Anime & Manga > Vocaloid
Segui la storia  |       
Autore: Zenya Shiroyume    05/03/2017    5 recensioni
Si dice che ogni anno l'Inverno esaudisca i desideri di qualche fortunato individuo nel mondo, ma Len questo non lo sapeva. Non credeva a certe leggende, la sua mente era fin troppo razionale per credere a tali sciocchezze, ma quando lui apparve, non poté obiettare.
La sua vita stava andando a rotoli, la relazione con la madre stava degenerando a causa di una malattia che li stava allontanando, ma quando Lui apparve, Len sentì che non tutto andava poi così male.
Dal capitolo 2:
Un ragazzo dalla pelle quasi bianca e i capelli rossi, con in testa un secchiello da mare e un rastrello di plastica a fargli da mano destra non poteva essere reale. Poteva essere l’invenzione di uno scrittore, di un mangaka o di chiunque altro avesse una fervida immaginazione, ma Len sapeva di non avere chissà quale spiccata vena artistica da poter creare un personaggio particolare come Fukase. Eppure, quello stesso Fukase pareva conoscere Len molto più di quanto lui avesse fatto intendere dopo quella sua figuraccia, in cui il suo sedere era rimasto per quasi troppo tempo nella neve fresca.
accenni di LenxFukase
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fukase, Gakupo Kamui, Kaito Shion, Len Kagamine
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Snowman pt.2 html
Snowy Night—Second


Era tornato. Len era di nuovo in quel piazzale dopo aver litigato nuovamente con la madre perché quel giorno era tornato a casa prima, verso l’ora di pranzo, saltando tutte le lezioni del pomeriggio.
Il ragazzino aveva detto all’insegnate di non sentirsi bene e che aveva bisogno di tornare a casa; era stato trattenuto per un paio d’ore in infermeria, evitando in tutti i modi che l’infermiera della scuola lo toccasse e verificasse che stesse realmente bene: quasi si era barricato dietro alla tendina che separava il letto dalla scrivania della donna per evitare che questa gli si avvicinasse e gli parlasse.
Len non aveva mai smesso di pensare alla notte precedente e continuava a chiedersi se quel Fukase fosse reale, ma non poteva credere nella sua esistenza: insomma, quel ragazzino aveva un occhio che pareva fatto di plastica! Oppure non voleva crederci perché, davvero, tutto quello che era successo, le sue movenze, persino il suo modo di parlare esulava da qualsiasi cosa umana. Nessuno avrebbe mai potuto credere a Len, se questo avesse deciso di raccontare a qualcuno di quello strano incontro.
Un ragazzo dalla pelle quasi bianca e i capelli rossi, con in testa un secchiello da mare e un rastrello di plastica a fargli da mano destra non poteva essere reale. Poteva essere l’invenzione di uno scrittore, di un mangaka o di chiunque altro avesse una fervida immaginazione, ma Len sapeva di non avere chissà quale spiccata vena artistica da poter creare un personaggio particolare come Fukase. Eppure, quello stesso Fukase pareva conoscere Len molto più di quanto lui avesse fatto intendere dopo quella sua figuraccia, in cui il suo sedere era rimasto per quasi troppo tempo nella neve fresca.
Il giovane si era seduto di nuovo su quella panchina da cui tutta quell’assurdità era partita, mentre attorno a sé mamme e bambini giocavano attorno a quel pupazzo che lui stesso aveva costruito la notte prima. Nessuno pareva volersi avvicinare, nessuno lo aveva toccato o aveva rivendicato quel secchiello divenuto di stoffa la notte precedente, per poi continuare ad essere di plastica di fronte agli occhi dei comuni mortali.
