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Autore: Raven_Phoenix    01/03/2017    0 recensioni
Spesso e volentieri essere inquilini in una numerosa palazzina non deve essere facile. Vite diverse, divise soltanto da una parete o da un soffitto, che però, ad un certo punto, si intrecciano inevitabilmente. Incrociarsi per le scale, chiedere in prestito qualcosa al vicino, litigare per il turno in lavanderia, spettegolare a bassa voce sulle scale, ritrovarsi per giocare a carte o per guardare insieme i Golden Globes awards...
Ryan Astor ne é forse solo in parte consapevole quando riceve le chiavi del suo primo appartamento, situato in un palazzo non proprio nuovo di zecca, pronto ad iniziare la sua nuova vita.
Non sa cosa l'abbia spinto a scegliere proprio quel posto in mezzo a tutti gli altri, ma appena inizia a fare conoscenza con i suoi nuovi vicini, in particolare la giovane e imprevedibile scrittrice Jane Heart, capisce che forse loro avevano bisogno di lui... o lui di loro.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ciao a tutti! 
Ehm... ok, in questo momento sono le 2.00 del mattino e io sono in ritardo mostruoso per postare questo nuovo capitolo, chiedo perdono! Sto cercando di sfruttare le vacanze per produrre il più possibile, e come primo punto mi sono prefissata questa fic, siccome l'avete letta in tantissimi (per i miei standard XD)!
Speravo di riuscire a mantenere una pubblicazione regolare, ma in questo periodo purtroppo non ho avuto tempo/le forze per fare qualsiasi cosa (dannato lavoro -.-), spero di riuscire a palesarmi il più possibile!
Non vi faccio attendere oltre e vi lascio al capitolo.
Buona lettura!



Capitolo 4:
 
 
Mi chiedevano sempre cosa volessi fare da grande, ma io non sapevo mai rispondere. Che ne sapeva una bambina di sei anni di cosa significava trovare uno scopo nella vita, che non si riduceva solo ad un banale lavoro? Tra le righe si parlava di quanti traguardi avrei voluto raggiungere, mia madre mi lanciava domande a trabocchetto per vedere se dessi segno di essere intenzionata a fare la brava donnina di casa, sposandomi il prima possibile e sfornando tre o quattro marmocchi, oppure se ci fossero dei segnali che io fossi predisposta ad essere lesbica.
Io invece a sei anni cercavo di scoprire se gli unicorni esistessero davvero, o se fosse possibile avere un vestito da principessa blu.
Poteva esserci una bambina  più felice di me con un vestito azzurro in groppa ad un unicorno?
E invece gli unici unicorni che avrei visto nel futuro sarebbero stati quelli che regalavo come premio ai bambini che non piangevano mentre si facevano fare un vaccino nello studio medico dove, goffamente, cercavo di esistere. Quando invece andava male mi ritrovavo con il rigurgito di qualche paziente nei capelli, e fu forse in uno di quei momenti che capii di essere sulla strada sbagliata.
Ma nonostante questo per diversi anni rimasi comunque Charlene, l’assistente di studio medico incapace di fare prelievi del sangue.
Suonava bene, no?”
 
