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Autore: Son of Jericho    04/03/2017    2 recensioni
Sequel di "How can I know you, if I don't know myself?"
Sono trascorsi due anni da quando il sipario è calato sullo spettacolo alla Hollywood Arts. La vita per i ragazzi sta andando avanti, tante cose sono cambiate, e sta arrivando per tutti il momento di affrontare responsabilità, problemi e sorprese.
E mentre impareranno cosa significa crescere, si troveranno faccia a faccia con il tormento più profondo: i sentimenti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andre Harris, Beck Oliver, Cat Valentine, Jade West, Tori Vega
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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III – Near, Far, Wherever you are
 

 

- Da quando porti gli occhiali? –

Freddie e Beck si erano fermati a mangiare in una piccola pizzeria, non troppo lontana dalla biblioteca, e stavano conversando come due buoni amici.

- Da quando ho scoperto, a forza di leggere libri e copioni, di aver perso un decimo e mezzo all’occhio sinistro e due al destro. – fece il canadese, indicandoseli con la forchetta.

- E con le battute come fai? –

Beck azzannò un pezzo di pizza. - Non ne ho più bisogno. –

Freddie gli lanciò un’occhiata interrogativa, bloccando le posate a mezz’aria.

- Ho chiuso con quell’ambiente. – l’altro scosse il capo. - Spettacoli, piccolo o grande schermo che sia… per adesso non c’è più niente. –

Per la prima volta, Freddie notò come anche il tono di Beck fosse cambiato. C’era ancora quell’aria affabile, ma sembrava più duro, quasi graffiato dal tempo. Sembrava cresciuto molto di più rispetto alla sua età.

- Ora ho capito il perché del lavoro in biblioteca. –

- Lo adoro, non fraintendermi. E non pensare che sia per i problemi alla vista che ho smesso con la recitazione. –

Freddie fu quasi sorpreso dalla risposta. – Non è per quello? –

L’amico scoppiò a ridere, una manifestazione di allegria che sembrava nascondere qualcos’altro nel profondo. - Assolutamente no. Mi sono diplomato l’estate di… di Seattle, insomma. Mi hanno fatto recuperare gli ultimi esami che mi restavano e, grazie ai miei ottimi voti, mi hanno promosso senza problemi. Immagino di dover ringraziare tanta gente all’interno della Hollywood Arts, se sono state disposte a passare sopra alla mia piccola fuga. Dopodiché ho continuato gli studi autonomamente, girando tra scuole, corsi e agenzie. –

- E hai ottenuto delle parti, immagino. –

- Alla fine sono riuscito ad entrare nello show business. Una serie tv su un network privato e una breve fiction, e in entrambe recitavo come protagonista. Purtroppo, però, quelli che credevo buoni progetti si sono rivelati dei fallimenti. La serie è stata cancellata dopo appena una stagione, a causa di ascolti bassissimi, mentre la fiction è andata leggermente meglio, ma non abbastanza per essere in prima serata. –

- E dopo che hai fatto? –

Beck mandò giù un altro paio di bocconi, come se prendesse tempo per pensare. – E’ un periodo difficile per i giovani che vogliono sfondare. Se non hai una boy-band o non sei la star di un telefilm per ragazzini, non sei nessuno. Ed è proprio ciò che ero diventato dopo quelle due produzioni, un Signor Nessuno. Le reti non avevano intenzione di affidare ruoli importanti ad un attore che, non solo non ha grande esperienza, ma ha alle spalle anche due sonori flop. Capirai che non è un bello sponsor. Ho aspettato per mesi un nuovo ingaggio, ma non è più arrivata una telefonata. –

Si fermò per bere, immaginando la domanda successiva di Freddie. – Per fortuna mi è rimasto il lavoro in biblioteca. Lì c’è una vita intera da imparare. E se un giorno qualcuno mi chiamerà dicendo che mi vogliono per un film o qualsiasi altra cosa, deciderò che fare. –

- Il teatro? –

Una parola che doveva essere innocente e incoraggiante, ebbe invece l’effetto di far scattare qualcosa nello sguardo di Beck. – Non ha funzionato nemmeno quello. – tagliò corto.

