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Autore: Mrs Montgomery    06/03/2017    2 recensioni
Piemonte, 1778.
Il duca Andrea Pietrarossa fa ritorno in patria. In seguito alla morte del padre deve occuparsi degli affari in sospeso e questo lo conduce dal marchese Guerra, il quale è in procinto di risposarsi con un’amica d’infanzia del duca. Alla tenuta del marchese incontrerà Giulia, sua figlia, appena tornata da un lungo soggiorno a Verona.
Giovane, ostinata e dall’anima ribelle, Giulia si scontrerà con l’altezzoso duca, sebbene egli si dimostrerà l’unica persona in grado di aiutarla nella ricerca della libertà.
Malate passioni, verità nascoste, feste mondane e perfidi intrighi uniranno lo sfrontato duca Andrea Pietrarossa e l’indomita Giulia Guerra fino a far sbocciare quel potente sentimento che abbatte ogni ostacolo.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Il fiore sabaudo



Capitolo 7
Insieme al ballo

 

 

La tenuta di campagna dei conti Novellis sorgeva alla sommità di una collina e le sue terre confinavano con il torrente Orco. Si trattava di un castello antico, edificato attorno al dodicesimo secolo, che si presentava su una pianta rettangolare e come molti era un ampliamento delle torri massicce. Per oltrepassare le mura, le carrozze degli invitati dovevano attraversare il ponte levatoio, dopodichè si ritrovavano nell’immenso cortile interno dal quale si accedeva al salone d’ingresso.
Giulia sapeva che in origine apparteneva ad una ricca famiglia di Milano, ma furono obbligati a venderla a causa dei debiti di gioco di un parente acquisito. Il vizio dell’azzardo era uno dei peccati più grandi dell’uomo, ad opinione di sua nonna non v’era alcuna cura e portava solamente alla rovina. Fortunatamente nella famiglia Guerra nessuno ne soffriva, nonostante ciò erano altri i mali al suo interno.
La marchesina si stava recando lì per la prima volta. Rammentava di aver conosciuto i padroni del castello quando era piccola, per la precisazione ad un ricevimento che aveva organizzato sua madre, ma era passato talmente tanto tempo che nemmeno ricordava i loro visi. Naturalmente se gliel’avessero domandato avrebbe mentito.
Era così che si viveva in società, fare sempre buon viso a cattivo gioco. Sua nonna Adelaide ne era un’esperta e le aveva insegnato qualche trucchetto, il problema di Giulia era che inevitabilmente si percepivano i suoi pensieri dall’espressioni del suo viso. Pur desiderandolo, faticava a non manifestare i suoi reali pensieri. 
«Siamo arrivati!»
Il duca Pietrarossa scese dalla carrozza con un balzo e dopodichè allungò una mano per aiutare Giulia a scendere dal mezzo.
La giovane gli rivolse un leggero sorriso, prima di alzare lo sguardo sul castello e ammirarne la facciata. Il suo primo pensiero capitolò su quella serata che era stata salvata quando ormai credeva che non ci fosse più alcuna speranza. Sicuramente non poteva andar peggio come nel caso in cui ci sarebbe stato Adriano.
«Andiamo?» la esortò Andrea mostrandole il braccio.
Giulia si lasciò accompagnare, ma prima volse uno sguardo alle sue spalle. Esattamente come immaginava, Giacomo la stava osservando e sul suo viso non v’era un’espressione tranquilla. Le circostanze impedivano loro di poter comunicare verbalmente.
La marchesina riuscì a mostrargli un cenno per fargli capire che non c’era alcun pericolo, sebbene sapesse che non sarebbe servito a rincuorare il giovane fabbro in incognito. Giacomo era alquanto possessivo nei suoi confronti. Non era propriamente geloso, ma molto protettivo. Ciò l’avrebbe fatto rimanere in pena per tutta la serata.
Nel frattempo Andrea la condusse all’interno del castello, dove incontrarono immediatamente i padroni di casa. Il conte era un uomo tutto d’un pezzo, con la scura barba incolta e i occhi grandi innocenti. Sua moglie la si poteva riconoscere ovunque per il volume dei capelli ramati.
Ella si stringeva al suo braccio e amava nascondere le sue labbra carnose dal grande ventaglio che impugnava con fermezza. I suoi occhi furbi saettarono subito sulle figure distinte di Andrea e Giulia. Congedò in fretta gli ospiti da poco accolti e si tuffò a sussurrare qualcosa all’orecchio del marito.
«Buonasera, miei cari!» esclamò allegra la signora contessa, prima di salutarsi secondo le buone regole.
«Andrea, è un piacere rivedervi» disse il conte rivolgendogli un sorriso cortese «vi ringraziamo per aver accettato l’invito. Inizialmente pensavamo di esserci comportati da stolti. Avete affrontato un grave lutto e forse siamo stati irrispettosi nei vostri confronti…»
«Non temete, Armando. Nessuno offesa mi è stata arrecata» rispose il duca Pietrarossa con gentilezza. «Mio padre è morto da mesi e indubbiamente sarà una ferita sempre aperta, ma la vita continua e noi che abitiamo ancora questa terra  non possiamo far altro che proseguire con la nostra vita».
«Parole sagge e coraggiose».                                                 
«Meraviglioso» sospirò la contessa, sventolando candidamente il suo ventaglio. «È una rarità trovare uomini con un animo ardito come il vostro. La fanciulla al vostro fianco ne andrà fiera, vero… ehm… chi avete detto di essere?» domandò rivolgendosi a Giulia.
«Marchesa Giulia Guerra».
La contessa strabuzzò gli occhi, incantata da quella rivelazione. «Siete la figlia di Francesca e di Pietro! Oh certo, mi avevano avvertita del vostro ritorno e infatti non potevo sottrarmi dall’invitarvi. Mi onora la vostra presenza marchesina. Si tratta del vostro primo ricevimento in Piemonte e il Cielo solo sa quanto sono elettrizzata!»
Sorridere a quella reazione fu inevitabile. La signora contessa esprimeva una gioia contagiosa. Per la prima volta chiuse il suo ventaglio e lo diede in mano al marito per poi avvicinarsi alla giovane nobile.
«Vorrei che sapeste che ricordo con affetto vostra madre. Poter vedere sua figlia varcare la soglia di questa casa, che ha udito le risate di una donna perbene, mi rende immensamente felice».
Quelle parole proferite con una sincerità disarmante, resero Giulia infinitamente fiera. Qualunque persona che nominasse sua madre con affetto otteneva immediatamente il suo rispetto e un minimo di riconoscenza per ricordarla ancora.
«Bentornata a casa, marchesina» le disse la contessa dandole un bacio sulla guancia. «Sapete che conosco il vostro accompagnatore da talmente tanti anni che ho smesso di contarli? Credo che la vostra rete ha pescato un pesce grosso e sfizioso».
«Clara, per cortesia! Non cominciate!» l’ammonì suo marito.
La donna riprese il suo ventaglio e scoppiò a ridere, lanciando varie occhiate ai suoi ospiti.
«Mi duole sciogliere il vostro divertimento, signora, ma non è come credete» prese in mano la situazione Andrea. «Accompagno la marchesina Guerra perché suo padre non era nelle condizioni ideali per partecipare al vostro ricevimento».
