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Autore: simocarre83    06/03/2017    2 recensioni
Secondo racconto che parte dopo l'epilogo del primo. quindi se volete avere le idee chiare sarebbe, forse, il caso di leggere anche il primo. Ad ogni modo, una brutta notizia che presto diventano due, due vittime innocenti, loro malgrado, nuovi personaggi e purtroppo nemici che compaiono o RIcompaiono. Ma sempre l'amicizia che ha, come nella vita, un ruolo fondamentale.
Genere: Drammatico, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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SONO SEMPRE I SOGNI A DARE FORMA AL MONDO

Passarono quattro mesi, mentre tutto sembrava procedere nella più completa normalità. Michele era riuscito a vendere quasi tutte le proprietà e le auto. Liquidando un sacco di soldi. Ciascuna delle tre famiglie decise di usarli come meglio poteva. Ad esempio, la casa di Simone e Maria aveva bisogno di particolari riparazioni essendo vecchia di circa vent’anni. E a settembre quelle riparazioni sarebbero avvenute. Grazie a qualche altro intervento di Nicola, anche la situazione brevetti si regolarizzò, e a fine anno avrebbero ricevuto anche le rendite di quello.
Michele aveva fatto progressi anche con il lavoro sulla morte di Francesco. Il martedì stesso era tornato alla radura e riuscì a prendere dei reperti che collegarono inequivocabilmente la morte di Francesco, con la vecchia banda dei Tre Fratelli. Ma Marco, Cosimo e Amaraldo non vennero mai ritrovati. Né si fecero più sentire. Le ricerche continuarono, poi anche l’attenzione delle forze dell’ordine incominciò a diminuire, facendo rientrare il tutto nella normalità delle cose. Intanto la loro madre aveva visto ristabilire pienamente e pubblicamente la figura dei suoi figli.
D’altro canto anche Massimo e Giovanni, i due fratelli di Cosimo, si erano resi irreperibili. E Dorian con loro. Solamente Salvatore fu trovato, e venne interrogato diverse volte, nelle quali semplicemente confermò quello che c’era scritto nella lettera di Francesco e Emanuele, dimostrando di non sapere niente di più. D’altra parte Salvatore sapeva quelle cose perché era l’impiegato dell’ufficio brevetti che si era occupato della registrazione di tutti quei brevetti e in qualche caso aveva anche parlato per qualche minuto con Francesco o suo fratello. Poi un giorno era stato contattato da Cosimo che gli aveva fatto delle domande sulle chiavi. E questo era tutto quello che sapeva.
L’unico vero mistero erano le chiavi. Le tre strane chiavi che c’erano nella cassettina di sicurezza e l’altra chiave. Sia Michele che Simone che Giuseppe cercarono di scoprire qualcosa di più, senza però riuscirci. La madre di Francesco non ne sapeva nulla. Nei documenti personali di Francesco e Emanuele non c’era nulla. Insomma, sembravano essere sbucate dal nulla e portare al nulla.
Fino al giorno dopo Pasquetta. Quel 9 Aprile 2024.
Da quando era morto suo padre, Simone non aveva più tanto frequentato i suoi famigliari acquisiti. Praticamente c’era una certa incompatibilità di carattere fra loro, che li faceva propendere per la non frequentazione reciproca. Poi, colei che era stata la moglie di suo padre era scesa nuovamente a Napoli, raggiungendo i suoi due figli con le rispettive famiglie.
L’unica persona rimasta a Milano era la sua sorella acquisita. Si era fatta una famiglia e viveva con il marito ed il figlio a Milano.
Con Simone si vedevano più o meno una volta al mese. E andavano d’accordo. Tanto che in più di un’occasione Simone ammise di considerarla veramente come una sorella. Anche con Maria si trovava benissimo ed era sempre ben accetta a casa loro. E loro lo erano a casa sua. Tanto che in qualche occasione, da un anno a quella parte, per guadagnare qualcosa, Giuseppe era stato invitato a fare da baby-sitter al cuginetto, Davide, di sei anni. Quando capitava che i suoi genitori uscissero la sera da soli. Ma era comunque raro.
Uno di quelle sere era la sera del 9 Aprile. Il giorno dopo pasquetta.
Giuseppe arrivò a casa loro per le 19.
“Allora, Giuseppe: i soldi sono in cucina. Tra un oretta mangiate. La cena è in frigo. Devi solo riscaldarla nel microonde. Davide si è già fatto il bagno. Massimo alle nove e mezza deve essere a dormire, che domani c’è scuola. Noi torniamo per le undici. Poi lo zio ti accompagna a casa. Tutto chiaro?”
“Si zia! Non preoccuparti!” rispose Giuseppe.
“Non mi preoccupo!” disse sorridendogli.
Lei e suo marito, Giovanni, se ne uscirono. Erano a cena a casa di amici e non potevano fare più tardi.
Una volta chiusa la porta, Giuseppe si rilassò, fece giocare un po’ suo cugino, poi mangiarono la pasta e le verdure che la zia gli aveva preparato; verso le nove, Giuseppe mandò Davide in bagno a lavarsi i denti e alle nove e venticinque, come da istruzioni della zia, Davide era a letto.
Giuseppe passò un’altra oretta a studiare mentre cercava di ignorare i capricci del bambino, che non voleva dormire. Anche se poi, in realtà, dopo una mezz’oretta non sentì più nulla. Allora si riposò un attimo accendendo la televisione.
L’ultima mezz’ora la passò in quella che era la missione assegnatagli da suo padre, Michele e Giuseppe.