E per la seconda volta, Freddie ebbe l’impressione che ci fosse di più nella testa di Beck, qualcosa che evidentemente non era ancora pronto a confidargli.

Per un attimo gli tornò in mente anche il discorso che aveva fatto alla madre, riguardo il lavoro e l’università. Magari anche lui avrebbe finito per restare legato allo stesso impiego per anni, senza avere però la fortuna di amarlo, come invece faceva Beck.

- Come va invece con… con Jade? –

L’ombra tornò ad oscurare gli occhi del canadese. – Ne parliamo un’altra volta, ok? -

– Certo. - Freddie cercò di non forzare la mano, ma c’era una domanda che premeva ancora di più per uscire. - Perché non mi hai detto nulla di… - se ne uscì all’improvviso, eliminando la parte della frase che più lo turbava.

Il sospiro di Beck dimostrò che si aspettava quella domanda. – Non me lo hai mai chiesto, e io non ero sicuro che avresti voluto saperlo. All’inizio non c’era nessuno accanto a lei. -

- Ma da quant’è che stanno… -

- Quasi un anno e mezzo. – fece una pausa per studiare la reazione dell’amico. – Pensavo che alla fine avessi fatto pace con te stesso e fossi andato avanti. –

Freddie abbassò gli occhi per un istante. – Era questo, Beck, era venire a Los Angeles il mio andare avanti. –

- Adesso cos’hai intenzione di fare? –

- Devo almeno incontrarla. -

 

*****

 

Ogni volta che si vedevano era come se fossero ancora uno accanto all’altra. I sorrisi risplendevano, e i loro occhi si tuffavano attraverso lo schermo, cercando di catturare più immagini possibili.

Erano passati due anni dall’estate di Seattle, eppure sembrava che certe cose non fossero minimamente scalfite dal tempo o dallo spazio.

Cat si era seduta di fronte al computer con la consueta gioia che continuava a distinguerla. E quando il volto di Robbie era comparso dall’altra parte, quella sensazione si era ulteriormente intensificata.

Parlare con lui era il momento preferito della sua giornata. Era l’unico modo per sentirlo così vicino, nonostante la loro lontananza.

Robbie aveva recentemente terminato il primo ciclo di studi in Germania, al quale ne sarebbe seguito un altro di diciotto mesi, per poi poter accedere alle specializzazioni. Non aveva mai negato di sentire la mancanza di casa, ma aveva fatto una scelta ed era determinato a seguirla fino in fondo.

Era un sogno che duellava costantemente con i sentimenti rimasti in lui.

Da qualche tempo aveva smesso di chiedere a Cat di raggiungerlo. Aveva capito che lei non avrebbe mai lasciato Los Angeles, e insistere avrebbe reso le cose tra loro soltanto più complicate di quanto lo fossero già.

“Saresti divina di fronte alla mia telecamera”, le diceva spesso Robbie. Lei si imbarazzava, ma era la sola a sapere quanto apprezzare quelle parole.

La vita di Cat non era cambiata granché negli ultimi due anni. Inseguiva le sue aspirazioni di diventare una cantante, e si occupava ancora di fare la babysitter nell’attesa di un vero ingaggio. Era rimasta a vivere nella casa di sua nonna, ma non la condivideva più con Sam. La bionda aveva trovato un altro lavoro e aveva affittato un appartamento più vicino al centro, non dimenticandosi comunque di lei. Adesso la nuova coinquilina di Cat era Jade, rimasta senza una sistemazione dopo che il quartiere in cui abitava era stato raso al suolo per costruirci un supermarket e un parcheggio. Cat era felicissima di questa sistemazione, e Jade era riuscita a farsela andare bene.

- Hai fatto qualcosa ai capelli oggi? – domandò Robbie.

