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Autore: sour_greentea    02/03/2017    0 recensioni
Il problema era proprio quello. Serge abbassò lo sguardo sull’ormai gelida carcassa che teneva fra le braccia. Riusciva a precepire il dolce tepore, che aveva animato quel corpo fino a poco prima, scivolare via.
Di nuovo.
Ormai non soffriva nemmeno più. Non perché avesse smesso di amarla, ovviamente: non avrebbe cessato mai. Ma aveva ormai raggiunto uno stato di gelida accettazione, privo di qualsiasi dolore o amarezza. Si alzò in piedi, diretto fuori e, armatosi di pala, cercò con lo sguardo per metà cieco un posto abbastanza ampio dove sarebbe stata comoda. Non che importasse davvero. Aveva anche pensato di scavare una specie di fossa comune e, nonostante lei non avrebbe dovuto condividere la propria tomba con nessun...altro, gli pareva comunque irrispettoso. Trovava già irrispettosa la sepoltura “di fianco”. Ogni volta le chiedeva, con quanta più leggerezza possibile, come avrebbe voluto essere sepolta. Lei dapprima spalancava gli occhi, per poi scoppiare in una limpida risata. “Di fianco! Almeno sarei comoda!”
Il ragazzo aveva già preparato la targa che avrebbe funto da lapide, insieme alla semplice cassa in legno. Si trattava, come sempre, di un semplice rettangolo in ferro battuto, sul quale erano incise cifre; in quel caso, 177.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Incest, Incompiuta
Capitoli:
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Rozen riaprì le palpebre e il buio l'avvolse. Per un attimo credette addirittura di non aver aperto gli occhi. Poi la voce di James le giunse flebilmente alle orecchie e gli ultimi avvenimenti le tornarono alla memoria. Il ragazzo era tornato da lei e aveva deciso di portarla via il giorno del suo diciannovesimo compleanno. Erano quindi partiti, lei non aveva idea di dove stessero andando ma James sembrava saperlo, perciò aveva deciso di non fare domande, minimizzando il rischio di irritarlo inutilmente. La voce del giovane le giunse di nuovo, meno ovattata di prima. Il suo tono sembrava alterato. Rozen si voltò nel letto scomodo dell'ostello nella quale avevano deciso di alloggiare momentaneamente, e vide una flebile luce attraverso la fessura della porta. Si alzò, fece alcuni passi verso di questa, e nello stesso istante nel quale poggiò le dita sul pomello, la porta si aprì. -Che stai facendo? Credevo stessi dormendo.- le chiese James. -Sì, stavo dormendo, ma...- cominciò la ragazza. Non sapeva cosa dire.

-...ma devo...- continuò in tono imbarazzato e lasciò la frase in sospeso, aspettandosi che James capisse comunque. Ora che ci pensava, aveva davvero bisogno di trovare una latrina. -Credo siano fuori dalla locanda. Ti accompagno.- Rozen lo fissò. -Non ce n'è bisogno...- mormorò. -Non te lo stavo chiedendo. Ti accompagno. Una stupida ragazzina come te potrebbe perdersi addirittura durante un tragitto così breve. O potrebbero rapirti. Siamo nel bel mezzo della parte povera della città, dopotutto.-

 

Avere James che aspettava finisse i suoi bisogni a pochi metri di distanza la imbarazzava a morte. Per qualche motivo, però, la tranquillizzava anche un po'. Non era mai stata in città, da quel che ricordava, ed era tutto così spaventoso. Vi erano diverse...creature. Alcune le aveva viste rappresentate su quel pesante libro che James le aveva regalato, mentre altre le risultavano completamente nuove. La città era così caotica. Piena di colori, “persone”, oggetti di vario tipo...O almeno così era la città nella quale si trovavano adesso. Chiamata Dithral e posizionata presso una delle Grandi Acque, era una località portuale che ospitava un'enorme varietà di razze, oltre ad essere un punto crucialmente importante per il commercio con le contee vicine. Nonostante si trattasse di un centro commerciale importante, la città era molto povera, e se accanto al porto vi erano alcune locande ed ostelli dall'apparenza abbastanza decente, più ci si allontanava e più la qualità delle strutture scendeva. A non poi così tanti piedi dal porto cominciavano a trovarsi le prime capanne. Anche i globuli di luce dorata che fluttuavano a mezz'aria e che illuminavano le strade sterrate si facevano sempre più rari, man mano che si entrava nella parte povera della città. Rozen era terrorizzata dal buio, ma quello non era più stato un problema dal momento in cui James le aveva regalato quel vecchio libro. In una lingua che Rozen sapeva di non aver mai studiato ma che riusciva comunque a decifrare, erano scritti un sacco di “trucchetti”, fra i quali c'era anche la rscetta per creare dei piccoli globuli di luce fluttuanti, che illuminavano poco, ma comunque abbastanza perché lei riuscisse ad avere sonni tranquilli. Un altro motivo per il quale era grata a James di averla accompagnata era perché all'esterno dell'ostello tutto era in penombra.