Len doveva in qualche modo sentirsi speciale per quello che gli era stato concesso e non capiva come potesse essere possibile quello: il suo pupazzo lo fissava alla luce di quel Sole calante di dicembre, sul volto tondo e bianco quella fila di sassolini a disegnare un sorrisetto quasi malizioso. Di fronte a quel volto che lui aveva creato, non riusciva a capire da dove fossero usciti fuori quei particolari del vero volto di Fukase: lo aveva notato, nonostante fosse terrorizzato da quell’occhio rosso, che fosse un ragazzo carino, dall’aria piacevole. Certo, era inquietante, ma aveva trovato quei lineamenti belli, quasi affascinanti e magnetici. E tutte quelle piccole caratteristiche che lui aveva messo sul volto del pupazzo erano rimaste sul viso di Fukase: quei pezzetti di nastro adesivo che Len aveva messo sulla neve erano rimasti sul suo viso, un’altra forte nota di colore su quel volto bianchissimo.
«Se avessi avuto due bottoni neri, magari a questo punto non sarebbe stato così tanto inquietante…» disse in uno sbuffo di condensa, con la strana consapevolezza di star iniziando a credere per davvero nell’esistenza di Fukase. Len si era ritrovato a pensare a lui tutto il giorno, chiedendosi cosa avesse fatto per tutto il tempo, se quella sua immobilità fosse dovuta alla presenza di altre persone che non fossero Len o se, molto semplicemente, se ne fosse stato immobile così come sarebbe dovuto essere normale per un pupazzo di neve.
Len tornò a fissare quella versione inanimata di Fukase e notò che parte della neve che componeva il corpo era stata spostata, da una parte sciolta, dal Sole e dai bambini che giocavano con la neve. Un pensiero strano gli attraversò la mente e si chiese se magari quegli abiti stracciati fossero dovuti alla sua poca dimestichezza con la scultura, magari perché non aveva prestato tutta quell’attenzione per far sì che il suo corpo fosse ben levigato e liscio. Insomma, se il suo viso e la sua mano avevano quelle due caratteristiche tanto peculiari, la sua supposizione poteva anche essere vera.
Len si alzò e andò verso il pupazzo, cercando di trovare della neve che non presentasse tracce di sporco a causa di tutti i bambini che erano venuti a giocare: se davvero quel problema con i suoi abiti fosse stato provocato dalla sua poca cura, allora tanto valeva cercare di sistemare il pasticcio fatto la notte prima.
«E se cambiassi quel maledetto occhio rosso? E quella mano?» si chiese, il labbro inferiore stretto tra i denti in un’espressione perplessa. Ma poteva davvero farlo? Insomma, finché si trattava di sistemare quelli che potevano essere i suoi abiti non sembravano esserci problemi, ma toccare il suo volto e modificarlo a suo piacimento! Len sentì un brivido percorrerlo dalle dita dei piedi fino alla punta dei capelli biondi, come se si sentisse di nuovo osservato da quel ragazzo di neve. Scosse la testa per togliersi di torno quella brutta sensazione, poi allungò una mano verso il piccolo rastrello rosso. Parve normale, di comunissima plastica, ma quando fece per tirarla via, ebbe come l’impressione che questa si muovesse e cercasse di allontanarsi dalla sua presa.
Il gesto fu così concreto che Len credette per davvero a quello che era successo la notte prima, ma la sua parte più razionale non voleva ancora darla vinta a quell’assurdità partorita dalla sua mente sul punto di un tracollo.
«Ok, non vuoi che ti tocchi! Ho capito l’antifona!» disse Len alzando le braccia, rassegnandosi agli strani giochetti a cui lo stava sottoponendo la sua mente, perciò tornò al suo posto e continuò a rimanere con lo sguardo fisso su quel pupazzo, posizionato proprio sotto ai raggi del Sole.
Rispetto alla notte precedente, quel giorno pareva anche fare leggermente più caldo, la neve che c’era per terra non era poi molta, ma poi un’altra domanda sorse spontanea nella sua mente: cosa ne sarebbe stato di Fukase se avesse smesso di nevicare? Nel suo paesino era normale che nevicasse, ma questa non durava mai più di una settimana perché finiva per sciogliersi in poco tempo, tra sbalzi di temperatura non da poco e i soliti spazzaneve. Quindi cosa sarebbe successo a quel dono dell’Inverno, come si era chiamato Fukase stesso, se la neve si fosse sciolta tutta? Per quello che poteva saperne Len, poteva solo aspettare di nuovo che quel pupazzo si animasse e gli parlasse di nuovo. O meglio, sarebbe rimasto seduto ad aspettare che Fukase si ripresentasse, in modo da capire se quello che era successo potesse essere per davvero reale. Se poi non fosse successo nulla, Len avrebbe potuto finalmente metterci una pietra sopra e dare una spiegazione più logica a quello che aveva provato, catalogando tutto sotto la voce “allucinazione”.
