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Autore: effe_95    04/03/2017    3 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 

52. E la punizione?, Mancanza e Partenza.


Aprile

Zosimo sapeva di dover scappare a casa a preparare la valigia.
Sapeva che era disordinato e disorganizzato, fare tutto all’ultimo minuto avrebbe significato sicuramente dimenticare cose importanti come i documenti, il biglietto aereo o lo spazzolino. Davvero, Zosimo sapeva di dover andare a casa e lasciar perdere, ma proprio non poteva farlo.
Doveva risolvere quella situazione, o altrimenti sarebbe impazzito.
Era da una settimana intera che non aveva notizie di Alessandra, da quando la ragazza gli aveva raccontato che suo padre aveva cominciato a dare di matto dopo aver scoperto che si era fidanzata con lui. L’ultima volta che avevano parlato Alessandra gli aveva suggerito di lasciarla perdere per un po’, il tempo necessario affinché Nicola Rossi sbollisse l’arrabbiatura e l’ansia da padre troppo apprensivo, ma Zosimo non poteva più aspettare.
Non poteva aspettare che Nicola cominciasse a capire che sua figlia non era più una bambina, perché il giorno seguente sarebbe partito per Vienna con la classe e avrebbe significato solamente stare un’altra settimana senza sapere nulla di Alessandra.
Andarsene a Vienna senza nemmeno salutarla non era contemplabile.
Osservò con fare distratto il volto di ogni singolo studente che si apprestava a lasciare l’istituto scolastico e ignorò gli sguardi sconcertati di alcuni ragazzi, senza calcolare minimamente la possibilità di apparire del tutto sospetto standosene nascosto dietro i cancelli in quel modo.
La verità era che Zosimo aveva programmato quell’agguato per tutta la giornata.
Era da giorni che cercava di convincere Gabriele a farlo parlare con Alessandra anche solo per un istante, ma il castano trovava sempre una scusa per ignoralo o liquidarlo, suggerendo di non volersi mettere nei casini con i suoi.
Beh, quel giorno Zosimo era intenzionato a convincerlo a tutti i costi.
Sporse nuovamente la testa da dietro la colonna di mattoni dove si era nascosto e scrutò tra la folla con sospetto, aveva fatto una corsa micidiale per raggiungere i cancelli prima di Gabriele e Aleksej, ma stava cominciando a chiedersi se avesse calcolato bene tutti i dettagli.
Sentiva come se qualcosa gli stesse sfuggendo, un particolare.
<< Che cosa diavolo stai facendo precisamente?! >>.
Zosimo rischiò una commozione celebrare quando quelle parole lo raggiunsero, saltò come un grillo e andò a sbattere con la tempia sui mattoni scarabocchiati della colonna, ritrovandosi un: “ Fabrizio ti amo”, con tanto di cuore gigante, ad un palmo dal naso.
<< Ahia! >> Commentò massaggiandosi la parte dolorante del viso, poi sollevò i grandi occhi castani e li posò sulla figura slanciata di Cristiano, che lo osservava con un sopracciglio sollevato e l’espressione di una persona eternamente disgustata << Ehi Cris, come va? >>.
Domandò allegramente tornando a scrutare la folla con una mano sulla fronte.
<< Tsk, possibile che non smetta di essere allegro nemmeno quando sbatte con la testa contro una colonna di mattoni incrostata di vecchie gomme da masticare? >>.
Brontolò tra sé e sé Cristiano, poi alzò gli occhi al cielo e picchiettò l’amico sul braccio, infastidito dal fatto che non gli stesse prestando la minima attenzione.
<< Ohi Zosimo, cosa diamine combini? Sembri uno stalker maniaco o qualcosa di simile >>.
<< Sto preparando un agguato a Gabriele >>.
Cristiano esitò un istante dopo aver sentito quelle parole, e fu fortemente tentato di lasciar perdere tutto quello che aveva sentito e abbandonare Zosimo alla sua follia, ma per qualche strana ragione non riusciva a fare l’indifferente quando si trattava di lui.
Inoltre, avevano un appuntamento.
