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Autore: Rumenna    04/03/2017    2 recensioni
[BOYS LOVE] Ivan studia disegno ed è innamorato di Tina. Tuttavia il suo look lascia molto a desiderare. Si farà consigliare dall'esperto Rosemund. Ma cosa potrebbe accadere se un consiglio dopo l'altro i due si avvicinassero sempre di più?
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Ho iniziato a correre a perdifiato componendo il numero del servizio taxi.  Mi ha risposto la voce tranquilla di un uomo con l’accento napoletano, chiedendomi dove potesse venire a prendermi... come faccio a dirgli dove sono se mi sto muovendo attraverso la città? Cercherò di parlargli, seppure in maniera affannata… tra non molto dovrei arrivare davanti ad una fermata dell’autobus, gli dirò di incontrarci lì. Il tassista mi ha assicurato che arriverà in fretta, quindi meglio accelerare il passo.
Quando sono arrivato alla fermata, il taxi era lì che mi aspettava: ci sono salito e mi sono accasciato sul sedile, facendo dei profondi respiri affannati dalla corsa.
«Dove ti porto?»
Con il cuore in gola e la mente appannata dalla fatica, cerco di pensare a dove andare. Sarà ancora al locale? O avranno già preso il volo? Devo controllare subito al locale, non è tardi, posso fermarli in tempo…! Ho comunicato al tassista la destinazione,cercando nell’elenco delle chiamate Rose: lo chiamerò. Devo chiamarlo adesso, devo fermarlo o ritardare qualunque cosa… è irraggiungibile, dannazione! È irraggiungibile… forse perché è ancora in quel locale, non credo che il telefono prenda bene in un luogo in cui si va a ballare in un sotterraneo… forse ce la faccio. Mamma di Rose che sei in cielo, fai in modo che riesca a fermarli in tempo... per favore mamma di Rose, devo bloccarli a tutti i costi.
Arrivati davanti al locale ho pregato il tassista di non andarsene e sono uscito fuori, facendomi colpire da un gelida sferzata di vento, cercando Rose tra i numerosi gruppetti di ragazzi fermi davanti all’entrata a parlare. Dov’è… dove sono…? Rose? No… qui fuori non ci sono… li cercherò dentro, forse si sono imboscati in qualche angolino del locale o nei bagni come degli sporcaccioni! Sono entrato aprendo la porta con troppa energia, facendola finire addosso ad un gruppetto di zitelle ubriache, che mi hanno urlato contro in maniera poco civile… qui dentro c’è un odore nauseante di alcolici. I piccoli fasci di luce colorati si muovono con troppa velocità, non riesco a vedere bene… ci sono tante facce qui, mi faccio largo tra le persone, ascoltando distratto derisioni al mio aspetto malconcio. Non c’è… non lo vedo… chiederò al barista! «Ciao! Hai visto un ragazzo alto, molto bello, con i capelli biondi pettinati all’indietro? Era con un ragazzo bruttarello, con i capelli scuri, la mascella grande e un po’ storta… con uno che sembra un serpente, l’hai visto? Li hai visti o no?»
«Sì, li ho visti…  sono venuti qui al bancone e hanno bevuto due o tre drink molto lentamente… se ne sono appena andati! Dovresti averli incrociati fuori, se vieni dalla strada che porta alla cattedrale!»
Io vengo dalla parte opposta! Quindi se ne sono appena andati? Allora faccio in tempo! Mamma di Rose, stammi accanto ancora un po’, per favore! Ti prometto che dopo non ti darò più fastidio! Sono tornato al taxi come una furia, pensando a dove possano essere andati: a casa del verme? O a casa di Rose? Mi sono stretto una mano al petto, sono troppo teso ed agitato… ho cercato di fare un respiro profondo e ho chiesto al tassista di andare a casa di Rose, chiedendogli di fare presto.
Durante la corsa, il tassista continua a parlarmi, ma non riesco a sentirlo… riesco solo a pensare al peggio, l’unica cosa che sento sono i battiti del mio cuore che echeggiano dovunque.
Arrivati davanti al condominio, noto il portone socchiuso e la luce interna accesa: potrebbero essere appena entrati, se quello che ha detto il barista è vero! Consegno i soldi al tassista e corro a perdifiato sulle scale del portone, trascurando il fatto che è dotato di ascensore. Ad ogni rampa di scale le mie gambe si fanno sempre più deboli e tremolanti, cado, scivolo un paio di volte dalla cima della rampa, facendomi male alle ginocchia… stringo i denti e mi aggrappo con forza alla ringhiera, riuscendo infine a raggiungere il pianerottolo giusto.