Verso l’inizio di febbraio, tutti e tre avevano chiesto ai loro figli se se la sentivano di dargli una mano nelle indagini relative alla decifrazione del significato delle quattro chiavi che avevano trovato nella cassettina di sicurezza. I quattro giovani accettarono più che volentieri. Però, visto che i Tre Fratelli non si trovavano, Michele ritenne che Matera fosse un po’ troppo pericolosa per far fare domande del genere ai suoi figli. Allora loro si occuparono delle ricerche in Internet, mentre Giuseppe e Simone si divertirono con le domande a persone di ogni tipo. Michele inviò un calco metallico delle chiavi a Simone e quest’ultimo ne diede il pieno uso a suo figlio. In quell’ultima mezz’ora, Giuseppe si concentrò a cercare in Internet qualcuno che avesse potuto produrre le tre chiavi strane. Ormai da una decina di giorni sia lui che Giuseppe avevano tralasciato le indagini sulla chiave “normale”, ritenendo che, essendo “normale”, non costituisse alcun indizio significativo per la ben più interessante indagine sulle chiavi “speciali”.
Alle undici e dieci Mina con Giovanni rientrarono a casa.
“Ciao zia! Ciao zio! Come è andata?” chiese realmente interessato, mentre riponeva nello zaino il suo portatile.
“Una pizza! Hanno parlato solo del loro lavoro, della loro famiglia, della loro casa, delle loro vacanze! neanche una domanda su noi! ci avessero lasciato almeno il tempo di parlare! Devo farmi gli impacchi alle orecchie!” rispose. Una risata aleggiò nell’aria per qualche secondo. Poi Giuseppe prese i soldi dal ripiano della cucina e salutò i suoi zii, dirigendosi verso la porta di ingresso.
“Grazie della disponibilità!” disse Mina.
“Di niente zia!” rispose Giuseppe.
“Ah! Allora restituiscimi i 30€ che ti ho dato!” esclamò ridendo sua zia.
Giuseppe si avvicinò all’appendiabiti e prese il giubbotto. Mentre se lo infilava osservò davanti a sé l’appendino. E all’uncino posto al disotto era attaccata una chiave. Per poco non collassò. Quella non era una chiave. Era LA chiave. Ma che cosa ci faceva in possesso della zia? Decise di chiederglielo immediatamente.
“Zia? Che cosa apre la chiave che c’è nell’entrata? Quella attaccata all’uncino dell’appendiabiti?!” chiese ancora un po’ stordito.
“È quella della casa di Policoro, perché?!” rispose Mina.
Giuseppe non ebbe più il controllo della lingua. E gli scappò una parolaccia. Una esclamazione, ma pur sempre di parolaccia si trattava. Per tutta risposta sentì arrivargli un coppino. Era Giovanni.
“Chi è che ti insegna queste cose? Non penso a casa!” disse. Dissimulando rabbia e scandalo per quello che aveva detto.
Giuseppe una cosa del genere non l’avrebbe mai fatta normalmente. E in quell’occasione sapeva di essersela vista brutta, perché se quella chiave l’avesse vista a casa sua e avesse detto quella cosa davanti a suo padre e sua madre, piuttosto che davanti alla zia e allo zio, sarebbe stata la fine.
“Scusa!” rispose.
La zia l’accompagnò alla porta.
“Pensa che quando aveva la tua stessa età, tuo padre la teneva come porta chiavi, quasi come un portafortuna. Poi, verso i diciassette anni, io me ne ricordo appena, non volle più saperne di questa chiave, della casa e di Policoro. Non siamo mai riusciti a capirne il motivo! Poi, dopo un paio di anni, un giorno, me la regalò” spiegò Mina.
Ci pensò un secondo su. Poi prese la chiave e gliela diede a suo nipote.
“Tieni!” disse “Speriamo che faccia meglio a te che a tuo padre!”
“Grazie!” e la intascò senza battere ciglio. Poi ritornò su quel discorso “Ma per caso sai per quale motivo ha smesso di interessarsi di Policoro?”.
“No!” rispose Mina. “So solo che dopo il 2000, mi sembra, Simone non ci ritornò più!”
“Ho capito!” rispose Giuseppe e, assieme allo zio, uscì per tornarsene a casa.
Mentre erano in macchina, Giuseppe continuava a osservare quella chiave. Non vedeva l’ora di arrivare a casa per controllarne l’effettiva somiglianza. A lui sembrava proprio uguale a quella.
Mezz’ora dopo era a casa. I suoi stavano già dormendo. Lui era arrivato, e subito si era fiondato in camera sua. Si era spogliato preparandosi per la notte. Tenendo sempre sott’occhio la chiave che aveva lasciato sul letto e la scatoletta con i calchi delle quattro chiavi che era posizionata sulla sua scrivania. Era quasi come se volesse ritardare a tutti i costi quel momento, come se volesse lasciar crescere l’emozione. Una volta sdraiatosi sul letto rimase qualche altro secondo a osservare la chiave che gli aveva appena regalato la zia. Poi si decise. Si alzò e corse verso la scrivania. Accese la lampada posta su di essa e aprì la scatola, prese in mano il modello della chiave e la chiave di sua zia. Li confrontò.
Erano semplicemente identiche. Un silenzioso urlo di esultanza si alzò in quella stanza. Era incredibile quanto potesse essere felice per quello che era accaduto. Saltava e ballava da solo, quando gli cadde la chiave della zia. Si chinò per raccoglierla. E quando si rialzò, a saltare fu la scrivania. Una capocciata tremenda rimbombò per tutta la stanza.
Seguita da un “quasi” silenzioso ululato. Che emetteva mentre si era rialzato e gettato sul letto.
Stette per qualche minuto a contare le stelle che quel colpo gli aveva fatto vedere, quando si ricordò di non essersi lavato i denti, quindi, appena si fu ripreso, si alzò e cercando di non fare troppo rumore, uscì dalla propria camera, a piedi scalzi. Era quasi mezzanotte e non si vedeva proprio niente. Però, per non svegliare i suoi, pensò di non accendere neanche la luce del bagno. Uscì dalla porta del bagno e con passi felpati si avvicinò alla porta della sua camera.