<< Beh, credo tu abbia dimenticato che Gabriele ha la macchina. Se n’è già andato da un pezzo probabilmente, avresti dovuto appostarti nel parcheggio se proprio volevi fregarlo >>.
<< Cazzo, la macchina! Ecco cos’era! >>.
Cristiano rischiò un infarto quando Zosimo strillò quelle parole schioccando le dita e schiaffandosi una mano sulla fronte in maniera teatrale, si passò una mano sul petto all’altezza del cuore che aveva preso a battere freneticamente, poi si schiarì la voce, chiuse gli occhi un istante per ritrovare la calma, e con tutto il contegno di cui era capace menò un calcio a Zosimo nel didietro.
<< Ahi, perché?! >> Proruppe Zosimo riportando totalmente per la prima volta la sua attenzione sull’amico indispettito, Cristiano alzò gli occhi al cielo.
<< Ci sarebbero infiniti perché, ma non abbiamo tutta la giornata! Andiamo? >>.
<< Andare dove? >>.
<< Ohi Zosimo, mi stai prendendo per il culo? Ti sei davvero dimenticato che volevi andare al cimitero insieme prima di partire e mi hai tormentato per tutto il tempo ieri?! Per progettare questo casino l’hai davvero dimenticato?  E hai osato anche fallire!?>>.
Cadde un silenzio di alcuni secondi a seguito della sfuriata di Cristiano, secondi in cui Zosimo spalancò la bocca e sollevò un dito nel tentativo di ribattere qualcosa di sensato, ma l’unica cosa che riuscì a produrre fu un lungo sospiro.
<< Mi dispiace Cris, sono un po’ distratto in questi giorni >>.
Commentò rivolgendo all’amico un ampio sorriso mentre si grattava goffamente la nuca.
Cristiano sospirò, incrociò le braccia al petto e scrutò il folletto con attenzione, era la prima volta che vedeva Zosimo sorridere così forzatamente, gli era successo qualcosa?
Stava passando un brutto momento e lui non se n’era accorto?
Cristiano provò imbarazzo nel rendersi conto di non essere proprio tagliato per i rapporti umani, come amico faceva davvero schifo e aveva molto da imparare.
<< Ok, non importa, piuttosto … posso aiutarti in qualche modo? Non so – io – cioè … >>.
Zosimo sollevò entrambe le sopracciglia osservando il tentativo disastroso di Cristiano, ma si ritrovò inevitabilmente ad allargare il suo sorriso facendo spuntare le fossette.
<< È per Alessandra. Suo padre è un po’ contrariato dal fatto che la figlia non gli abbia detto di essere fidanzata e adesso la tiene in punizione … lontana da me. Niente cellulare, niente computer, niente Zosimo per due settimane! >>. Raccontò il folletto accompagnando ogni divieto con un “zac” finale dal tono molto teatrale.
Cristiano trovò sorprendere il modo in cui Zosimo avesse la capacità di essere così positivo anche nelle cose che lo riguardavano personalmente e che lo facevano soffrire, mentre lui non avrebbe fatto altro che commiserarsi o arrendersi, adducendo a se stesso la scusa che non ne valesse la pena, o qualcosa di simile.
<< Non è esagerato? >>. Domandò Cristiano, contrariato.
<< Sinceramente non lo so >> Rispose Zosimo facendo spallucce << Gabriele mi ha detto che suo padre da bambino è cresciuto solo con la madre e la sorella. Che ha dovuto crescere in fretta e prendersi cura di loro, diventare uomo troppo presto. Mi ha detto che è solamente troppo apprensivo nei confronti di Alessandra per questo motivo, perché lei è la sua unica figlia femmina, e che per questo devo lasciar perdere perché tanto poi gli passa >>.
<< E tu? >>.
<< Io? Beh, io vorrei fargliela passare oggi >>.
<< Beh, fallo! >>.
<< Cosa? >>.
Cristiano afferrò Zosimo per le spalle e lo girò verso la strada, l’occhio del folletto ricadde su una macchina nera accostata al marciapiede dal quale stava scendendo un uomo alto e atletico, sulla quarantina inoltrata.