Senza pensarci un momento inizio a suonare il campanello come un forsennato, richiamando l’attenzione di Piero che inizia a schiamazzare dall’interno del bilocale.
«Rose!! Rose, sono io! Sono Ivan, apri!» Perché non vuole rispondere? Non vuole essere disturbato? O non mi sente perché è troppo indaffarato? O forse lui vuole rispondermi, ma quel viscido non glielo lascia fare…?! «Rose, se ci sei batti un colpo!! Ma non quel senso, Rose! Fermati, fermati!! Non puoi farlo, Rose!» Inizio a sbattere i pugni sulla porta cercando di richiamare l’attenzione: «Cioè… tecnicamente puoi farlo, ma non puoi farlo! Hai capito? ROSE, APRI SUBITO QUESTA PORTA!! APRI! NON FARMI ARRABBIARE! SONO MOLTO ARRABBIATO, QUINDI APRIMI ADESSO FINCHÉ TE LO CHIEDO GENTILMENTE!»
Ma quale arrabbiato… sono così stanco… mi lascio scivolare sul pavimento, privo di energie, appoggiando la testa sulla porta, mentre la vista si offusca e la mente si appanna, come svuotata.
Probabilmente non sono ancora arrivati… visto che è sicuro che sono fuori dal locale, adesso proverò a chiamare Rose al telefono.
Il cellulare risulta spento. Sarà a casa di quello, immagino… e immagino il motivo per cui abbia spento il cellulare…
«Ah… sniff…» Sono arrivato tardi. «…gh…» Ormai è troppo tardi… per fermare le cose.
Queste lacrime sono bollenti e bruciano la mia pelle ad ogni millimetro che percorrono verso il basso… ma non faranno mai più male del mio cuore in questo momento.
 
*
Il cellulare sta squillando…
Con la testa che mi pulsa di dolore, ho faticamene aperto gli occhi stanchi, riscoprendomi ancora seduto sul pavimento davanti alla porta di casa di Rose. Ho brividi di freddo e ho male alla gola… ho pigramente preso il telefono tra le mani e ho risposto con un filo di voce, senza nemmeno leggere il breve nome apparso sullo schermo.
«Nh… p-pronto…?»
«Ivan, sono Anna! Come sta andando la serata?»
Ah, è Anna… la serata… «…Nh…uno schifo…»
«Uno schifo? Perché? Non ti stai divertendo? É successo qualcosa? Hai la voce strana… è successo qualcosa, vero? Oh Maria Vergine, non sei all’ospedale, vero? Dove sei adesso?»
Mi sono messo a piangere silenziosamente… non so perché… «…V-voglio tornare a casa… s-sono a casa di Rose… sniff… ngh…»
«Ah, sei con Rosemund? Ma allora perché stai piangendo?»
«…M-mi puoi venire a pr-prendere… p-per favore…?»
«É successo qualcosa? Mi spaventi…!»
«…S-sto bene… sto b… bene…» Sono scoppiato a piangere. Mi sento così solo… mi sento arrabbiato… deluso, ferito… voglio andare a casa! Ma non posso nemmeno lamentarmi di questo, perché non posso neanche tornarci in quella che era casa mia! E se anche ci tornassi sarebbe soltanto peggio, quella casa è così grande e non c’è nessuno… al massimo ci trovo mamma a letto con Lorenzo! Non mi va bene niente! Niente!
Sono rimasto a piangere, raggomitolato nel mio angolino tremante di freddo ad aspettare che questi infiniti minuti scorrano velocemente… finché non è arrivata Anna, accompagnata dalla figura alta del signor Gennaro. Non riesco a mettere bene a fuoco… i miei occhi sono troppo stanchi.
«Ivan, che ci fai seduto lì per terra??»
«Riesci ad alzarti?»
Il signor Gennaro ha una voce gentile. Appoggiandomi al muro mi do lo slancio per tirarmi su, ma le gambe hanno un cedimento. Il signor Gennaro mi ha afferrato prima che sbattessi il viso sul pavimento… faccio così pena da non riuscire nemmeno a reggermi in piedi… «C-ce la faccio…» ho teso la mano verso il braccio atletico di Gennaro, ma la mia presa non è ben salda.
«Non preoccuparti, ci penso io.»