Giuseppe si stupì di come sua mamma non aveva ancora cercato di capire chi fosse a fare tutto quel rumore. Tra la botta, il lamento, i passi, nessuno si era ancora preoccupato? Allora a preoccuparsi fu lui. Si avvicinò alla camera dei suoi. Di solito suo padre russava. Ma non sentì nulla. Non solo non sentì suo padre russare. Non sentiva proprio niente.
Aprì lentamente la porta. Sentì uno strano odore. Allora, senza preoccuparsi di dover svegliare i suoi genitori, accese la luce. E quello che vide lo spaventò a morte. I suoi genitori, su un letto ricoperto di sangue, ormai senza vita.
Più che urlare, in quel momento provò una paura terribile. Si voltò e corse immediatamente giù dalle scale. Quando vide una persona in ginocchio, in cucina. Provò ad avvicinarsi quando riconobbe in quella persona Giuseppe e si accorse che davanti a lui c’era un uomo in piedi che gli puntava una pistola in fronte. Quell’uomo era Marco. L’avrebbe riconosciuto in una folla, dopo aver visto la foto che gli era stata scattata nel 2000. E premeva il grilletto. Anche in quel caso non ebbe neanche la forza di urlare.
Sentì provenire dalla cantina una voce femminile, che urlando, lo chiamava. Era inequivocabilmente la voce di Francesca. Corse giù per ritrovarla, lei e Roberto, in una specie di gabbia. Erano emaciati e si lamentavano in continuazione. In quel momento sentì una mano che da dietro gli afferrava la spalla. Si voltò e vide la canna di una pistola che puntava dritto verso i suoi occhi. Era ancora Marco.
“Cosa vuoi da me?!” fu l’unica cosa che riuscì a dire.
“Farti un favore!” rispose.
L’ultima cosa che vide fu il grilletto che veniva premuto.
L’ultima cosa che sentì fu, ancora una volta, Francesca che lo chiamava. Quella voce celestiale atenuò, fino ad annullarlo, il rumore dello sparo.
A quel punto comparve davanti a se la figura di Francesca. In tutto il suo splendore. Che lo chiamava ancora.
“Giuseppe!”
“Giuseppe!”
Poi Giuseppe vide Francesca, che lentamente si trasformava. Si trasformava in una figura diversa. Si trasformava… si trasformava.
“Zia Mina!?”
“Ehi! Su Sveglia!!” disse sua zia.
“Se ti becco un’altra volta a dormire durante l’orario di lavoro, ti licenzio! Se ti becco un’altra volta addormentarti mentre studi, avviso tuo padre e ci pensa lui! E per favore, quando sei in casa, non guardarti film dell’orrore. O almeno non addormentarti mentre lo fai!” continuò sorridendogli.
Giuseppe, solo allora, si rese conto del fatto che si trattava di un sogno. E che sogno. Aveva acceso la televisione ed era crollato, mentre la guardava.
“Scusa zia! non succederà più!” rispose Giuseppe.
“Eh! Me lo auguro! Dai, vatti a mettere il giubbotto che tra due minuti ti riaccompagno!” disse suo zio, che lo guardava sorridendo.
Giuseppe si stropicciò gli occhi, poi si alzò e mise via il libro. Poi prese i soldi in cucina e andò all’appendiabiti a prendere il giubbotto. E sull’uncino dell’appendiabiti non c’era nessuna chiave. Tirò un sospiro di sollievo. Almeno quell’incubo non poteva neanche incominciare, pensò, dandosi, immediatamente dopo, del cretino per aver potuto pensare anche solo lontanamente una cosa del genere.
Salutò la zia e dopo un quarto d’ora circa, suo zio lo lasciò a casa. Dal giardino vide che la luce della sua camera era accesa.
Entrò, assicurandosi di chiudere stabilmente la porta di casa dietro di sé. E poi si diresse immediatamente nella camera dei genitori. Bussò, non ottenendo alcuna risposta. Allora venne preso dal panico. Ancora sconvolto per il sogno di prima, spalancò la porta e accese la luce.
“Ma che ti sei impazzito?!” rispose sua mamma, mentre era a letto e provava a leggere un libro.
“Scusa mamma! Non volevo!” rispose.
Poi Maria vide l’espressione di suo figlio.
“Ma è successo qualcosa dalla zia!?” chiese.
“No! Non preoccuparti! Sono solo un po’ nervoso per un compito di domani! Buonanotte!” rispose Giuseppe.
E richiuse la porta della camera da letto. Però effettivamente mancava suo padre in quella stanza.
Fece un respiro. –Calma Giuseppe. Cerca di calmarti e di riprendere il controllo della situazione. È stato solo un brutto sogno- fece un altro sospiro, poi si diresse verso la sua camera, dalla cui porta spuntava una luce. L’aprì e all’interno trovò l’unica persona che razionalmente era possibile trovare. Simone che seduto sul suo letto stava leggendo ancora, per l’ennesima volta, la copia della lettera di Francesco ed Emanuele, riposta in pianta stabile da quattro mesi circa sulla scrivania di suo figlio.
“Ciao Papà!” disse sorridendo.
“Ciao! Scusa! Esco subito?!” disse Simone.
“No stai che ti devo parlare!” rispose Giuseppe.
Simone lo osservò e, come Maria, comprese che c’era qualcosa che non andava.
“Niente di particolare! Quando ero dalla zia ho fatto un sogno bruttissimo e sono un po’ agitato!”
“Ah! Ma tu quando sei dalla zia Mina lavori o dormi?!”
“Lascia perdere che mi ha addirittura svegliato lei!”
“Ah! E ti sei fatto sgamare? Sicuro domani mattina mi telefona!” disse Simone alzandosi e avvicinandosi alla porta.
“No! Aspetta che non era questo che ti volevo dire!”
