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Autore: Fauna96    05/03/2017    4 recensioni
¡DystopianAU! basato su The Suburbs degli Arcade Fire
La prima sigaretta dell’estate aveva sempre un sapore diverso rispetto a quelle durante l’anno, forse perché era fumata per semplice piacere e non per scaricare lo stress. Non che fosse più buona, insomma, uno mica fuma per il sapore. Era speciale, tutto qui.
[...]
Quell’estate era quella in cui arrivarono i carri armati.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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The Suburbs
 

Giugno
 
La prima sigaretta dell’estate aveva sempre un sapore diverso rispetto a quelle durante l’anno, forse perché era fumata per semplice piacere e non per scaricare lo stress. Non che fosse più buona, insomma, uno mica fuma per il sapore. Era speciale, tutto qui.
Quell’estate non fu così. Tanto per cominciare, non ricevetti il solito predicozzo da Doppia D su quanto fumare fosse dannoso per la mia salute, quella degli altri eccetera, ma solo un’occhiataccia obliqua che mi sentii in diritto di ignorare. E comunque, al momento l’elefante nella stanza non era decisamente ‘Eddy che fuma’, proprio no. Quell’estate era quella in cui arrivarono i carri armati.
 
La mattina non c’erano e il pomeriggio sì, scuri e solidi contro il sole che picchiava, proprio all’imboccatura del cul – de – sac. Qualche anno prima, avere dei carri armati – carri armati! – praticamente sulla porta di casa avrebbe riempito i ragazzini che eravamo di ammirazione ed eccitazione, soprattutto Ed: si sarebbe precipitato dai militari a fare mille domande e probabilmente avrebbe persino chiesto come si guidavano, e se poteva provarci. Ma non eravamo più ragazzini, e Ed in quel momento si limitava a osservare gli uomini in divisa con occhi opachi e un braccio sulle spalle di Sarah. La quale non aveva fatto la rompiballe come al solito, ma aveva tenuto la bocca ben chiusa, stretta per la preoccupazione.
Ce ne stavamo seduti o in piedi a guardare da lontano, a cercare di capire cosa sarebbe cambiato nelle nostre vite. La risposta ovviamente era ‘tutto’, ma se avessimo chiesto a loro, sarebbe stata ‘niente’.
Notai che Nazz aveva gli occhi lucidi: senza dubbio stava pensando a Rolf, che non vedevamo da un anno e che in quel preciso momento avrebbe potuto sia esplodere per una granata sia giocare a carte con i suoi commilitoni. Di recente mi sembrava di riuscire a pensare solo per contrasti.
All’inizio, quand’eravamo tornati da scuola ancora euforici per i festeggiamenti dell’ultimo giorno, e avevamo visto quelle masse bloccarci il passo, era serpeggiata un’irrazionale speranza di rivederlo, perché forse era tornato e quei dannati carri armati non significavano nulla... Ma Doppia D aveva mantenuto un’espressione esitante e il cappello basso sulla fronte e io avevo imparato da tempo a fidarmi della sua cautela. Infatti, gli animi più esuberanti erano stati freddati dalla richiesta di nomi e documenti e da occhi non cattivi, ma semplicemente gelidi e indifferenti.