«E posso domandare il motivo della vostra generosità?» continuò a stuzzicarlo la contessa.
Andrea mostrò un sorriso di pura cortesia. «Cara Clara, se mi conosceste bene come alludete, dovreste sapere cosa spinge tale generosità».
Giulia non riuscì a seguire quel loro scambio di battute. Non era semplice come appariva. Si guardavano come se avessero intuito tutto mentre quel tutto sfuggiva alla giovane marchesina. Preferì non domandarsi niente e mantenere il suo sorriso di cortesia.
«Sì e spesse volte finisce con un cuore infranto».
«Chi può dire che continuerà ad essere così? Forse sarò io ad uscirne col cuore spezzato».
«Avvertimi in quel caso, mon ami, si tratterebbe di un evento a cui voglio proprio assistere» lo punzecchiò la contessa Novellis.
«Sarai la prima».                                                                                                 

«Lo spero bene».
Andrea mostrò un’espressione divertita. «Nel caso mi dovessi sposare, ti consegnerei l’invito di persona giusto per vedere la vostra espressione sbalordita».
«Voi che vi sposate? Il vostro matrimonio diverrebbe l’evento della stagione… ma che dico… diverrebbe l’evento dell’anno!»
«Non potrebbe essere diversamente trattandosi di me».
«Mia cara, vi tocca battere in ritirata» rise il signor conte. «Duca, marchesina, entrate pure in salone e divertitevi».
«Certamente sarà così» rispose Andrea, prima di sorpassarli tenendo stretta la mano della sua dama.
I conti Novellis erano molto simpatici, accoglievano ogni singolo ospite con dei bei sorrisi e non quelli comunemente di convenienza. I loro ricevimenti distavano di somiglianza a quelli di molti altri nobili piemontesi. Prima di tutto nessuno, proprio nessuno, si annoiava ed era un caso insolito che accadessero liti o risse causate dal troppo alcol.
Entrare nella loro sala dei ricevimenti era come entrare in un mondo composto unicamente dall’allegria e dal buon senso. C’era chi danzava, chi si estraniava nel salotto adiacente e giocava a carte, oppure chi si ingozzava con i pasticcini.
Chiaramente non poteva essere tutto rose e fiori. Erano presenti le classiche nobili, alcune erano pure zitelle, che si impicciavano delle questioni altrui o si impegnavano a metter bocca su ciò che affatto non concerneva loro. Ma se uno era sufficientemente furbo non si lasciava rovinare la serata dalle loro mali lingue.
Un servitore tolse il mantello di Giulia poco prima di lasciarle sorpassare la soglia che divideva il salottino dalla grande sala dove si stava svolgendo il ricevimento.
«Ottima scelta, se me lo concedete» disse Andrea osservando lo sfarzoso abito color lavanda. «Non banale e con un tocco raffinè. Scommetto che proviene dalla Francia, o sbaglio?»
«Vi piace vincere con facilità, duca. Siete stato in Francia abbastanza per riconoscerne lo stile».
«Non scommetto mai su qualcosa che so di perdere».
«Impressionante» commentò Giulia, sebbene l’espressione sul suo viso non lo manifestava. «Trasmettete sempre molta sicurezza duca. Credo che sia questo a rendervi affascinante agli occhi di… be’ praticamente chiunque vi incontri».
L’uomo assunse un’espressione furba e maliziosa. «Oh, quindi mi ritenete affascinante?»
«Perché dovete sempre giocare con le mie parole?»
«Perché è divertente vedervi irritata».
«Siete un vero gentiluomo» lo fulminò Giulia.
«Lo so».
La marchesina roteò gli occhi e sospirò pesantemente. Lui si allietava parecchio a punzecchiarla. Giulia non ebbe dubbio che si sarebbe durante quella serata si sarebbe svagato. Decise di allontanare i pensieri da quello sfacciato e osservò le coppie che stavano danzando al centro della sala.
Le scappò da sorridere al ricordo dei ricevimenti a cui partecipò a Verona assieme al suo amico Raffaello. Egli fu il suo primo amico e la prima persona che le strappò un sorriso sincero in terra straniera. Da quando era tornata in Piemonte mantenevano una corrispondenza. Giulia sperava che ben presto si potessero rivedere, gli mancava più di quanto immaginasse.
«Questo è il vostro primo ballo vero?» attirò la sua attenzione Andrea. «Credo che dovreste condividerlo con una persona di un certo spessore. Dubito che vogliate sfigurare alla prima entrata in scena nella vostra terra natìa».
«Su questo non posso che darvi ragione, duca. E quale tra questi gentiluomini mi consigliate? Quale di loro ha questo certo spessore?»
«Parlavo di me, marchesina».
Lei lo fissò dubbiosa. «Voi sareste la scelta migliore?»
«Naturalmente».
Al loro cospetto giunse un nobile alto e dall’ampia fronte. Mostrò una leggera riverenza al duca Pietrarossa e baciò la mano alla marchesina, presentandosi.
«Buonasera. Sono il barone Ezio Mancini e vorrei domandare il permesso di poter ballare con codesta fanciulla».
«Volentieri!» esclamò Giulia e, prima che il suo caro duca potesse replicare, si lasciò condurre dal giovane nobile.
Andrea la osservò per tutta la durata del ballo e per quelli successivi con gli altri blasonati. Tal volta si unì anch’egli alle danze, ma i suoi occhi guardinghi erano rivolti ad un’unica dama in quella sala e lei non se ne accorse minimamente.
La marchesina era troppo impegnata a sorridere ai suoi partner di ballo o a ringraziare qualora la complimentassero. Giulia desiderava farsi largo nella società, quello era il suo posto, senza contare che la caccia al pretendente ideale sarebbe stata più facile. Pareva ignorare che il suo accompagnatore fosse uno degli uomini più avvenenti presenti a quel ricevimento e invece ne era ben consapevole!
Solamente una sciocca o una cieca poteva non accorgersi dell’affabilità del duca Andrea. Giulia non dubitava che molte donne si stavano mangiando le mani desiderose di essere al suo posto e probabilmente avrebbe reagito alla stessa maniera.
Il suo atteggiamento fintamente indifferente era collegato al fatto che non voleva darsi false speranze per un uomo che se ne sarebbe andato di lì a poco. Inoltre era chiara l’intenzione del duca di non sposarsi.
Dopo quattro balli la marchesina venne trascinata in un circolo ristretto di nobildonne che tra un pasticcino e l’altro chiacchieravano nel tranquillo salottino adiacente.
«Non vedo l’ora che si completi quel teatro di Milano… uhm… come hanno deciso di chiamarlo?»
«La Scala, mi pare».
«Oh, sì! Ora ricordo. Prende il nome da quella chiesetta che hanno abbattuto, giusto? Quella vicina al palazzo reale?»
«Chiesetta non direi proprio» commentò una donna dal pomposo abito vermiglio. «Mia cara Anna, si ben comprende che non siete mai stata a Milano. La chiesa di Santa Maria della Scala è una collegiata e non una semplice chiesetta».