<< Quello è il padre di Gabriele no? Non vedi Alessandra che lo sta per raggiungere? >>.
Zosimo la vide, mentre usciva dal cancello in compagnia di alcune sue compagne di classe e rivolgeva un’occhiataccia al padre, che appoggiato alla macchina in quel modo, con espressione seria e annoiata contemporaneamente, assomigliava incredibilmente a Gabriele.
<< Certo che però … andare a prenderla anche a scuola lo trovo eccessivo! >>.
Commentò Cristiano spintonando Zosimo verso la macchina.
<< Che ci vuoi fare? Si vede che è un uomo dalle decisioni ferme >>.
Replicò Zosimo opponendo un po’ di resistenza alla spinta di Cristiano, ma quest’ultimo lo sollevò praticamente di peso e lo spintonò in avanti con decisione.
<< Adesso va’! Al cimitero ci andiamo quando torniamo da Vienna. Sbrigati! >>.
E con quelle parole rudi si congedò da Zosimo lasciandolo in bella vista in mezzo alla strada, con la giacca di jeans spiegazzata e il colletto della felpa rovesciato sulla spalla.
Trasse un respirò profondo, si aggiustò alla bell’e meglio la maglietta e mettendo su il sorriso migliore del suo intero repertorio, piuttosto vasto grazie alla pratica di anni, raggiunse la macchina nera e si piazzò con aria allegra davanti a Nicola Rossi, accompagnando il tutto con un profondo inchino in stile orientale.
<< Buongiorno signore! >>.
Nicola rimase piuttosto interdetto quando si ritrovò davanti il ragazzo, il primo pensiero che gli passò per la mente fu chiedersi se non gli fosse venuto un colpo della strega dato il modo esagerato in cui si era chinato.
<< Zosimo! >>.
Fu l’esclamazione sorpresa della figlia a fargli comprendere più o meno la situazione.
Alessandra guardava il fidanzato con aria scioccata, bloccata in una posa del tutto particolare mentre si accingeva a salire in macchina.
<< Ehi Ale! Come stai? >> Replicò Zosimo allegro, salutandola con una mano.
Nicola incrociò le braccia al petto, sollevò un sopracciglio e osservò con aria contrariata il giovanotto che si trovava davanti. Era alto giusto qualche centimetro in più rispetto Alessandra, aveva una matassa di capelli mossi e sbarazzini che non nascondevano per nulla le orecchie dai tratti elfici, e per giunta non sembravano essere mai stati pettinati, gli occhi erano grandi e scuri, così come la sua carnagione leggermente olivastra.
Indossava dei vestici stropicciati che facevano a cazzotti tra loro e aveva le scarpe slacciate e scribacchiate come quelle di un bambino.
<< Zosimo, cosa stai facendo qui? Ti - >>.
<< Le domande le faccio io! >>.
Intervenne bruscamente Nicola interrompendo la figlia, Alessandra alzò gli occhi al cielo e finalmente emerse dalla macchina chiudendosi la portiera alle spalle.
<< Si signore! >> Scattò immediatamente Zosimo, come se si trovasse davanti ad un sergente o un comandate dell’esercito << No, signore! Non fumo e non bevo! Non ho mai fatto uso di droghe o stupefacenti e non ho tatuaggi. A scuola ho la media del sei! Non sono mai stato fidanzato con nessuno prima di sua figlia, quindi non ho malattie sessualmente trasmettibili. Vivo da solo con mio padre, perché ho perso la mamma quando avevo otto anni, quindi mi scuso se i miei vestiti non sono perfettamente stirati, le assicuro che papà fa del suo meglio! Ah! Lui è un pianista, lavora al conservatorio e ogni tanto da lezioni private. Sono bravo a cucinare, faccio schifo a educazione fisica ma sono in salute, lo giuro! Non ho grandi aspirazioni per il mio futuro, ma vorrei diventare un meccanico e aprire un’officina mia.
Sono figlio unico e non ho parenti oltre mia nonna e mio padre. In famiglia non soffriamo di malattie mentali. Ah, e ho la fedina penale pulita! Ecco, questo è tutto … più o meno >>.
