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Autore: roughgirl    03/03/2017    4 recensioni
1870, Inghilterra.
La giovane bella, caparbia e ribelle Jane Lewis deve lottare contro la mentalità contorta di un Ottocento pieno di pregiudizi e correnti ottuse che vedono la donna sottomessa dell'uomo ma, soprattutto, deve combattere quotidianamente contro le rigide regole di sua madre che, dopo la morte improvvisa della graziosa sorella, deve rassicurare trovando un buon partito, nonostante la sua opposizione.
Ma se ad un ricevimento incontrasse due occhi glaciali pronti a sbranarla o a salvarla? E se questi occhi appartenessero a un affascinante e arrogante ex capitano di marina, William, che si rivela un diavolo con un passato offuscato? Saranno scintelle d'odio, e poi? Amore?
Dal testo:
"Come vi permettete?! Mi state dando della brutta, della istupidita e della vigliacca!" Alzò il tono, ormai con la ragione offuscata: quegli aggettivi avrebbero fatto alterare anche una sgualdrina.
"Vedremo se mi considererete ancora vigliacca quando vi prenderò a pugni con le mie stesse mani." Continuò digrignando i denti.
Ormai la situazione stava degenerando e addio per la seconda volta alle buone maniere con quello sconosciuto.
"Oh, non osereste mai colpire William Stevens, ragazzin..." non finì la frase che si ritrovò cinque dita ben stampate e marcate sulla guancia sinistra.
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Allora, prima del capitolo stesso, volevo iniziare col ringraziare tutte le persone che continuano ad aggiungere questa storia alle preferite, seguite o ricordate, un grazie speciale a chi ha recensito lo scorso capitolo: OutOfMyMind, ceccia_96, aurora96, Giovy4578 e from2001.
Sapere il parere di persone che apprezzano la storia, mi fa sempre piacere!
Detto ciò, ci ho messo molto impegno a scrivere questo, particolarmente lungo. Aspetto di sapere quel che ne pensate.

P.S. Tutte le notizie storiche sul suffragio universale qui riportate sono assolutamente vere, in quanto accadute contemporaneamente al periodo della storia narrata.

Buona lettura.

~~~ ~~~ ~~~ ~~~ ~~~ ~~~ ~~~ ~~~ ~~~

"Stringi, Marianne, stringi!"
Ancora, ancora diceva 'stringi'?!
Ma non la vedeva, sua madre, che stava seriamente rischiando di morire per soffocamento?

"Basta, Marianne, non riesco più a respirare!" Controbattè la giovane esausta.
E poi le chiedevano perchè odiasse tanto quei maledetti bustini e ne avesse quasi la fobia.
"Non ascoltare mia figlia, e continua a stringere. Qualche volta deve pur far risaltare la vita stretta che la natura le ha donato! Tu continua a stringere, Marianne. E tu!" Disse puntando sua figlia.
"Tra quindici minuti devi trovarti giù con quel vestito!" Indicò lo stesso sul letto.
Detto ciò, mrs. Lydia girò i tacchi e uscì con il solito portamento altezzoso dalla stanza.

Jane subito ne approfittò per allargarsi quell'oggetto di satana, contorcendosi e agitandosi come una contorsionista senza risultati.
"Dannazione, Marianne allarga questa tortura!" Sbottò con nonchalance la giovane.
"Ma signorina, avete sentito vostra madre, no? Oggi è anche il suo compleanno, cosa vi costa obbendirle?"

Eh già, il motivo di tutta quell'attenzione per il suo abbigliamento era proprio quello, il quarantottesimo compleanno della madre, l'evento dell'anno in cui mrs. Lydia era più agitata e rompiscatole rispetto agli altri 364 giorni dell'anno.

Aveva assunto trenta cameriere solo per quel giorno e una mini orchestra e invitato nientemeno che cento persone tra duci, conti, nobili e alti funzionari dello stato che venivano da tutta Inghilterra.
Solo a pensarci, a Jane veniva un bruttissimo mal di testa.
Il giorno del compleanno di sua madre era la giornata più lunga dell'anno da diciassette anni della sua vita.
Davvero, sua madre non si concedeva limiti in niente per quel pranzo gigantesco. Infondo il titolo ereditato di conte di Lord Lewis grazie al nonno, che aveva lavorato molti anni al fianco di uno dei bracci destri della vecchia regina, a qualcosa doveva pur servire!

Ci mancava solo qualche domatrice di serpenti ad intrattenere la platea e a Jane ciò non piaceva.
Avere tante persone in casa, molte delle quali sconosciute, altre conosciute appena...
Perchè la madre doveva ingigantire sempre le cose? E soprattutto doveva invitare tanta gente?
Quel giorno doveva essere qualcosa di più intimo, passato tra loro, magari cercando di fare i primi passi per riprendere un dialogo che andasse oltre quel corsetto bianco.

Non cedette e se lo fece allargare, indossò lo scomidissimo vestito blu e, anche se doveva ammettere che quel vestito nuovo in lino e merletto era davvero bellissimo, certamente indosso a lei non sarebbe stato bene e, ovviamente, non era nel suo stile, già s'immaginava a incespicare, inciampare e cadere.

