimilare quello che avevo appena scoperto» rise Canary, mostrando le sue dolcissime fossette. «Hai esaminato ogni stanza di Nanda Parbat dimenticandoti di quella più ovvia.»
«In realtà, è stato il primo posto in cui ho guardato, ma non c’eri» ammise Nyssa.
A quel punto, Sara mise su un finto broncio. «Evidentemente quando l’hai fatto ero ancora in fuga. Quando me ne sono andata dagli alloggi sotterranei, ho cercato di scaricare la tensione correndo da un corridoio all’altro.»
«È servito a qualcosa? Correre, intendo.»
Sara sospirò, per poi reggersi il mento con una mano. «Non è servito assolutamente a nulla.»
Nyssa scoppiò a ridere senza un motivo, e dopo non molto la seguì anche Sara.
«Devo andare al lavoro» disse poco dopo la mora, stiracchiandosi leggermente. «Dovrei tornare dopo cena. Poi pensavo di andare al Covo per allenarmi un po’ con…»
Quando Nyssa si bloccò, Canary inarcò entrambe le sopracciglia. «Con Oliver?» Non attese risposta e proseguì: «Da quando tu e Oliver vi allenate insieme?»
«Infatti non mi sono mai allenata con lui» spiegò la figlia di Ra’s, trattenendo un sospiro. «Quasi sempre sono sola, oppure con Felicity e Roy. Devo dire che il ragazzino ha una buona tecnica, ma è fin troppo debole per l’età che ha. Persino Diggle è arrivato al punto di volermi sfidare una volta, ma non è mai successo con Oliver.»
Sara delineò un sorriso. «Meno male» soffiò, preparandosi a gustarsi i suoi pancakes allo sciroppo d’acero. «Voi due insieme rischiate di distruggere l’intero edificio.»
Nyssa fece una smorfia divertita, dopodiché si infilò la giacca e ruotò appena la testa di lato. «Oggi vai a pranzo con Laurel?»
L’altra annuì. «Sì. Dovremmo andare in un fast food sulla Settantaquattresima. Magari finito il pranzo ti passo a trovare al bar.»
«Mi farebbe molto piacere» concluse Nyssa, dopodiché le diede un bacio veloce e si avviò verso l’uscita.