Gettai via il mozzicone con stizza: la prima sigaretta d’estate non era mai così breve, ma d’altra parte io il primo giorno d’estate non ero mai così... così... arrabbiato? Sì, cazzo, ero arrabbiato con me stesso perché non sapevo dove fosse finita la maledetta faccia tosta che mi era costata punizioni e risse a non finire; ed ero arrabbiato con tutti gli altri, che facevano presto a parlare quando si trattava di linciare verbalmente il sottoscritto e che ora si erano ingoiati la lingua. Perfino quel cazzone di Kevin: dov’era finita la sua voce grossa, eh?
Chissà se anche gli altri provavano la stessa rabbia per quell’impotenza che ci teneva bloccati su uno stupido marciapiede, o riuscivano solo ad essere spaventati. Se conoscevo bene Doppia D (e lo conoscevo) anche lui era incazzato nero: anni spesi a cercare di istruire noi zucconi con parolone come libertà di pensiero e distopia, discorsi preparati con cura per quegli stupidi dibattiti scolastici a cui partecipavano sì e no tre persone e, improvvisamente, eccolo lì che non riusciva, anzi, non poteva tenere testa a qualche idiota in uniforme. Non che avrebbe fatto qualcosa prima di aver capito meglio la situazione: Doppia D prima si informava, poi agiva e, di solito,distruggeva. Questa volta, però, avrebbe potuto studiarsi a memoria la Costituzione e non gli sarebbe servito a nulla: restavamo un branco di ragazzi rinchiusi in un cul – de – sac.
In automatico mi accesi un’altra sigaretta, quasi bruciandomi le dita con l’accendino orrendo a pois lilla che avevo preso senza permesso a Lee. Piuttosto inaspettato e sgradevole affiorò il pensiero che avrebbero potuto tagliare completamente i contatti con chiunque abitasse fuori dal centro abitato, ma lo scacciai. Non eravamo in un lager tedesco, non avrebbero appiccicato un’etichetta su di loro solo perché vivevamo in una roulotte scalcinata. Però... era strano che quantomeno May non fosse qui a tubare con Ed: da quando si erano messi insieme (anni prima, mi duole dirlo) erano diventati un duo appiccicoso e irritante, a cui ero stato costretto a dare la mia benedizione. Cosa non si fa per amicizia.
Gli altri ragazzi si stavano lentamente disperdendo, silenziosi e cupi, e guardandoli fui preso dalla voglia di scuoterli uno per uno perché non era possibile, perché...
- Eddy – senza accorgermene, ero balzato in piedi, senza per altro fare qualcosa di più che stringere i pugni; Doppia D e Ed mi fissavano, ancora accovacciati per terra: eravamo rimasti solo noi tre, come sempre. Sentendomi un idiota, tornai a sedermi in mezzo a loro.
- Ho paura – disse Ed con naturalezza. E in quel momento sentii una bolla di gratitudine e affetto per quello scemo, perché aveva detto le parole che mi bruciavano in gola ma che mai avrei potuto pronunciare.
- Anche io, Ed – mormorò dolcemente Doppia D – E anche Eddy - mi lanciò un sorrisino che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere canzonatorio, ma che venne fuori stiracchiato. Gli risposi con una smorfia poco convinta.
Per la prima volta dopo anni, mi domandai cosa avrebbe fatto mio fratello.
 