Cat si passò una mano tra le ciocche. – E’ stato il bambino che ho curato stamattina, mi ha scambiata per il suo pony! -

Il ragazzo sorrise. – Scommetto che non aveva mai giocato con un pony dalla criniera rossa... –

Lei si finse addolorata. – E non credo che lo farò giocare la prossima volta. –

- Vuoi farlo stare da solo con Jade? –

- Oh mamma, no! – esclamò Cat, portandosi una mano davanti alla bocca. – Non… non so cosa potrebbe fare! –

- Per questo rimani la miglior babysitter di Hollywood. -

Robbie riuscì a farla ridere, come succedeva ogni volta che si sentivano, e in quei momenti Cat si sentiva davvero felice.

Non aveva dimenticato quella sera in teatro, in cui aveva finalmente compreso quanto significasse avere Robbie accanto. Ma l’aveva capito troppo tardi. Ricordava la tristezza che aveva provato la mattina dopo, all’aeroporto. Gli occhi lucidi che lo vedevano prendere il volo verso la Germania, verso un’altra vita, lontana da lei.

Ormai non le rimaneva che questo. Perché allora si erano promessi che il loro non sarebbe stato un addio, ma per ogni giorno che passava, crederci diventava sempre più difficile.

 

*****

 

Una semplice parola era stata sufficiente a far scatenare un vortice di ricordi.

Non ci aveva pensato per settimane, ma era bastato che Freddie menzionasse il teatro per farlo ripiombare in quell’abisso senza pace.

Un freddo sipario che si abbassava sulla cosa più importante che credeva di avere, una luce che si spengeva sulle loro speranze, un’uscita di scena che significava buttare al vento mesi di duro lavoro.

Lo sguardo di Beck vagava distratto tra le copertine dei libri, mentre l’attenzione era tutta rivolta al passato.

Era trascorso più di un anno da quando era successo, eppure ogni volta che tornava indietro con la mente, sentiva di non essere ancora in pace con se stesso. Si era chiesto se lo sarebbe mai stato, radicato così profondamente a quella storia.

Aveva cercato di superarlo, e forse lo aveva fatto nel peggiore dei modi.

Non se l’era sentita di rivelare a Freddie la verità. Non se l’era sentita di dirgli che aveva mollato tutto, il cinema, la tv e la recitazione per qualcosa che era andato storto, nonostante gli sforzi per evitarlo. Una delusione tanto opprimente da non farlo più andare avanti, così forte da trasformarsi in fobia e ossessione.

Aveva ceduto, di nuovo, e aveva finito per abbandonare il suo sogno.

Era condannato a vivere con quel tormento, presenza da cui nel bene o nel male non avrebbe potuto allontanarsi, e senza il potere di far funzionare le cose.

Facile è noioso. In fin dei conti, si era maledetto da solo.

 

*****

 

Alla fine Freddie si era lasciato convincere ad entrare al Franklin, il bar che quella mattina aveva visto soltanto da lontano. E adesso, seduto comodamente su una poltroncina e con una tazza fumante in mano, quel punto di ritrovo faceva meno paura.

Era una caffetteria dall’aria piuttosto vintage, con forse vent’anni di attività alle spalle. La parte inferiore delle pareti era coperta da travi disposte verticalmente e le mattonelle erano consumate anche se lustrate di recente. Sulla sinistra c’era un lunghissimo bancone al quale lavoravano due camerieri, e alle loro spalle erano schierate tre macchinette.

Erano circa le sei, e Freddie e gli altri si erano sistemati nell’area più comoda del locale, nell’angolo più distante sia dal banco sia dalla porta.

La conversazione verteva tra il lavoro ed altri impegni, intorno ad un tavolino coperto da piattini e tovaglioli. Beck era di fronte a lui, quasi completamente sdraiato su un divanetto, e alla sua sinistra c’era Andre, appoggiato allo schienale di una sedia al rovescio.

- Ho in mente qualcosa, ragazzi. – affermò con trasporto Andre.

- Chiedere a quei due se hanno bisogno di una mano coi caffè? – fece Beck, senza nemmeno muoversi.

L’amico fece il verso di una risata. – Molto simpatico, solo perché attualmente sono l’unico... in cerca di un impiego. –

- Senza un impiego. – lo corresse prendendolo in giro.