-Grazie e arrivederci.- dissi con il solito sorriso di cortesia, guardando distrattamente la donna che aveva acquistato tutta soddisfatta un enorme dinosauro di peluche, dopo avermi raccontato quanto ci tenesse a fare bella figura con il suo nipotino, sperando che il suo regalo la facesse diventare “la zia preferita”, e blablabla…
La solita trafila che già mi ero abituato a sentire dopo i primi giorni di lavoro.
Il negozio di giocattoli era davvero ben fornito, e il capo era un signorotto corpulento e bonaccione che mi aveva dato da subito piena fiducia, senza controllarmi in maniera maniacale, lasciandomi la quasi completa autonomia.
Le uniche cose che dovevo sopportare erano i bambini viziati che si gettavano a terra frignando perché volevano a tutti i costi il nuovo mini-drone radiocomandato e i genitori esigenti, che controllavano tutto minuziosamente perché “sa com’è, con tutte le allergie che ci sono in giro bisogna essere prudenti!”.
Stavo iniziando a tenermi una lista mentale delle scene da circo migliori nel caso un giorno avessi mai deciso di darmi al cabaret.
Tutto sommato, però, come primo lavoro ufficiale della mia vita potevo ritenermi fortunato.
C’era solo un piccolo particolare che mi faceva desiderare di arrivare il più in fretta possibile a casa a fine giornata.
-Ciao, Mark. A Domani.- dissi quando finalmente arrivarono le 18.00.
-A domani! E mi raccomando, basta con il cibo spazzatura, eh? Ti voglio in forma!- sentii di rimando dal suo ufficio.
Feci una mezza risatina mentre uscivo dal negozio camminando a passo spedito.
Mark era uno di quelli fissati con la cucina casalinga e assolutamente contro ogni tipo di fastfood esistente sulla faccia della terra. Come biasimarlo, con i pranzetti che ogni giorno gli preparava amorevolmente sua moglie, una donnina adorabile che sembrava non fermarsi mai. Negli ultimi giorni “casualmente” aveva preparato porzioni fin troppo abbondanti, e sempre “casualmente” Mark insisteva perché ne prendessi un po’, nella speranza di convertirmi.
Andando avanti così avrebbe potuto riuscirci… il giorno in cui avrebbero smesso di produrre i cheeseburger.
 
“Dunque, se continuo di questo passo riesco a prendere l’autobus delle 18.05 e tra un quarto d’ora sarò a casa.” feci mente locale mentre cercavo di ignorare i crampi ai polpacci per quanto mi stavo sforzando di tenere un’andatura svelta.
I miei calcoli si rivelarono corretti, e 15 minuti dopo stavo sfrecciando fuori dall’ascensore con le chiavi di casa già alla mano.
Avevo solo un paio d’ore, e poi sarei dovuto andare da Jamie che mi aveva chiesto una mano per un “piano top secret”, a detta sua.
Lanciai le scarpe in un angolo e appesi la giacca in malo modo per poi lanciarmi verso la cucina giusto per prendere un bicchiere d’acqua.
Finalmente.
Mi lasciai cadere sul divano e presi il libro dal tavolino, dove l’avevo lasciato la sera prima.
Sì, il primo libro che avevo mai deciso di leggere di mia spontanea volontà.
Non riuscivo a credere che delle semplici parole stampate su carta scatenassero in me così tante sensazioni, e quella disperata voglia di sapere cosa sarebbe successo era quasi straziante.
Nonostante il libro di Jane fosse di dimensioni modeste i caratteri erano parecchio piccoli e concentrati, per non parlare della mia patetica velocità di lettura di chi negli ultimi quindici anni aveva letto al massimo le istruzioni sul retro dello shampoo per far passare il tempo quando era in bagno.
Procedevo lentamente, quando mi davo seriamente da fare avevo un’autonomia di un capitolo e mezzo prima di crollare dal sonno dopo cena. Avevo addirittura pensato di prendermi una scorta di Red Bull per stare sveglio e riuscire a leggere il più possibile, ma successivamente mi ero detto di volermi assaporare quei momenti completamente lucido e non in preda alla caffeina, a costo di metterci settimane o mesi.
Non avevo più avuto modo di incontrare Jane in quegli ultimi giorni, e una marea di domande mi frullavano per la testa. Come diavolo era riuscita a creare qualcosa di così…non trovavo la parola giusta per descriverlo.
La vita dell’anonima Charlene, caratterizzata da particolari deprimenti ad ogni pagina, era descritta con quel sottile filo ironico che quasi faceva passare inosservata qualsiasi tragedia, perfino la morte di Waffle, il coniglio, grasso e cieco da un occhio, che l’aveva accompagnata nell’infanzia.
A volte, mentre leggevo, mi sentivo un vero stronzo nello scoprirmi a ridere per una di quelle disavventure, ma era più forte di me, mentre in altri momenti potevo sentire il mio stomaco contorcersi per la tensione e la paura di voltare pagina per scoprire cosa sarebbe successo in seguito.
Di tanto in tanto scrivevo qualche domanda sulle note del cellulare, sperando che prima della fine del libro avessero una risposta, e che in caso contrario avrei posto a Jane quando l’avrei incontrata.
Mi chiedevo come avessi fatto a rimanere senza leggere libri fino a quel momento, se era sempre quella la sensazione che si provava, e non sapevo come mi sarei sentito quando sarei arrivato alla fine.
Drizzai le orecchie quando attraverso i muri sentii il suono ovattato dell’ascensore che si fermava sul pianerottolo.
Resistetti all’impulso di uscire e tartassare Jane, mi ero ripromesso di farlo alla fine del libro. Controllai quanto mancava; ero a più della metà, non ci avrei messo ancora molto.
Potevo resistere.
 