Non potendo ribattere, l’altra nobile sviò il discorso. «Mi auguro che metteranno in scena delle opere dilettevoli come quelle di Goldoni. Personalmente lo trovo celeberrimo! Ho adorato “La Casa Nova”…»
«OH! Una storia di borghesi… dobbiamo sorbirci pure le loro storie a teatro!» commentò sdegnata una nobile dal lungo collo che Giulia ricordò essere la marchesa Bramini. «Questi nuovi ricchi che si atteggiano come nobili quando invece… non dovrei nemmeno spendere fiato per quelli!»
«E dunque non fatelo, Priscilla. Ormai dobbiamo convincere con queste persone che… che fanno quel che fanno».
«Acquisire titoli nobili quando non hanno il sangue giusto, ecco quello che fanno!»
Giulia non potè che pensare ad Elena, che sposando suo padre avrebbe acquisito il titolo di marchesa, ma non proferì parola.
«Priscilla, calmatevi».
La marchesa Bramini mugugnò qualche parola incomprensibile e cominciò a sventolare il suo ventaglio.
«Tornando a parlare del teatro, spero che il nostro amico Vittorio riesca a mettere in scena una delle sue opere» continuò la donna dall’abito vermiglio. «Qualcuna di voi ricorderà certamente “Antonio e Cleopatra”… un vero successo!»
«Oh sì, un vero successo!» la seguì la baronessa Morali.
«A palazzo Carignano… chi se lo può scordare!» commentò poi la marchesa Priscilla Bramini.
«E voi Giulia?» la incalzò la contessa Vintani. «Siete certamente la più giovane fra noi, ma abbiamo saputo che la vostra permanenza a Verona vi ha dato un’ottima base culturale. Avete assistito a qualche commedia?»
«Ahimè poche» rispose Giulia assumendo una posizione composta. «Ho assistito a varie opere liriche al teatro filarmonico. Numerosi artisti di fama internazionale ne sono stati ospiti. Personalmente ho apprezzato “la contessina” di Piccinni…»
«Niccolò! E l’avete conosciuto di persona?» balzò la marchesa Bramini.
«Un breve scambio di parole».
«Pensate marchesina che io l’ho conosciuto a Parigi, dove era stato invitato dall’attuale regina di Francia».
Tutte le nobildonne presenti alzarono gli occhi al cielo e sospirarono attendendo di udire per l’ennesima volta la storia della loro amica.
«Chiaramente non potete esserne a conoscenza siccome mi avete conosciuta stasera, ma ho risieduto a Parigi per un decennio assieme al mio primo marito… oh il mio François. Ho persino assistito al matrimonio di Maria Antonietta, quella piccola austriaca che ora fa parecchio parlar di sé, ma questa è tutt’altra storia. Stavamo parlando di Niccolò, giusto? Ebbene quell’uomo è uno dei migliori compositori che io abbia mai conosciuto!»
«Per forza, non ne ha conosciuti altri» ridacchiò a bassa voce la baronessa Morali.
«Marchesina, ora che siete tornata in Piemonte, vedrete che assisterete a molti spettacoli teatrali e ai nostri ricevimenti. Il prossimo mese ne terrò uno io nel mio palazzo a Torino e voi e il duca Pietrarossa sarete invitati!»
«Costanza, che cosa dite? State insinuando che tra questa graziosa fanciulla e il bell’Andrea ci sia del tenero?» la riprese bruscamente la contessa Vintani.
«Oh non v’è niente tra loro! Mon Dieu, perdonatemi marchesina» s’apprestò la spigliata marchesa Bramini. «Perdonatemi veramente. Il fatto è che non ho mai visto Andrea accompagnare una dama ad un ricevimento, nemmeno quando risiedeva a Versailles».
«Veramente?» domandò la baronessa Morali, essendone meravigliata. «Credevo che avesse avuto una storia con una qualche duchessa».
«Se parli della duchessa d’Ambroise, confermo. Ma si trattava di qualcosa di fugace e senza importanza».
«Come tutte le sue liaisons» commentò la contessa Vintani.
«Se parlate così di lui farete credere alla nostra nuova amica che Andrea sia un donnaiolo» le fermò Priscilla.
La baronessa Morali aprì bruscamente il ventaglio. «E lo è! Mia nipote Claudia non ha accettato il fidanzamento con lui perché ha saputo che corteggiava sua cugina Clelia!»
«Oh smettetela Enrichetta! Lo sappiamo tutti quanti che è stato Andrea a rifiutare vostra nipote perché era troppo asfissiante nelle sue lettere. Nemmeno la stava corteggiando, così come non stava corteggiando Clelia» replicò duramente Priscilla Bramini, mettendo a tacere l’amica seduta sul divanetto opposto al suo. «Andrea è un uomo da bene. Ha avuto qualche storia senza importanza, come tutti gli uomini, ma non si è mai fidanzato. È furbo. Sa che essere un uomo gli da una sconfinata libertà e può scegliere con chi dover passare tutta la sua vita. Siccome è economicamente stabile, credo che se nell’improbabile caso in cui si accaserà sarà per… quasi mi scappa da ridere, ma è così… per amore».
Un coro di sospiri si levò nel loro circolo ristretto.
«Amore, amore… che cosa sarà mai? Esisterà veramente?»
«Chi può dirlo, mie care amiche?» mormorò la marchesa Bramini, prima di bersi un sorso di vino. «Io so di esser stata felice con il mio primo marito, François. Lo conoscevo fin da bambina e sono stata fortunata che i miei genitori scelsero lui. Furono i suoi numerosi possedimenti e la ricchezza della mia famiglia, eppure gli volevo uno strano affetto prima del matrimonio, durante e dopo la sua dipartita».
«Perché lo definite strano affetto, marchesa? Se posso domandarlo?» incalzò Giulia curiosa.
Priscilla sorrise dolcemente. «Fin da bambini trascorrevamo le estati sempre insieme per via della mia e sua residenza estiva a Nizza. Nei suoi confronti provavo lo stesso affetto che provavo per mio fratello, eppure c’erano cose che ero disposta a fare per François e non per mio fratello».
«E noi tutte immaginiamo bene che genere di cose» sibilò divertiva la baronessa Bramini.
«Non solamente» ci rise sopra la marchesa Priscilla. «Per François avrei fatto qualsiasi cosa immaginabile. È stato un matrimonio felice, poi mi è stato portato via da un tremendo male. C’è voluto del tempo per uscire dal lutto e la mia decisione di risposarmi non è stata dovuta ai soldi o al potere. Il mio attuale marito, quell’uomo che potete vedere laggiù» disse indicando con il capo un nobile dai tratti mediterranei e dal gran sorriso «è stato l’unico a cancellare ogni emozione negativa e ora sono più serena. Non so se tra noi c’è quell’amore di cui scrivono i poeti, però posso affermare di essere felice».
Cadde il silenzio fra le nobildonne. Priscilla manteneva il suo sorriso, sebbene fosse palese che il ricordo del defunto marito fece calare su di lei la malinconia. Le sue amiche - e lo erano veramente - mostrarono la loro comprensione. Per quanto ognuna potesse essere superficiale, arrampicatrice sociale, un po’ pettegola o solamente annoiata, tutto si dissolveva di fronte ad un’amica in difficoltà. Giulia mostrò la sua comprensione a sua volta e ricordò una delle perle di saggezza di sua nonna Adelaide: «Gli uomini si credono superiori e sono più liberi delle donne, ignorano che le donne sono più pericolose. Una donna può essere nemica di un’altra donna e si distruggeranno a vicenda, ma quando le donne si uniscono sono indistruttibili e si trasformano nell’arma armi più potente di questa terra».