Simone si fermò. E ritornò indietro.
“Anche grazie al sogno che ho fatto, mentre stavamo venendo qui, prima, ho avuto un’idea!” disse Giuseppe. Il fatto che si avvicinasse alla scrivania e prendesse la scatola in cui c’era una copia di tutto quello trovato nella cassettina di sicurezza, fu determinante per destare tutti i sensi di Simone e convincerlo che valesse pienamente la pena di ascoltare Giuseppe.
“Ah! E che idea?!”
“È un ragionamento sottile, ma secondo me quadra. Ti va di ascoltarmi?!”
“A-ah!” fu l’unico verso che uscì a un Simone con l’attenzione a mille.
“Allora: non avendo vissuto quegli avvenimenti, mi baso su quello che tu e Giuseppe mi avete raccontato! Prima di tutto, la lettera che avete trovato nella cassettina di sicurezza… Parla del fatto che questa chiave, Francesco e Emanuele, l’avevano restituita. Evidentemente si riferisce alla chiave “normale”, per così dire, altrimenti avrebbero parlato di chiavi e non di una sola chiave. Allora ho pensato che se la lettera fosse finita nelle mani giuste, cioè ai veri eredi della cassettina di sicurezza, quindi ai giusti destinatari della lettera, allora la chiave sarebbe stata restituita a uno dei tre. Se le cose stanno così la chiave o è di Michele, o è di Giuseppe, o è tua. Fila fino a qui il discorso?”
“Eccome se fila!! Vai avanti, vai!!” rispose Simone mentre quello stesso indimenticato mal di testa si rimpossessava di lui.
“Allora ho pensato: in base alle cose che so io, quale chiave di uno di voi tre è passata per le loro mani?! Poi mi è venuto in mente che il 27 Giugno 2000, stando a quello che mi avete raccontato voi, Francesco e Emanuele…” ma non fece in tempo a continuare. Perché suo padre gli si gettò al collo. Ridendo e urlando per la gioia.
“Ma certo! Che scemo che sono! Il 27 giugno 2000! Come ho fatto a non pensarci prima. Questa era la prova del nove, per essere sicuri di concedere l’uso delle tre chiavi alle persone giuste!” disse, tra una risata e l’altra. E Giuseppe, pur comprendendo che il padre aveva capito quello che voleva dire, non capì quest’altro particolare.
“Massì! Come stavi per dire tu, Francesco e Emanuele sono state le prime persone che sono tornate a casa mia dopo l’attacco congiunto ai danni di Dorian, Salvatore, Massimo e Giovanni. Ed io avevo lasciato una copia delle chiavi, che il giorno prima avevo preso da casa mia, proprio a loro due, perché potessero aprirla ed entrare in casa. Mi ero completamente dimenticato di averlo fatto, e di riprenderle. Questo era un particolare che solo io, Giuseppe e Michele, delle persone in vita in questo momento, possiamo conoscere. Solo noi tre potevamo capire la chiave di cosa ci avevano restituito! Anzi, solo io e Giuseppe, perché Michele non sapeva il particolare della chiave. E Giuseppe, praticamente non se lo sarebbe mai ricordato, come me d’altra parte. Non ne abbiamo mai riparlato insieme, infatti quello è un particolare che ti ho raccontato quando ne abbiamo parlato da soli quest’inverno!” concluse Simone. Poi guardò suo figlio.
“Grazie per l’eccezionale contributo che hai dato nella comprensione dell’intera faccenda! Devo ammettere che il ragionamento è stato veramente sottile. Ma molto logico!” disse.
“Prego! Però è solamente un ragionamento teorico. Non so se le chiavi di Policoro sono effettivamente come queste!” puntualizzò Giuseppe.
“Nono! Sono proprio queste!” rispose suo padre.
“E come facciamo a controllare!?”
“Semplice!” rispose Simone. “Vieni!” e corse con Giuseppe al piano di sotto. Lì, nel portacenere che serviva da portachiavi, posto sul muretto nell’entrata della casa, Simone trovò le chiavi della macchina. Giuseppe conosceva benissimo quel mazzo: era composto da un portachiavi, che era una chiavetta usb, dalla chiave della macchina, dalla chiavetta della macchinetta del caffè del lavoro, e da un’altra chiave, che aveva sempre pensato fosse la chiave di qualcosa che suo padre aveva al lavoro.
Immediatamente confrontarono il calco della chiave misteriosa con quella.
“Visto? Corrispondono!” rispose un raggiante Simone.
Giuseppe rimase interdetto.
“Scusa! Ma quella chiave me la ricordo da ché ho una memoria. Mi vuoi dire che tu hai sempre portato con te la chiave della casa di Policoro?!” chiese esterrefatto.
Simone guardò suo figlio, sorridendogli.
“In qualche caso, in passato, o anche ultimamente, può essere stata la paura a non farmi scendere a Policoro. In certi casi è stato il ribrezzo per quello che mi è successo. Quasi sempre la voglia di non ripensare a quelle cose. Ma mai, MAI, l’odio per Policoro, quella casa o i bei pensieri ad essa legati, che comunque sono la maggioranza. Policoro per me ha sempre rappresentato il pensiero felice per eccellenza. E neanche la mamma può immaginare quanto abbia sofferto in questi anni a non poter rivedere quel paese. Adesso è Policoro che sta tornando da me!” disse sorridendo. poi però il suo volto si adombrò. “Però non so se il risultato sarà molto piacevole o molto doloroso”, concluse, mentre risalivano le scale.
E dopo essersi augurati la buonanotte, rientrarono ciascuno nella propria camera a dormire.
Il giorno dopo, appena arrivato a scuola, venne raggiunto da un coppino vero, non come quello che aveva sognato la sera prima. Era del suo ex professore di matematica, che gli si avvicinò e gli sussurrò un “complimenti per l’intuizione!” che lo rassicurò ancora di più.