“Entrai in camera mia, lanciando la borsa sul letto e precipitandomi al computer, le mie dita che quasi tremavano nel cercare di accenderlo.
Speravo con ogni cellula del mio corpo che lui fosse lì, ad attendermi come sempre. Ogni volta fantasticavo sul suo volto, cercando di indovinare il colore degli occhi, i capelli, la forma dei suoi zigomi, le labbra… se solo avessi potuto vederlo, contro ogni regola per la perfetta prevenzione dai maniaci su internet.
Eccolo.
Wasp era online.
Non ero nemmeno riuscita a digitare un “ciao” che mi aveva già scritto lui per primo.
“Ciao, Bunny.”
Sorrisi cercando di controllare le mie mani mentre rispondevo.”
 
-Quindi mi stai dicendo che il libro parla di questa Charlene, che vive la sua vita monotona e ad un certo punto si innamora di un uomo online, che ovviamente vuole trovare e conoscere dal vivo. Che c’è di tanto originale?- chiese Jamie mentre tornava dalla cucina con due birre.
-L’originalità è per come è scritto. È… è formidabile.- erano cinque minuti buoni che cercavo di fargli capire, ma non ci stavo riuscendo molto bene.
Ovviamente non gli avevo detto che si trattava del libro di Jane, altrimenti sicuramente mi avrebbe ucciso.
-Fammi sapere come va a finire.- disse con poco entusiasmo –Dunque, ora parliamo del mio piano top secret.-
-Giusto.- cercai di fare mente locale e connettermi di nuovo al mondo reale.
-Tieniti forte- alzò le mani come per creare un momento di suspance –Ho bisogno del tuo aiuto per un appuntamento.-
Rimasi interdetto per un istante.
-…io?- chiesi titubante –Jamie, cosa ti fa pensare che io potrei darti una mano con un appuntamento?-
-Veramente… vorrei che tu mi aiutassi a far andare liscio il mio appuntamento. È che… è un po’ complicato. C’è una persona che non si deve assolutamente avvicinare, e sarebbe bello se tu mi facessi da palo.-
Ci capivo ancora meno.
-Ti prego, traduci.-
Il sorriso di Jamie si fece ancora più incerto.
-Vorrei… che tu uscissi con la mia ex ragazza.-
Calò il silenzio di tomba dove potevo quasi sentire la mia mascella scardinarsi.
-Che?- chiesi sperando di non aver sentito bene.
-La mia ex.-
-Tu sei matto.- risposi appoggiando la birra sul tavolo e passandomi una mano tra i capelli –Perché mai io dovrei uscire con la tua ex?-
-Te l’ho detto! È per tenerla occupata e non farmela piombare addosso mentre passo la serata con Eleonor. Ti prego- il suo tono assunse una nota disperata –Ogni volta che cerco di avvicinarmi a lei Trisha piomba lì come una pazza psicopatica e rovina tutto. Sono mesi che cerco di smuovere la situazione.-
-Usare appellativi come “pazza psicopatica” non mi fa vedere le cose in una prospettiva migliore.- replicai lanciandogli un’occhiataccia.
-Non ho mica detto che te la devi sposare. Devi solo, che so, portarla dall’altra parte della città per un paio d’ore mentre io cerco di far scattare la scintilla con Eleonor.- sospirò brevemente con aria sognante –Amico, se la vedessi ti innamoreresti anche tu. È così… così…- mimò con le mani quello che doveva essere l’imponente “davanzale” della suddetta Eleonor.
-Ma piantala!- lo fulminai di nuovo.
-Ti giuro che sarò in debito con te per tutta la vita. Potrai chiedermi qualunque cosa in cambio, non importa quando e dove, io correrò ad aiutarti.- mi guardò speranzoso.
Da una parte mi chiedevo perché mai dovessi sottopormi ad un palese disastro preannunciato per un ragazzo che in fin dei conti conoscevo da poco più di due settimane, ma dall’altra sentivo già quello che mi succedeva sempre più spesso da quando ero arrivato in quel posto.
Stava praticamente diventando irresistibile dire di no anche alla più stupida ed insensata delle richieste in quel palazzo.
Sbuffai prima di dare una lunga sorsata alla mia birra.
-Fammi almeno vedere una foto della pazza.- dissi infine arrendendomi platealmente.
Jamie lanciò un urletto per poi mettersi a cercare qualche foto al cellulare, e dentro di me già me ne pentivo dal più profondo del mio cuore.
 