Ed era così che stava osservando quella scena e le venne spontaneo pensare a quelle parole. Trascorse il tempo sufficiente con quelle signore per capire che erano le tipiche nobili leggermente pettegole e interessate ad osservare le vite altrui, ma che mettevano da parte ciò che la società voleva che fossero per sostenere una loro pari e non burlarsi di un suo personale momento di tristezza. Un lieve attimo di silenzio e poi cominciarono a parlare degli eventi della stagione in arrivo.
Giulia rimase con loro per un’ora o poco più, poi uscì in giardino in cerca di Giacomo. Voleva rassicurarlo che era sana e salva e che nessuno aveva allungato troppo le mani. In realtà c’era stato un barone in su con l’età, che sputacchiava quando parlava e desiderava invitarla a ballare, ma fortunatamente venne salvata dal duca Pietrarossa che la trascinò in salotto e le presentò le tre nobildonne. Giulia non riuscì nemmeno a mettere piede in giardino che il suo salvatore le sbarrò la strada.
«Vi siete divertita con il trio delle meraviglie?»
«Sono donne di piacevole compagnia».
«Immaginavo vi sarebbero piaciute, marchesina. D’altronde sono anche le più simpatiche… uhm forse la baronessa Morali non spende belle parole sulla mia persona, ma ha le sue buone qualità».
«Sì, mi è giunta voce delle vostre marachelle!» esclamò Giulia ridendogli in faccia.
«Per esempio?»
«La baronessa dice che avete spezzato il cuore di sua nipote e che in Francia vi siate divertito parecchio. Non che mi aspettassi nulla di diverso, in fondo siete talmente affascinante che ogni donna cadrebbe ai vostri piedi».
Andrea corrugò la fronte e inarcò le sopracciglia. Non capì se lo stava insultando, lusingando o si prendesse gioco di lui. Riflettendo sulla loro breve, ma trasparente, conoscenza optò rapidamente per la terza possibilità.
«La vostra gentilezza mi colpisce sempre».
Giulia mostrò un sorriso beffardo.
«Ad ogni modo sono qui per aiutarvi».
«Aiutarmi?»
«A sdebitarvi, marchesina».
«A sdebitarmi?»
«Vi state burlando di me o è una nuova consuetudine ripetere ciò che dico?»
«Se foste più chiaro, io sarei meno confusa!» replicò Giulia, mettendo le braccia conserte e guardandolo storto.
L’uomo sbuffò e roteò gli occhi. Detestava quando quella fanciulla riusciva a disarmarlo verbalmente. Lo detestava e lo adorava allo stesso tempo. Andrea non comprendeva il proprio cambio repentino di emozioni. Forse stava diventando pazzo.
«Ricordate che prima vi ho salvato da quel vecchio nobile, portandovi a conoscere il trio delle meraviglie?»
«Sì, e quindi?»
«E quindi direi che potreste sdebitarvi offrendomi un ballo. Direi che me lo sono ampiamente meritato» affermò Andrea gonfiando il petto. «Immaginate l’invidia che provocherete mentre vi stringerò tra le mie braccia».
«Onestamente ne dubito dal momento che avete già danzato con altre nobili».
«Oh, siete forse gelosa?» la provocò Andrea, avvicinando il suo viso e guardandola fisso negli occhi.
«Io? Di voi? Sognate fantasticherie!»
Il duca battè in ritirata, ma conservò il suo sorriso furbo. «Un solo ballo».
«Se questo servirà a farvi tacere, acconsento».
Andrea gongolò mentre la marchesina mise la mano nella sua. La condusse al centro della sala, dove le coppie stavano prendendo posto nella propria fila. I gentiluomini a destra e le signore a sinistra. Giulia notò come la loro presenza attirò non pochi sguardi, era come se attendessero il loro primo ballo, come se incredibilmente fossero diventati lo spettacolo di punta di quella serata.
Ciò la mise leggermente in imbarazzo. Se avesse pestato i piedi al suo partner o se sarebbe scivolata a terra, le burle su di lei avrebbero avuto la durata di un’intera stagione. Per molti il pettegolezzo era il pane quotidiano.
I musicisti iniziarono a suonare, per fortuna di Giulia non si trattava di una danza dai passi rapidi. Si iniziò con la riverenza e poi ogni coppia si unì. Trascorsero in silenzio il primo giro di danza e poi l’affascinante duca parve in vena di far due chiacchiere.
«Sono piacevolmente stupito. Tenete il ritmo e non sbagliate un passo!»
«Le vostre parole recano a me stupore, duca. Sì… mi stupisce che voi avreste invitato una dama della quale dubitavate la capacità di danzare e che vi avrebbe portato ad ottenere una pessima figura».
«In realtà ne sarei stato deluso. Marchesina, se non si tiene conto della vostra natura intemperante, siete molto aggraziata. Dunque non potreste mai farmi sfigurare».
«Se proprio ci tenete a conversare, prendo lezioni di danza da quando avevo otto anni. E se mi tocca essere onestà, sperando di non pentirmene, affermo che siete il miglior partner di danza di questa sera».
Andrea sorrise sornione. Amava essere adulato, ancor di più da Giulia perché era ben conscio di recarle un leggero fastidio nell’ammetterlo.
«Solo di questa sera» precisò nuovamente la fanciulla.
«E se non vi sembro impertinente, chi mai mi supera?»
«Un amico».
«Un amico? Solo amico?»
Giulia soffocò una risata divertita. «Ora siete voi il geloso?»
«E chi sarebbe costui?» sviò la domanda.
«Un giovane nobile di Verona, con cui mantengo una corrispondenza in quanto condividiamo un’amicizia sincera e senza secondi fini» rispose Giulia con pacatezza. Gli mancava veramente molto e si poteva capire dall’espressione del suo viso che, dapprima molto allegra, scese di tono sfiorando la malinconia.
«Non vi siete ancora abituata ad esser tornata qui, vero?»
«Che cosa ve lo fa credere?»
«È un impressione personale. Potrei sbagliarmi».
«Be’ non vi sbagliate e lo sapete» rispose Giulia, inclinando il capo per lanciargli un’occhiata d’intesa.
Lo conosceva sufficientemente per affermare che il duca non parlava se non era certo delle sue constatazioni. Proferiva anche delle supposizioni, ma esse erano ben ponderate. Non era il tipo d’uomo che dava aria alla bocca e questo lei lo apprezzava parecchio.
«Ho lasciato molte persone care a Verona. Ormai quella era diventata la mia casa e… e non mi dispiacerebbe farvi ritorno».
«Siete molto dura, marchesina. Ma immagino abbiate le vostre ragioni» s’arrese Andrea.
«Senza dubbio» rispose lei risoluta.