Il pomeriggio ritornando a casa, ed essendo mercoledì, si mise a studiare come al solito, anche se, effettivamente, fu più il tempo passato a scrivere degli sms con Roberto e Francesca, che a studiare. Cioè, per dirla proprio tutta, i messaggi li scambiava con Francesca; che poi lei, alcuni, ma solo alcuni, li leggesse anche a Roberto quello era un altro discorso.
Fu così che, in un attimo, Simone e Giuseppe predisposero le cose per partire giovedì 25 Aprile e ritornare Mercoledì 1 Maggio 2024. Motivo: viaggio di affari a Matera coadiuvato da un amico. Ed effettivamente una mezza giornata sarebbe sicuramente stata impiegata per una riunione con quelli della commessa di Matera, che avrebbero di certo cercato qualche scusa, ingiustificata, per pagargli qualche euro in meno i computer che gli avevano acquistato.
In realtà si sarebbero ritrovati con Michele per procedere agli ultimi rogiti delle case e dei terreni e con l’assemblea dei soci dell’azienda che oramai stavano per vendere all’azienda di Simone, che avrebbe così avuto anche una base di appoggio a Matera.
Il giorno della partenza arrivò praticamente immediato. Così, giovedì 25 Aprile 2024, alle 15.30, furono tra i primi passeggeri a volare sulla rotta Bergamo-Pisticci, appena inaugurata. All’aeroporto di Pisticci, ad attenderli, c’era Michele. Che fu felice di rivederli.
Praticamente non passarono neanche da Matera a lasciare la roba, ma andarono direttamente a Policoro.
Per Simone, per la prima volta, dopo 24 anni.
E non era cambiata di una virgola. Neanche un po’.
L’albero di nespole era rigoglioso, ancora i fili per stendere fuori di casa, c’erano.
Le scale non erano cambiate e neanche lo spazio aperto davanti casa sua. A queste cose Giuseppe non ci pensò, ma Simone si. d’altra parte Giuseppe ci andava tutti gli anni, nella via dietro, per Natale, per rivedere i suoi genitori e sua sorella. Simone no.
Si avvicinarono alla porta di casa di Simone.
“Chissà che cosa troveremo!” disse Giuseppe, seriamente preoccupato, osservando i suoi due amici. Che ricambiarono lo sguardo.
“E cosa vuoi che ci troviamo!? Polvere! Tanta polvere!” rispose Simone, scatenando la risata di Michele e l’imbarazzo di Giuseppe.
La chiave, che era quella originale contenuta nella cassettina di sicurezza, entrava. E la serratura girava anche. Ad ulteriore conferma di quello che sapevano già.
Con un emozione indescrivibile Simone aprì l’anta della porta. Mentre un raggio di luce inondava l’oscurità di quella casa.
Entrarono prima Simone, poi Michele ed infine Giuseppe. A suggellamento di quei ventiquattro anni. Di astinenza da quella casa e da tutto ciò che quella casa rappresentava per Simone. Era finita. Erano arrivati alla destinazione, al traguardo. Almeno, questo era un discorso che valeva per Giuseppe e Michele. Per Simone no! Simone non era arrivato al traguardo: Simone era arrivato a casa.
Fu Simone il primo ad entrare in quella casa. Immediatamente di fronte a sé il tavolo, alla sua sinistra il frigorifero. Alla sua destra la cucina. Nel muro di fronte a loro, tra le due porte delle camere, una cassettiera per tenerci tutti gli oggetti necessari della cucina.
“Incredibile” esclamò Michele “tutto è come 24 anni fa”.
Simone si fermò proprio al centro della cucina, osservando tutto quello che era intorno a lui. Era vero; quello che aveva detto Michele era assolutamente e definitivamente vero. Anche troppo.
“Scusate, ma non vi sembra strano?!” chiese Simone agli altri due.
“La polvere!” rispose Giuseppe.
“Appunto!” continuò Simone “Questa casa è troppo pulita. Troppo vissuta. Come se fino a qualche giorno fa ci avessero vissuto. Ma è impossibile. L’ultima persona che ci è venuta è stato mio padre, e ormai sono quasi passati due anni. Ci dovrebbe essere come minimo il doppio della polvere. E una puzza di chiuso che ci voleva un mese per farla uscire fuori, quando non c’eravamo. Questa casa ha sempre avuto grossi problemi di umidità. Qui sembra che siano stati fatti dei lavori sostanziali per sistemare il problema, ma non ne ho mai sentito parlare!” concluse.
“Scusate!” esordì nuovamente Michele “ma se la lettera che abbiamo trovato nella cassettina di sicurezza è datata 1 Dicembre 2023, non può essere che Francesco e Emanuele avessero usato questa casa fino a quel momento?”
“Effettivamente le cose possono essere andate in questo modo” rispose Simone “ma rimane comunque il fatto che non sappiamo chi ha pulito questa casa e come mai!”
“Simone! Vieni un attimo!” chiamò Giuseppe dalla camera da letto.
Simone e Michele andarono immediatamente. Appena entrati videro Giuseppe con in mano una busta.
“L’ho trovata sul comodino. C’è scritto ‘per Simone’, quindi presumo che sia rivolta direttamente e solo a te!”
Simone la prese dalle mani di Giuseppe e la osservò un attimo. Il destinatario era scritto a mano. E la scrittura era inconfondibile. L’avrebbe riconosciuta tra tutte. E infatti, gli occhi gli si inumidirono immediatamente.
“Giuseppe, Michele, potete per favore uscire un attimo?!” chiese.
“Ma che cosa è successo!??!” chiesero questi ultimi preoccupatissimi.
“Questa lettera me l’ha scritta mio padre” fu l’unica cosa che poté aggiungere Simone. Prima che entrambi, rispettosamente, uscirono dalla camera da letto, chiudendo la porta dietro di loro.