“C’era un’ultima cosa che dovevo fare.
Presi coraggio e mi lasciai cadere pesantemente davanti al computer, sedendomi su uno dei miei ultimi bagagli.
Me ne stavo andando da quella vecchia vita, dovevo liberarmi di tutti i pesi che mi stavo inutilmente portando dietro, anche se ancora non sapevo dove tutti quei cambiamenti mi avrebbero portata. Stavo solo lasciando la casa dove avevo sempre vissuto, e non sarei andata nemmeno troppo distante, ma per me era un salto enorme, la fine di un’era, e doveva esserlo fino in fondo.
Feci scorrere velocemente le dita sulla tastiera e trovai subito il sito del gioco di ruolo, messo in evidenza per essere trovato subito.
Avevo pensato più volte in quei giorni a quello che avrei potuto scrivergli, ma ora che mi trovavo davvero davanti a quella schermata le cose si facevano estremamente più difficili. Avevo il cuore in gola e quella spiacevole sensazione che il mio cuore stesse per esplodere da un momento all’altro.
Presi un lungo respiro e mi misi a scrivere, cercando di trattenere le lacrime.
Non pensavo che gli addii fossero così devastanti.
Fui sicura di sentire qualcosa rompersi dentro di me mentre premevo invio.
Non rilessi il messaggio e non aspettai che lui rispondesse.
Feci quello che mai fino a poco tempo prima avrei pensato di fare.
Eliminai il mio profilo, come una passata di spugna sulla lavagna di scuola.
Non avevo salvato nulla, nessuna delle nostre lunghissime conversazioni, nemmeno le sue frasi dolci, le mie preferite, che leggevo e rileggevo nei momenti più bui e tristi per tirarmi su il morale.
Dovevo crescere, e non potevo farlo con lui.
Rimasi a contemplare quello spazio vuoto sullo schermo dove avevo praticamente vissuto negli ultimi anni, e alla fine sorrisi in mezzo alle lacrime.
Ora potevo iniziare a vivere davvero.”
 