«Questa cosa è… disgustosa.»
«Disgustosamente buona, vorrai dire» replicò Sara, pulendosi le dita con un tovagliolo. «Non puoi dirmi che fa schifo.»
«Il gusto è accettabile, ma è disgustoso toccarlo» spiegò la castana, dedicando una smorfia alla sorella. «E poi è la prima volta che lo mangio, perciò sii clemente.»
«Trent’anni su questa terra e non hai mai assaggiato il pollo fritto in pastella?»
«Preferisco i cheeseburger.»
Sara scosse la testa e rise al tempo stesso. Anche Laurel fece del suo meglio per sorridere, ma era chiaro che qualcosa non andava. Era strana dalla sera in cui avevano cenato a casa sua.
Canary avrebbe tanto voluto chiederle cosa le fosse preso, ma sapeva che in quel modo avrebbe solo peggiorato la situazione. Si sentiva in dovere di fare qualcosa per aiutare la sorella a sfogarsi, ma al tempo stesso non se la sentiva di forzarla a rivelarle i suoi problemi.
Un attimo dopo, senza un motivo preciso, Laurel sospirò, facendosi improvvisamente seria.
«Sai, ultimamente io e Tommy venivamo spesso qui a pranzo. Ordinavamo sempre una porzione di patatine fritte ciascuno, un’insalata per me e un doppio cheeseburger per lui. Erano giornate normali e tranquille, ed ero felice. Per la prima volta dopo anni, o meglio, dopo il naufragio del Gambit, mi sentivo rinata. Serena. Viva.» Il luccichio nei suoi occhi si spense in un attimo, lasciando spazio a un’espressione nostalgica. «Poi la felicità è di nuovo scappata via da me. Come se fossi maledetta, capisci? Forse qualcuno lassù ritiene che Dinah Laurel Lance non si meriti un po’ di pace. Ma non li posso biasimare, non sono stata né una brava sorella, né una brava figlia, né tantomeno una brava fidanzata.»
«Laurel, ma di che cosa stai parlando?»
L’avvocato aveva lo sguardo spento, rivolto verso il proprio pranzo che, ormai, si era raffreddato da un pezzo. «Tommy è morto.»
Sara prese un respiro profondo, sentendosi improvvisamente più pesante. «Lo so.» Si fermò per guardare in faccia la sorella, che aveva gli occhi gonfi di lacrime. «L’ho saputo, Laurel. Quando sono venuta a conoscenza del terremoto, ho fatto di tutto per avere i nomi di chi non ce l’aveva fatta. Sono andata a trovarlo al cimitero quando sono tornata a Starling City l’anno scorso. È stato un vero shock.»
La bionda si strinse nelle spalle, mentre Laurel mandò giù un bicchiere d’acqua in un sorso. «Cos’è successo?» chiese poi, esitante.
A Laurel tremavano le gambe. Rievocare quei ricordi faceva ancora male.
«Oliver mi aveva avvertita di non andare al CNRI, quella sera» esordì, cercando di mantenere un tono di voce pacato «ma io non l’ho ascoltato. Ho fatto di testa mia, come sempre, e mi sono messa in pericolo da sola. Mentre i miei colleghi correvano via, io sono rimasta intrappolata dentro perché volevo salvare dei documenti. Mi mancava l’aria. Ero sola, completamente sola, e ho temuto il peggio. Ma poi, all’improvviso, l’ho visto venire verso di me e mi sono subito sentita meglio.» Le lacrime scorrevano rapide sulle sue guance, e Laurel trattenne a stento un singhiozzo. «Stavo morendo, Sara! Stavo morendo e lui è venuto a salvarmi. Mi ha detto di scappare e io l’ho fatto, ma quando mi sono accorta che non era dietro di me ormai era tardi. C’è stata un’altra scossa che ha fatto crollare l’edificio, e papà non mi ha permesso di entrare.» Cercò con lo sguardo altra acqua e quando si accorse di averla finita, Sara le porse il proprio bicchiere. «Ero disperata. Arrow… Oliver, ha cercato di tirarlo fuori di lì, ma ormai non c’era più niente da fare. E ora, ripensando a quella sera, alle sirene della polizia, alle strade piene di cenere e di persone terrorizzate, all’odore di bruciato, alle scosse, mi sento quasi egoista. Ho preferito piangere la morte di Tommy piuttosto che guardarmi intorno. In quel momento, la distruzione che Malcolm aveva arrecato alla nostra città mi pareva una cosa di poco conto. Non mi interessava nulla degli altri cittadini, delle case crollate e delle famiglie distrutte. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era Tommy, e al fatto che non fossi tornata indietro per tirarlo fuori di lì.»
Sara mise la propria mano sopra quella di Laurel, la cui schiena, a quel contatto, fu percossa da un brivido. «Non puoi biasimare te stessa per aver dato più importanza alla tua perdita che al terremoto. Come puoi ritenerti egoista per aver visto morire l’amore della tua vita? È assurdo.»
Laurel non aveva mai alluso ad una relazione con Tommy, ma a Sara non erano servite parole per arrivarci. Lo aveva capito dallo sguardo della sorella che tra di loro c’era stato qualcosa, perché quando aveva iniziato a parlare di lui i suoi occhi si erano messi a brillare.
«C’erano cose più importanti a cui pensare. The Glades era a pezzi. Molte persone non avevano più un tetto sopra la loro testa, e i bambini che avevano perso i genitori durante il terremoto erano parecchi. Cinquecentotré persone hanno lasciato questa terra, quella notte. E per mesi io ho pensato solo alla sorte del figlio dell’uomo che ha provocato quel disastro.»
«Gli errori di Merlyn non hanno nulla a che vedere con Tommy» insistette Sara, aumentando la stretta che teneva unite le loro mani. «Lui non c’entrava niente, Laurel. E nemmeno tu. Avrai passato l’ultimo anno a darti la colpa per la sua morte quando sai benissimo che tu non hai niente a che fare con questa storia. L’unico colpevole di quello che è successo è Malcolm Merlyn.»
«Ma io non riesco a fare a meno di chiedermi cosa sarebbe accaduto se quel giorno non mi fossi trovata lì. Se fossi rimasta in appartamento sarebbe morto comunque? O si sarebbe semplicemente rotto una gamba? O forse, se non avessi pensato a salvare quelle carte e fossi rimasta a casa, Tommy mi avrebbe chiamata sul cellulare e sarebbe venuto da me per accertarsi che stessi bene. Ci sono immense possibilità, Sara. Abbiamo mille modi per decidere cosa fare del nostro futuro, mille strade da prendere per cambiare le carte in tavola. Il problema è che non sapremo mai quando staremo facendo la cosa giusta o quella sbagliata. Dobbiamo basarci sul nostro istinto. E forse è proprio questo il problema.»