La commozione fece immediatamente posto all’emozione, quasi alla paura di aprire e leggere quella lettera. Lentamente aprì la busta. Che, come il foglio al suo interno, dimostrava tutta l’età relativa alla data scritta nell’intestazione della lettera.
La lettera era datata 11 Aprile 2021. E Simone capì che non era un caso che la data fosse proprio quella. Si ricordava del fatto che quella fu’ l’ultima volta che suo padre riuscì ad andare a Policoro. anche se ci andò da solo, da giugno, ci rimase, con la moglie, fino alla fine dell’anno. Già incominciava a sentire i sintomi della malattia che l’avrebbe visto mancare l’anno successivo, e gli era stato consigliato di passare un po’ di tempo al mare. Il clima mediterraneo di quella zona permetteva ai polmoni di reagire meglio al male che li stava lentamente consumando.
Ma la cosa più significativa, quella che gli fece versare le prime lacrime, non appena incominciò a leggere quella lettera, fu che gli venne in mente che quella data era ancora più significativa per la sua vita. Anche se doveva andare indietro ormai di poco più di 38 anni.

"Caro Simone,
Oggi sono passati esattamente 35 anni dalla morte di tua mamma. Abbiamo dovuto passarne di cose insieme. E la gioia più grande che ho potuto provare è stata quella di crescerti bene. non sono io a dirlo, sei tu a dimostrarlo. In questi ultimi anni, poi, mi sono accorto del fatto che anche da giovane ti sei sempre distinto per il tuo senso di giustizia, per il tuo attaccamento agli amici e per la limpidezza dei tuoi sentimenti. Sono orgoglioso di te, e sono certo del fatto che anche tua mamma lo sarebbe stata. In questi ultimi anni ho avuto occasione di conoscere anche alcuni dei tuoi amici. Francesco e Emanuele hanno saputo guadagnarsi il mio rispetto e la mia stima, esattamente come tu sei riuscito a fare con loro.
Più di ogni altra cosa, stranamente, perché pensavo di conoscerti, Francesco e Emanuele mi hanno permesso di conoscerti molto meglio di prima. E di apprezzarti molto di più. Non immaginavo di veder crescere la stima che nutro nei tuoi confronti più di quanto abbia fatto prima, ma è stato così.
Ieri sera, sono stati ospiti in questa casa. E parlavamo di te. Anche se con moltissima riluttanza, mi hanno raccontato la tua storia legata a questa casa. E mi hanno spiegato perché tu non vuoi o non riesci più a ritornare a Policoro.
Invece di deludermi, una cosa del genere, mi ha fatto essere veramente orgoglioso di te. Sapere quello che hai fatto, ciò che avete passato, come sei stato vicino ai tuoi amici, come li hai aiutati, come sei riuscito a proteggere la persona a cui volevi bene, e che evidentemente amavi, vista la tua famiglia, e il modo in cui state vivendo ed educando tuo figlio.
Come sai, questa casa è stata testimone di eventi di ogni genere, non solo per quanto riguarda te, ma anche per quanto mi riguarda. Cose belle, bellissime. E cose brutte. Bruttissime.
Io ho preferito non lasciarla. Ho preferito viverla e affrontare questi problemi.
A volte siamo portati a pensare che la nostra vita sia semplicemente composta da vittorie o sconfitte.
Se tu, invece, vuoi viverla veramente la vita, devi imparare a conservare le vittorie come bei ricordi, e le sconfitte come delle lezioni. Perché se ti fai vincere dai cattivi ricordi, non riuscirai mai a superarli. Questa è stata l’impressione che ho avuto dal racconto di Francesco e Emanuele.
Ma se leggi questa lettera, significa che stai affrontando i tuoi brutti ricordi e che sei ritornato in questa casa. È incredibile, come possa, a distanza di anni, quasi sentire in questa casa te ridere e scherzare, noi due litigare perché, per l’ennesima volta avevamo perso contro lo zio Vito e il nonno a carte. O tornare a casa dal mare e vedere tutto pronto perché la nonna aveva fatto tutto. E sono certo che, se starai leggendo questa lettera in questa casa, anche tu potrai sentire le voci della casa, non fantasmi. Solo ricordi. Belli. O al massimo lezioni di vita. Che hai imparato e che ti hanno fatto crescere. Sotto questo aspetto, Policoro, per te, esattamente come Pisticci per me, ha rappresentato la più grande scuola di vita che possa esistere.
E sono orgoglioso che un uomo come te, come ora sei diventato, con la tua famiglia, tuo figlio, tua moglie, il tuo lavoro ed i tuoi amici, possa ancora emozionarsi quando entra in questa casa.
Con affetto
                                               Lino"
 
Dalla cucina, avvicinandosi lentamente alla porta, Giuseppe e Michele potevano sentire il loro amico, dalla parte opposta piangere. Singhiozzare, quasi silenziosamente ma era possibile sentirlo. Quando sentirono Simone alzarsi dal letto, una ventina di minuti dopo, e andare in bagno, si risedettero al tavolo per non essere scoperti. Se non che il Simone che videro uscire da quella camera, dopo qualche altro minuto, non era stravolto. Non era triste. Era decisamente un’altra persona. Proprio un’altra persona.
Entrò in cucina e porse la lettera a loro due.
“Leggetela. Quando avete finito ne parliamo!” disse, mentre si dirigeva fuori e rimaneva seduto alla panchina, a godersi l’aria calda e primaverile del tardo pomeriggio. Doveva pensare. Anche se le decisioni le aveva già prese. Tutte.
Giuseppe si affacciò alla porta.
“Occhio al tonno!” gli disse sorridendo.
Simone ricambiò il sorriso. E lo seguì ritornando in casa.