Rimasi impietrito mentre fissavo quelle ultime righe, seguite da una pagina vuota. Rilessi più volte le ultime frasi nel caso mi fossi perso qualcosa, e cercai degli inesistenti segni di pagine mancanti che erano state strappate.
Era finito.
Avevo finito il libro, e mi sembrava di avere ancora più domande di quando l’avevo iniziato.
Per un momento mi sembrò di impazzire letteralmente, e qualcosa di simile ad una sete improvvisa mi assalì la gola.
Non poteva davvero finire così.
Mi alzai, lasciando il libro sul divano, ed iniziai a camminare come un animale in gabbia per casa non sapendo esattamente cosa fare.
E adesso?
Avevo finalmente trovato qualcosa da fare nella mia miserabile vita, mi sembrava di essere nato con l’unico scopo di leggere quel libro, e adesso che era finito non mi restava più nulla da fare per rendere il mio tempo libero avvincente.
“Calmati idiota, era solo un libro!” mi ripetei più volte cercando di stare calmo.
Prima o poi mi sarebbe passata… vero?
In quel momento di profondo silenzio sentii improvvisamente dei rumori fuori dalla porta di casa. Un mazzo di chiavi che tintinnava, dei passi smorzati dalla moquette del corridoio, e subito dopo l’inconfondibile rumore dell’ascensore che saliva e si fermava sul pianerottolo.
Fu più forte di me.
Mi infilai al volo le scarpe senza neanche stare a vedere se fossero allacciate e mi precipitai fuori di casa con il cuore che mi martellava nel petto.
Vidi Jane dentro l’ascensore, le porte si stavano iniziando a chiudere lentamente, e lei aveva appena alzato lo sguardo dopo aver probabilmente sentito il trambusto che avevo fatto.
Iniziai a correre come un idiota pregando di arrivare in tempo, e lei guardandomi stranita tese velocemente un braccio per bloccare le porte che si riaprirono con un cigolio di protesta.
-Ehi! Sei in ritardo, eh?- disse allegramente quando mi fui lanciato dentro all’ascensore con il fiato corto.
Quel giorno portava una giacca leggera di jeans nera, una gonna scozzese a pieghe, delle particolari calze sopra al ginocchio con quelli che mi pareva ricordare essere degli scettri di Sailor Moon disegnati sopra, e degli stivaletti con il tacco.
Presi un paio di lunghi respiri cercando di riprendermi il più in fretta possibile, e quando sentii di poter riuscire a parlare di nuovo la guardai forse con l’espressione più seria che avessi mai fatto in vita mia. Vidi i suoi grandi occhi verdi fissarmi incuriosita, e anche se sapevo benissimo che sarei andato incontro ad una figuraccia storica quasi assicurata le parole mi uscirono lo stesso come un fiume in piena.
-Perché rinuncia a cercare Wasp?- chiesi sentendomi un pazzo in piena regola.
Me ne stavo lì, in un ascensore, con una ragazza con cui avevo parlato a malapena due volte, chiedendogli dettagli di una storia immaginaria.
Jane mi guardò stranita battendo più volte le palpebre come se gli avessi parlato in una lingua straniera.
-Come?- chiese dopo un breve attimo di silenzio.
-Charlene!- esclamai –Perché proprio quando sta per essere libera dalle regole della sua famiglia rinuncia a cercare Wasp nella vita reale? Se ne sta andando di casa, era il suo piano fin dall’inizio! Io non… perché?- parlavo come una macchinetta, stentavo a riconoscermi io stesso, non ricordavo l’ultima volta in cui avevo fatto una scena del genere.
Lei rimase a fissarmi, gli occhi ancora più spalancati di prima, la bocca leggermente aperta, completamente allibita.
-L’hai letto davvero?- chiese con un filo di voce guardandomi come se fossi un alieno della peggior specie.
-Se l’ho letto? Cavoli, sì!- risposi con fin troppo entusiasmo –È… è dannatamente meraviglioso!-
Jane aggrottò leggermente le sopracciglia.
-Sei serio?- mi guardò con sospetto, e mi sembrava completamente assurdo che qualcuno stesse mettendo in dubbio quelle parole, come se per me fosse la cosa più ovvia del mondo.
-Certo che sono serio. E ti devo fare così tante domane che non so davvero da dove iniziare. Beh… in effetti l’ho già fatto, in realtà.- stavo iniziando a sentire un’ondata d’imbarazzo assalirmi, rendendomi conto di quello che avevo appena fatto.
Davvero mi ero appena catapultato fuori di casa lanciandomi all’inseguimento della mia vicina di casa per un semplice libro?
-Credevo che me l’avessi chiesto solo per fare un gesto carino.- disse lei titubante.
-No, ero serio.-
-E… quindi ti è piaciuto.-
-Da morire.-
Calò di nuovo un imbarazzante silenzio mentre l’ascensore scendeva borbottando fino al pian terreno.
Jane sembrava senza parole, come se gli avessi appena rivelato il segreto dello scopo della vita, guardava a terra mordendosi il labbro inferiore e scuotendo leggermente la tesa.
-Perché sembri così sorpresa che mi sia piaciuto?- stavolta fu il mio turno di guardarla stranito –Ti… ti dispiace che l’abbia letto?-
Lei parve come risvegliarsi da un sogno ad occhi aperti.
-Oh, no! Non mi da fastidio!- balbettò incerta –Figurati, altrimenti non te l’avrei mai lasciato. È che… sei sicuro che ti sia piaciuto?-
Alzai un sopracciglio.
-Al 100%.- risposi convinto –Non vedo quale sia il problema. È una bella storia, anche se lascia un sacco di punti in sospeso. Dimmi che stai lavorando ad un secondo libro, ti prego.-
Contro ogni previsione scoppiò in una risatina, come se avessi appena detto una barzelletta.
-Sei pazzo? Certo che no!- rispose con particolare enfasi facendo una smorfia –Non hanno nemmeno voluto pubblicare questo, figurati se dovessero essere interessati ad un seguito. Effettivamente come dar loro torto, è un racconto talmente campato per aria e stupido che mi stupisco se non l’hanno direttamente buttato nella spazzatura.-