- Diversamente occupato, prego. –

- Disoccupato, si dice ancora così. –

Freddie rise, e Andre proseguì. – Ad ogni modo, ho letto su Internet che c’è un concorso lanciato da una… marca di bevande, mi pare, che mette in palio la partecipazione ad un videoclip. Bisogna presentare entro quattro mesi un proprio video musicale, e chi verrà scelto avrà poi l’opportunità di realizzarne un altro, con i mezzi dell’azienda, e di essere trasmesso in tv! –

Beck alzò la testa. – Perché un’azienda di bevande dovrebbe voler fare un videoclip? –

- Si chiama marketing, Beck. Non avete niente del genere in biblioteca? – lo canzonò Andre.

Il canadese si girò allora verso Freddie per avere una spiegazione.

– Con un’iniziativa come questa, loro diventano lo sponsor e il marchio appare dappertutto durante i tre, quattro minuti della canzone. Tante ditte ultimamente stanno adottando questa strategia, anche se diciamo che non è proprio la più trasparente del mercato. –

- Trasparente o no, è un’ottima opportunità. – intervenne Andre. – E noi abbiamo del materiale molto buono da proporre. –

- “Noi” chi? – scattò Beck.

- Ho intenzione di coinvolgere anche Cat e Tori. Tranquillo, amico, non voglio metterti in mezzo. E soprattutto, non so quanto staresti bene in minigonna… –

Mentre i tre scoppiavano a ridere, la porta dal lato opposto del locale si aprì lasciando entrare Cat. E dietro di lei, Sam.

Andre fu il primo a scorgerle, salutandole per richiamare la loro attenzione. Beck si tirò su dal divano e si voltò verso Freddie: il sorriso dal volto dell’amico era sparito.

Cat raggiunse baldanzosa il tavolino, appena si fu accorta della presenza del ragazzo di Seattle. – Freddie! Ciao! –

Freddie si lasciò andare ad un breve sorriso. Cat era esattamente come la ricordava, euforica, un po’ svampita e piena di affetto per gli altri. Lei gli si gettò al collo, e lo sguardo di Freddie finì per proiettarsi oltre la sua spalla. – Ciao, Cat. Come stai? – mormorò senza convinzione. Non c’era niente da fare, il suo sguardo si era già agganciato a quello di Sam.

Rimasero immobili a fissarsi per degli interminabili secondi. Erano cambiati l’uno agli occhi dell’altra.

- Samantha. –

- Benson. – anche il modo di pronunciare il suo nome era diverso.

Nel loro saluto non ci furono abbracci o baci, solo una palpabile tensione a fare da muro. Tornarono a sedersi e a bere con gli amici, mentre Andre iniziava a spiegare, in particolare a Cat, le sue idee per il videoclip.

L’attenzione di Freddie, però, era tutta per quel demonio biondo. Occhiate fugaci e nascoste per non farsi beccare, ignorando ciò che aveva intorno e, soprattutto, sforzandosi di non pensare al bacio che lei aveva dato a un altro.

Era bellissima. Dall’ultima volta i suoi capelli erano leggermente accorciati e di una tonalità di biondo più scura; aveva acquistato qualche centimetro, anche se restava più bassa di lui, e il tempo le aveva donato un seno florido e dei fianchi ancor più pronunciati.

Era l’unico essere sulla faccia della Terra che fosse in grado di fargli provare certe sensazioni, fatte di turbamento, eccitazione e terrore, tutte sotto la sua pelle.

Dopo quattro anni, voleva ancora che Sam facesse parte della sua vita, non importava con quale ruolo.

Freddie si alzò, sopprimendo un sospiro. – Vado a prendere qualcos’altro da bere. –

Si diresse al bancone e ordinò un caffè, appoggiandosi col gomito sul piano a guardare dall’altra parte. Poco dopo qualcuno lo raggiunse alle spalle. – Ciao. –

Quella voce lo fece girare come un robot. Era Sam. – Ciao. –

Si stavano parlando come fossero due estranei, ma nonostante questo, lei fu la sola a rivolgergli la domanda che nessuno aveva ancora avuto il coraggio di fare. – Sei venuto per restare? –

 

 
   
 
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