Ovviamente lungo fino ai piedi, con doppio strato di gonna, ringraziò il cielo che non vi dovesse mettere la crinolina al di sotto, dal momento che era già molto pomposo di suo, ornato di perle e cristalli che lo rendevano esageratamente e fastidiosamente vistoso, dietro la schiena, all'altezza della vita c'era un grandissimo fiocco bianco i cui lembi ricadevano morbidi fino alle falde sottostanti della gonna, le maniche invece erano strette e arrivavano appena sopra al gomito e una scollatura non molto ampia che lasciava scoperte le spalle.

Mentre poi Marianne, che era particolarmente concentrata a farle l'acconciatura, premette sbadatamente sulla sua testa una di quelle detestabili mollette affilate per tenerle ben fermi i capelli nello chignon, Jane lanciò un urlo così acuto di dolore che persino qualche invitato già presente al piano inferiore se ne preoccupò.
Quanto poteva odiare quelle feste? Quanto?! Lei che in quel momento poteva stare comoda negli stavaletti di cuoio e nei suoi pantoloni sulla sua Angel!
Inoltre non voleva proprio saperne di truccarsi e Marianne dovette far breccia nella sua coscienza per metterle un po' di rossetto, dicendole che Lydia l'avrebbe sicuramente licenziata se non avesse visto sua figlia ben truccata e sistemata.

Sua madre era davvero subdola! Sapeva bene che con quelle minacce sua figlia non si sarebbe opposta, soprattutto se la cara Marianne doveva mantenere niente di meno che sette tra fratellini e sorelline.

Quando la giovane si decise a scendere tutti gli ospiti erano già arrivati: chi chiacchierava, chi già beveva, chi prendeva qualcosa dal buffet nella gigantesca sala sovrastata da un altrettanto gigantesco lampadario di cristallo.
Attirò subito l'attenzione di tutti i presenti, dando via libera a chiacchiericci e silenzi.
Tutti si erano girati a guardare quella giovane che non aveva nulla da invidiare in bellezza ad una rosa rossa appena sbocciata e fiorita.

E mentre alcune pettegole invidiose e vuote ne iniziavano a dire di tutti i colori sul suo modo di essere, sulla sua camminata, sul capello fuori posto dell'acconciatura, altri la fissavano  ammaliati e sorpresi da cotanta bellezza.
Jane, leggermente in imbarazzo, avendo tutti gli sguardi puntati addosso che ignorò, mentre scendeva facendo attenzione a non inciampare (fortunatamente era riuscita a mettere un paio di stivaletti bassi e non i tacchi), iniziò a dare un'occhiata agli ospiti.

Vide con gran sconcerto che tra di loro c'era il giovane che aveva incontrato anche al matrimonio.
Quel Bernard Campbell, o qualunque fosse il suo nome.
Poi notò, con malcontento, mrs. Loren e, dal momento che c'era lei la madre doveva aver invitato tutta la famiglia, e quindi anche lui, il troglodita.

E infatti, proprio a pochi metri dalla madre lo vide, con indosso una camicia bianca, il tipico panciotto di colore nero che testimoniava la pancia piatta e il fisico perfetto, un paio di pantaloni marroni e una cravatta bianca ben allacciata al collo.
Certo, le sarebbe anche sembrato bello e affascinante, se non avesse conosciuto il suo vero carattere.
Rideva e scherzava con una donna bionda, o no, forse era sua coetanea più piccola, molto molto carina, mentre brindavano chissà a quale diavoleria.

Fu un attimo e i loro occhi si incrociarono. Jane subito distolse lo sguardo prendendo a camminare dritta verso il lunghissimo tavolo del pranzo, rispondendo talvolta a qualche saluto velocemente.
Fin quando.
Fin quando non si sentì stringere completamente l'esile braccio, in una presa morbida ma allo stesso tempo decisa.

"Scommetto che quel grido così poco aggrazziato di prima è uscito dalle tue labbra."
Ed ecco il sorrisetto sbruffone e arrogante far capolino sul suo viso.
Ma come poteva disturbarla in quel modo dopo ciò che era successo il giorno prima!
Il pudore e quell'uomo erano certamente due cose opposte. Come lei e lui, d'altronde.

"Vedo che il segno rosso di ieri non ti è bastato ad imparare l'educazione e la galanteria, soldato, ma non preoccuparti, ho ancora il braccio ben funzionante per infliggertene molti altri e aiutarti nell'impresa." Gli sorrise bieco, esprimendo tutto l'astio che portava dentro.
Jane vide sul bellissimo volto di lui, questo non poteva negarglielo, comparire un sorriso malizioso che subito l'infastidì.
"Io conosco molti altri modi che comportano un tempo molto più breve d'apprendimento, maestrina." Accennò, mentre il viso di lei coloriva dal rosa pallido al rosso porpora.
"Maledetto sfacciato!" Alzò i toni, cercando poi di ricomporsi per non attirare troppo l'attenzione.
"Ma cosa cavolo avrò fatto per avere sul mio capo una tale condanna?!" Chiese più a sè che a lui.
"Ho perso il conto di quante maledizioni mi hai lanciato dal nostro primo incontro, ragazzina." Disse lui, versandosi un bicchiere di champagne e guardandola sottecchi ridendo sotto i baffi per la faccia corrucciata e incavolata della giovane.
Dio! Doveva essere davvero innocente per arrossire per un commento del genere, anche se 'innocente' non le si poteva proprio appropriare, e poi era più che sicuro che quel rossore non fosse lì per imbarazzo, ma per l'ira dell'affronto.