Piombò il silenzio e continuarono a seguire la danza, volteggiando tra le varie coppie, scostandosi e riprendendosi. Giulia immaginava che il duca avrebbe ripreso quella conversazione, spinto dalla sua curiosità, e siccome si era aperta fin troppo per i suoi standard, decise di prendere in mano la situazione e proseguire con argomenti più futili.
«La marchesa Bramini ha figli?»
Era la prima cosa che le saltò in mente. Forse non la più geniale, ma l’unica che potesse sviare il discorso.
«Quattro. La primogenita vive in Francia con il marito e il fratello. Il terzo figlio credo sia a Venezia e l’ultimo abita con lei a Torino» rispose Andrea che li conosceva tutti quanti. «Sono delle brave persone, come Priscilla del resto».
«Avete anche conosciuto il primo marito?»
L’uomo annuì e prendendole la mano le fece fare una giravolta. «Ho conosciuto François quando ho soggiornato a Parigi. La maggior parte del tempo lo trascorrevo con loro e mi hanno aiutato a inserirmi nella società francese. Se sono riuscito a soggiornare a Versailles è stato soprattutto grazie a François e Priscilla. C’è stato un periodo in cui volevano fidanzarmi con Brigitte».
«La primogenita. E che cosa andò storto, se posso permettermi?»
«Ero troppo giovane per… per stabilirmi, impegnarmi… quelle cose là!»
«Dovevo supporlo» commentò Giulia con una punta di tristezza, chiedendosi subito dopo perché mai avrebbe dovuto essere malinconica per via di quell’uomo.
Nutriva nei suoi confronti una simpatia, nulla di più! Aveva compreso da tempo che non poteva aspettarsi niente che una battibeccante amicizia e le bastava.
Lo trovava bello e audace? Certamente, eppure aveva le redini ben salde su se stessa e non si sarebbe lasciata trascinare dall’avvenenza del duca. Se la sua vita non stesse percorrendo una via tortuosa e piena di insidie, forse si sarebbe sbilanciata dalla sua ferrea convinzione di non farsi abbindolare da quell’uomo.
Era naturale provare attrazione per il duca Andrea Pietrarossa e Giulia ammetteva liberamente a se stessa che non le era affatto indifferente. Peccato che i loro obiettivi fossero completamente opposti. Andrea amava essere libero da ogni responsabilità e Giulia desiderava accasarsi per allontanare una costante ombra che la perseguitava. Non c’era nulla che poteva unirli, bisognava accettarlo.
Quando la musica termino, Giulia fece la riverenza di fine ballo e poi gli voltò le spalle, intenzionata più che mai ad uscire in giardino.
«Dove andate?» Andrea la raggiunse rapidamente.
«A prendere una boccata d’aria».
«Ballare con me vi ha mozzato il fiato, marchesina?»
La marchesina si voltò per lanciargli un’occhiata poco gentile. «Siete veramente uno sfacciato!» esclamò e poi camminò rapidamente verso la sua meta, ma non fu abbastanza lontano per sentire la risata divertita di Andrea.
Decise di non ribattere e continuare per la sua strada. Raggiunse il giardino con non poca difficoltà, si perse almeno per tre volte, sbagliando l’uscita e scambiando un corridoio per un altro. Solitamente non era imprecisa a seguire le indicazioni, ma nonostante avesse chiesto a ben tre ospiti che le diedero le stesse informazioni, riuscì a perdersi. Quando arrivò a destinazione, si accorse che dal salone avrebbe potuto uscire sulla terrazza e poi scendere una rampa di scale.
«Che diamine mi prende stasera?» borbottò tra sé e sé e si passò una mano sul viso.
Sbuffò sonoramente e si sedette su una panchina di marmo. Le facevano male i piedi e iniziava a sentirsi un po’ stanca. Non era più abituata ai ricevimenti. L’ultimo a cui partecipò fu a Febbraio, un ballo in maschera nel palazzo del suo amico Raffaello. Era già arrivata la missiva di suo padre, avvertendola che sarebbe dovuta tornare in Piemonte, e il buon Raffaello volle dedicarle una festa.
«Non è un addio. Solamente un modo per ricordarti che Verona attenderà il tuo ritorno» le disse quella sera.
«E si spera di tornare» mormorò Giulia, seduta su quella panchina, a troppa strada di distanza da Verona. Improvvisamente sentì dei rumori provenire alle sue spalle. Si voltò e vide qualcosa muoversi nella siepe. S’alzò in piedi con un balzo e col cuore palpitante dalla paura disse: «Chi va là?»
«Giulietta, sono io. Sono Giacomo» disse il giovane fabbro spuntando fuori dalla siepe.
Era coperto di foglie e i suoi capelli scuri erano più disordinati del solito. Questo fece scoppiare a ridere Giulia, che lentamente si stava tranquillizzando.
«Si può sapere perché eri dentro ad una siepe?»
«Stavo per raggiungerti, ma è passato un tizio e istintivamente mi sono nascosto nel posto più vicino» rispose Giacomo scrollandosi di dosso le foglie e cacciando un ragno che si era appoggiato alla sua spalla.
Giulia gli si avvicinò per metterlo in ordine o più che un paggio sarebbe apparso come un pazzo disperso.
«Volevo raggiungerti il prima possibile…»
«Non preoccuparti, sto bene» lo rassicuro dolcemente Giulia, intenta a sistemargli il cappello. «È stato un colpo di fortuna che il duca Pietrarossa abbia preso il posto di Adriano. Per una volta mio padre ha fatto la scelta giusta e la più sensata. Ad ogni modo, e mi rendo conto di quanto sia sciocco domandartelo, perché sei qui? Anzi dove hai preso i vestiti da paggio e perché sei qui? Hai idea del rischio che stai correndo?!»
«No, guarda, agisco senza pensare» commentò ironico lui.
Giulia lo fulminò con lo sguardo, corrucciando la fronte. Non era proprio il momento di scherzare. «Alle volte mi sembra che sia così. Ascolta, capisco perfettamente che tu voglia proteggermi e, credimi, questo mi tiene lontana dall’impazzire mentre sto in quella tenuta, ma preferirei che tu non corra pericoli per me. Lungi da me passare per un’eroina, però dico sul serio Giacomo».
«Sprechi fiato, Giulietta» rispose lui con non-chalance. «Lo sai che non ti darò retta e non intendo nemmeno cominciare il discorso. Non ho voglia di discutere».
«Nemmeno io. Mettiti però nei miei panni. Tu vuoi proteggere me e credi che io non farei lo stesso?»
Giacomo rimase in silenzio. Abbassò lo sguardo e tirò un calcio al sassolino che stava a terra. Erano eguali in molti aspetti e certamente possedevano la stessa testardaggine. Il ragazzo non poteva farla sentire in colpa per qualcosa che condivideva, ma neppure avrebbe smesso di guardarle le spalle!
«Quindi che si fa? Continueremo a rischiare l’uno per l’altra?»
«Senza dubbio» rispose Giulia con molta sicurezza.
Giacomo alzò lo sguardo e vide la tenacia della marchesina impressa nel suo sguardo. Gli scappò un sorriso, sebbene li dividessero pochi anni di differenza, Giulia sapeva il fatto suo e non si lasciava intimidire facilmente. Nonostante questo Giacomo non avrebbe mai smesso di vegliare su di lei, nemmeno se fosse diventata la miglior spadaccina d’Europa. Per quanto determinata e autorevole potesse essere, Giacomo l’avrebbe sempre vista come quella bambina per la quale realizzava corone di fiori.