La guardai come se avesse appena detto un’eresia.
-Starai scherzando, spero.- dissi sentendomi quasi “offeso” dal fatto che avesse appena usato quegli appellativi spregevoli.
Lei sbuffò.
-Oh, andiamo. Non puoi dirmi davvero che lo vedresti bene in vendita nei negozi o come oggetto di discussione nei gruppi di lettura. È talmente… banale.-
-Ce lo vedrei benissimo. È vero, forse non parla di qualche supereroe innovativo che scoprirà venti nuove galassie vivibili salvando il mondo intero dal surriscaldamento globale, ma è bello lo stesso. Forse è proprio quella semplicità a colpire, anche se non lo chiamerei mai banale.-
Rimase a guardarmi di nuovo incredula per poi alzare le spalle mentre le porte dell’ascensore si aprivano sull’atrio.
-Se lo dici tu- disse per nulla convinta –comunque non succederà mai in ogni caso. Rimarrà per sempre un racconto campato per aria che nessuno vorrà mai pubblicare. E mi spiace ma no, non scriverò un seguito.-
Iniziammo a camminare in direzione dell’uscita.
-Però era in programma, vero?- tentai di non darmi per vinto. Volevo delle rispose, o almeno volevo tentare di ottenerle.
Jane si morse nuovamente il labbro.
-Non proprio.-
-Cioè?- incalzai speranzoso.
-Beh, ogni scrittore alla fine pensa sempre a come avrebbe potuto mandare avanti un lavoro anche dopo il ventesimo volume. Deformazione professionale, suppongo.-
-Quindi qualcosa c’é.-
Abbozzò un sorriso picchiettandosi l’indice su una tempia.
-Solo nella mia testa.-
Fummo interrotti da quello che poteva sembrare una valanga che precipitava giù dalle scale, anche Clod dalla sua postazione alzò gli occhi da dietro la sua rivista.
-IVANKAAAA!-
Era indubbiamente la voce di Alec.
-Gesù, non di nuovo.- disse Clod passandosi una mano sul viso.
Vidi anche Jane alzare gli occhi al cielo quasi disperatamente.
-Ci risiamo.- mormorò.
Alec arrivò trafelato, sembrava l’ansia in persona vestita con una discutibile camicia a quadri blu e bianca.
-Oh! Jane! Per fortuna sei qui! Tu sei brava a cercare, tu trovi sempre mia Ivanka.- sembrava avesse appena avuto una visione.
-Alec, stai tranquillo. Salterà fuori come sempre, vedrai. Io adesso non posso aiutarti, sto andando a lavoro.- replicò lei dandogli un leggero colpetto sulla spalla. Poi il suo sguardo si posò improvvisamente su di me, e la vidi cambiare espressione –Però potrebbe aiutarti Ryan! Sono sicura che anche lui è un ottimo cercatore.-
Spalancai gli occhi, piombando nel panico.
-Cercatore di cosa?- mormorai titubante.
Alec tirò fuori con le manone tremanti il cellulare e mi mostrò lo sfondo. In primo piano c’era il paffuto musone di un Maine Coon rossiccio dall’aria gigantesca.
-Scappa sempre quando lascio porta aperta per portare fuori spazzatura. È proprio ragazzaccia, ma io non vivo senza lei!- disse Alec guardando con apprensione l’immagine.
-Ah… è solo un gatto.- dissi più per tranquillizzare me stesso; per un attimo avevo avuto paura che tenesse una moglie segreta rinchiusa in un armadio, o alla peggio, un orso.
-È l’amore della mia vita.- tornò a guardarmi speranzoso –Davvero tu potresti aiutare a cercare mia Ivanka?-
Sembrava sul punto di scoppiare a piangere come una fontana.
-Beh, effettivamente oggi sono libero.- dissi esitante, temevo che la ricerca di Ivanka non comprendesse l’infilarsi nei condotti dell’aria o roba simile.
Ancora prima che potessi dare una risposta concreta mi ritrovai sollevato da terra da un abbraccio di Alec che mi tolse il respiro.
-Grazie! Grazie giovane Ryan!- urlò facendo rimbombare il suo vocione per tutto l’atrio.
-Patetico.- commentò Clod da dietro la sua rivista.
Jane dal canto suo ridacchiò.
Notai fugacemente che le si creavano delle piccole fossette sulle guance quando rideva. Non me ne ero mai accorto prima.
-Bene, quindi posso andare tranquilla?- chiese lei soddisfatta.
-Credo di sì.- dissi cercando di sforzarmi per sorridere a mia volta.
-Fantastico! Allora fatemi sapere quando la trovate, così sarò più tranquilla.- disse prima di incamminarsi verso il portone in un fruscio della gonna scozzese e il ticchettio dei tacchi sul pavimento. Rimasi a fissarla finché non fu uscita.
Una tossicchiata alle mie spalle mi fece tornare con i piedi per terra.
-Eh?- dissi forse a voce un po’ troppo alta.
Trovai Clod fissarmi con un sorrisetto sospetto.
-Asciugati la bava, ragazzino.- commentò divertito facendo finta di sistemare alcune scartoffie sulla scrivania.
Rimasi a fissarlo esterrefatto.
-Io non sbavo.- sbottai cercando di non arrossire.
-Certo, come no.- replicò lui facendomi il verso.
Stavo per ribattere di nuovo quando Alec mi prese per un braccio trascinandomi con lui.
-Tu puoi iniziare da locale bicilette, eh? Io controllo cantine.- disse senza aver minimamente sentito il discorso di me e Clod, fortunatamente.
In men che non si dica mi ritrovai a strisciare per terra, guardando ogni possibile buco dove si sarebbe potuto nascondere un gatto, senza troppo successo. Passai in rassegna tutto, poi mi spostai nella lavanderia.
-Andiamo, dove può essersi nascosta un’immensa palla di pelo?- mormorai aprendo tutti gli armadietti.
Fu all’ultimo momento, quando stavo per uscire pensando a quale altro locale avrei potuto controllare, che intravvidi un guizzo rossiccio da dietro l’asciugatrice.
Mi avvicinai cautamente e rividi per un istante una lunga coda tigrata spuntare dal minuscolo spazio tra la macchina e la parete. Vidi subito un paio di occhi gialli che mi fissarono come per dirmi di farmi i fatti miei.
-Ciao, Ivanka.- dissi sperando che non decidesse di usarmi come tira graffi nei prossimi trenta secondi.
 