"E fidati che, se continuerai ad importunarmi, ce ne saranno di molte peggiori e non si limiteranno a un 'maledetto'."
L'uomo scoppiò a ridere, una risata amara che di divertente non aveva proprio niente.
"Ti rendi conto che tu, una piccola sciocca, stai cercando e osando minacciare me?" Lo disse che così tanta leggerezza e beffa, che ci mancò poco che sul serio lei perdesse di nuovo le staffe.

Ma si rese conto di star attirando un po' troppo l'attenzione generale, infatti molte donne ma anche uomini li guardavano di soppiatto sorpresi.
Che l'ex capitano capace di stendere milioni di donne fatalmente con una sola occhiatina provasse interesse per la piccola figlia del conte Lewis?

Iniziavano a girare voci del genere da quando molti li avevano visti ballare al famoso matrimonio, ma nessuno ci aveva fatto poi tanto caso: si sapeva che il capitano fosse un amante delle donne e dei loro letti, ciò che faceva un po' battibeccare era il fatto che per la prima volto lo scapolo tanto ambito si interessasse ad una donna tanto giovane dal momento che a lui, e l'aveva anche ammesso davanti ai suoi amici, piacevano le donne mature, in tutti i sensi, e tutti sapevano che da nessuna cercava amicizia o roba del genere, poco sentimento tante lenzuola.
Allora perchè ora parlava con Jane Lewis? Era di certo una delle più belle giovani in età da marito ma tutti i presenti sapevano di quanto fosse intrattabile e ne aveva dato spesso dimostrazione. Le voci giravano in fretta.

Jane cercò di sorridere, nonostante tutti gli sguardi, e gli domandò l'unica cosa che realmente voleva sapere da lui, cercando per la sua salute mentale, di ignorare il discorso precedente.
"Vedo che Oscar non è venuto." Lo guardò seria stavolta, poichè davvero voleva conoscere il perchè di quell'assenza e se voleva tirare qualcosa fuori dalla bocca di quell'uomo doveva andarci cauta e non perdere la pazienza.
Non perdere la pazienza. Sembrava facile a dirsi.

Proprio l'unica persona che le interessava non c'era. Il giorno prima, nonostante l'inconveniente con mr. Cafone, era davvero felice di averlo rivisto.
Aveva anche avvertito la madre che era tornato il grande amico della sorella, sprizzando gioia da tutti i pori, ma invece di vedere anche Lydia, per una volta, sorridere e volenterosa di rivedere come e cosa era diventato il figlio della sarta da cui portava lei e Margaret fin da piccole, Jane l'aveva vista stranamente e palesemente turbata, molto turbata, ma aveva abbandonato quei pensieri, forse era solo la sua immaginazione.

"Ti interessa perchè lui non sia qui, ragazzina?" Jane si accorse dal suo sguardo cosa stesse cercando di insinuare.
"Certo che mi interessa! È un mio amico, e non riesco a capire come faccia ad essere anche tuo." Disse acida, facendolo ridacchiare.
"Non pensi che ci sia troppa differenza..."
"Ehi, amico!" Una testa bionda e un paio di smeraldi malandrini spuntarono da dietro William, andando a circondargli le spalle con un braccio, con fare amichevole e confidenziale.
"Com'è che ancora non ti dai da fare? È a riposo oggi?" Accennò a qualcosa in basso sorridendo beffardo, mentre la giovane diventava rossa per la vergogna e l'allusione che il biondino aveva fatto all'amico. E non ci mise molto a ricordarsi di chi fosse.
Come dei flash in successione veloce, le passarono davanti tutti i momenti che aveva passato in quel posto tanto squallido e degradante, il bordello.

Quello era l'amico del troglodita con cui quest'ultimo era, anche quando l'aveva rincorsa e scoperta  a cavallo, inoltre... le aveva dato anche della stronza!
Per poi dirle che l'adorava. Cosa doveva aspettarsi dagli amici di quel troglodita infondo, tranne che da Oscar ovviamente? Com'è che si chiamava? Gils? Gilbert? No, forse era Gib? O Giod? Doveva mangiare più fosforo, la memoria non era di certo il suo forte.

Ma improvvisamente l'assalì il panico.
Quel tipo sapeva...sapeva chi era lei, e che era stata in un bordello.
Dannazione! Cosa doveva aspettarsi? Che appena l'avesse vista avrebbe spifferato tutto a tutti?!
Si trovò per la millesima volta in quella giornata appena iniziata ad imprecare contro la madre.
Ma fino a dove arrivavano i tentacoli di quella donna?!

Improvvisamente Gils Gilbert o Giod smise di sghignazzare, accorgendosi, come se fino ad allora non fosse stata lì, della ragazza, e sgranò gli occhi.
"Dannato Stevens! Perchè non mi hai detto prima che stavi conversando con questa bellissima, graziosa, magnifica e innocua signorina?" Chiese in tono offesso all'amico.
I farfalloni donnaioli non sono mai troppi.Pensò la giovane.

Ma comunque era palese la differenza d'approccio dei due.
Mentre il troglodita sicuramente non sapeva neanche cosa fosse un complimento utilizzando come arma di seduzione solo la sua bellezza, l'altro sicuramente non si risparmiava nelle lusinghe e nelle adulazioni alle donne.
Chissà quante cascavano nella trappola di quel lusingatore. Che tipo!