Giuseppe aveva notato che c’era qualcosa di diverso. Che sicuramente Simone stava pensando a qualcosa. L’ultima volta che gli aveva visto quell’espressione sul viso era stata quando, ventiquattro anni prima, Simone aveva escogitato il piano per porre fine alla banda dei Tre Fratelli e stava per andarsene, fingendo di scomparire dalla scena. Quanto aveva sofferto quella volta e come era stato felice di aver visto tutte le vicende seguenti.
“Simone! Prima abbiamo sentito piangere in camera da letto. Beh! Adesso capiamo anche il motivo!” disse Michele.
“Quello che è scritto in questa lettera, mi ha fatto capire che l’evento più importante della mia vita, dopo aver conosciuto Maria, quella cosa che mi ha modellato, più di qualunque altra, e che non ho potuto, o non sono riuscito, a raccontare a mio padre, quando è stata scoperta, l’ha riempito di orgoglio nei nostri confronti. Questa casa, che per me ha rappresentato la mia scuola di vita, non meritava di essere dimenticata dal sottoscritto per così tanto tempo. È ora di riaprirla alla mia famiglia! È ora di tornare a casa! Tutti!” disse, con quella strana luce negli occhi.
“E Marco e i Tre Fratelli?” chiese Giuseppe, tanto per riportarlo al presente.
“Beh! Contrariamente a quello che volevamo, sono riusciti a convincermi a stare lontano da Policoro per 24 anni! E nessuno ci più riuscire per un anno di più. Vogliamo tutti arrivare alla fine di questa storia, che sta aprendo nuovi orizzonti, ma che potrebbe vederci quasi tutti protagonisti nei prossimi mesi! Ci state?” chiese Simone.
“Io e Giuseppe la pensiamo nello stesso modo. Non vedevamo l’ora di avere, finalmente, tra noi, il vecchio Simone! Noi ci stiamo!” disse Michele, raccogliendo il sorriso di conferma anche di Giuseppe.
“E penso che Policoro potrebbe rappresentare una buona scuola di vita anche per i nostri figli! Come abbiamo fatto finora, ragionevolmente, possiamo coinvolgere anche loro. Cosa ne dite?”
“Beh! in parte l’abbiamo già fatto. Non ci sono problemi per me!” disse Giuseppe.
“Neanche per me!” disse Michele.
“Bene!” rispose Simone. Poi si fermò, sorridendo e osservandoli.
Passò qualche secondo. Poi Giuseppe, preoccupato, riprese il discorso.
“Si! ma le tre chiavi speciali?!” chiese, ritornando alla pratica della mente, tralasciando per un attimo i massimi sistemi.
“Eh! Le tre chiavi speciali!” rispose Simone. E tirò fuori un bigliettino.
“Questo era nella busta. Evidentemente mio padre si fidava ciecamente di Francesco e Emanuele, al punto di permettergli di inserire un messaggio nella busta prima di chiuderla. Guardate!”.
 
"Quello che scoprirete usando le tre chiavi vi cambierà completamente al vita. Quando deciderete di farlo, spostate il comodino su cui avete trovato la lettera e usate ciascuno la propria chiave. Quella con la propria iniziale.
Siamo felici che siate veramente tornati.
                                               Emanuele e Francesco"
 
Giuseppe e Michele guardarono Simone esterrefatti.
“Ho già spostato il comodino. Venite a vedere!” esclamò Simone, già in cammino verso la camera da letto. Gli altri due lo seguirono immediatamente.
Entrati in camera quello che videro li lasciò di stucco.
Una piastra metallica, dietro il comodino, fuoriusciva di qualche millimetro dal muro. Al centro, disposte come ai vertici di un triangolo equilatero, ad una ventina di centimetri l’una dalle altre, c’erano tre serrature. Ciascuna era caratterizzata da un cerchietto di un colore diverso: viola, arancione e verde. Nella parte superiore del dispositivo, era presente una targhetta. Riportava la scritta “Le chiavi come Uno per tutti, tutti per uno”.
“Pure la citazione dei Tre Moschettieri, ci voleva?!” disse, anche alquanto divertito, Michele.
“Ci voleva! Evidentemente ci voleva!” rispose Simone. “Avete notato che i colori delle serrature e quelle delle chiavi non corrispondono?” disse.
“Beh! Ma ci vogliono 5 combinazioni, al massimo, per arrivare alla successiva giusta!” continuò Giuseppe.
“Si ma Francesco e Emanuele erano furbi. Veramente furbi. Credo che dovremmo pensarci bene e arrivare alla soluzione giusta al primo colpo, sennò sarà tutto perduto!” rispose Simone.
Contemporaneamente capirono, sulla base delle lettere stampate sulle chiavi, che a Giuseppe spettava la chiave Gialla, a Michele quella Blu e a Simone la Rossa.
“Ma certo!” esclamò Michele ad un certo punto. “L’anno scorso, Francesca mi disse che mentre eravamo in vacanza e c’era anche Francesco, questo le fece un discorso strano sui colori, aspetta… come li ha chiamati… ah! I colori complementari! Francesca rimase colpita, da quel fatto, perché Francesco le disse che avrebbe dovuto riferirmelo e non scordarlo mai. Lei ovviamente mi disse tutto. E forse ho capito per quale motivo!”
“Evidentemente, la chiave di un colore deve entrare nella serratura del colore che è a lui complementare. Cioè di quello che nasce dalla composizione degli altri colori delle chiavi” spiegò Giuseppe.
“Quindi, io, che ho la chiave rossa, devo infilarla nella serratura verde, tu, Michele in quella arancione e Giuseppe, tu devi infilarla in quella viola. È così?” chiese Simone.
“Esattamente!” confermò Giuseppe.
“Si ma che cosa centra la frase dei Tre Moschettieri?” chiese Michele.
“A giudicare dal fatto che le serrature sono, al momento, le uniche cose che ci sono dietro il comodino, direi che potremmo iniziare da queste e accontentarci di risolvere un enigma alla volta!” rispose Giuseppe “che dite ci proviamo?”