Zosimo concluse lo sproloquio portandosi una mano alla fronte nel tipico segno militare, poi si rese conto di cosa aveva fatto e arrossì, nascondendo il braccio dietro la schiena.
Nicola rimase ad osservarlo per un secondo con un’espressione allucinata sul viso.
<< “Malattie sessualmente trasmettibili?” >> Mormorò tra se e se, scioccato.
<< Possibile che sia tutto quello che hai sentito del suo discorso, papà?! >>.
Al rimprovero di Alessandra, che guardava Zosimo con intensità, Nicola si schiarì la voce, sciolse la posa rigida delle braccia e sospirò, rivolgendo al ragazzo un’espressione seria.
<< Vuoi bene a mia figlia? >>.
<< Si, signore! >>.
Nicola sussultò per l’immediata risposta del ragazzo che continuava a guardarlo negli occhi, in effetti, l’adulto si rese conto per la prima volta che Zosimo non aveva mai abbassato lo sguardo.
<< Hai … hai perso tua madre quando eri bambino? >>.
<< Si. Ma sto bene, e sono felice. Perché so che la mamma veglia sempre su di me. E poi mi ha mandato Alessandra, no? >>.
E dopo aver pronunciato quelle parole Zosimo si aprì in un sorriso che Nicola trovò particolarmente suggestivo, si lasciò andare anche lui ad un buffetto divertito e guardò la figlia di sottecchi, ancora concentrata sul fidanzato che non vedeva e sentiva da giorni.
<< Stai bene? >> Domandò lei alzando la voce per attirare l’attenzione di Zosimo, lui si girò verso di lei e annuì sorridendo << Stai mangiando come si deve? Pulisci la tua stanza tutti i giorni? Hai cambiato le lenzuola del letto? Ti sei stirato le camicie? >>.
Zosimo annuì ad ogni affermazione della ragazza, Nicola non aveva mai visto la figlia con un’espressione così seria e preoccupata sul viso.
<< Va bene, basta così! >> Esordì interrompendo il contatto visivo tra i due giovani << Io devo andare a lavoro, quindi torna a casa con Zosimo, Alessandra >>.
Commentò distrattamente l’uomo aggirando la macchina per raggiungere il posto del guidatore, ignorando con maestria le espressioni sorprese e incredule dei due.
<< E la punizione? >>. Domandò Alessandra.
<< Finisce qui! Mi ero anche annoiato di venirti a prendere a scuola tutti i giorni. Ad ogni modo … >> Commentò Nicola sollevando lo sguardo verso Zosimo << … quando tornate da Vienna sei invitato a cena da noi, voglio parlare un po’ meglio della tua fedina penale! >>.
E con quelle parole e un sorriso nascosto mentre saliva sulla macchina, Nicola mise in moto e se ne andò, pensando che dopotutto sua figlia fosse stata davvero fortunata.
Alessandra e Zosimo rimasero a fissarsi per un po’, poi sorrisero contemporaneamente.
<< È forte tuo padre! >>.
<< Vieni qui e baciami, scemo! >>.
Zosimo non ci pensò due volte.
 
<< Il numero da lei chiamato non è al mo->>
<< Che significa che non è raggiungibile?! Perché quella stupida non risponde? >>.
Giasone era pienamente consapevole che sgridare in quel modo il suo cellulare non avrebbe affatto risolto la situazione, né placato il motivo della sua indignazione.
Osservò ancora una volta con fare rabbioso lo schermo del telefono, imprecò tra i denti quando si accorse che la batteria sarebbe durata ancora per poco tempo e alzò gli occhi al cielo per la frustrazione.
Non aveva altra scelta.
Guardò con il cuore in subbuglio nel petto il portone del palazzo e si domandò ancora una volta perché dovesse avere una fidanzata talmente testarda e stupida da essere costretto a raggiungerla addirittura sotto casa per cercarla.
Giasone aveva creduto che Muriel stesse scherzando quando la sera precedente, dopo averla fatta arrabbiare, lei gli aveva gridato che il giorno prima di partire non l’avrebbe salutato.