"Innanzitutto perchè non c'era bisogno che te lo dicessi dal momento che è qui davanti da non so quanto, e poi perchè non si può definire magnifica, graziosa, bellissima e innocua questa ragazzina, George." Disse William con fare provocatorio.
Ecco come si chiamava, George!
"Sei sempre il solito, Stevens." Rispose l'amico.
"Sempre il solito scimmione primitivo villano e cafone, vorrai dire."
George scoppiò a ridere, mentre l'amico gli mandava un'occhiataccia infuocata davvero spaventosa.
"Mi scuso per i modi, milady. Mi ero scordato di quanto diretta e sincera voi foste. È un piacere come sempre rivedervi." E con questo allungò la mano inchinandosi, per il baciamano.
"Barone George Roberts al vostro servizio, l'ultima volta che ci siamo incontrati non ho badato a presentarmi come si deve e neppure alle formalità, per beh... il luogo in cui ci trovavamo fosse quel che fosse."
Jane rimasta leggermente scossa, per ciò che la rievocazione di quel posto le faceva tornare in mente, andò subito al punto.

"Spero che voi...ecco, non parliate con nessuno di me in quel dannato e poco opportuno luogo di ritrovo... voi non sapete che sono stata lì, dimenticatevelo, e non ne riferite parola a nessuno, oppure" e lo guardò con uno sguardo che di amichevole non aveva proprio nulla "non mi tratterrò dal dire in che modo voi vi intrattenete in alcuni pomeriggi, credo nell'ombra della vostra famiglia. Non so se mi sono fatta intendere bene..."
George rivolse un'occhiata sconcertata all'amico in cerca di aiuto o comprensione, ma in tutta risposta William scoppiò a ridere senza trattenersi.

"Allora? Patti chiari, amicizia lunga, Lord Roberts."
"Siete stata cristallina, miss. Lewis."
Poi si rivolse a William.
"Hai ragione, amico, la ragazza di innocuo non ha proprio niente."

Jane sorrise sotto i baffi. Non voleva di certo sembrare una strega malefica, ma doveva pur proteggersi in qualche modo.
E poi era stata onesta e chiara: occhio per occhio, dente per dente.

"Ora se mi volete scusare." Disse riattirando l'attenzione dei due, girò i tacchi lasciando un William divertito e ancor più incuriosito.

La vide allontantanarsi e per la prima volta si concentrò sul modo sinuoso e scattante di camminare e muoversi della giovane. Doveva ammettere a se stesso che quel giorno la ragazzina era davvero bella, forse la più bella della sala e di certo non era passata inosservata agli occhi di nessuno.
Quando si accorse che la sua testa era stata catturata troppo da quei fianchi snelli che si muovevano con leggiadria, da quei capelli color fuoco che continuavano a svolazzare qua e là e da quell'esile figura che si muoveva incosciente degli effetti che poteva provocare al cervello dell'uomo, si diede dello sciocco e del fuori di testa.

Lui non poteva fare certi pensieri su di lei! Era solo una ragazzina! Una ragazzina impertinente, combinaguai e stupida.

*** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** ***

Tutti gli invitati avevano preso posto a tavola, compresa Jane che, essendosi accorta troppo tardi di aver preso posto vicino a Madama Brigitte, una donna di mezz'età logorroica e con la lingua lunga che veniva dalla Francia, ora era costretta a sopportarla e a sentirla parlare per la milionesima volta della storia di cui ormai mezza Gran Bretagna era a conoscenza: di come suo marito l'avesse tradita per poi scappare con l'amante di dieci anni più vecchia di lei, abbandonandola lì sola, depressa e pentita di aver lasciato la sua terra per trasferirsi lì e stare con lui.
Dio! Jane sentiva che la testa le sarebbe scoppiata da lì a poco. E sarebbe successo davvero, ma per un altro motivo e per un'altra persona.

"Avete letto sui giornali la nuova scempiaggine del 1870?"
Dopo aver concluso il solito discorso d'auguri alla moglie, Lord Lewis attirò improvvisamente l'attenzione di tutti i presenti, specialmente quella di Jane che poteva sentirlo bene, distanziando da lui solo pochi posti.
"Nello stato dello Utah, in America, le donne hanno ieri ottenuto una grande conquista" disse ripetendo alcuni versi rimastigli impressi "Il diritto e dovere più ambito ancor oggi in moltissime nazioni del mondo: il suffragio universale!" Recitò ancora Lord Charles con un tono che di serio aveva ben poco.

"Se continueremo così finirà che noi uomini allatteremo e cambieremo pannolini mentre le donne andranno a lavorare per portare pane in casa!"
Tutti scoppiarono a ridere, Lydia e Loren comprese. L'unica rimasta senza parole per quella reazione era Jane. Tante donne stavano combattendo per avere finalmente qualche diritto e raggiungere la parità, e loro che facevano? Ridevano!

Le donne stesse ridevano di altre donne che stavano rischiando l'ergastolo per la loro libertà! Stavano dissotterando la loro dignità! Se fossero state tutte così il mondo non sarebbe davvero mai cambiato, mettendo al centro dell'universo sempre l'essere di sesso maschile!
Cosa c'era da ridere?
Mr. Lewis riafferrò il giornale.