«Lui ti tratta bene?»
«Lui chi?»
«Il duca».
«Oh! Sì, Andrea è un vero gentiluomo. Direi più di Adriano, ma chiunque può esserlo».
«Ma non avevi detto di non sopportare quell’uomo?»
Giulia ridacchiò, ricordando le innumerevoli volte in cui si era lamentata della sfacciataggine di Andrea e di come pareva provasse piacere ad irritarla.
«Infatti non lo sopporto».
«Guarda che a me non la dai  mica a bere, sai Giulietta?»
«Che cosa non ti darei a bere?»
Giacomo si avvicinò, scrutandola con attenzione. La marchesina era sempre stata un libro aperto e crescendo quella sua caratteristica non mutò. Solitamente quando non apprezzava una persona aggrottava la fronte mentre quando provava simpatia abbozzava un sorriso imbarazzato. Osservandola cercava di scorgere un’emozione più nitida e la trovò. Fu qualcosa di piuttosto evidente.
«Non è che ti piace un po’ questo duca?»
«Che cosa stai dicendo?»
«Potrebbe essere una mia supposizione completamente sbagliata» disse Giacomo alzando le mani «oppure vuoi negare l’evidenza… con scarsi risultati».
Giulia lo fissò per qualche istante, in cerca delle parole giuste per deviarlo da quell’idea non tanto assurda. Per quanto avesse a disposizione una bella lingua lunga, in quel momento le parole parevano proprio mancarle. Giacomo si mise una mano sulla bocca, trattenendo a stento le risate e la sua reazione la mise ancor di più in difficoltà.
«D’accordo. Mi piace la compagnia del duca Pietrarossa. È un uomo divertente, gentile e fin troppo furbo. Provo la stessa simpatia che provo per te o per il mio amico Raffaello. Nulla di più» disse la nobile e Giacomo sentì l’odore della vittoria. «Non gongolare troppo. Rimane sempre uno sfacciato».
Si godettero quel breve momento d’ilarità e poi ad interromperlo furono dei passi.
«Sta arrivando qualcuno! Torna alla carrozza e cerca di non finire nuovamente in una siepe».
«Agli ordini, mia signora» sussurrò Giacomo, toccandosi il cappello e fuggendo via.
La marchesina si ricompose e fece per tornare indietro, verso il salone da ballo, quando si accorse di chi stava per scoprire lei e Giacomo.
«Oh siete voi, duca!»
«Vi ho spaventata, marchesina?» domandò gentile.
«No, ho sentito il rumore dei vostri passi» rispose la fanciulla, mostrando una sincera tranquillità. «È ora di tornare alla tenuta?»
Andrea scosse il capo. «Perché lo pensate?»
«Dunque perché siete qui?»
«Mi mancavate».
Giulia inarcò un sopracciglio e si trattenne dallo scoppiare a ridere. «Davvero volete farmelo credere? Con tutte le belle donne che ci sono in sala?»
«Visto? Ammettetelo che siete gelosa di questo aitante duca» la punzecchiò Andrea indicandosi con un cenno della mano.
«Sognate sempre troppo, duca».
«Punti di vista differenti, suppongo».
«Se proprio volete conversare, avreste voglia di raccontarmi com’è la Francia, com’è realmente?»
Il duca rimase un po’ spiazzato da quella domanda. Non comprese immediatamente l’interesse di Giulia per lo stato confinante o per la sua corte. Alzò le spalle e si sedette alla panchina di marmo, facendole poi segno di raggiungerlo. Notò come la reale attenzione della marchesina fosse incentrata su di lui e ciò bastava ad incitarlo nel racconto. Detestava chi tirava fuori argomenti giusto per conversare, invece Giulia era interessata alla situazione della Francia.
«Mi sono recato alla corte di Francia innumerevoli volte. Solitamente andavo nella stagione mondana, quando accadeva sempre qualcosa, ma tanto da quando è salita al trono Maria Antonietta non ci si annoia mai» cominciò Andrea, conoscendo bene cosa capitava a corte e fuori. «Il popolo non la ama e non solo perché è austriaca. Quella donna sperpera il denaro per una quantità immensurabile di abiti, gioielli o parrucche. Per quanto io sostenga che sia
necessario circondarsi di nuovi effetti personali, dubito fortemente che ne avesse tutta questa gran necessità!»
«Forse la giudicate con troppa severità. Se fossi ricca quanto lei, anche io farei confezionare ogni mese un abito nuovo».
«Un abito nuovo al mese, credo sia passabile. Uno al giorno, non tanto. Sua Maestà Maria Antonietta si fa confezionare almeno trecento abiti all’anno!»
Giulia sgranò gli occhi, immaginandosi la montagna di abiti che doveva possedere quella donna e la grande stanza in cui li riponeva. Sua nonna Adelaide, che era una grande amante di vestiti sfarzosi, ne confezionava almeno due a stagione e di certo non si avvicinava minimamente alla cifra della regina di Francia. Quella donna era proprio una spendacciona!
«Pensate, marchesina, che ogni abito aveva abbinato proprio un paio di scarpe. Aggiungete che oltre all’abbigliamento ha comprato anche numerosi gioielli, potete immaginare in quanto tempo si svuoteranno le casse del regno se suo marito non si sveglia e la ferma in tempo».
«Sì, mi pare di aver sentito dire che lui le lascia fare ciò che vuole».
«Ve lo dico anche io. Se quell’uomo governerà la Francia, come governa sua moglie, allora posso solo dispiacermi per il popolo francese che andrà in contro alla rovina» commentò Andrea, senza mostrare troppo stupore. «Sapete, la regina Maria Antonietta non è nemmeno così detestabile. È troppo infantile per i miei gusti, però non la considero d’animo malvagio. Deve solo crescere e spero per lei e per la Francia che accada in fretta».
«Se devo essere sincera mi fa un po’ di tenerezza» ammise Giulia dopo averlo ascoltato con attenzione.
«E perché mai?»
«So che ha lasciato il suo Paese a quattordici anni per sposare un ragazzo non tanto… ehm… affascinante?» azzardò la marchesina, proferendo solo ciò che aveva udito negli anni e Andrea annuiva quando diceva informazioni limpide come le acque di un lago. «Immagino che la figlia di una monarca debba sempre essere pronta al cambiamento, specialmente se si tratta di alleanze politiche, però questi francesi potevano trattarla con più gentilezza! È vero o no che l’hanno sempre chiamata “l’Austriaca”? Insomma… non mi pare molto gentile. È come se io andassi nel regno di Napoli e mi chiamassero “la Piemontese”. Capisco che tra Francia e Austria i rapporti sono sempre stati alquanto tesi, ma ciò non giustifica un tale comportamento. Lo trovo quantomeno assurdo e irrispettoso!»
«Ora che ci penso, la Francia sarebbe stata meno fortunata ad avere voi come Regina. Con il vostro carattere, credo fermamente che avreste ribaltato l’equilibrio di Versailles» commentò Andrea con una sottile ironia, sebbene apprezzasse il suo fervore.
«Potete scommetterci!»