Eppure c’era qualcosa di affascinante in quella storia, perché era certo di essere tornato a casa quasi alle tre di notte, non aveva sognato di aver confidato a quel ragazzo tante di quelle cose che nessuno nemmeno sospettava, era certo di avere i vestiti bagnati impregnati di acqua e ghiaccio. In più era tornato a casa senza la sua sciarpa, quella era ancora là al collo di Fukase.
«So perché sono qui… È perché quel coso mi impedisce di pensare alla mamma, alle bugie che le dico per non farla arrabbiare. Però tanto lei lo capisce subito se mento…»
E di nuovo, Len ripensò a quello che gli aveva detto il pupazzo, mentre le sue mani premevano sulle sue guance. Lui sapeva che tipo di persona fosse Len, che tipo di studente era e che cosa stesse passando. Glielo aveva fatto intendere con quello sguardo quasi agghiacciante.
«Ha detto di essere in grado di scacciare le tenebre che mi affliggono… Lui la fa facile, ma come può conoscermi così a fondo?» ripeté per l’ennesima volta. Quella domanda continuava a ronzargli in testa, infastidendolo come fosse una zanzara d’estate. Eppure gli aveva creduto, gli aveva raccontato davvero tanto, ma solo in quel momento, dopo essere tornato, si era reso conto del fatto che quella sua confessione era composta da tutti i suoi pensieri mentre lo costruiva. Se davvero Fukase aveva sentito quelle sensazioni, il momento della sua creazione avrebbe dovuto rappresentare un qualche tipo di legame inscindibile tra i due.
Len si passò una mano tra i capelli, arruffando quella chioma già di per sé indomabile, chiedendosi da dove avesse tirato fuori un discorso tanto assurdo su un legame di quel tipo. Il destino non esisteva, era quello che si era sempre detto, e credeva che ogni cosa accadesse in base alle decisioni fatte nella vita: Fukase non era stato una decisione, era stato un modo per ammazzare il tempo e se davvero il destino fosse esistito sul serio, allora aveva deciso di tirargli uno strano tiro mancino.
Tornò a fissare quel pupazzo e gli fece una linguaccia, sperando che questo, magari, rispondesse e si facesse vedere, ma ovviamente tutto ciò non sarebbe successo di fronte alle persone normali, che dall’Inverno non avevano ottenuto nessun tipo di dono. Avrebbe voluto chiamarlo e intimargli di farsi vedere ma, dopotutto, lui era già là, sotto gli occhi delle persone comuni.
Un bambino corse velocemente accanto al pupazzo, un’altra lo rincorreva con una palla di neve in mano, per poi colpire la testa di Fukase; Len ebbe una brutta sensazione e strizzò gli occhi per vedere i danni fatti: il sorriso di sassolini aveva finito per piegarsi di lato, dando a quel pupazzo un’espressione interrogativa. Len cercò di trattenere una risata, quella faccia non s'addiceva al ragazzo che aveva conosciuto la sera prima, tanto che decise di lasciarlo in quelle condizioni per vedere poi come si sarebbe trasformato il suo volto. Non lo avrebbe di certo cambiato lui, ma se qualcun altro lo faceva al posto suo, il ragazzo poteva stare tranquillo.

Attese per ore, senza che nulla accadesse. Si era mosso giusto un paio di volte per sistemare il corpo del suo pupazzo e per riscaldare il suo; ogni tanto se ne andava fino al bar dall’altra parte della strada e si prendeva qualcosa di caldo da bere, senza mai distogliere lo sguardo dal pupazzo in mezzo alla piazzetta.