Lyla Michaels era ormai al sesto mese di gravidanza ‒ quasi al settimo, in realtà. Il pancione era ben visibile, la cameretta della bimba già pronta ‒ anche se lei e John non avevano ancora rivelato a nessuno il sesso del nascituro ‒ e l’ansia alle stelle.
L’idea di diventare madre la spaventava, ma al tempo stesso la incuriosiva. Aveva sempre pensato che a causa del lavoro che conduceva non avrebbe avuto tempo di costruirsi una famiglia, ma John era riuscito a farle cambiare idea. In fondo, perché mai non avrebbero potuto difendere il mondo e aiutare tranquillamente la loro bambina a fare i compiti dopo cena come se nulla fosse?
A dir la verità, nessuno dei due aveva ancora riflettuto sulle conseguenze a cui quella decisione avrebbe portato: erano talmente elettrizzati all’idea di diventare genitori che tutto il resto non gli importava.
In quel momento la porta d’ingresso si aprì, e John comparve sulla soglia. Si pulì le scarpe nello zerbino, appese il cappotto sull’appendiabiti e salutò l’ex moglie con un bacio. «Credevo avessi del lavoro da sbrigare.»
«Infatti è così, ma verso l’ora di pranzo ho iniziato a non sentirmi molto bene e ho preferito tornare a casa.»
Diggle si sedette sul divano accanto a lei, cingendole le spalle con un braccio e iniziando ad accarezzarle amorevolmente il pancione con l’altra mano. «Va tutto bene?»
Lyla si affrettò ad annuire. «È tutto a posto, non ti preoccupare. Mi è solo venuta un po’ di nausea. E ogni tanto mi gira la testa. Sono sintomi comuni, credo.»
«Lo spero» disse lui, baciandole dolcemente la fronte.
«Hai dei programmi per stasera?»
«A meno che Oliver non mi proponga un appuntamento dell’ultimo minuto, direi di no» scherzò, strappando un sorriso sul volto di Lyla. «Cos’hai in mente?»
«Vorrei fare qualcosa di diverso invece che starmene seduta qui ad aspettare la nascita della bambina. Che ne so, andare a cena fuori, e poi al cinema o al bowling. Insomma, quando non sono al lavoro passo la mia giornata chiusa in casa a guardare la tv, perciò non mi dispiacerebbe prendere una boccata d’aria una volta tanto.»
John la guardò negli occhi per qualche istante prima di enunciare il verdetto: «Accetto. In effetti nell’ultimo mese non sono stato molto presente, perciò capisco che tu ti senta sola.»
«Non è quello, John, dico sul serio. Sai cosa la penso su quello che voi del Team Arrow fate. È onorevole. Ma ho davvero bisogno di svagarmi un po’» spiegò lei, piegando leggermente la testa di lato.
«E io lo capisco, Lyla. Onestamente, non credo che riuscirei a tenere un bambino dentro di me per nove mesi senza dare di matto.»
Lyla rise ancora, dopodiché poggiò la testa sulla spalla di John e sospirò.
«Come procedono le cose all’A.R.G.U.S.?»
«Fin troppo bene. Al momento sto tenendo d’occhio degli uomini qui a Starling City. Devo capire esattamente chi sono, quali sono le loro intenzioni, ma soprattutto cosa li ha portati in città.»
«Potrei darti una mano, se ti va.»
«Sai che non posso coinvolgerti, Johnny.» Lyla fece il labbruccio. «È contro le regole.»
«Hai ragione, hai ragione» rispose lui, trattenendo un sospiro. «A volte dimentico che Amanda Waller si ricorda di me soltanto quando gli servo.»
Lyla, in risposta, gli passò una mano sulla guancia, dopodiché si accoccolò meglio sul suo petto e assunse uno sguardo pensieroso. «Tu invece, che mi dici? Va tutto bene con la squadra?»
«Fila tutto liscio. E poi ora che ci sono anche Sara e Nyssa quattro mani in più fanno la differenza.»
Lyla alzò lentamente il capo nella sua direzione. «Sono ancora qui?» Fece una pausa, attendendo una risposta che non arrivò. Allora disse: «Avevo capito che la loro permanenza sarebbe stata temporanea.»
«Lo so, lo credevo anch’io» ammise John «ma sono passati due mesi dal loro arrivo, e onestamente non so più cosa pensare.»
La donna deglutì sommessamente. «È successo qualcosa? Insomma, con Ra’s al Ghul intendo.»
«Non ne ho la minima idea. Si rifiutano di dirci cos’è successo. Fingono che siano qui per farsi una vacanza, ma Laurel gli ha comprato un appartamento e Nyssa ha trovato lavoro, perciò è logico che si tratterranno ancora per un po’. Forse Ra’s le ha cacciate, o addirittura le ha liberate.»
«Ne dubito. Ra’s è un tipo particolare, è vero, ma non rinuncerebbe mai ad una combattente come Nyssa, soprattutto perché è sua figlia. Lei gli serve. Tutti i figli che ha avuto prima di lei sono morti, perciò Nyssa è l’unico modo che ha per mandare avanti la sua stirpe.»
Dig si accigliò. «Come fai a sapere tutte queste cose sulla Lega?» Bastò un’occhiata di Lyla affinché lui capisse. «Già, la Lega degli Assassini è uno dei vostri nemici peggiori. A volte dimentico anche questo.»
«Più che nemici, cerchiamo di controllarli» disse la donna, con un’alzata di spalle. «Forse sono scappate per nascondersi da qualcuno.»
«E si nasconderebbero qui, a Starling City? È il primo posto che chiunque collegherebbe a Sara. Non sono così stupide.» L’ex militare scosse appena il capo con fare pensieroso. «Come mai ti interessa tanto? Ha a che fare col caso su cui stai lavorando?»
«Te l’ho detto, Johnny» riprese lei, dirigendosi a passo lento verso la cucina. «È contro le regole.»



