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Autore: melloficent    04/03/2017    1 recensioni
[Shin Soukoku Week, perchè amo quei due insieme più di quanto li ami singolarmente]
27/02 ; day one: moonlight "Atsushi era l’unica persona accanto alla quale si fosse mai addormentato, con la luce della luna che illuminava entrambi come un placido conforto."
28/02; day two: highschool "Atsushi era un grande punto interrogativo, un enigma che Akutagawa non riusciva a svelare."
1/03 ; day three: birthdays "Il suo compleanno non era mai stato un giorno particolarmente importante per Akutagawa."
2/03 ; day four: hogwarts "Nella lista delle cose che Akutagawa odiava c’erano, nell’ordine: i Grifondoro, chi non riusciva a non ficcare la propria appendice nasale in faccende che non gli riguardavano e le persone che non gli lasciavano la sua privacy."
3/03 ; day five: feline "L’unica nota dolente era il suono persistente e meccanico che sembrava sentire solo lui."
4/03 ; day six: the town where the wind blows "Non aveva idea di cosa provasse per lui, non sapeva nemmeno chi fosse, ma era diventato una presenza indispensabile nella sua vita."
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsushi Nakajima, Ryuunosuke Akutagawa, Un po' tutti
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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The various fragrances of tea
 
 
prompt: the town where the wind blows ; crossover
shin soukoku week, day 6
implied? we just don’t know ; introspettivo, generale, malinconico
(non mi piace l’ending della seconda stagione nono)
 
 
Yokohama era una strana città.
Akutagawa ci aveva vissuto per tutta la vita, eppure non era ancora riuscito a inquadrarla bene.
C’era la miseria più profonda, quella in cui aveva vissuto lui, e lo sfarzo di cui il progresso si faceva paladino.
Yokohama era un’accozzaglia di cose, e senza aver quasi mai lasciato quella città, ad Akutagawa sembrava di aver vissuto centinaia di vite.
Anche se forse quello era tutto un privilegio del lavorare alla Port Mafia.
Aveva considerato più volte l’idea di andarsene, trovare finalmente la pace a cui aspirava da tempo e non essere più riconosciuto solo come il cane rabbioso della Port Mafia.
Aveva accarezzato quell’idea nelle infinite notti insonni, pensando a come sarebbe potuta essere la sua vita se avesse abbandonato Yokohama.
Magari avrebbe trovato un lavoro normale, si sarebbe costruito una vita degna di essere chiamata così e nessuno avrebbe più saputo nulla del cane rabbioso della Port Mafia.
Non sarebbe stato più lui, però, se avesse lasciato Yokohama.
La città dove soffiava il vento custodiva i suoi ricordi, tutto ciò che era e tutto ciò che per lui importava davvero, e la possibilità di vivere in pace era quasi disgustosa in confronto a non essere più lui, all’allontanarsi da tutto ciò che era importante.
Akutagawa odiava Yokohama, odiava tutti i ricordi che custodiva e che richiamava alla mente, tutta la sofferenza che veniva a galla visitando certi quartieri, i più poveri, dove c’erano ancora i bambini che cercavano di rubare per mangiare il minimo indispensabile per sopravvivere e la miseria ovunque.
Solo che i bambini erano diversi da quelli che ricordava, ma tutti uguali.
A Yokohama, però, aveva tessuto quei pochi legami che gli davano ancora un motivo per tirare avanti, e non avrebbe mai potuto pensare di abbandonarla.
 