 

***

 

-Anne! Ti aspettavo!- esordì Oron una volta aperto il pesante portone in legno. Quella che aveva di fronte era una bellissima ragazza, dal volto a cuore e dai tratti delicati, angelici. I suoi capelli erano biondi e andavano a formare dei boccoli perfetti, mentre la sua fronte era coperta da un frangione dritto, che terminava appena sopra un paio di fari, di un viola profondissimo. Il suo nasino era piccolo e perfettamente al centro del viso, mentre la bocca era minuscola e le labbra, sottili e rosee, dischiuse. Infine, la sua pelle era liscia e bianca, diafana, come se non avesse già quell'aspetto perfetto e irreale, da bambola di porcellana. Anne gli rivolse un educato cenno del capo, prima di farsi strada nel basso e buio corridoio. Oron chiuse il portone e la seguì, sorridendo. Era un giovane bänt, di statura media e dalla pelle molto chiara. I suoi capelli erano di un purissimo bianco e abbastanza lunghi da coprire le orecchie leggermente a punta, le quali erano state ripetutamente bucate e mostravano ancora le cicatrici. Forse era quello il motivo per il quale lasciava i capelli crescere, aveva pensato Anne, una volta. Gli occhi di Oron erano piuttosto allungati, di uno slavato color fango, e stonavano pesantemente col candore della pelle e dei capelli. La zona che andava dagli zigomi, alti, al naso, né troppo lungo né troppo corto, era ricoperta di efelidi. La sua figura snella, poi, era nascosta da una pesante tunica blu, che gli arrivava fin sotto le caviglie e che aveva arrotolato all'altezza dei gomiti, rivelando un paio di avambracci lunghi e delle grandi mani, le cui dita erano però affusolate. La tunica era fermata in vita da una cintola in cuoio, che, oltre a stringere il tanto tessuto in eccesso e a mostrare i fianchi effettivi del ragazzo, reggeva il peso di quello che sembrava essere il fodero di un pugnale. -E così sapevi che sarei passata?- chiese la ragazza, una volta entrata nel piccolo salottino e accomodatasi sul minuscolo divano rudimentale, unico mobile presente, oltre ad un basso e minuscolo tavolino. Questa stanza si trovava sotto terra, adiacente ad una sala più ampia ma comunque di dimensioni abbastanza ristrette, nella quale si trovavano appena una libreria, dalla fattura scialba, e un tavolo con un paio di sedie dallo schienale troppo alto. Sulle pareti di entrambe le camere erano appesi disordinatamente alcuni disegni e mappe, certi abbastanza chiari e interpretabili, mentre altri erano molto stilizzati o complicati. -Ti ho sognata stanotte- rispose semplicemente il ragazzo, sedendosi accanto a lei e scrollando le spalle. Nonostante fosse considerata la pecora “nera” dei bänt, il suo potenziale magico era enorme e nettamente sopra la media, mentre le sue doti semplicemente straordinarie. All'età di tre anni aveva spontaneamente eretto un campo di forza tale da respingere qualsiasi forma di magia nel raggio di trenta piedi - una cosa inaudita per la comunità di bänt nel quale viveva. Erano stregoni ed indovini, certo, ma le loro capacità derivavano da allenamenti estenuamenti che duravano decenni. Poi c'era Oron. Le labbra della ragazza formarono una piccola “o”, e lui sorrise a quella reazione. Nonostante si conoscessero da molto tempo, Anne finiva spesso per dimenticare tutti i poteri che il ragazzo possedeva, e lui adorava le reazioni ingenue che aveva quando se ne ricordava. O meglio, le adorava tutte. -Sai anche perché sono qui?- chiese lei. -Sono abbastanza sicuro che abbia a che fare con l'Un.- ribattè lui. -Zio Ilic aveva trovato una ragazza che era convinto fosse l'Un, e voleva darla in moglie a mio cugino. Lei però sembra sparita...e zio Ilic è furioso. Ha mandato Tenner a cercarla, però...- Anne si interruppe e abbassò lo sguardo. -Non voglio che se ne vada. E...e se, una volta trovata, lei gli facesse il lavaggio del cervello o qualcosa del genere? Se è davvero l'Un potrebbe farlo, e...- Oron la fissò. -Quindi cosa vorresti fare?- chiese subito dopo. -Vuoi andare alla ricerca dell'Un anche tu?- fece in tono sarcastico, e Anne rimase in silenzio per alcuni istanti. -Non puoi farlo, Anne!- esclamò allarmato il ragazzo. -Ma... devo riportare Tenner qui...- -Non se ne parla.- Lei si voltò completamente verso il ragazzo. -Oron...- mormorò in tono supplichevole. -Mi serve il tuo aiuto. Non ti chiederò di venire con me, ma...- -Credi di poterci andare da sola? Alla ricerca di una ragazza che potrebbe essere anche quella più comune?- Anne lo fissò. -Ho una brutta sensazione. È come se sapessi che gli accadrà qualcosa. Non voglio che succeda qualcosa a Tenner.- -Nemmeno io. È come se fosse un fratello per me, lo sai. Ma è un uomo adulto e saprà badare a sé stesso; oltretutto dubito che intraprenderà un viaggio del genere da solo. Tu invece, sola, cosa saresti capace di fare?-. La ragazza restò in silenzio per diversi istanti, e abbassò lo sguardo. -Se lui sapesse che sei partita a cercarlo finirebbe solo per preoccuparsi inutilmente, e non riuscirebbe a concentrarsi sull'Un. E il signor Vorgen sarebbe tremendamente contrariato. Oltretutto... da quanto tempo non vedi Tenner? Abitate così lontani uno dall'altra. Magari potrebbe essere cambiato. Anzi, sono certo che non sia più il bambino capriccioso che conoscevamo. Perciò- Anne lasciò vagare il proprio sguardo sul muro di fronte a sé. -non ha senso voler andare a cercarlo. Non gli accadrà nulla, te lo prometto.-