"Ah! Ma il bello deve ancora venire! 'Anche nella nostra grande e potente Inghilterra stanno nascendo nuove Societes for Woman's Suffrage, in città come Bristol, Edimburgo, Birmingham e Londra. Molti alti funzionanti pensano che nella nostra terra molto presto le donne conquisteranno questo grande potere!' " Chiuse il giornale.
"Ma che belle parole, a scriverle deve essere stata sicuramente una donna... e chissà come ha potuto farlo!"
Quelle parole eccitarono di nuovo una risata universale, mentre Jane rimaneva ancora più disgustata dai pensieri loschi e meschini che suo padre aveva appena pronunciato e insinuato con tale disprezzo e divertimento.

La giovane s'accorse che anche William si era unito alla gran risata denigratoria e, non seppe perchè, quello le diede più fastidio di tutto e fu la goccia che fece traboccare il vaso, fecendo definitivamente in modo che il suo coraggio e i suoi pensieri uscissero alla scoperto. Cosa si doveva aspettarsi da quell'energumeno? E da tutti quegli enugurmeni!

"Io non so cosa ci sia di tanto divertente!" Alzò la voce per sovrastare quella risata generale, e all'improvviso la grande sala fu avvolta dal silenzio, con tutti gli occhi puntati su di lei, che non mostrò neanche un attimo di esitazione.
"Quelle donne stanno lottando per noi, per tutta la società! Per raggiungere finalmente la parità dei sessi. E no, cari signori e signore, qui non c'è niente da ridere, ma solo da prenderne esempio!" Esordì la giovane con tono fermo e deciso.

"Le donne devono stare al proprio posto, miss. Lewis., altrimenti dovremo rinunciare alla vita comoda di moglie e madre, alle feste, ai ricevimenti, al teatro solo per poter mettere una croce su un pezzo di carta? La politica lasciamola agli uomini." Prese parola una donna due posti più avanti a lei, che fu applaudita da tutti.

"Non è solo un pezzo di carta, miss. Wilson, è il simbolo della nostra libertà sociale, politica e culturale." Replicò la giovane ancora più stizzita poichè secondo quella, che era una donna come lei, i veri 'privilegi' erano le feste e lo stare a casa senza far nulla.
"E cosa vorreste, che le donne studiassero e lavorassero mentre gli uomini accudiscono la prole in casa?" Chiese ironicamente un uomo anziano, seduto poco più lontano da lei.
Si udirono altri risolini e commenti di sottofondo.
"Perchè no?" Ribattè Jane.

Scoppiarono di nuovo tutti a ridere e lei s'innervosì ancora di più.
"Ma ciò in cui credete è impossibile!" Proferì l'uomo.
"Sapete cosa diceva monsieur Napoleone sulla parola 'impossibile'?" Chiese Jane sorridendogli falsamente.

Nel momento stesso in cui Lord Lewis, intuendo dove volesse arrivare la figlia, le lanciò un'occhiataccia d'ammonimento, che la giovane ignorò, William, dal canto suo, avendo ascoltato con attenzione tutta la conversazione, già se la rideva mentalmente e non sapeva come si sarebbe trattenuto dal farlo davvero se la giovane avesse detto ciò che aveva intenzione di dire.
Era davvero così stupida, coraggiosa e ammirevole dal dire ciò ad un ospite in casa sua, davanti a tutti?
La risposta era sì, e non ne era affatto sorpreso.

L'uomo intanto scosse la testa.
"No, milady, se volete illuminarmi..." disse l'uomo con ironia, facendo ridere molte oche presenti in sala.

Riderete ancora per poco.

"Napoleone, se sapete chi era..." Iniziò a mo' di sfida "Diceva che: 'La parola impossibile è scritta solo nel vocabolario degli stolti.' "
Dopo un secondo di assimilazione da parte di tutti i presenti, nel gran salotto scoppiò il caos più totale: tutti ridevano per come quella giovane avesse saputo rispondere con tanto ardore a quella provocazione, anche se inizialmente sembrava lei quella destinata ad essere offesa, ma soprattutto alcune donne presenti in sala che non avevano avuto il suo stesso coraggio, ora si erano rese conto che non erano le sole a pensarla in quel modo e l'avrebbero persino spalleggiata.

Tutti comunque continuavano a sghignazzare tranne l'uomo affrontato, mr. e mrs. Lewis e lei, che si compiaceva interiormente, anche se davvero non sopportava tutta quella gente ipocrita.
Si era resa conto dei rischi a cui andava incontro prima di dire ciò, anzi in realtà non se n'era affatto resa conto ma aveva risposto e insultato con eleganza, l'aveva fatto per una giusta causa!
Almeno sperava che qualcuno in quella stanza avesse capito che la donna meritasse rispetto, e che pensasse anch'ella con la propria testa, ma di certo a tutta quella gente così ipocrita, flessibile e conservatrice non importava proprio nulla delle possibilità di lavoro per una donna e dei suoi diritti!

Aveva appena offeso, con un aneddoto ingegnoso e chiaro un ospite in casa sua e soprattutto dei suoi genitori.
Si sarebbe dovuta preoccupare dei rapporti che la sua famiglia aveva e doveva mantenere con ognuno dei presenti in sala, ma la verità era che non le importava proprio niente, del potere e delle ricchezze della sua famiglia quando c'erano di mezzo il suo orgoglio, il rispetto e i suoi ideali.
Anzi l'orgoglio, il rispetto e gli ideali di tutte le donne.