«In effetti non hanno trattato quella ragazza al meglio. È come un uccellino in gabbia che tenta di scappare in qualsiasi modo».
«Quindi non la biasimate totalmente?»
Andrea sbuffò e incrociò le braccia al petto. «Non la biasimo e non la difendo. Se usasse un minimo di giudizio otterrebbe ciò che vuole senza destar troppi scandali, senza umiliare se stessa e la Francia».
«Non sono mai stata in Francia, quindi mi affido alle vostre parole».
«E dove siete stata?» domandò Andrea, voltandosi a guardarla e notò subito un barlume di confusione nei suoi occhi.
«Perdonatemi, non vi capisco».
«Oltre a Verona, che ritengo essere davvero bella come città, avrete visitato qualche altro luogo oppure mi sbaglio?»
La marchesina rise piuttosto imbarazzata. Non era mai stata da nessuna parte e, sebbene fosse curiosa di vedere cosa ci fosse al di fuori della sua terra, faticava a vedersi in viaggio oppure completamente da sola in un posto straniero.
«Scusate se vi ho messa a disagio. È stato un mio errore. Davo per scontato che chiunque avesse un animo libero, come il mio, avesse avuto l’occasione di poter cambiar aria, per così dire».
Giulia mostrò un’espressione stupita. Le aveva fatto un complimento e non da poco, visto che era accostato alla sua modesta persona. La marchesina decise di non replicare con nessuna battuta ironica. Desiderò mostrarsi amichevole e continuò il discorso: «Magari un giorno avrò la vostra stessa fortuna e viaggerò, sperando di trovare un marito che segua il mio passo».
«Ragion per cui, e lo sottolineerò tutte le volte che sarà necessario, voi non siete fatta per vivere in campagna. Giulia, dovreste vivere in città, frequentare la corte e conoscere persone influenti, che provengono da altri paesi e che possono invitarvi nella loro zona».
«Come fate voi?»
«Esattamente!»
«Dimenticate che voi siete un uomo e questo basta a rendervi molto più libero di me».
«E voi dimenticate che sono un vostro amico e, se solo lo voleste, vi porterei ovunque».
La marchesina inarcò un sopracciglio. A parte il sorriso furbo, che lo dominava per la maggior parte del tempo, pareva piuttosto serio, eppure lei non ne era affatto convinta. Mise le braccia conserte e lo fissò a lungo, aspettandosi una battuta sardonica o qualcosa che lo scomponesse.
«E sentiamo, dove mi portereste?» gli diede corda.
«Dovunque voi vogliate».
«Spagna?»
«È in lista da visitare. Dicono che sia una terra calda e molto ricca. Il mio amico Ferdinando è stato là per quasi un anno».
«E che mi dite dell’Inghilterra?»
«Uhm… ci sono stato la scorsa estate e l’ho amata, quasi più della Francia. Dovrei proprio portarvi, marchesina».
Era libero, lo era veramente. Giulia sentì un’irrefrenabile desiderio di poter vestire i suoi panni per almeno una settimana. Giusto il tempo di poter saggiare la sua fortuna. Lo invidiava parecchio, nonostante non lo avrebbe mai ammesso e - di certo - non a lui.
«Mi auguro un giorno di poterci andare veramente» sussurrò volgendo lo sguardo al cielo costellato da numerose stelle.
«E ci andrete se tanto lo desiderate. Magari non con me, ma con vostro marito».
«Chissà!» esclamò spensierata la marchesina. «Magari un giorno vi chiederò consiglio sui luoghi da visitare o verrò a trovarvi ovunque voi sarete. Sempre se mio marito non sarà un nobile di campagna e se amerà viaggiare. In quel caso fortuito potrei saggiare un po’ della vostra libertà».
«Ve lo auguro, Giulia, ve lo auguro di cuore. Ricordatevi di non dimenticare il vostro amico Andrea e invitatemi alle nozze. Desidero personalmente stringere la mano a quel sant’uomo che sarà legato a voi finchè morte non vi separi!»
«Siete sempre così dannatamente sfacciato!»  esclamò Giulia cominciando a dargli, a raffica, sberle scherzose sulla spalla e facendolo ridere di gusto.
Era inutile sottolineare quanto gli piacesse trascorrere del tempo con lei. Giulia elargiva allegria pura, bastava toccare le corde giuste e faceva cadere quel velo di presunzione, per mostrare la sua dolcezza che non scalfiva la sua autorevolezza.
Andrea l’afferrò rapidamente per un polso. Riuscì a catturare il suo sguardo e ci si specchiò al suo interno. Si sentiva bloccato.
Era letteralmente immobilizzato, come se quei grandi occhi smeraldini lo avessero incatenato a quella panchina, a quel polso, a quella fanciulla.
Iniziò a domandarsi perché si trovasse lì quella sera. Il marchese Guerra glielo aveva domandato come cortesia personale per non far sfigurare la figlia, ma in realtà Andrea aveva in programma una cena a Torino con dei vecchi amici. Mandò a monte una serata di tutt’altro divertimento per Giulia.
Il motivo? Forse dopo due settimane stava cominciando a comprenderlo.
Lasciò andare lentamente il suo polso. Fece scivolare la sua mano su quella di Giulia, carezzandola delicatamente.
«Siete una dama impetuosa e questo vi rende affascinante. Chiunque diverrà vostro marito, mi auguro che vi tratterrà come meritate o sarà un vero inetto».
Per la prima volta il duca non usò un tono ironico, quelle parole le aveva proferite con sincerità e a cuore aperto. Giulia gli sorrise riconoscente e non gli era riconoscente solo per quello che le disse. Gli era grata perché senza rendersene conto l’aveva salvata da quel mostro di Adriano.
Inoltre apprezzava la sua compagnia, nonostante la indispettisse la maggior parte del tempo. In quel momento, Giulia comprese che gli sarebbe mancato quell’impertinente duca. Mancavano pochi giorni alla sua partenza ed era certa che, se si fosse fermato per più tempo, sarebbero potuti diventare buoni amici.
«Torniamo dentro per goderci le ultime danze? Ormai la serata è agli sgoccioli» disse Andrea alzandosi dalla panchina e tendendole la mano.
Giulia si alzò a sua volta e si lasciò condurre. «Oh intendo godermi questa serata fino all’ultimo secondo!»
«Questo è lo spirito giusto, mia cara!»
Il ricevimento si prolungò per due ore o poco più. Il duca e la marchesina furono tra gli ultimi a lasciare il castello dei conti Novellis. Durante il viaggio di ritorno Giulia cedette alla stanchezza e non accorgendosene si addormentò sulla spalla del suo accompagnatore. Andrea non ebbe coraggio a spostarla, con il rischio di svegliarla, e la lasciò sonnecchiare mentre lui la osservava.

Ogni tanto farfugliava qualcosa di incomprensibile e aggrottava la fronte, probabilmente non stava sognando niente di bello. Spontaneamente le carezzò una guancia, ai suoi occhi era tenera, sembrava un angioletto che lui doveva custodire.
Giunsero alla tenuta a pochi minuti dal levare del sole. Giulia dormiva serenamente e per Andrea fu un colpo al cuore doverla svegliare.