Quel locale era il posto preferito da Len e dai suoi amici, ci avevano passato spesso interi pomeriggi a chiacchierare e a scherzare: avevano addirittura fatto amicizia con i proprietari, ma da quando sua madre si era ammalata, Len aveva iniziato a non sopportare più nemmeno quel luogo.
Non aveva tempo per nessuno, nemmeno per quei due ragazzi che conosceva da anni e a cui voleva un bene dell’anima, ma aveva davvero troppe cose a cui pensare. Non solo la madre era cambiata, ma i suoi amici avevano detto che anche lo stesso Len non era più quello di una volta: se prima il giovane era un ragazzo pieno di vita e dalla grande forza di volontà, da qualche tempo appariva come una persona fredda, apatica e scorbutica. Il suo peggioramento era dovuto a quel morbo, il comportamento della madre si era riflesso nelle sue azioni e nel suo carattere, che aveva assorbito tutta quell’energia negativa che lo faceva sentire una persona orrenda. Si portò nuovamente la tazza alle labbra e fissò Fukase dalla vetrina del bar, mentre i bambini ancora gli correvano attorno.
Len non vedeva l’ora che la piazza si liberasse, che l’intero paesino andasse a dormire, perché era davvero troppo curioso di sapere cosa sarebbe successo, un po’ per semplice divertimento, un po’ per curiosità, un po’ per quel senso di benessere che gli aveva fatto provare il pupazzo.
«Ma dovrei essere a casa a fare i compiti… Dovrei cercare di aiutare la mamma…»
E di nuovo Len venne investito da quel senso di inutilità che lo aveva accompagnato per tutti quei mesi, per poi venir soppresso dal suo senso di apatia tanto pesante da lasciarlo senza forze. Era stufo della situazione, era stanco di doversi mettere da parte e dover guardare la madre stare male senza che lui potesse muovere un dito.
E se Fukase, o qualsiasi cosa lui fosse, poteva aiutarlo a rendere la sua vita un pochino più sopportabile, allora avrebbe aspettato, anche a costo di rimanere sotto la neve per tutta la notte.

*****

Alla fine, anche Fukase si ripresentò. Len aveva notato il cambiamento nel suo corpo, i suoi vestiti avevano un aspetto decisamente migliore, anche se leggermente più sporco. Si notava la neve appena appena macchiata, non era più candido come la notte precedente ma in questo modo riuscì a dare conferma alla sua piccola tesi, secondo il quale qualsiasi cosa fosse accaduta al pupazzo questa si ripercuoteva su Fukase.
Il giovane di neve camminava in tondo per la piazza, con un atteggiamento molto meno giocoso rispetto a quando Len lo aveva conosciuto, ma sul viso continuava a mantenere quello stesso sorriso, senza mai smettere di guardare il suo creatore. Camminava con il bastone da passeggio in bilico sulle mani, quella rossa di plastica a tamburellare sulla superficie in legno, mentre sul volto si alternava quello strano cipiglio a metà tra il divertito e il perplesso.
«Che hai?» chiese Len, che lo seguiva a pochi passi di distanza mentre questo girava attorno alla sua postazione da uomo di neve. Il ragazzino non sapeva se essere divertito dalla faccia di Fukase, da una parte ne era intimorito, ma di paura non ne aveva mai avuta. Il pupazzo inclinò la testa di lato e fece un balzo, allontanandosi da Len per poi atterrare sulla panchina preferita del ragazzo.
«Non ti è venuto in mente di sistemarmi la faccia?»
«Eh?»
«Mi hai sistemato i vestiti! Potevi anche darmi un’aggiustata, dopo che quella ragazzina mi ha tirato una palla di neve in faccia! Mi sento tutto scombussolato…»
«Ma tu hai allontanato la mano, volevo mettertene una normale! Quella mi mette ansia…»
«Ma a me piace! Non ti azzardare a togliermi il mio occhietto rosso! E la mia mano!» disse, tirando fuori il labbro inferiore e assumendo un’espressione a metà tra il sarcastico e l’imbronciato.