 

***

 

Una volta tornati nella stanza, Rozen si infilò rapidamente nel letto, ed esalò un piccolo respiro. Spalancò poi gli occhi ed incollò le coperte al proprio petto, mentre davanti ai suoi occhi apparivano cose. James si stese accanto a lei e la fissò senza troppo stupore o interesse. L'immagine, che solamente gli occhi della ragazza riuscivano a percepire, mostrava gli stessi bambini della prima volta, ma più chiaramente. Rozen riuscì a distinguere che si trattava di un maschio e di una femmina. Erano ancora voltati di spalle, ed entrambi avevano i capelli di un bellissimo color bronzo. La bambina indossava una tunica bianca ed era a piedi nudi, mentre il bambino, che la teneva per mano, era completamente vestito di nero. Rozen riuscì poi a distinguere che entrambi avevano qualcosa in mano, ma non riuscì a concentrarsi abbastanza per capire cosa fosse, perché la visione sparì. -Rozen, tesoro.- sentì chiamare da James. La ragazza sbattè le palpebre, e i suoi occhi misero a fuoco la figura di James, piegata su di lei.

-Mmh...?- mormorò lei, abbassando le palpebre e prendendo un respiro. -Cos'è stato?- fece il ragazzo, come se già non sapesse esattamente cosa stesse accadendo. -Ho...visto dei bambini che si tenevano per mano, ma...non credo di aver mai assistito ad una scena simile, e non è nemmeno la prima volta che ho questa specie di visione.- Rozen avvertiva un dolore remoto dietro gli occhi, e riusciva a percepire lo sguardo tagliente di James su di sé. La stava fissando. Perché la fissava...? Cosa stava pensando? Non era normale credere di vedere cose. James...stava pensando che fosse pazza? Si coprì il volto con le mani. -Sono pazza...?- singhiozzò. Il ragazzo corrugò le sopracciglia. -Cosa?- fece. Quella ragazza...diamine, era così strana. Lo era sempre stata, ma James, col tempo, aveva cominciato a capire come funzionasse quella testolina rossa, come ragionasse. Ultimamente, però, era...diversa. Il ragazzo spalancò leggermente le palpebre. Aveva già cominciato a deteriorarsi? Com'era possibile?! Non era mai successo prima d'ora. Però erano sempre stati diversi fra loro, perciò James non poteva basarsi su dati certi. Dannazione... -James...- Il ragazzo fu riportato alla realtà da quel sussurro. -Cosa c'è?- fece lui. Questa risposta brusca scosse ancora di più Rozen, che singhiozzò: -Mi odi...? ...mi odi...- James le prese i polsi e li scostò dal volto di lei, per poi fissare i suoi occhi verdissimi in quelli grigi della ragazza.

-Rozen.- chiamò. -Non ti odio. Perché dovrei, stupida?-

 

 

 