Ma non si sentiva affatto coraggiosa, tutt'altro, si sentiva delusa.

Il padre all'improvviso si alzò in piedi bruscamente, mettendo in modo iroso i pugni chiusi sul tavolo e facendo stridere in modo insopportabile la sedia di legno pregiato, facendo subito zittire tutti gli ospiti.
"Jane! Offendere i nostri ospiti in questo modo! Ora..."
Il tonfo della sedia spostata della giovane però lo anticipò.
Ora anche lei era in piedi, di fronte a lui con gli occhi infuocati, come pochi altri ne erano capaci, di determinazione e impudenza.
"Vi risparmio il fiato, padre. Me ne vado di mia spontanea volontà!"

Poi si voltò verso gli invitati.
"Sapete, non mi piace stare in compagnia di persone che ridono di persone dalle quali dovrebbero solo prendere esempio e coraggio." Il suo sguardo fulmineo si scagliò direttamente sulla madre. "Certe risate mi faranno anche venire il voltastomaco, ma non potranno mai abbassare la mia dignità di donna!"

E, sotto gli occhi spalancati di tutti, il silenzio e l'ira e le urla del padre, lasciò la stanza e si diresse velocemente verso le stalle. Dio! Cosa aveva combinato!
L'aveva fatta grossa! Dio, se l'aveva fatta grossa! Ora sì che la sua vita sarebbe stata rovinata a vita! Aveva deliberatamente 'rovinato' il compleanno della madre.

Il padre l'avrebbe uccisa per avergli disobbedito in casa sua!
Che poi, lì le uniche disonarate erano le povere suffragette!
Jane avrebbe potuto pentirsi di ciò che aveva fatto ma non di ciò che aveva detto.
Non aveva offeso nessuno, aveva solo difeso i suoi diritti e quelli di quelle ottuse oche giulive in quella sala.

Era stata così impulsiva, eppure non si pentiva affatto di ciò che aveva detto e fatto, più che altro era preoccupata delle conseguenze!
Ma in quel momento non voleva pensare a quando sarebbe dovuta tornare.
Doveva prendere aria.
Doveva cavalcare.
Doveva vedere Angel.

Si diresse verso il maneggio e le stalle, dove si trovavano tutti gli animali di casa Lewis, curati da molti servitori.
Appena vide i pozzi neri della sua giumenta scrutarla e poi iniziare a nitrire, si affrettò ad aprire e liberarla.
"E così anche tu sei impaziente di prendere aria..." disse accarezzandole il muso. Al contrario della sua padrona, Angel era sempre stata molto tranquilla, Jane con lei non aveva mai rischiato nulla.

Montò e solo allora si accorse di avere indosso ancora lo stesso vestito lungo, stretto e scomodo, ma non aveva tempo di cambiarsi, così lo alzò per accorciarlo fino a sopra le ginocchia per rendere il movimento più facilitato e ordinò al custode di aprire il gran portone sul lato opposto dell'ingresso, che dava direttamente sulla vasta prateria.
Non aspettò un secondo di più, sapeva dove dirigersi. Nel suo luogo, nell'unico posto dove si sentiva a casa, che sentiva davvero suo.

Voleva distaccarsi.
Distaccarsi dal mondo che non riusciva mai a capirla, nessuno riusciva mai a capirla. Era strano, ma era come se sentisse dentro di sè sempre qualcosa di troppo.

La tendenza naturale di tutti a volerla sempre cercare di sopraffare: perchè donna, perchè piccola, perchè considerata incapace di intendere e di volere, perchè aveva un padre e poi avrebbe dovuto avere un marito.

Si sentiva come in una giungla.
Il mondo è una giungla e lei una sognatrice. E una sognatrice in una giungla non sopravvive se non si adegua. Perchè la giungla è sempre lì, pronta a inghiottirti al minimo passo falso, e pronta a darle una gran bastonata per ricordarle chi è il più forte.
E lei non poteva combattere contro la giungla, contro il mondo, perché lei lo sapeva che il mondo era più forte, ma non voleva arrendersi.

L'unico posto dove era libera di pensare era la brughiera.
Cavalcò per circa due ore, senza rendersi conto del tempo che passava e scorreva, fin quando si rese conto di dover tornare a casa, ma il cielo si era improvvisamente fatto scuro, pieno di nuvoloni, si prevedeva pioggia. Anzi, forse era già un po' tardi, dal momento che stava già sgocciolando, alzò gli occhi al cielo, maledizione!
Completamente grigio, ci sarebbe stato a poco un gran temporale.

Che doveva fare? Era lontanissima da casa e se sarebbe partita in quel momento si sarebbe trovata sotto un'acquazzone, ma non poteva fare altro, anche se non aveva nessuna intenzione di tornarci, dal momento che sospettava cosa le sarebbe successo e la punizione che l'aspettava, non di certo leggera.
Anche se non credeva che sua madre o suo padre o entrambi fossero davvero preoccupati per lei e per la sua sclomparsa.

Prese le redini di Angel, facendola correre più che poteva, ma quando un fulmine cadde proprio davanti a loro, la povera cavalla si spaventò e si bloccò di colpo talmente forte che, se Jane non si fosse tenuta tanto forte e stretta al suo collo, avrebbe fatto un volo di sola andata di una ventina di metri in avanti.
Jane scese immediatamente, preoccupata per Angel che continuava a nitrire e lamentersi.