Tutto nella testa di Akutagawa era classificato e aveva un ruolo, perché se c’era qualcosa in cui credeva era che tutto dovesse essere ordinato per essere chiaro.
Preferiva non essere confuso su cosa pensare di una persona, gli piaceva inquadrare tutti subito.
Quello era uno dei tanti motivi per cui detestava Atsushi.
Quel ragazzo sembrava un puzzle. Era complicato, e quando pensava di averlo risolto vedeva che c’era sempre qualcosa che non andava, qualche tassello che mancava e che impediva di vedere la figura nella sua interezza.
Quello lo mandava in bestia.
Akutagawa odiava non avere chiare le cose, odiava non sapere chi si trovasse davanti.
E odiava non sapere cosa provasse per quella persona.
Atsushi era un enorme punto interrogativo in tutto.
Erano nemesi? Erano amici? Conoscenti?
Cosa erano?
Urlavano al mondo intero e l’uno all’altro di odiarsi, però lavoravano bene e non facevano altro che salvarsi a vicenda.
Probabilmente tutte quelle contraddizioni erano anche colpa di Akutagawa: aveva visto Atsushi dare subito fiducia a tutti, non rifiutare mai una mano tesa ad aiutarlo ed essere capace di abbandonarsi davvero a qualcuno, senza farsi centinaia di domande.
L’unico con cui, apparentemente, non ci riusciva era lui.
E forse –solo forse- era colpa sua, dei suoi modi aggressivi e dell’idea che accettare aiuto è da deboli.
E anche del fatto che aveva tentato di ucciderlo una o due volte.
Atsushi lo mandava in bestia, faceva riaffiorare la sua rabbia in modi che non credeva possibile.
Lo scioglieva dal ghiaccio di cui sembrava essere fatto, facendogli scoprire che in fondo era ancora vivo e che riusciva ancora a provare qualcosa che non fosse il vuoto che sentiva ovunque.
Immaginare la sua vita senza Atsushi era un po’ come immaginare la sua vita senza Yokohama: piacevole, certo, ma non più sua.
C’era qualcosa che gli impediva di immaginare un’esistenza appagante senza Atsushi, senza pretendere di essere nemici giurati, scontrarsi e allo stesso tempo aiutarsi in modi velati e assolutamente non assennati.
Non aveva idea di cosa provasse per lui, non sapeva nemmeno chi fosse, ma era diventato una presenza indispensabile nella sua vita.
Importante, forse.
 
Atsushi aveva visto Yokohama come un approdo di salvezza, dopo essere stato cacciato dall’orfanotrofio.
Se non si fosse diretto lì, tra il freddo e gli stenti, non avrebbe mai incontrato tutte le persone che erano importanti per lui.
Non sarebbe mai stato salvato da Dazai, probabilmente sarebbe morto in un vicolo per la fame, o avrebbe continuato a vivere ai margini, senza fare altro se non preoccuparsi di mangiare e trovare un posto riparato in cui dormire.
Yokohama era diventata la città del suo nuovo inizio, in cui poteva fare qualcosa di veramente costruttivo e rendere la sua vita importante e degna di essere vissuta.
Poteva non essere più un bambino impaurito, un debole. Poteva davvero fare qualcosa.
L’unica nota dolente era Akutagawa.
Non aveva mai capito cosa aveva fatto per meritarsi l’odio di quel ragazzo.
In generale non l’aveva mai capito e basta.
C’era qualcosa che lo irritava profondamente in lui, probabilmente il fatto che aveva fatto del male alle persone a cui voleva bene. E anche il fatto che riponesse in lui un odio alquanto ingiustificato perché, di fatto, Atsushi non aveva fatto nulla.
Non sapeva se volesse capire Akutagawa o meno, dava la sensazione di essere una persona rotta nel profondo.
Sicuramente non era felice, probabilmente non lo era mai stato.
Non era raro per persone nel suo ambiente, gli aveva detto Dazai –Atsushi sospettava che nemmeno lui fosse felice, se invocava la morte così platealmente.
Si ritrovò a pensare spesso a cosa sarebbe successo se Akutagawa fosse sparito, se uno dei due avesse avuto la meglio sull’altro.
Sarebbe stato tutto diverso, la sua vita avrebbe riavuto la tranquillità delle sue prime settimane a Yokohama.
Probabilmente non ne sarebbe stato contento.
 
 
 
 
 
melloficent says
Come al solito, i pomodori sono alla vostra destra, i lanciafiamme a sinistra.
Se per bruciare me o la storia non fa differenza, I crave death after this :D
Non mi piace per nulla ma, di nuovo, il prompt non mi ispirava per nulla.
Comunque, “the tower where the wind blows” è il titolo tradotto della seconda ending, che amo con ogni fibra del mio corpo (mai come la prima. Che ho imparato a memoria. Nonostante non sappia meno di nulla del giapponese), e per quanto sia possibile con me a scrivere qualcosa dovrebbe essere ispirata a quello.
Dovrebbe.
Francamente non vedo l’ora di pubblicare l’ultima storia domani, così posso tornare al mio dolce far nulla e cazzeggiare su youtube.
Non sono proprio fatta per fare qualcosa di costruttivo.
Al prossimo (e ultimo) capitolo,
-Akemi
  
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