La tomba di Tommy era ormai diventata una tappa quotidiana per Laurel: passava a trovarlo dopo il lavoro, durante la pausa pranzo o quando si sentiva particolarmente giù di morale e non riusciva a dormire la notte. Ora, invece, si trovava inginocchiata di fronte a quel pezzo di marmo insieme a Sara, che le accarezzava dolcemente la schiena mentre lei singhiozzava.
Era passato poco più di un anno dalla morte di Tommy, ma lei sapeva benissimo che ce ne sarebbero voluti molti di più prima di riuscire a superare la cosa. Eppure in quell’istante, cullata dalle parole dolci di Sara e dalla sua mano calda, Laurel non poté fare a meno di sentirsi in pace, per una volta. Se sua sorella fosse stata presente la sera del terremoto, probabilmente sarebbe riuscita a tranquillizzarla. Oppure avrebbe potuto salvare Tommy. Era un’eroina, e Laurel non metteva in dubbio che in un combattimento con Oliver avrebbe potuto batterlo tranquillamente; per questo non riuscì a non chiedersi cosa sarebbe successo se Canary fosse stata lì, quella notte.
La donna sentì lo stomaco contorcersi per il dolore. Non appena si fu ripresa, inspirò a pieni polmoni, per poi asciugarsi le lacrime con la manica della giacca.
«Non dovevi andare da Nyssa al bar?»
La sorella minore le sorrise amorevolmente. «Non ha importanza. Andrò a trovarla più tardi.» Le mise una mano sulla guancia, muovendo lentamente il pollice sulla sua pelle. «Hai bisogno di me.»
Ed era vero: mai prima d’ora Laurel si era sentita così al sicuro tra le braccia di Sara.