Aveva creduto che stesse scherzando perché Muriel restava arrabbiata solo pochi minuti quando lui la faceva esasperare, non gli aveva mai davvero gridato contro con ira, o negato la parola per giorni interi o ore, come invece aveva fatto in quel caso.
<< Forse ho esagerato questa volta? >> Mormorò Giasone tra se e se riponendo il cellulare nella tasca della giacca, sospirò pesantemente e vi avviò con passo deciso verso il citofono, ma poco prima di bussare ritrasse la mano e si morse il labbro inferiore.
Dopotutto perché doveva salutarla a tutti i costi?
Non aveva fatto altro che prenderla in giro per tutto il tempo su quando fosse piagnucolona, sul fatto che fosse troppo gelosa e che sarebbe stato via solo per poco tempo, e allora …
Allora perché si era presentato sotto casa sua per salutarla?
Non sarebbe stato meglio lascarla bollire nel suo brodo per un po’?
Giasone infilò la mano con cui stava per bussare nella tasca della giacca e sbuffò sonoramente, intenzionato ad andare via, ma non appena mosse un piede per allontanarsi cambiò immediatamente idea, ritornò sui suoi passi e guardò attentamente il citofono.
<< Dopotutto forse l’ho stressata troppo … dovrei scusarmi? >>. Commentò incrociando le braccia al petto, qualche passante si girò a guardarlo con fare perplesso nel vederlo comunicare con un citofono << No! Ad ogni modo lei non avrebbe dovuto dire cose del genere! Se ha detto che non mi avrebbe salutato allora deve mantenere la promessa! >>.
Quando ebbe pronunciato quelle parole Giasone si rese conto che in effetti Muriel aveva mantenuto la promessa, erano le sette passate e non lo aveva contattato per tutto il giorno.
Era lui quello che era corso sotto casa sua.
<< Ah! >> Commentò con amarezza, poi rise di se stesso e decise che doveva tornare a casa.
Non aveva senso tutta quella scena, avrebbe provato a chiamarla un’altra volta in tarda serata, e se non avesse ottenuto risposta anche in quel caso sarebbe andato a dormire con l’anima in pace.
Osservò ancora una volta con sguardo minaccioso il citofono, come se fosse il colpevole di tutta la situazione, e si apprestò ad allontanarsi proprio nel momento in cui il portone del palazzo si spalancò facendogli prendere un colpo.
<< Muriel?! >>.
La mora rischiò un infarto quando Giasone gridò il suo nome in quel modo, fece un balzo indietro di alcuni metri e si mise in posizione d’attacco ancora prima di rendersi conto di cosa fosse successo. Sembrava un gatto randagio pronto a scattare.
<< Gia- Giasone?! Cosa ci fai qui? >> Mormorò quando fu la sorpresa a prendere spazio, aveva ancora il cuore che martellava nel petto per la paura, ma lentamente lasciò cadere le braccia e sciolse le mani dalla presa ferma di quei pugni che aveva stretto con vigore.
Giasone la osservò per alcuni istanti, sorpreso, indossava le scarpe da ginnastica sotto i pantaloni di una tuta per correre che gli fasciava le gambe snelle e toniche, un pullover peloso decisamente troppo largo per le sue poche forme e una semplice giacca a vento.
Non era truccata e aveva i capelli in disordine.
Era decisamente troppo sexy in quel modo per i gusti di Giasone.
<< Dove stai andando conciata in quel modo? >>. Si ritrovò a domandare incrociando le braccia al petto, Muriel rivolse un’occhiata veloce al suo abbigliamento estremamente anonimo e fece spallucce, trovando la domanda del fidanzato fuori luogo.
<< A comprare il pane nel supermercato vicino >>
Rispose infilando le meni nelle tasche della giacca, Giasone avrebbe voluto mantenere un’espressione severa, ma il desiderio di abbracciarla non lo aiutava nell’impresa.
Si guardarono negli occhi per un po’, in silenzio.
<< Ti accompagno >>.