Len piegò la testa di lato e fissò intensamente quel volto bianco e rosso, sbirciando cosa potesse combinare quel ragazzo sotto al suo cappello a cilindro. Fukase teneva lo sguardo leggermente abbassato, un sorrisetto strano a incresparli le labbra: Len non riusciva infatti a vedere il suo volto, perciò corse nella sua direzione. Il ragazzino era incuriosito dall’improvvisa calma di quel giovane che si era intromesso nella sua vita come una bufera di neve, senza nessun preavviso.
E quando Len fu abbastanza vicino, il movimento repentino di Fukase quasi lo vece finire con le gambe all’aria, poi il suo bastone iniziò a picchiettare sulla chioma bionda del ragazzino.
«Che diavolo ti prende? Mi hai fatto venire un colpo!»
Fukase ridacchiò e saltò giù dalla panchina, per poi mettersi davanti a Len e spingerlo per terra, nella neve, con entrambe le mani che poi rimasero per aria. Aveva ancora quell’espressione strana in volto, poi questo si contrasse in un sorriso a trentadue denti mentre fissava il suo creatore di nuovo col sedere surgelato. Parve improvvisamente tornare quello della sera precedente, infatti iniziò a girare attorno a Len roteando il suo bastone, poi si chinò dietro al ragazzo e poggiò le mani sulle sue spalle.
Len non capiva dove volesse andare a parare, non aveva detto poi molto quando aveva preso di nuovo vita da quel pupazzo; eppure non ebbe il tempo di pensarci che qualche fiocco iniziò a cadere di nuovo dal cielo, ma in un modo che Len non aveva mai visto. Attorno a sé il suo paesino già dormiva, pareva essere tutto immobile, tanto che nemmeno il vento soffiava più, ma sulle strade non vi era neve: sembrava che questa non arrivasse nemmeno sulle vie, ma si concentrasse solo su quella piazzetta circolare, solo per quelle due anime ancora sveglie in quella notte d’inverno. Len rimase incantato da quella vista, era come se fosse stato messo dentro una di quelle palle con la neve finta, in una specie di bolla di pace in cui c’erano solo lui e Fukase.
«È opera tua? Puoi anche far nevicare?»
Fukase rise e avvicinò il volto a quello di Len, soffiando sul suo orecchio un fiato gelido dai suoi polmoni di ghiaccio; la vicinanza fu quasi imbarazzante, il ragazzo non aveva mai avuto nessuno così vicino, tanto che le sue guance si tinsero di un rosso peperone, che però svanì appena sentì la presa della mano di plastica farsi leggermente più stretta.
«Io posso fare un sacco di cose, mio caro!» disse il pupazzo, per poi mostrare i denti bianchi come la sua neve. Quella fu l’ultima cosa che Len vide, perché si ritrovò poi sommerso da un morbido cumulo di cristalli bianchi.
Fukase rise di nuovo e si allontanò, lasciando Len sdraiato a terra senza capirne il motivo; non ci volle molto che il ragazzino si rimise in piedi, scrollandosi il gelo di dosso nonostante qualche fiocco si fosse insinuato nel colletto del suo maglione.
«Questo significa guerra!» urlò Len, senza pensare al fatto che la sua voce tanto gioiosa potesse svegliare l’intero vicinato: non gli importava di farsi sentire, nessuno aveva importanza in quel momento, doveva solo farla pagare a Fukase per quel suo gesto e, per quanto ne sapeva, fu davvero come trovarsi in uno di quei souvenir con la neve finta.
Len si chinò a prendere una manciata di quel morbido cumulo in cui era stato gettato, ma non ebbe nemmeno il tempo di formare una pallina che venne colpito in faccia dal suo pupazzo. Fukase continuava a ridere con quella sua risata cristallina, rilassante, poi nella sua mano si formò un’altra sferetta candida, delle stesse dimensioni di una pallina da tennis; continuava a farla saltare nel palmo rosso, continuando a sbeffeggiarsi di Len con quel suo viso tanto particolare. La sfera saltava e roteava come avrebbe fatto un pallone da basket, tra le dita di Fukase pareva avere tutta un’altra fisica, come se anche le leggi della gravità e della scienza non potessero nulla contro quel dono dell’Inverno.