*

Il cellulare di Nyssa squillò all’improvviso, disturbando la quiete che si era venuta a creare nell’appartamento. Ormai lei e Sara stavano guardando la tv da diverse ore, e di lì a poco si sarebbero entrambe addormentate sul divano se non fosse stato per la suoneria snervante che le aveva fatte rinsavire.
«Pronto?» disse la mora, mettendo subito la chiamata in vivavoce.
«Nyssa, sono Felicity. Abbiamo assolutamente bisogno di voi.»
«Mmh. Ma io ho sonno» si lamentò Sara, intuendo dal tono della bionda che sarebbero dovute andare a caccia di criminali.
«Beh, allora trova un modo per restare sveglia, perché se non andate ad aiutare Oliver lui e Roy se le prenderanno di santa ragione.»
Le due donne si scambiarono uno sguardo confuso. «Perché dici questo?»
«Perché è la verità, Sara» sospirò Felicity. «Al momento sta avvenendo un incontro tra alcuni membri della mafia cinese in un locale abbandonato a The Glades. Non conosciamo il motivo di questa riunione, ma sarà meglio scoprirlo al più presto. È stato tuo padre a chiederci di intervenire. A quanto pare la polizia non ha molti uomini a sua disposizione negli orari notturni, perciò ha preferito che ci muovessimo prima del loro arrivo, che comunque non avverrà prima di venti minuti, da quanto ci ha detto lui. Arsenal e Arrow si stanno già dirigendo sul posto, ma senza voi due dubito che riusciranno a battere da soli una dozzina di mafiosi con le loro guardie del corpo alle calcagna.»
«Sicura? Perché secondo me possono farcela benissimo da soli.»
A quelle parole, la figlia di Ra’s al Ghul coprì il microfono del telefonino con la mano, per poi lanciare un’occhiata di sbieco a Sara. Quest’ultima alzò gli occhi al cielo, scocciata: non era da lei rispondere in quel modo, ma quel giorno si sentiva veramente sfinita, e nemmeno un motivo così importante sarebbe riuscito a convincerla ad alzarsi dal divano. Inutile dire che lo sguardo di Nyssa, al contrario, l’aveva convinta eccome.
«Li raggiungiamo subito, Felicity, non ti preoccupare» la rassicurò la mora.
«Bene. Vi mando l’indirizzo tramite sms.»
Nyssa spense la comunicazione, dopodiché si voltò verso Sara e incrociò le braccia. «Avanti, alzati da lì e vatti a cambiare. Altrimenti sarò costretta a svegliarti con un secchio di acqua fredda.»
«Non oseresti» la minacciò Sara, puntandole il dito contro.
«Non mettermi alla prova, ragazzina» replicò l’Erede, socchiudendo appena gli occhi in segno di sfida.
Al sentir quella parola, Sara non riuscì a trattenere un sorriso: era quasi un gioco, per loro. Nyssa l’aveva chiamata spesso in quel modo durante i loro addestramenti, soprattutto quando Sara si era dimostrata determinata e pronta a imparare cose nuove. Ed era bello constatare che nonostante tutti gli anni che erano passati loro due non erano cambiate affatto.
Le due si cambiarono più in fretta che poterono ‒ a differenza degli altri membri del team, avevano preferito tenere i costumi a casa anziché lasciarli nell’Arrow Cave ‒, ma dopo non molto, Sara ritornò in salotto con uno sguardo sconvolto. «Il costume stringe.»
«Che cosa significa?»
«Significa che non riesco a tirare su i pantaloni più di così, Nyssa» rispose Sara, alludendo al fatto che i pantaloni di pelle le arrivassero a metà coscia. «E adesso che cosa faccio?»
«Troviamo un modo per farteli stare» insistette Nyssa, cercando di aiutare l’altra a indossare il costume. Nessuna delle due disse nulla al riguardo, ma quello non era nientemeno che uno dei tanti segni della gravidanza di Sara. E in quel momento la bionda comprese che non sarebbe riuscita a tenere il segreto per sé ancora a lungo.