Un Alec al settimo cielo mi obbligò ad andare da lui, offrendomi da bere i liquori più innominabili che avevo paura potessero bruciarmi le interiora, ed insistendo perché mi fermassi per il pranzo. Chiamò anche Pam, Frank (le loro divergenze per il bucato si erano appianate… per ora) e un’altra donna che non avevo mai visto di nome Giulia, che viveva con suo marito nell’appartamento accanto.
Andò a finire che partirono scommesse a braccio di ferro e discussioni generali su gatti, cibo, la società corrotta, spogliarelliste, negozi di dolci, e alle cinque di pomeriggio mi ritrovai finalmente a casa mia, con la testa che mi girava come una trottola e la pancia piena come se fossi al novantunesimo mese di gravidanza.
Mi lanciai sul divano, intenzionato a non fare nulla se non riprendermi guardando programmi inutili alla TV.
Era stato il giorno libero più pesante che avessi mai avuto.
Una decina di minuti dopo mi stavo per addormentare quando sentii vibrare improvvisamente il cellulare. Pensai che fosse Jamie (l’unico che mi scriveva, a parte qualche sporadico messaggio di George per sapere come andava), ma rimasi sorpreso di vedere un numero mai visto prima.
 
“Ciao, Ryan ^__^/
ho chiesto ad Alec se poteva passarmi il tuo numero, volevo sapere come stava andando la ricerca di Ivanka senza che lui mi chiamasse in lacrime. ma mi ha detto che l’avete già ritrovata! Great job!
J.”
 