Sapevamo bene che la situazione nel mondo non era rosea: i giornali arrivavano anche a Peach Creek e noi non eravamo così menefreghisti. Sapevamo delle rivolte per strada e delle conseguenti stragi, sapevamo del governo vacillante e dei pestaggi di manifestanti pacifici, sapevamo tutto (o almeno, tutto quello che al pubblico era dato sapere)... ma bisognava considerare che eravamo nati e cresciuti a Peach Creek, il cui liceo non aveva neppure il metal detector e il cui più grande scandalo era considerata ancora la nostra scappata di casa anni prima. Per cui le notizie ci scivolavano pigramente addosso e sì, certo, ti dispiaceva per quel povero bastardo a cui avevano sparato per strada, ma era successo lontano, capite: non faceva parte delle nostre vite.
Poi a Rolf era venuta la brillante idea di unirsi all’esercito e all’improvviso ci eravamo resi conto di essere stati degli idioti ciechi. O meglio, Doppia D se ne era reso conto e ce lo aveva fatto presente... ma di nuovo, ottenne il nulla quasi. E allora? D’accordo, Rolf se ne andava, ma non l’avrebbero certo mandato in Iraq o in Siria, non sarebbe successo niente...
Forse non avrei dovuto essere troppo duro con me stesso e gli altri: in fin dei conti, noi, come la maggior parte della gente, non avevamo il potere di fare nulla; e se fossimo stati pazzi abbastanza da andare in città e combinare qualcosa, la polizia ci avrebbe spaccato la testa a randellate. Potere al popolo un paio di palle.
L’anno successivo alla partenza di Rolf era stato normale, tutto sommato: mio padre iniziava a concedermi la sua macchina, mi ero messo e lasciato un paio di volte con una tipetta carina della mia classe di scienze, io e gli altri avevamo combinato le solite stronzate. Era stato un anno... bello, a ripensarci ora, col fumo dei carri armati sul collo, ma noi (ok, io soprattutto) ci eravamo lamentati della noia, dei nostri genitori, dei mocciosi... Chissà, magari la prossima volta mi sarei lamentato del cratere fumante che aveva inghiottito casa mia. O non mi sarei lamentato affatto.
- Non serve a niente rimuginare, Eddy – commentò pacato Edd da sotto il cappello. Aveva parlato così poco, quel pomeriggio.
- C’è altro che posso fare? Anzi, che possiamo fare? – replicai, acido. – Avevi ragione, va bene? Quando ci dicevi di leggere i giornali e queste cagate qua. Se fossimo stati più informati... –
- Non avremmo potuto fare nulla – Doppia D alzò lo sguardo – Saremmo comunque andati avanti con le nostre vite, com’è giusto che sia –
Stavo per fargli notare che si contraddiceva da solo e di smetterla di confondermi facendo così, quando Ed ci interruppe: - Mi accompagnate da May? Sono preoccupato –
Era la cosa migliore da fare, dopotutto: se fossimo rimasti ancora lì, avrei finito per picchiare Doppia D, che con la sua pacatezza mi faceva salire ancora di più il nervoso, per poi sentirmi terribilmente in colpa cinque secondi dopo, come sempre.
Dai tempi in cui le sorelle Panzer ci inseguivano brandendo lucidalabbra era passata un bel po’ di acqua sotto i ponti. Se all’inizio del liceo eravamo ormai sotto una tregua stabile, anche se piuttosto gelida, da quando a Ed erano esplosi gli ormoni, ci eravamo trovati invischiati con loro. Non potevamo certo abbandonare il nostro povero, ingenuo amico nelle grinfie di quelle arpie, perciò a mali estremi... Solo che, con mia incredulità (e recalcitranza) era accaduto l’impensabile: avevamo trovato le Panzer... simpatiche. Insomma, Doppia D era un caso a parte perché avrebbe fatto il gentile pure con un maniaco armato di bazooka, ma io... nessuno mi avrebbe mai costretto a fare il gentile con chicchessia, specialmente quelle pazze, e nessuno mi avrebbe trovato in loro compagnia di buon grado... questo per qualche tempo. Poi ero stato costretto a capitolare perché... perché senza la minaccia di abbracci e sbaciucchiamenti (che, stranamente, a quindici anni apparivano molto meno spaventosi che a dodici) era divertente passare del tempo con loro, uscirci la sera, insomma, essere amici.
A dispetto delle mie ridicole paure, nessuno arrivò a sbarrarci la strada verso il campo delle roulotte, né tantomeno trovammo sbarramenti di filo spinato o sciocchezze della serie V per Vendetta: era tutto schifosamente come sempre.
Le delicate fanciulle non si mostrarono troppo turbate dalle notizie: erano donne di mondo, loro, non come noi marmocchi di zucchero, e non sarebbe stata la prima volta che avevano problemi per via della roulotte.
- Qui non si tratta di un poliziotto arrogante – spiegò paziente Doppia D, ignorando con notevole sangue freddo la scollatura che Marie gli sbatteva in faccia. – E temo che il problema non si limiterà a qualche autorizzazione o meno. Tutto il cul – de - sac sarà chiuso, senza eccezioni, ma probabilmente voi sarete trattate peggio – stava per aggiungere altro, ma Lee sbatté un pugno sul tavolo e sbraitò un ‘Ci provino!’, subito incoraggiata dalle sorelle. Tant’è: con le Panzer era sempre difficile avere una conversazione seria e sensata, ora come allora.




NdA: Salve! Questa storia vuole essere una sorta di esperimento a cui sto lavorando da un po'. Sono stata molto ispirata dalle canzoni e dai video dell'album The Suburbs degli Arcade Fire, ma essenzialmente, siamo in un'America a pezzi dopo l'11/09/2001, con guerra all'interno e fuori il Paese; la storia è ambientata nel 2005 circa, calcolando che gli Ed avevano undici o dodici anni nel 1999.

Edit del 7/03/2017: quando ho pubblicato ero abbastanza di fretta e mi sono dimenticata di mettervi il link all'album degli Arcade Fire: https://www.youtube.com/watchv=9oI27uSzxNQ&index=2&list=PLLYRSl-pvlzCY4TcMoNBG8SD8LYWNud7M
 Questo invece è per il corto diretto da Spike Jonze Scenes from the suburbs che si basa direttamente sull'album (e a cui mi baso io ^^): https://vimeo.com/36170225
  
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