Dopo essere riuscite a far indossare a Canary il suo costume ‒ stringeva veramente tanto, ma al momento avevano altro a cui pensare ‒, Nyssa e Sara accorsero in aiuto di Roy e Oliver. Quando giunsero nel luogo indicato da Felicity, i due vigilanti erano nascosti dietro a dei pilastri. Attesero il loro segnale prima di agire.
Non appena Oliver uscì dal suo nascondiglio, un uomo dalla carnagione scura sparò un colpo di pistola nella sua direzione; l’ex miliardario schivò prontamente il proiettile, assestando un gancio sinistro sul volto del criminale.
Sara, Roy e Nyssa si unirono alla mischia subito dopo. Mentre questi ultimi colpirono alcune guardie del corpo utilizzando arco e frecce, Sara si diresse a passo spedito verso un uomo con una maschera sul viso: solo allora si rese conto che tutti i mafiosi ne indossavano una per nascondere la loro identità, sebbene i buchi per gli occhi lasciassero intravedere i lineamenti orientali. Riuscì a colpire uno di loro con molta facilità, mettendolo fuori gioco con un semplice calcio allo stomaco, ma prima che potesse fare un altro passo si ritrovò con le spalle al muro, i polsi stretti ai lati della testa da due mani fin troppo forti per i suoi gusti. Uno dei bodyguard le era corso incontro non appena l’aveva vista dirigersi verso il gruppo di uomini mascherati.
Sara non si mosse di un millimetro. Si limitò a fare una smorfia, dopodiché decise di contare fino a tre; al due l’uomo era già morto, e un istante dopo se lo ritrovò ai suoi piedi, con due frecce rosse e nere piantate nella schiena. Lei e Nyssa si scambiarono uno sguardo d’intesa, dopodiché lei e Roy presero a inseguire fuori dal magazzino i mafiosi che avevano preferito darsela a gambe. Canary ne seguì uno che indossava una maschera bianca come il latte: riuscì a intravedere una pistola nascosta nella tasca posteriore dei suoi pantaloni, ma non capì come mai non la stesse usando contro di lei. Tuttavia, non ci volle molto affinché lei lo raggiungesse: quando gli fu abbastanza vicina lo colpì alle caviglie con il suo bastone, facendolo cadere a terra. L’uomo si ricompose a fatica, e fu allora che Sara si accorse che aveva perso la maschera durante la fuga. Fece del suo meglio per apparire il meno sconcertata possibile, ma sapeva benissimo che non ce l’avrebbe mai fatta. Bao Lee, l’uomo che aveva assassinato poco più di due mesi prima, era in ginocchio davanti a lei, vivo e vegeto.
«Non è possibile… tu… tu eri morto… ti ho ucciso con le mie stesse mani a Yichang!»
«Ed è qui che ti sbagli, mia cara» ghignò l’uomo, con uno sguardo carico di odio. «Quello che hai ammazzato non era altro che uno dei miei uomini con indosso una maschera del mio viso[1]. Possiamo dire che si è sacrificato per una giusta causa. Tuttavia…» proseguì, guardandola dritta negli occhi «ti avrei riconosciuta anche in mezzo a una piazza affollata. Tu sei quella puttana della Lega degli Assassini che ha attentato alla mia vita. Direi che adesso è giunto il momento di vendicarmi.»
Il sorriso malefico sul suo volto si ampliò, mentre Sara provò una dolorosa fitta nel petto. Le sembrava di rivivere quella notte, quando il sangue di Bao Lee l’aveva fatta inspiegabilmente svenire e poche ore dopo aveva scoperto di essere incinta. Il solo ricordo le fece venire un capogiro. Sara cadde a terra, in ginocchio, mentre l’uomo davanti a lei si alzava in piedi e le puntava contro la propria pistola.
Se mi uccide, nessuno scoprirà nulla, pensò, boccheggiando disperatamente per far entrare aria nei polmoni. Se muoio ora, non dovrò dire a nessuno che sono incinta, e non dovrò sopportare il peso delle conseguenze a cui porterà il mio segreto.
La verità è che in quel momento si sentiva indifesa come un uccellino a cui sono state spezzate le ali. Le mancavano il respiro e le forze per reagire, e per la prima volta in vita sua pregò che Nyssa non la venisse a salvare.
«La Lega degli Assassini sarà molto delusa da te» concluse il mafioso, prima di fare pressione sul grilletto con il dito. Canary prese un respiro profondo, incapace di reagire; poi si sentì uno sparo e si accasciò a terra, priva di forze.