Sentii qualcosa di simile ad una carica di dinamite che esplodeva nel mio cervello quando compresi chi mi aveva scritto, facendomi alzare di colpo e pendendomene subito dopo quando sentii la mia testa esplodere.
Dannato alcol.
Cercai di darmi una calmata e pensai a cosa rispondere.
Iniziai almeno una decina di volte il messaggio, con le dita che sembravano essere in preda ad un morbo di Parkinson temporaneo, sbagliando anche le parole più facili. Lo riguardai più volte prima di inviarlo, e rimasi come un cretino ad aspettare che lo leggesse. Chi aveva inventato le due spunte blu era decisamente un sadico masochista.
 
“Ciao, Jane!
Nessun problema, hai fatto ben.! Alla fine Alec non ha pianto(troppo). Puoi stare tranquilla, emergenza passata! Spero non la perda di nuovo, o almeno non troppo presto, non so se posso resistere ancora ad un suo banchetto di ringraziamento.”
 
Quasi subito vidi comparire le spunte blu, e che stava scrivendo di nuovo.
 
“Oddio, dimmi che non ti ha fatto sbronzare.”
 
Sogghignai.
 
“Più o meno.”
 
“Prendi un’aspirina prima di dormire, o domani dovrai darti malato a lavoro.”
 
“Dici? Sembra che parli per esperienza.”
 
“Ho ritrovato Ivanka parecchie volte.”
 
“Sei pazza!”
 
“Me lo ripeto ogni giorno, ahahah!”
 
“Bene, allo seguirò il tuo prezioso consiglio, grazie!” esitai un momento, non sapendo se potessi sembrare troppo invadente. “Stai ancora lavorando?”
 
Non sapevo realmente perché sentissi quell’improvviso impulso di mandare avanti quella chiacchierata improvvisata. Sentivo solo che conversare con lei mi faceva sentire estremamente… bene.
Il cellulare vibrò di nuovo.
 
“Sì, ma ancora per poco. Oggi chiudiamo prima, grazie al cielo! Oggi è terribilmente noioso, vorrei essere al tuo posto intenta a farmi passare la sbronza invece di essere qui.”
 
“Allora ti lascio lavorare in pace, cerca di resistere!”
 
“Ci proverò, mal che vada se sentirai parlare di un omicidio in una libreria saprai il perché. Ci sentiamo!”
 
Il breve scambio di messaggi terminò così, senza ulteriori giri di parole, mi sembrava decisamente un po’ troppo cercare fare ulteriori domande senza sembrare uno stalker, anche se avrei voluto chiederle qualche altro dettaglio su “Charlene”.
No, avrei tentato un’altra volta, era meglio non affrettare le cose.
Mi capitò più volte, però, di controllare il cellulare sperando di veder arrivare qualche nuovo messaggio.




Ed ecco che il nostro Ryan inizia ad adattarsi sempre di più al suo nuovo "stile di vita"... che lo voglia o no! XD 
Riuscirà a sapere qualcosa di più su "Charlene" o é destinato a brancolare ancora nel buio per chissà quanto tempo?
Fatemi sapere cosa ne pensate e se questo capitolo vi é piaciuto!
Un grazie infinito a tutti i lettori! 
Raven :3
  
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