Il ragazzino cercò quindi di evitare l’ennesimo proiettile bianco, ma Len non aveva possibilità di vincere contro Fukase. Per quanto corresse per la piazza, per quanto cercasse di evitare i suoi colpi, sapeva di non poter vincere una battaglia a palle di neve con un pupazzo venuto fuori da chissà dove, composto per il 99% da cristalli di ghiaccio: lui aveva dalla sua parte il potere dell’Inverno, del suo padrone magico che lo aveva portato alla vita, quindi era ovvio che, qualsiasi gioco comprendesse un loro elemento, Len non aveva possibilità di vittoria.
Ma nonostante ciò continuò a correre, a cercare di avvicinarsi a Fukase per riuscire a prendere meglio la mira, fissando quei due pezzetti di nastro adesivo rosso come fossero il suo bersaglio. Proprio sul naso, in mezzo agli occhi. Avrebbe tanto voluto riuscire a spiaccicargli una palla di neve su quel visto troppo sprezzante, avrebbe voluto fare quello che aveva fatto la bambina quello stesso pomeriggio, giusto per togliersi dalla testa quello sfizio. Fino a quel momento, Len non si era mai sentito tanto vivo, non aveva mai provato un simile calore, perché aveva come l’impressione che Fukase riuscisse a toccarlo in modo più profondo, riuscendo a raggiungere aspetti del suo carattere che nessuno dei suoi amici riusciva a conoscere. Non era in grado di dare un nome a quella vitalità che lo aveva investito, non riusciva a credere a quanto Fukase riuscisse ad attirare la sua attenzione, tanto che aveva smesso di pensare agli avvenimenti della sua vita per lasciare che la sua mente si concentrasse solo su quella battaglia a palle di neve.
«Pensi davvero di riuscire a battermi?» lo provocò ancora Fukase, che portò poi la mano di plastica al cilindro, per toglierselo quindi con le stesse movenze di un prestigiatore. Per un istante, Len credette che il pupazzo potesse anche far apparire un coniglio di neve dal cappello, ma non era sicuro di questa sua seconda tesi, perché, dopotutto, non aveva aggiunto nulla di strano al suo pupazzo perché potesse fare qualcosa del genere. Tanto valeva rimanere in allerta e cercare di capire le azioni di un tipo tanto strano come Fukase.
«Che fai?»
Len si immobilizzò, incuriosito dal gesto del suo fantoccio. Lo vide sorridere e ammiccare nella sua direzione, il bastone da passeggio tenuto a mezz’asta a picchiettare sul cappello. Si mise ad osservare attentamente quei gesti da mago, in seguito Len si mosse di qualche passo, sempre riluttante dopo l’ultimo spavento che Fukase gli aveva fatto prendere.
«Cosa staresti facendo? Guarda che questa volta non mi farò fregare!»
Fukase ignorò tranquillamente le parole di Len, poi balzò di nuovo di fronte a lui. I suoi piedi atterrarono di nuovo nella neve con la stessa grazia di un fiocco, poi, con la pesantezza di un masso, Fukase calcò sulla testa di Len il suo cappello a cilindro, spingendo talmente forte da infilare quasi tutta la testa del ragazzo nel secchiello di stoffa. Il pupazzo riprese a ridere e continuò a spingere, divertito dall’ennesimo scherzo fatto ai danni del suo creatore, che cercava disperatamente di togliersi quel coso dalla testa.
Len non riusciva a vedere, sentiva solo il fiato freddo di Fukase davanti al naso, la sua risata e il movimento convulso delle sue mani per costringerlo a rimanere con la testa incastrata: il ragazzino iniziò ad inveire contro il pupazzo, ma non sembrava veramente arrabbiato, nemmeno infastidito, perché dopotutto si stava divertendo.
«Allora, hai detto una bugia a tua madre! E tu non mi racconti niente?»
«Eh?»
La testa di Len riuscì finalmente a liberarsi del cappello, gli occhi si posarono sul viso candido di Fukase per poi guardarlo di traverso. Che senso aveva rovinare un tale divertimento con quella domanda? Len accennò una faccia contrariata, resa comica dalla neve che aveva sul naso, per poi ritrovarsi a fissare direttamente quegli occhi.