La accarezzò per tranquillizzarla e cercò di farla camminare, ma niente, la cavalla non voleva proprio saperne di muoversi nè tantomeno di correre.
"Dannazione!" Urlò la giovane in un momento di frustrazione.
E ora come sarebbe arrivata a casa?!
Si trovava in aria aperta, con fulmini a portata di mano, era anche pericoloso!
E già stava cominciando a bagnarsi e il riparo più vicino era ad un bel po' di distanza da lì.
Si sedette sotto un albero poggiando la testa all'indietro, rassegnata.

"Ma chi si rivede!" Appena sentì quella voce, proprio la voce di quell'uomo tanto odioso che ora riconosceva alla prima parola, alzò di scatto la testa, sperando di essersi sbagliata, che sul serio fosse qualcuno, ma non che fosse proprio lui.
E invece lo era, era proprio il troglodita, che se ne stava cone un modello dei gran cataloghi di moda che spesso vedeva in mano alla madre su un bellissimo stallone bianco.
Lo stesso che cavalcava quel giorno in cui l'aveva rincorsa, scoprendola.

La stava guardando a metà tra il divertito e il sorpreso.
Certo! Sicuramente lui ci stava godendo a vederla così, dopo ciò che aveva ascoltato.
Così Jane, senza aspettare un'altra parola finalizzata a prenderla in giro, si alzò dal prato riprendendo ad accarezzare Angel, mentre lui continuava a star lì aspettando una risposta della giovane che non arrivò.
"E così sei qui! I tuoi genitori sono molto preoccupati."

La giovane lo guardò male, mentre lui scendeva dal suo cavallo.
"Oh, loro non sono preocupati per me, ma per le loro ricchezze." Rispose lei non degnandolo di uno sguardo.
"Dico sul serio, ragazzina, è tardi, tardissimo, sai quanto tempo è passato?"
Jane alzò lo sguardo su di lui, interessata improvvisamente. Che davvero fosse così tardi?
"No...quanto?"
"Quasi tre ore."
Jane sgranò gli occhi. Tre ore, così tanto e non se n'era proprio accorta, ma cercò di non darlo a vedere.
"Tanto a loro non importa niente."
William corrugò la fronte "Perchè ora parli così?"

Jane stava per rispondere, ma si bloccò si colpo rendendosi conto di una cosa.
"E tu cosa ci fai qua?"
Già, che ci faceva lui lì quando stava per scoppiare un temporale.
"Te l'ho detto, tuo padre è preoccupato per te." Spiegò tranquillamente lui, mentre lei iniziava a farsi mille domande mentale, guardando in quegli occhi azzurri così trasparenti e così in contrasto con il colore del cielo, che le parve di vedere per la prima volta davvero per quanto fossero belli.

"Ma non farmi ridere, soldato, mi stai dicendo che sei venuto apposta per cercarmi?" Disse trattenendo davvero una risatina. Perchè quell'uomo irritante sarebbe dovuto andare a cercare lei? Per infastidirla? No, in quel momento sarebbe potuto stare a fare moltissime altre cose sue, invece di cercare la 'ragazzina' che tanto non sopportava reciprocamente.

E invece...
"E ti ho anche trovata."
Jane era davvero sorpresa.
"Perchè? Ti ha assoldato mio padre?" Chiese lei diffidente.
Sentì la pioggia scendere più forte, ma se ne scordò completamente, la sua testa era concentrata su William. Strano, per una volta non per insultarlo, anche se la voglia non le mancava.
"Ora non ha importanza. Ti sei resa conto che sta per arrivare un temporale memorabile anzi, che è già arrivato?! Che diavolo ci fai ancora qua?"
Jane lo guardò male, ma che pensava quello? Che volesse prendersi un malanno o l'influenza per puro piacere?

"Se non te ne fossi accorto, Angel è spaventata."
Lui fece uno di quei suoi sorrisetti fastidiosi.
"Ah, il tuo caro fidanzato è anche una femmina, oltre che essere un cavallo." Jane sbuffò.
Anche in quel momento doveva dire stupidaggini?
"Non c'è molto da scherzare, non vuole muoversi, un fulmine l'ha spaventata..."

William però non sembrava starla ad ascoltare anzi, guardava come il temporale stava progredendo.
"Ragazzina, fra un po' si scatenerà l'inferno, muoviti e sali." Le disse indicandole il suo cavallo.
La giovane strinse i pugni. Ma era stupido sul serio o faceva finta?
No perchè se faceva sul serio, la malattia era grave.

"Io senza Angel non vado da nessuna parte!" Si portò le braccia incrociate sul petto impalandosi affianco alla giumenta e guardandolo con il solito broncio da bambina offesa che a William faceva o divertire o arrabbiare, dipendeva dalla situazione. E in quel caso lo faceva arrabbiare, e molto.
"Ragazzina!" Tuonò talmente forte, che Jane trasalì.
"La tua cavalla se la caverà! Ho detto sali su questo cavallo, ora!" Scandì bene lui ma Jane si limitò a guardarlo con aria di sfida e a scuotere la testa in un categorico 'no'.
"Ora!"
Un altro assoluto 'no'.
"Te lo sto dicendo con le buone, se non vieni adesso passerò alle cattive. Non mi piace ripetere le cose."

Jane alzò un sopracciglio infastidita.