Il mattino successivo decisero di andare a visitare un mercato. Gli abiti di entrambi erano decisamente troppo vistosi e, se James poteva permettersi di girare tranquillamente indossando i propri ricami intricati, per Rozen la cosa era molto diversa. Era terrorizzata all'idea che suo padre, furioso, avesse sparso la voce e che l'avesse mandata a cercare. I ricami della famiglia Vorgen erano argentati, fitti e vistosi, oltre ad essere abbastanza famosi in tutto il Continente: i Vorgen erano sempre stati dei ricchi mercanti e avevano girato moltissimo, dopotutto. Nella folla era impossibile procedere uno accanto all'altra, anzi, sembrava proprio impossibile procedere. James si fece strada fino ad una bancarella che vendeva vari tipi di abiti e ne scelse uno per Rozen. Era semplice, di un arancione slavato, quasi pastello, a maniche lunghe e che le sfiorava le ginocchia. I polsi e lo scollo erano rifiniti da una piccola striscia viola, così come la cintola sottile che aveva in vita. Rozen lo provò, nonostante non le piacesse particolarmente, e l'assenza di un corpetto che le comprimesse la vita la faceva sentire a disagio. -Lo prendiamo- fece James appena la vide con quell'abito addosso. Acquistarono poi un paio di semplici calzari in cuoio, abbastanza comodi, che avevano un'adorabile striscia sulle caviglie. Una volta finiti gli acquisti, provarono ad allontanarsi dalla folla e si rifugiarono in una minuscola locanda. Mentre mangiavano la zuppa giallastra, James notò una figura bassa affacciarsi dall'altro lato della finestra, dietro Rozen. I loro sguardi s'incrociarono, e la figura si allontanò velocemente. “Maledetti wehn” pensò, tornando a rivolgere le proprie attenzioni al piatto che aveva di fronte. I wehn erano dei mostriciattoli dalla fattezze quasi umane, ma bassi e gracili, con braccia sproporzionatamente lunghe rispetto al resto del corpo. Non erano dotati di naso, e perciò del senso dell'olfatto, ma il loro senso dell'udito è eccezionale, così come la loro agilità. Sono infatti principalmente ladri, e il colore della loro pelle varia dal verde al giallognolo.

 

Una volta che i due furono usciti dalla locanda, notarono che il sole era già basso nel cielo e che la folla era quasi completamente sparita: vi erano infatti pochissime persone, che si stavano tutte affrettando per tornare a casa. Nella luce aranciata del tramonto, Rozen e James chiaccheravano tranquillamente, mano nella mano. Il ragazzo sorrise e distolse per un instante lo sguardo da Rozen, voltandosi verso la strada di fronte a sé. La voce della ragazza si interruppe improvvisamente, e appena James avvertì l'assenza della mano di lei nella sua si voltò allarmato. Rozen cadde a terra con un tonfo, e accanto a lei vi era il wehn che James aveva visto fuori dalla locanda, prima. Notò con orrore che sul polpaccio della ragazza v'era un graffio profondissimo, che andava dalla caviglia all'altezza del ginocchio. Il wehn rise, ed afferrò il borsello in cuoio che Rozen aveva attaccato alla cintura. James percorse in un istante la distanza che c'era fra loro e gli saltò addosso, afferrandolo per il collo. -Ora, se non vuoi morire- cominciò fra i denti. -Mi dirai se sei uno di quei bastardi di tipo velenoso.- Il wehn sorrise, annuendo.

-Non ci sarà nessun altro Un.- ribatté semplicemente. -Lunga vita ad Enohr!- fece poi, artigliandogli gli avambracci e liberandosi. James tentò di riafferrarlo, ma fallì e quel mostriciattolo sparì fulmineamente dietro un palazzo. Il giovane decise di non rincorrerlo e, piuttosto, di portare Rozen da uno stregone. Non sapeva se quella bestia fosse davvero velenosa, ma, nel caso, non aveva idea di quanto tempo il veleno avrebbe impiegato per entrare in circolo. Non poteva rischiare di perderla. Non ancora. Erano appena partiti, dannazione!

 

 

Il sole era già tramontato quando gli studi di Oron vennero interrotti da un incessare bussare al portone. “Non si è ancora arresa, eh?” pensò, alzandosi e andando ad aprire. La figura che si trovò davanti, però, non era quella minuscola di Anne. -Sei Oron, lo stregone?- chiese la voce profonda del ragazzo biondo davanti a sé. Fra le braccia reggeva il corpo addormentato -sperò Oron- di una ragazza esile, dalla pelle chiara e dai capelli di fuoco. Il netto contrasto fra la pelle quasi cadaverica di lei e quella olivastra dell'altro ragazzo si notava specialmente dal contatto diretto fra la pelle delle mani di lui e le ginocchia di lei, nel punto in cui lui la teneva. Oron spalancò gli occhi, notando la ferita sanguinante su uno dei polpacci della ragazza. -Sono io. Diamine, entrate.- fece. Chiese al ragazzo di stenderla sul tavolo e cominciò a tastare l'area attorno alla ferita. Era gonfia e violacea, come se il sangue si fosse già accumulato sotto pelle. -Com'è se l'è procurata? Credo sia del veleno. Una ferita del genere non dovrebbe essere così gonfia e di questo colore.- analizzò Oron, voltandosi verso il biondo. Lui continuò a fissare senza nessuna particolare espressione il volto della ragazza. -Siamo stati attaccati da un wehn.-

   
 
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