Giasone pronunciò quelle parole senza lasciarle il tempo di controbattere o rifiutare l’offerta, perché la sorpassò e cominciò a camminare in direzione del supermercato, a Muriel non restò altro che affiancarlo pochi istanti dopo.
<< Hai preparato la valigia? >> Domandò lei quando il silenzio cominciò a diventare insopportabile e sbagliato.
<< Uhm >> Brontolò Giasone diminuendo inconsciamente la velocità dei suoi passi.
<< Hai preso lo spazzolino? I documenti per viaggiare? La biancheria intima necessaria? Il caricabatteria del cellulare per averlo sempre carico? >>.
<< Si, mamma >> Replicò lui con ironia.
<< Non sei divertente >>.
Cadde nuovamente il silenzio quando Muriel replicò in quel modo serio del tutto estraneo alla sua personalità, camminavano entrambi così lentamente che avrebbero potuto direttamente fermarsi lì, smettere di farlo, e non sarebbe cambiato nulla.
Giasone le risolve un’occhiata di sottecchi e la trovò pensierosa, seria.
<< Davvero non volevi salutarmi? >>.
<< Si, perché sei un brutto idiota, uno scimpanzé peloso e stupido! >>.
<< Wow, con questi insulti potrei offendermi seriamente. Ahia! >>
Giasone non si pentì del suo tono sarcastico nemmeno quando Muriel gli tirò un pugno sulla spalla con tutta la forza bruta che aveva a disposizione, non se ne pentì perché era più da lei.
Era da lei essere chiassosa, chiamarlo scimpanzé e prenderlo a botte.
<< Ci vado da sola a comprare il pane, tornatene a casa! >>.
Sbottò Muriel al colmo dell’esasperazione, affrettando il passo ad una velocità tale che ben presto Giasone la vide a parecchi metri di distanza, con la schiena curva e la postura rigida.
Le gambe gli si mossero da sole, con solamente due falcate fatte di corsa la raggiunse, avvolse le braccia intorno alla sua vita sottile e la tenne stretta a se, con forza.
<< Non posso partire se mi tieni il muso e non rispondi al cellulare >>.
<< Non avevi detto che sono troppo appiccicosa? Allora perché mi abbracci? >>.
Mormorò lei abbassando inevitabilmente il tono di voce, si era resa conto in quel momento di quanto tirasse vento quella sera, non appena Giasone l’aveva stretta a se il corpo le si era riscaldato, si sentiva bene e al sicuro.
<< Non sei appiccicosa … è solo che mi piace stuzzicarti >>.
A seguito di quelle parole rimasero in silenzio entrambi, lasciandosi trasportare da un abbraccio che non si erano mai dati con tale intensità, ignari degli sguardi dei passanti, dell’orologio che avanzava o del vento sempre più forte e insistente.
<< Sai Gias io … non è vero che devo comprare il pane. Stavo venendo da te in realtà >>.
Giasone rimase meno sorpreso di quanto si sarebbe aspettato a seguito di una dichiarazione del genere, si ritrovò piuttosto a pensare per la prima volta di essere stato egoista.
Non era mai stato pienamente sicuro di ciò che provava per Muriel, aveva cominciato quella storia come se fosse stato un gioco, una sfida da superare, una prova a cui dare un voto finale, che fosse stato positivo o negativo non avrebbe avuto importanza per lui.
Invece aveva imparato che l’amore era molto più complicato.
Aveva imparato che senza quella “piattola” sarebbe stato un po’ più difficile vivere da quel momento in poi.
<< Beh, non ne hai avuto bisogno. Alla fine sono venuto io da te >>.
<< Volevo dirti di fare attenzione. Di divertirti con i tuoi amici e di non pensarmi. Di crearti dei ricordi bellissimi, e di fare tante foto e tante sciocchezze >>.
Mentre pronunciava quelle parole Muriel sentì la stretta di Giasone farsi più intensa, sollevò lo sguardo e gli occhi versi rischiarati dalla luce dei lampioni si scontrarono con quelli chiari e limpidi del fidanzato, che la guardava come non aveva mai fatto prima.
<< Sentirò la tua mancanza >>.