I tre avvicinarono le chiavi alla loro rispettiva serratura.
Le infilarono. Fecero forza in senso orario e non accadde nulla. Provarono in senso anti orario e girarono. Appena completarono un giro, le serrature si illuminarono del loro colore. Viola, verde e arancione. Una luce rossa si accese al centro della piastra. Contemporaneamente una luce comparve sulle chiavi e illuminò per pochi decimi di secondo la faccia dell’impugnatura della chiave su cui c’era il loro pollice. La luce al centro divenne gialla. E sotto di essa si aprì una piccola fessurina. Di circa otto millimetri di altezza e due di larghezza.
“Chissà che cos’è!?” chiese Simone.
“Beh! direi che per il momento ci siamo comportati bene! Una luce rossa significa “non si passa”, una gialla è quasi verde!” continuò sorridendo Giuseppe.
“Già ma adesso, secondo me, manca l’ultimo enigma per far scattare il verde!” continuò Michele “Quello sui tre moschettieri!”
“Hai ragione! ma so chi ci può aiutare!” disse Giuseppe.
Prese il cellulare e, inserendo contemporaneamente il vivavoce, compose un numero.
“Ciao Papà!” si sentì dall’altra parte dell’apparecchio.
“Ciao Simone! Ascolta, siamo qui a casa di Simone e stanno succedendo delle cose strane. Però abbiamo bisogno di una mano. Ti ricordi il libro che ti ha regalato l’estate scorsa Emanuele?”
“ ‘I Tre Moschettieri’, di Alexandre Dumas. Perché?”
“Perché ci manca un particolare. Dove abbiamo usato le tre chiavi, c’è una targhetta, che dice “Le chiavi come Uno per tutti, tutti per uno”. Noi infatti abbiamo usato le tre chiavi. Ma ci siamo bloccati. Ti sembra che abbiamo fatto bene?”
“Beh! Penso di si! Era il motto dei moschettieri” rispose suo figlio.
“Sicuro!? Non ti viene in mente nient’altro?” chiese ancora Giuseppe.
“Si! Mi dispiace non esservi stato di aiuto!” concluse Simone, dall’altro lato del telefono.
“Va bene! Scuse accettate!” rispose sorridendo Giuseppe.
“Ok! Ciaociao!”
“Ciao!” Fu la risposta di tutti e tre.
Passarono neanche dieci secondi. Quando il telefono di Giuseppe squillò nuovamente.
“Pronto, Simone!” rispose.
“No!” disse il giovane dall’altra parte.
“No che?!”
“Non è vero!”
“Simò! Non scherzare e vai avanti, per favore!”
“Voi avete usato le tre chiavi. Come i tre moschettieri. Athos, Portos e Aramis! Ma nel libro, la prima volta in cui questo motto si pronuncia è quando, con loro, c’è anche D’Artagnan. Sono andato a controllare ora. Quindi i Tre moschettieri, quando hanno pronunciato quella frase, e tutte le volte che l’hanno fatto, non erano tre, ma quattro!”
“Ah! Il che significa che dovremmo usare un’altra chiave?!” rispose Michele.
“Si! Spero di esservi stato utile, a questo punto!”
“Non immagini neanche lontanamente quanto! Grazie! Ciaociao!” rispose Giuseppe.
“Ciao!”

--O--
E Simone attaccò il telefono. Poi si voltò dalla sua scrivania, e sorrise a Giuseppe, che era lì a trovarlo e che gli aveva dato una mano facendogli notare quel piccolo particolare.
“Grazie! Non ci sarei mai arrivato da solo” gli disse.
“Come si dice: uno per tutti, tutti per uno” rispose Giuseppe, sorridendogli.
--O--

Giuseppe si rivolse verso Michele e Simone.
“C’è stata una sola chiave in questa storia che è stata così importante!”
Senza neanche pensarci Simone si alzò e corse a prendere la chiave di casa. Ritornò in camera da letto e si inginocchiò vicino al comodino, dove gli altri due lo attendevano trepidanti. Infilò la chiave nella fessura che si era appena aperta.
Dopo neanche mezzo secondo, la luce gialla, diventò verde.
“Oh! finalmente!” esclamò Giuseppe.
A quel punto udirono un sibilo, crescere, proprio da dietro quella piastra. Le chiavi, tutte e quattro, furono ritirate immediatamente all’interno della piastra, che venne incassata nel muro. Tutte le fessure si chiusero e le luci si spensero. Rimase solo il sibilo, che cresceva sempre più, sia in intensità che in volume. Ancora confusi da quello che stava accadendo, i tre erano ancora inginocchiati vicino al comodino. D’un tratto, prima la porta di casa, poi la porta della camera da letto e le finestre si chiusero. Delle scuri impedirono a qualsiasi luce di passare attraverso di esse.
Simone immediatamente si alzò e cercò di aprire la porta della camera, senza riuscirci. Non riusciva neanche ad abbassare la maniglia, nonostante tutte le sue forze.
“Che cosa sta succedendo?” urlò Giuseppe.
Il sibilo era quasi diventato insopportabile, quando Simone, che aveva capito a malapena quello che Giuseppe gli aveva urlato, gli rispose che non ne aveva la più pallida idea. -Spero solo che non sia una trappola- pensò mentre il sibilo cresceva ancora di più. Poi fu insopportabile per tutti e tre e crollarono a terra, svenuti.



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NdA: Buongiorno! Eccovi un nuovo capitolo. diciamo che a questo punto ho voluto fare una "curva a gomito" sulla storia e cambiare un po' le carte in tavola (Anche se vecchie abitudini come mettere titoli di canzoni ai miei capitoli, quelle, non moriranno... mai). fatemi sapere cosa ne pensate... :)
  
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