Felicity si mangiucchiava nervosamente le unghie da una decina di minuti, mentre Oliver camminava da una parte all’altra della stanza con le braccia incrociate. Roy se ne stava in un angolo della stanza senza dire una parola, mentre Laurel era in ansia per la sorte della sorella.
Ad un tratto, lungo la scalinata, comparve John, seguito da Sara e da Nyssa, che teneva la mano stretta intorno al braccio dell’amata per paura che perdesse l’equilibrio.
Oliver non diede il tempo al gruppetto di sistemarsi che già si era avventato su Sara. «Cos’è successo là fuori?»
La bionda gli rivolse un’occhiata indifferente, liberandosi dalla stretta di Nyssa. «Niente. Non è successo niente.»
«Ah no? Perché a me risulta che se Diggle non fosse arrivato in tempo tu ti saresti fatta ammazzare.»
Il ricordo del proiettile che attraversava lo stomaco di Lee la fece rabbrividire. «Sto bene, Oliver.»
«No, Sara, tu non stai bene» sbottò lui, compiendo alcuni passi verso di lei. Tuttavia, prima che potesse raggiungerla, Nyssa si frappose fra di loro, guardando Oliver dall’alto al basso con aria di sfida, sguardo che il vigilante ricambiò senza farsi intimidire.
«Ana’ bekhair, habibti[2]» si affrettò a dire Sara, accarezzandole dolcemente il braccio destro nel tentativo di calmarla. A quelle parole, Nyssa cercò di non scomporsi, ma dopo non molto fu costretta a indietreggiare e a lasciare che Sara se la sbrigasse da sola. D’altronde, era lei quella che doveva dare delle spiegazioni.
Oliver la osservò allontanarsi, pronto a riprendere la parola. Questa volta si rivolse anche a Nyssa, puntandole il dito contro: «È da quando siete arrivate a Starling City che vi comportate in modo strano. Avete deciso di unirvi al team e di aiutarci e questo mi sta bene, ma in una squadra non ci devono essere segreti.»
«Senti chi parla» sbuffò Laurel, nel tentativo di sostenere Sara. «Oliver, perdonami, ma è così. Tu sei il primo a nasconderci le cose. E non dire che non è vero.»
«Laurel, non ti immischiare.» Arrow trattenne a stento un sospiro, per poi voltarsi nuovamente verso Canary. «Sara, io mi sto solo preoccupando per te. Per voi. Quello che è successo questa sera non è normale.»
«Oliver, credo di aver avuto un semplice calo di pressione» mentì Sara, facendo del suo meglio per apparire credibile. Accennò un sorriso nervoso. «Mi dispiace avervi spaventati, non era mia intenzione. Ma davvero, non è niente.»
La bionda si preparò a voltarsi, ma prima che potesse compiere un solo passo Oliver strinse la mano intorno al suo braccio, e a quel contatto Sara si sentì svenire. Le sembrava incredibile come quel semplice gesto la facesse sentire così a disagio, considerato che poco più di quattro mesi prima lei e Oliver erano stati a letto insieme. Le tremavano le gambe in una maniera incontrollabile; Queen se ne accorse, ma non lasciò andare la presa su di lei nemmeno un istante. Poi, come se fosse una forza più grande di lei a parlare, Sara si lasciò andare, e lo disse.
«Sono incinta.»