Giasone l’aveva capito solo in quel momento che quelle semplici parole erano tutto ciò che Muriel avrebbe voluto sentirsi dire in quei giorni in cui non avevano fatto altro che bisticciare per sciocchezze.
<< Non fare il melodrammatico, è solo una settimana! >>.
Lo rimbrottò lei con il sorriso sulle labbra, ripetendo con ironia quelle stesse parole che lui le aveva detto per giorni solo per esasperarla, Giasone ridacchiò chiudendo gli occhi e per quel motivo rimase piuttosto sorpreso quando Muriel sollevò le punte dei piedi e lo baciò a tradimento, mentre era distratto.
Era strano ricambiare quel bacio al contrario, era scomodo.
Ma Giasone pensò che potesse andargli bene anche in quel modo.
 
<< E se cade l’aereo? E se becchiamo una turbolenza e ci schiantiamo in mare? Non ho nemmeno salutato mia sorella e mia madre come si deve questa mattina! >>.
Telemaco avrebbe volentieri tirato una gomitata al suo vicino di posto e migliore amico, ma era troppo impegnato ad allacciarsi la cintura per ascoltare pienamente i suoi deliri.
Erano appena saliti sull’aereo, Telemaco aveva trovato particolarmente dura svegliarsi alle cinque del mattino per raggiungere il luogo dell’appuntamento con il resto della classe. Aveva sempre detestato i voli aerei che partivano troppo presto la mattina.
Anche se imbarcarsi era stato meno difficile di quanto si era aspettato, non avevano avuto problemi al check-in e nessuno era arrivato in ritardo, contribuendo ad aumentare in questo modo la gioia dei professori che li accompagnavano in gita: Costantino Riva di greco e latino, Enzo Palmieri di storia e filosofia ed Elettra Valente di scienze della terra.
<< Ma che fai Telemaco?! Hai allacciato male la cintura! >>.
Lo strillo di Igor lo distrasse dai ricordi di quella mattina procurandogli la perdita momentanea dell’udito, chiuse gli occhi e cercò di contenere la rabbia o gli insulti, ma fallì.
<< Imbecille che non sei altr- >>. Cominciò a sbraitare, ma prima di poter terminare la frase qualcuno seduto al sedile posteriore gli tappò la bocca.
<< Ti prego, non urlargli contro. Stanotte non ha chiuso occhio per la tensione. È solamente un po’ nervoso >>.
Telemaco avrebbe voluto dirne quattro anche a Zoe in quel momento, prima di tutto perché si era permessa di tappargli la bocca in quel modo, ma in particolar modo perché era sempre troppo accondiscendente quando si trattava di Igor.
Le rivolse un’occhiataccia, per quanto gli fosse realmente possibile in quella posizione scomoda, e annuì vigorosamente, giusto per farle capire che se non l’avesse lasciato andare sarebbe sicuramente morto soffocato.
Zoe lo liberò di scatto e tornò a mettersi seduta con compostezza.
<< Sicura che non se la farà sotto? >>.
La bionda era soddisfatta di se stessa quando gli giunse quella domanda, alzò lo sguardo e vide Enea in piedi proprio di fronte a lei che sistemava distrattamente un piccolo zaino negli scompartimenti alti. Zoe fece per aprire la bocca e ribattere con vigore, quando Beatrice, giunta in quel momento con il biglietto tra le mani, la precedette.
<< Sei seduto qui? Io nel posto dietro il tuo >>. Zoe contrasse le sopracciglia quando Enea continuò a fare quello che stava facendo senza degnare della minima attenzione la sua fidanzata, come se non avesse affatto parlato. Rivolse un’occhiata a Beatrice e la vide mordersi il labbro inferiore con violenza, sembrava afflitta.
Osservò ancora un po’ la scena per cercare di capire meglio cosa stesse succedendo, ma Fiorenza richiamò la sua attenzione facendola distrarre, così fu solamente Oscar, capitato sul corridoio in quel momento, ad assistere allo scambio di battute mancato.
<< Enea, possiamo parl- >>. Tentò di nuovo la riccia allungando una mano per toccare il braccio del fidanzato, ma prima che ci riuscisse Enea chiuse violentemente l’anta dello scompartimento e le diede le spalle.