Non lo aveva ancora guardato attentamente negli occhi, lo turbavano ancora, ma in quel momento non ci fece caso. Voleva divertirsi, Fukase aveva reso tutto così bello e spensierato che Len si era sentito leggero, quasi potesse essere un fiocco di neve lui stesso. Ma poi il pupazzo aveva rovinato tutto.
«Come pensi che possa aiutarti, se non mi dici niente? -Fukase inclinò la testa di lato, la lingua a spuntare tra quelle labbra candide per prendersi gioco di Len- Su, su! Sputa il rospo! Prima il dovere, poi il piacere!»
Fukase si allontanò di nuovo, per poi rimettersi in testa il suo cappello a cilindro. Len lo osservò spostarsi con le solite movenze talmente leggiadre da non sembrare reali, chiedendosi cosa gli fosse preso.
«Quanto tempo credi che possa avere? Quanto credi che possa durare un miracolo
«Miracolo? Ti sei appena chiamato “Miracolo”?» chiese Len, ridendo sotto ai baffi.
«Non era quello che intendevo, ma sì! Io sono un Miracolo, su questo non ci sono dubbi! -disse, fin troppo spavaldo per i gusti di Len- Ma rispondi alla mia domanda.»
«Non molto?»
«Non rispondermi con un’altra domanda! Ma sì, i miracoli durano poco; ti conviene sfruttare il tuo finché dura!»
Il tono di Fukase non sembrava ammonitore, Len era certo che prima o poi si sarebbero dovuti salutare, ma non si aspettava che lui gli dicesse certe cose senza peli sulla lingua. Il pupazzo gli aveva fatto quel quesito con il sorriso sulle labbra, non si era mai scomposto, ma prima che Len potesse di nuovo controbattere, Fukase saltò via.
«In che modo dovrei sfruttare questo
Fukase atterrò sulla panchina e si sedette, gli occhi puntati sulla figura di Len. Il pupazzo dondolava le gambe pallide ed esposte alle intemperie, i gomiti poggiati sulle ginocchia e il volto sui palmi; sul viso, Len vide quell’espressione strafottente che da una parte lo irritava, dall’altra lo divertiva.
«Cosa hai fatto oggi?» chiese Fukase, d’un tratto e senza mezzi giri di parole.
«Eh?»
«Cosa hai fatto oggi?»
«S-Sono stato ad aspettare che tornassi! Mi hai visto, sei stato tutto il tempo di fronte a me!» replicò Len, leggermente stizzito. Non gli piaceva la piega che aveva preso la situazione, aveva solo intenzione di divertirsi e l’idea di doversi mettere lì a parlare non gli andava a genio. Aveva già detto abbastanza la prima sera, non aveva intenzione di rinunciare ad un tale svago: nemmeno con i suoi migliori amici riusciva a sentirsi così, libero e senza pensieri.
«BIIIP! Risposta sbagliata! Saresti dovuto andare a casa dalla tua mamma!»
«Ma ti ho già detto tutti i miei problemi, ero più interessato a te! Volevo vedere se non mi fossi immaginato tutto!»
«BIIIP! Di nuovo risposta sbagliata! Devi interessarti a tua madre!»
Len digrignò i denti e sentì la rabbia montargli su per la testa. Era stufo di dover continuare a pensare a tutte quelle cose che lo mettevano di cattivo umore, gli piaceva l’idea di essere lì a notte fonda con una creatura magica e non aveva intenzione di sprecare il suo tempo in quel modo. Ma nonostante la sua rabbia fosse ben visibile sul suo volto, Fukase non accennava a cambiare espressione, attendendo ancora che il giovane gli desse la risposta che si aspettava.
«Perché credi che io sia qui? Sono tuo amico, questo sì, ma quale credi sia il motivo per cui sono apparso e per cui l’Inverno ti ha concesso un tale Miracolo
«Dimmelo tu! Se continuo a sbagliare risposta, allora dimmi tu perché sei qui! Io proprio non lo so, ma so solo che voglio passare qualche ora con te. Con te sto bene e non voglio passare il tempo a deprimermi!» sciorinò Len , ormai al limite dell’esasperazione.