"Non mi piace ripetere le cose." Gli fece il verso "Ma non farmi ridere, cosa credi che sia, uno stupido cagnolino?! Se a te non piace ripetere le cose, a me non piacciono le minacce, nè tantomeno i cafoni."

Era così intenta a parlare, che non si accorse che in due passi, William si era fiondato davanti a lei e, senza che se ne rendesse conto, al terzo passo si trovava già sulla sua spalla sinistra, caricata stile sacco di patate, ma per William lei doveva essere una piuma.

"Lasciami!" Ordinò iniziando a dargli pugni sulla schiena.
"Lasciami immediatamente!" William sorrise sghembo e Jane s'immaginò che quelle labbra si fossero incurvate proprio per quello, anche se ovviamente non poteva vederlo.
"Oppure?" La provocò ancora, e lei stavolta colse al volo la provocazione.
"Oppure quando ritornerò con i piedi per terra, li userò per farti molto, molto male."
Ma William sembrò non sentire il suo avvertimento, o molto probabilmente fece solo finta.
"Sai, dovresti smetterla di agitarti e muovere così tanto il tuo bel fondoschiena, se continui a sbatterlo così mi ritroverò con la mascella rotta."

Come se fosse vittima di un incantesimo, Jane si fermò di colpo, arrossendo per la prima volta per l'imbarazzo davanti a quell'uomo. E in quel momento fu felice di dargli le spalle.
"Stronzo..."
"Ah ah!" La riprese "Le dame non usano questi termini scurrili."
"Ma io sono un maschiaccio, no?" Disse lei alterata riprendendo le parole con cui lui l'aveva definita davanti ad Oscar.
"Mmh, sempre un maschiaccio con un bel fondoschiena."
Jane scosse la testa.
"Maniaco cafone!" Disse a denti stretti.

Si ritrovò un batter d'occhio sul cavallo di William.
"È troppo tardi per andare a casa, non arriveremo vivi, conosci un rifugio vicino?"
Jane sorrise compiaciuta, ora poteva impugnarlo.

"Sì, peccato che la mia cavalla debba rimanere qui da sola..."
William sbuffò, prese qualcosa dalla sacca della sella e si avvicinò velocemente ad Angel.
Un secondo dopo la sua cavalla si trovava affianco allo stallone bianco.
Jane corrugò la fronte e spalancò gli occhi.
"Come diavolo hai fatto?"

William le sbattè una bustina davanti alla faccia.
"Cosa non fa il cibo."
Jane guardò la cavalla mangiare, mentre William si legava le redini al braccio per far sì che corresse al loro passo.
Jane si sentì più serena, ma allo stesso tempo delusa vedendo come la sua Angel si fosse fatta comprare da quel diavolo e di come si facesse accarezzare, di solito lei era sempre molto diffidente con gli sconosciuti, e chi le doveva piacere? Il peggiore di tutti!

Dopo essersi dato una piccola spinta, William si trovò proprio dietro lei, troppo vicino a lei, pericolosamente vicino a lei, che accortasene si voltò di scatto verso di lui, ma trovandosi il viso perfetto e bellissimo dell'uomo a due cintimetri si rivoltò di colpo guardando un punto indefinito davanti a lei.

"Voglio scendere! Fammi andare sulla mia cavalla!"
"Assolutamente no! Perderemo altro tempo e poi è ancora spaventata."
A Jane sfuggì un mezzo sorriso involontario.
"Allora di qualcuno ti importa..."
Sussurrò appena, ma William la sentì lo stesso.
"Non montarti la testa, lo faccio solo per sbrigarci prima."
Jane roteò gli occhi, ma cosa doveva aspettarsi?
William Henry Stevens era William Henry Stevens.
Un insensibile, limitato, troglodita eccetera eccetera eccetera.

"Tieniti forte!" Disse afferrando le redini e dando un piccolo calcetto al fianco del cavallo che partì immediatamente.
"Tieniti forte? Non sono mica una damigella impaurita che aspetta di essere salvata dal principe azzurro, io." Gli disse acida mentre continuava a indicargli la strada sperando che la memoria non la tradisse.
William ghignò.
"E io non sono un principe azzurro."
"Già, anche i principi azzurri hanno un cavallo bianco, ma il loro animo è puro." Disse la giovane sottolineando il 'puro', paradossalmente a lui che si lasciò sfuggire una risatina beffarda.
Come a dire che lui al contrario del colore del manto del suo bellissimo cavallo, aveva un animo nero e oscuro.

"Non avete paura di questo demone, principessa?"
Jane scosse la testa. Che strana piega stava prendendo la conversazione?
"Io ai demoni stacco la testa, principe."
Gli rispose a tono.
William sorrise.
Che altra risposta poteva aspettarsi da quella ragazzina?
"Non esistono principesse aggressive."
"Neanche principi villani."
William non rispose e neanche Jane continuò quel tortuoso dialogo che stava nascendo.

Sentiva soltanto il calore delle braccia forti dell'uomo che fortunatamente le sfioravano solo i fianchi, mentre lui avvicinandosi un po' di più alla giovane, fu travolto letteralmente da un buonissimo odore di... gelsomino. Inspirò silenziosamente più che poté rendendosi conto di quanto quella insolita e strana ragazzina fosse davvero una continua sorpresa e soprattutto, di quanto iniziasse a sentirsene irrimediabilmente attratto.

   
 
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