Non c'era medaglia, trofeo o vittoria migliore di quella che aveva lì in quel momento.
Quando faceva l'amore con Yuuri restava ammaliato dalla luce assunta dagli occhi del suo amante. Quegli occhi di miele erano capaci di tingersi di mille sfumature diverse, dallo scuro ramato pregno della sua determinazione, al castano lucente della sua sincera felicità e spensieratezza, al plumbeo della sua tristezza.
Ma quella, quella era la sfumatura che più bramava Viktor, quella che mostrava a lui e lui soltanto, quella lucentezza che lasciava trasparire dal suo sguardo ogni parola, brivido e sensazione.
I suoi occhi risplendevano del colore della Vita, in bilico tra la venerazione e il desiderio, tra la sacralità ed il peccaminoso, tra Agape ed Eros.
Gli occhi di Yuuri riflettevano il tremore delle sue mani mentre lo sfiorava e percorreva con delicate carezze la sua pelle, seta al contatto con la seta, con il timore di un semplice uomo di commettere un atto sacrilego, di imbrattare un capolavoro, come se tra le proprie mani e sotto il proprio corpo vi fosse cristallo puro e finissimo.

Lì, su quel raggio di luce si creava il perfetto equilibrio tra Eros e Agape. L'amore totalizzante e letale.

Il desiderio velato oltre quella lucentezza era vivo e vivido nel corpo di Viktor, lo percepiva nel profondo ogni volta che Yuuri si immergeva in lui, quando il tremore si trasformava in lussuria mascherata dalla parvenza di un autocontrollo, il desiderio tenuto a freno dalla consapevolezza di star profanando la cosa più preziosa in questo mondo.
C'era l'Oro incastonato in quegli occhi e Viktor fremeva per ogni pagliuzza dorata che riusciva a scorgere.

L'amore con Yuuri era oro. 
L'amore di Yuuri ne valeva di più.
Prezioso e raro.
E Viktor si concedeva con tutto se stesso a quell'amore, a quel tocco di Mida che lo trasformava e lo rendeva inestimabile.

Yuuri lo venerava come si venera una divinità, lo osservava in contemplazione come se fosse un'opera d'arte, eppure non si rendeva conto di essere lui stesso l'artefice di quell'opera, la divinità modellatrice del trascendentale e dell'immanente, della perfezione.

I baci di Yuuri erano petali di rose su un giaciglio di neve che ardevano, marchiavano la pelle lattea, sciogliendo il ghiaccio nel suo animo e in un istante sancivano la morte di anni di gelidi inverni.
Viktor ne era intossicato.
Quel Dio che lo contemplava dall'alto della sua posizione era Vita ed Amore, puro e limpido ed, ancora, egoista e bramoso.
Yuuri lo divorava con passione, lo trascinava nel piacere e Viktor desiderava potervi annegare, avido, agognava di morire in quei baci che potevano estirpargli il respiro, l'anima stessa.
Viktor non ne sarebbe mai stato sazio.
Il turchese fisso in quell'oro, incantato e attratto, immersovi fino a fondersi insieme.
Dita sottili tra ciocche d'ebano; mani pallide sul petto ardente, sulle larghe scapole di quell'uomo su cui un tempo, ne è certo, si ergevano immense ali.
Mute grida si elevano dalle gole dei due amanti. Le labbra si sfiorano, si cercano, i respiri mischiati, le lingue intrecciate.

Nessun suono, nessuna parola. Erano i cuori a urlare ad ogni battito, sempre più rapido.

Le labbra di Yuuri vennero catturate da una presa di perle. Mai Viktor avrebbe voluto lasciarle andare. Quelle labbra erano di sua proprietà e non mancò di marchiarle, saggiandole e sfiorandole con la lingua. Lo sguardo lascivo con cui osservava il suo amante era prova inconfutabile di quel desiderio insaziabile.
E Yuuri lo ricambiò con altrettanto fervore e lussuria.
Carezzò col muscolo caldo e bagnato quello dell'altro, continuando quella danza d'Agape ed Eros, mentre il suo sesso varcava nuovamente le porte del suo paradiso in terra.
 

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