<< Ehm, scusatemi … >> Intervenne Oscar sventolando il suo biglietto, entrambi si voltarono a fissarlo e lo fecero trasalire, Enea sembrava indifferente, Beatrice afflitta.
<< Enea, se vuoi possiamo far cambio posto. Sono seduto io accanto a Beatrice >>.
Quando Enea lo guardò a lungo Oscar cominciò a dubitare di aver fatto bene a proporre quella cosa, poi guardò di sottecchi Beatrice e si rese conto che lei aspettava avidamente una risposta da parte del suo fidanzato.
<< Ti ringrazio Oscar, ma no. Però conosco qualcun altro che sarebbe felicissimo di sedersi accanto a Beatrice, dico bene? >> E dette quelle parole si chinò verso il suo vicino di posto, un Lisandro piuttosto imbarazzato che osservava fuori il finestrino facendo finta di avere le la musica nelle orecchie al massimo volume.
Oscar ebbe la brutta sensazione di essere finito in un gruppo di pazzi quando si mise seduto accanto ad una Beatrice demoralizzata con le lacrime agli occhi.
Si stava per allacciare la cintura quando Ivan gli passò accanto.
<< Ehi Ivan! Tu dove sei seduto? >> Domandò all’amico fermandolo giusto in tempo, Ivan si fermò di botto, guardò con titubanza il suo biglietto e si morse il labbro inferiore.
<< Sono capitato accanto a … >> E tacque.
Oscar non ci mise troppo a capire a chi si stesse riferendo, era a conoscenza di tutta la situazione e se ne dispiaceva immensamente.
<< Non è … non è che potremmo far cambio posto? Sai, non voglio che Italia pensi che io stia cercando di perseguitarla o altro … insomma … >>.
<< Certo, non c’è problema >> Si affrettò a ribattere Oscar quando vide l’amico in difficoltà, rivolse un’occhiata a Beatrice per vedere se la cosa le andasse bene o meno, ma la ragazza era persa in altri pensieri e non aveva nemmeno seguito la loro conversazione.
Nel frattempo, nascosta nel sedile in prima fila, Italia osservava la scena di sottecchi, aiutata da Catena e Romeo che erano seduti proprio dietro di lei.
<< Ha scambiato il suo biglietto con quello di Oscar >>
Le annunciò Romeo incrociando le braccia al petto con aria svogliata, era sempre di cattivo umore quando si svegliava troppo presto la mattina.
<< Davvero? >> Domandò immediatamente Italia sentendo un tuffo al cuore, poi scosse frettolosamente la testa e si schiaffeggiò le guance << Bene, meglio così >>.
E si ritrasse sul posto quando vide arrivare Oscar, un po’ trafelato e sconcertato.
Avrebbe voluto chiedergli qualcosa, ma proprio in quel momento la voce del professor Riva fece trasalire e ammutolire tutti.
<< Stiamo per partire ragazzi, mi raccomando, allacciate bene le cinture! >>.
Stavano per raggiungere Vienna, e seduta al suo posto Italia ebbe come la sensazione che quell’ultima settimana di Aprile sarebbe stata piuttosto movimentata.
 

 
 
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Effe_95

Buonasera a tutti :) 
Sono finalmente riuscita a postare questo capitolo e a sopravvivere alla sessione invernale ( ho dato quattro esami e mi è sembrato di morire -_-"). Allora, non posso trattenermi molto questa volta, quindi lascio commentare a voi le prime due parti. Per quanto rigurda la terza, vi anticipo che per quanto riguarda il viaggio a Vienna credo che vi dedicherò al massimo due capitoli (o forse uno solo, ancora non so), e che verterà più sulle situazioni interne piuttosto che sulla descrizione della città (che io trovo bellissima, tra l'altro). 
E, piccolo spoiler, nel prossimo capitolo scopriremo finalmente la verità sul triangolo Telemaco-Fiorenza-Cristiano ;)
A presto, grazie mille come sempre a tutti per il sostegno.
Siete la mia forza.
Alla prossima :)
  
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