Gennaro mi ha afferrato e preso in braccio, sorridendomi gentilmente con le sue labbra sottili. Ha gli occhi molto chiari. «Serataccia, eh? Andiamo adesso.»
Gennaro si è incamminato per le scale, mentre stringo al limite del possibile i pugni sul suo cappotto pesante e caldo. Mentre mi lascio trasportare sulle sue braccia vedo l’ascensore in funzione: chissà se è Rose che sta rientrando… ma se anche fosse lui, ormai è troppo tardi per fermare qualcosa che è già successo… e poi non voglio che mi veda in questo stato.
Mi sono sentito rincuorato sentendo con quanta cura il signor Gennaro mi ha disteso sui sedili posteriori della sua auto e ha usato il suo cappotto per tenermi al caldo… questo tepore profuma di forno a legna. Il dolce oscillare della vettura mi fa chiudere gli occhi, mi rilassa… vorrei dormire.
«Ivan, siamo arrivati!»
Ho aperto pigramente gli occhi. Ma non li avevo appena chiusi? Siamo già a casa? Ho alzato il busto mettendomi a sedere con un lampo di dolore alla testa.
«Ce la fai a camminare?»
Ho annuito intimidito, camminando a braccetto con Anna. Nonostante sia preoccupata, non mi ha ancora fatto nessuna domanda. Una volta rientrati, mi costringe ad infilarmi sotto le coperte e a misurare la temperatura.
«Dì la verità Ivan: tu non hai mangiato niente stasera, vero?»
«…No… ma non me la sento di mangiare.»
«Sciocchezze, adesso ti faccio un bel brodino caldo! Resta a letto, sarò da te tra cinque minuti!»
Anna ha lasciato la porta aperta ed è andata a passo svelto in cucina. Riesco a sentire la sua voce e quella di Gennaro mentre dialogano, e anche se non capisco le parole, so che lui sta cercando di rassicurare Anna, che si preoccupa sempre per me.
Dov’è l’orologio? Mi chiedo che ore siano… oh, sono le due e dieci… è già l’anno nuovo.
«Ivan, ecco il brodo caldo! Dammi quel termometro adesso…»
Anna ha appoggiato il vassoio con il piatto sulla scrivania e osservando il termometro ha fatto una smorfia seccata.
«Hai trentotto e mezzo di febbre… mangia tutto, così potrai prendere le medicine.»
Con dolcezza mi ha fatto una carezza sulla testa e ha poggiato il vassoio sulle mie ginocchia, porgendomi il cucchiaio: l’ho stretto ben saldo nella mano, ma proprio non me la sento di mangiare.
«Non so cosa sia successo con Tina e Rosemund, ma devi sforzarti di mangiare, altrimenti non potrai prendere la medicina.»
Ho cercato di dischiudere le labbra per sforzarmi di mangiare, ma queste, di ripicca hanno iniziato a tremare e i miei occhi hanno iniziato a riempirsi ancora una volta di lacrime: li ho strofinati con il dorso della mano, non riuscendo a placare questa improvvisa agitazione che provo.
«…I-io… io non… io non sono gay, Anna…»
«Mangia, su.»
Ho portato tremante il cucchiaio alle labbra, sentendo il caldo sapore del brodo.
«…Q-quando guardo Tina… io non capisco più niente…» mi sono voltato a guardarla, con il cuore in gola: Anna resta in silenzio e mi ascolta, con i suoi occhi gentili, concentrata sulle mie parole. «… Allora perché mi sento così…?» Vivaci, le lacrime hanno iniziato a rigarmi le guance senza tregua. «Mi sento il cuore andare in mille pezzi e ho i crampi allo stomaco! Allo stesso tempo penso che Tina sia sexy e bella… ma stasera sono diventato così geloso all’improvviso… è stato più forte di me, ho lasciato Tina da sola in mezzo alla strada e sono corso da lui… che mi sta succedendo? Cos’ho che non va??»
«Non hai niente che non va, Ivan. Ti sei semplicemente innamorato.» Mi dice questa frase sorridendo in maniera così amorevole, eppure mi sembra come se mi abbia appena lanciato contro una pietra.
«Non fare quell’espressione stupita… può accadere. Tina ti può piacere, ma è di Rosemund che sei innamorato... vino veritas, Ivan: non dimenticarlo. Adesso devi solo accettare che le cose stanno così.»
«……» Sento la mia testa girare vorticosamente in preda a mille domande, a mille punti interrogativi senza risposta. Continuo a non capire, non capisco. Se quello che dice Anna è vero, com’è successo che le cose siano andate a finire in questa maniera…?