Nella stanza calò il silenzio per qualche istante. Nessuno osò dire una parola, ma ognuno di loro, a modo suo, era sconvolto da quella notizia. John e Roy si scambiarono un’occhiata d’intesa, mentre Laurel cercò di intercettare lo sguardo di Nyssa, che però era fisso sul volto di Oliver. Felicity osservava la scena immobile, in attesa di scoprire cosa sarebbe accaduto di lì a poco.
Oliver aprì leggermente la bocca, lasciando poi andare la presa sul braccio di Sara. «Perché mi dici questo?»
La donna non rispose. In fondo, non c’era alcun bisogno di parole. Bastò uno sguardo affinché tutti capissero.
«Quando siamo tornate in città l’avevo appena scoperto» cominciò a dire Sara, la voce fioca a causa dell’angoscia che provava. «Avrei dovuto dirtelo subito, lo so, ma non ce l’ho fatta. Ho avuto paura che mi avresti detto di abortire. E poi, quando ho visto quanto tu e Felicity foste felici insieme, ho capito che se ve lo avessi detto avrei rischiato di rovinare la vostra relazione.» Sara fece una pausa, spostando la sua attenzione su Felicity. «Lui non ti ha tradita, te lo posso giurare. È successo tutto prima dell’Assedio…»
«Lo so, Sara. Me lo ricordo che stavate insieme» sussurrò il tecnico informatico in risposta, un pizzico di acidità nella voce. Felicity chiuse gli occhi, per poi passarsi una mano sulla fronte. «Scusatemi. Ho bisogno d’aria.»Subito dopo si alzò in piedi, spostò la sua sedia girevole con un movimento brusco e se ne andò a passo svelto sotto gli occhi di tutti. Oliver, ancora visibilmente scioccato, cercò di seguirla, ma la strada gli fu sbarrata da Nyssa.
«Oliver, ti prego…»
«Nyssa, lascialo andare» l’ammonì Sara, che tratteneva a stento le lacrime. 
Detto questo, Oliver si allontanò a sua volta, e Sara rimase al centro della stanza, circondata da quegli amici che attendevano spiegazioni e dai sensi di colpa.

 

 

 

 

 

 

[1] No ma non ho preso spunto da Pretty Little Liars, no no xD
[2] La traduzione dovrebbe essere: “Sto bene, amore.”

 


 

 

 

 

Ormai avrete capito che ho un serio problema con il cibo, perché in ogni capitolo non riesco a non descrivere una scena in cui qualcuno consuma il proprio pasto lol
Non è mancanza di idee, è proprio una dipendenza che ho da sempre.
Comunque, sto mantenendo il passo di pubblicazione di un capitolo ogni due mesi (so che non è il massimo, ma considerati gli impegni, le varie long in corso e la lunghezza media dei capitoli di questa storia, direi che sono a cavallo, anche se questo capitolo in particolare mi è uscito più corto del normale).
Anyway, vi auguro buon Carnevale e buonanotte. E se tutto va bene, ci si rivede a Pasqua!

   
 
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