Fukase inspirò, alzandosi dalla panchina e muovendosi verso Len. Non aveva smesso di sorridere, era come se quelle parole lo avessero lusingato e gli avessero dato nuova energia, tanto che gli ultimi passi furono compiuti quasi galoppando. Allungò la mano rossa verso Len e gli pizzicò di nuovo la guancia, per poi strattonarla a mo’ di nonna. Il sorriso che si formò sulle labbra di Fukase era chiaro, si stava apprestando a prendersi di nuovo gioco di lui, ma ciò che fece il pupazzo lasciò Len interdetto.
«Sono reale, questo ormai è un dato! Però sono qui per aiutarti a capire che quello che fai non è giusto, sia nei confronti di tua madre, dei tuoi amici e sia nei tuoi… Io posso farti divertire, posso aiutarti a rimetterti in sesto, ma sei tu quello che deve fare il grosso del lavoro!»
La mano di Fukase si allontanò dal volto di Len, poi il pupazzo si voltò facendo roteare il suo bastone da passeggio. Riprese infatti a camminare come aveva fatto quando era tornato ad essere il Fukase animato; dava le spalle a Len e fischiettava, la neve che ancora cadeva solo sulle loro teste, come fosse stato l’ennesimo dono dell’Inverno.
Len si guardò attorno e la sua mente corse alla madre e ai suoi amici, chiedendosi come avrebbero reagito loro alla vista di Fukase: per un attimo, avrebbe voluto condividere quel Miracolo con loro, far vedere loro la meraviglia che poteva accadere a notte fonda e condividere con loro quella gioia che Fukase riusciva a dargli. Ma non avrebbe potuto farlo, almeno non con quel suo atteggiamento tanto pessimistico e scorbutico che li aveva allontanati. Si era comportato male, con tutti, e Fukase aveva fatto chiarezza su quell’aspetto che lui non riusciva a vedere. Len era certo che il suo atteggiamento fosse lecito: la madre non era stata buona con lui, perciò il suo modo di fare si era riflesso in quel tipo di risposta nei confronti di quella donna malata, ma era sbagliato.
«Allora, abbiamo capito? Len, sei davvero un testone!»
Len sentì il suo nome per la prima volta da quel giovane di neve che lo aveva sempre chiamato testone, capoccione o tonto. Quel suono fu incredibilmente dolce, non si aspettava che il suo nome potesse farlo trasalire in quel modo, ma Fukase davvero era in grado di scombussolarlo dalla testa ai piedi. Il ragazzino prese un respiro più profondo del solito e annuì, consapevole che qualcosa andava fatto, che non poteva continuare ad agire in quel modo così egoistico.
Non era colpa di nessuno se le cose avevano preso quella piega, ma era lo stesso Len il responsabile per aver peggiorato la situazione a tutti con il suo comportamento e finalmente lo aveva capito. Tutto grazie a quel dono dell’Inverno che prendeva il nome di Fukase.


Angolo di Zenya ^^
E Zenya torna di nuovo, prima che il semestre la divori e non si faccia più vedere! E voi vi chiederete quando posterò l’ultimo capitolo, ma nemmeno io lo so >.< Ebbene sì, siamo a metà della storia tra Len e Fukase, perciò il prossimo capitolo sarà l’epilogo (mi piacciono le three shots ^^). Come al solito ringrazio chiunque abbia letto/ricordato/visto di sfuggita/recensito questa storia e spero che il finale possa essere di vostro gradimento, anche se mi sento rallentata dalla mole spropositata di storie sui VanaN’Ice che mi stanno venendo in mente! Vi ricordo che sono sempre aperta alle critiche e a qualsiasi cosa vi venga in mente, quindi non esitate a dire la vostra :3 Ci vediamo alla prossima o quando mi deciderò a finire quella KaitoxGakupo a cui sto lavorando in contemporanea a questa ^^
Un saluto,
Zenya :*
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Vocaloid / Vai alla pagina dell'autore: Zenya Shiroyume