«…N-n-non è possibile… io e Rose ci siamo appena promessi amicizia eterna… ero così sicuro di quello che dicevo…»
«Probabilmente la risposta a queste domande è solo dentro di te, Ivan. Io non posso fare molto altro a questo punto… certo, posso coccolarti, prepararti da mangiare… ma non posso dare delle risposte per te. Sei tu che devi accettare la realtà adesso.»
«Ma io e Rose siamo sempre stati migliori amici! NIENT’ALTRO!»
«…Io ho visto una luce nel tuo sguardo mentre eri con lui... che ho visto davvero poche volte nella vita. Ma è un tipo di luce che si riflette solo negli occhi della gente che ama.»
Anna si è alzata dalla sedia tra la scrivania ed il letto dandomi un bacio sulla fronte, accarezzandomi con amore: «Ti lascio riposare adesso. Prendi le tue medicine prima di dormire.» sorridendomi con affetto, mi ha lasciato solo nella stanza con una marea di pensieri confusi e poco chiari nella testa.
Anna mi ha detto “vino veritas”…
Adesso che ci penso, tutte le volte in cui ho bevuto, sono accadute delle cose strane tra me e Rose. Ogni volta in cui bevevo, il mio cuore si è spogliato di tutte le mie corazze, è diventato fragile e vulnerabile, e si è pian piano avvicinato a Rose. Sotto l’effetto di alcol l’ho sempre cercato… creando dei ricordi importanti, stringendolo tra le mie braccia… l’ho persino baciato.
E poi c’era sempre quella strana atmosfera tra di noi… è Rose che mi guardava sempre in maniera ambigua, tant’è che all’inizio credevo che si fosse innamorato di me. Intanto io come uno stupido mi sono lasciato completamente stregare dai suoi occhi profondi… occhi da cui non ho mai capito niente: non capisco… più cerco di rifletterci meno riesco a capire i suoi comportamenti. Mi ha sempre detto delle frasi o fatto gesti a doppio senso… ogni qualvolta è accaduto qualcosa di strano tra di noi, qualcosa che ci ha avvicinato sempre più… lui ha improvvisamente fatto un passo indietro, l’ha sempre fatto.
Adesso che sto con fatica cercando di farmene una ragione ad accettare questa cosa bizzarra… mi rendo conto che il problema qui sono soltanto io.
Mi imbarazza anche solo pensarlo, ma… sono io che mi sono lasciato catturare dal suo fascino… per lui io no sono mai contato nulla di più di un amico.
Il giorno della vigilia di Natale anche se per sbaglio, ci siamo baciati, ma lui dopo un primo momento di imbarazzo è rimasto quasi impassibile, è riuscito solo a pensare al suo ex dal cuore di pietra, ad un tipo che non potrebbe essere più diverso da come sono io.
“Anche adesso saresti felice se ti dicessi di amarti?”
“Sto scherzando, è ovvio che ne saresti contento! Sei il mio migliore amico!”
Perché mi ha fatto quella domanda? Quella domanda che ha buttato giù così, che ha ritirato subito lavandosene le mani con una risata… quella maledetta domanda che mi ha fatto pensare così tanto… quella domanda da quel giorno è diventata come un campanello d’allarme inconscio per me: ogni volta in una situazione ambigua, mi è ritornata in mente come se volesse farmi un dispetto, e che adesso risuona come una condanna.
Se questo è davvero amore… è sicuramente il peggior amore della storia contemporanea: pur non piacendomi i ragazzi, sono finito per innamorarmi del mio migliore amico gay, per il quale non sono nient’altro che un buon amico... e adesso mi toccherà persino essere il suo confidente nella sua storia con quel rompicoglioni di veterinario, che me lo metterà contro e che alla prima occasione lo tradirà senza pietà.
Che schifo… sono destinato a rimanere da solo… non mi ha mai voluto nessuno e nessuno mi vorrà mai… d’altronde potrei capirlo, come faccio a farmi accettare dagli altri se persino mia madre mi ha ripudiato?
Mi sento così solo e triste stasera… e l’unica che persona che potrebbe fare qualcosa al riguardo è l’ultima che starà pensando a me… sarà troppo impegnato a darsi da fare con quel schifoso maiale in calore.
Tra un singhiozzo e l’altro ho finito la minestra e mi sono infilato sotto le coperte, accompagnato da un fidato mal di testa, dai simpaticissimi brividi di freddo e dai generosi crampi allo stomaco.
   
 
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