Per il duca avrebbero potuto dormire lì, l’uno vicino all’altra, fino a quando non si fossero riposati a sufficienza, ma dubitava che il marchese avrebbe approvato. Inoltre, in quel caso, Giulia gli avrebbe tirato una sberla vera. Quella testa matta avrebbe sicuramente pensato male di lui e Andrea non voleva che capitasse.
Cominciava a prendere in gran considerazione le sue opinioni, soprattutto sulla sua persona e gli sarebbe dispiaciuto che lo prendesse in antipatia per un nonnulla. Quella fanciulla cominciava ad essere importante. Lo capii da quando si sentiva strano in sua presenza, quasi nervoso ma al tempo stesso felice.
«Sveglia, Giulietta» le sussurrò all’orecchio.
La fanciulla corrugò la fronte e si strofinò gli occhi, svegliandosi lentamente. Aprì leggermente le palpebre, notando dopo qualche attimo su chi si era riposata nell’ultima ora. Inizialmente sorrise, credeva si trattasse di un sogno, uno di quelli belli che non faceva da tempo. Quando invece capì che era la realtà, sgranò gli occhi di colpo e si allontanò di scatto.
«Ben svegliata, marchesina» la salutò Andrea con un sorriso sornione.
«Non cominciate a burlarvi di me, ti prego» borbottò Giulia, tentando di riprendersi dal suo pisolino.
La marchesina scese in fretta dalla carrozza. Volse uno sguardo al cielo; era di un blu sbiadito, segno che mancava poco al levar del sole. Inclinò leggermente il capo per vedere se Giacomo se ne fosse già andato e - per fortuna - così era stato. Nessuno doveva sapere che aveva preso il posto del paggio, specialmente suo padre.
«Abbiamo proprio fatto mattina, eh?» notò il duca.
«A quanto pare».
«Siete stanca?»
«Un poco».
«Anche dopo aver riposato per tutto il tragitto, sulla mia comodissima spalla?» la canzonò Andrea.
La fanciulla alzò gli occhi al cielo. «Mi prenderete in giro fino a quando non partirete, nevvero?»
«Lo potete giurare!» esclamò, mostrandole uno dei suoi ghigni. Rivolse una breve occhiata al cielo, prima di tornare a osservare il viso della marchesina. «A occhio e croce, mancheranno pochi minuti all’alba. Che ne dite se andassimo sulla torre più alta per ammirarla?»
«Dite sul serio?»
«Io sono sempre serio».
«Fatemi il piacere! Lo sarete con altri, mentre con me siete alquanto impertinente e scherzoso» rise Giulia.
«Be’ ma questo perché voi siete speciale».
«Rifilate a qualcun'altra le vostre lusinghe e sbrighiamoci a raggiungere la torre dell’ala ovest o arriveremo tardi!»
Andrea si mostrò impressionata da quella sua presa di posizione e le cedette il passo. La marchesina prese il lembo del suo abito e s’addentrò all’interno della tenuta con una gran fretta.
Ogni volta che il duca tentava di conversare, lei lo rimproverava immediatamente perché non avevano tempo da perdere. Temendo di far tardi, Giulia utilizzò un passaggio segreto per accorciare la via e raggiungere rapidamente la torre ovest.
Agli occhi di Andrea traboccava di intraprendenza, invece la sua era solamente fretta e quella sua fretta era giustificata dal fatto che mai aveva assistito al levar del sole. Il suo sguardo s’illuminò quando Andrea le propose di assistere alla nascita del nuovo giorno.
Spalancarono la porta della torre al momento giusto. Dalle alte colline, oltre la radura, cominciava a sprigionarsi una flebile luce che andava a sfumare il colore del cielo. Lentamente, come per farsi attendere in adorazione, si levò l’alba che irradiò quella terra con la sua luminosità. Il silenzio accompagnava il suo crescere. Il cielo si riempì di colori caldi, lasciando poi spazio al pallido azzurro del mattino. Era tempo per la natura di risvegliarsi.
Era uno spettacolo mozzafiato.   
Giulia chiuse gli occhi, lasciandosi baciare dai raggi di quel nuovo giorno, e provò un senso si sollievo. L’avvolse una pace interiore che le permise di distrarsi da ogni pensiero.
Fu una sensazione magnifica.Nonostante per Andrea non fosse la prima alba che ammirava, trascorse quel trepidante momento provando un emozione che gli scaldava il cuore.
«È meraviglioso» mormorò il duca, poggiandosi al muretto.
«Lo è» condivise Giulia con un sospiro. «È la prima volta che assisto ad uno spettacolo che lascia veramente senza fiato».
«Prima volta eh? Io la starò ammirando per l’ottantesima volta, se non di più, eppure è stato sorprendente».
«Se non ve ne vanterete per un decennio, posso confessarvi che sono contenta di aver trascorso questo momento con voi».
«Ogni donna lo è stata».
Giulia si voltò di scatto, fulminandolo con lo sguardo. «Siete veramente… bah! Non so che termine quantomeno educato utilizzare per definirmi, onestamente dubito ci sia…»
«Io ne ho uno per voi, marchesina. Siete una credulona e non riconoscete l’ironia» affermò prontamente il bel duca, guardandola tutto gongolante «e se me lo permettete siete anche permalosa!»
«Avete altri complimenti per me?»
Andrea si limitò a fissarla e a rimanere in silenzio. Di veri complimenti ne aveva tantissimi, eccome se ne aveva. La marchesina era spiritosa. I suoi occhi erano dolci, sebbene trasparisse la sua evidente furbizia. La sua risata era forte e contagiosa. Il suo atteggiamento era aggraziato. La sua caparbietà si accostava perfettamente alla sua tenacia. Era una ragazza splendida. Era semplicemente… Giulia.
«È un onore essere qui con voi» affermò l’uomo, prima di tornare a mirare l’alba.
La marchesina non replicò. In un primo momento tentò di riflettere su ciò che poteva barcollare nella testa di quel nobile. Alle volte non riusciva proprio a capirlo. Non provò nemmeno a chiedere spiegazioni. In certi casi - e soprattutto CON certi casi - preferiva rimanere nell’ignoto. Lo imitò e volse il capo verso lo spettacolo più bello a cui avesse mai assistito.
Si fermarono ad ammirare il paesaggio per ancora qualche istante e poi fecero ritorno ognuno nelle proprie stanze. Senza dubbio avrebbero avuto bisogno di molto riposo.
Non appena Giulia varcò la soglia della sua stanza, incontrò Rosalina.
«Marchesa, ero giusto appena arrivata per vedere se stavate dormendo…» disse la cameriera, calando il tono della voce quando notò che la sua signora indossava ancora gli abiti della festa. «Siete appena tornata!»
«Sì».
«E da dove sbucate fuori che sono appena salita e non vi ho incontrata? La carrozza non è nemmeno all’ingresso... uhm… mi sto confondendo io, forse…»
«No, invece sei lucidissima» tagliò corto Giulia, mostrandole un sorriso benevolo. «Sarò arrivata circa mezz’ora fa, ma io e il duca siamo saliti sulla torre ad ammirare l’alba. Oh, Rosalina è stato meraviglioso!»
«Vi credo bene, marchesa! È anche un bell’uomo, se posso permettermi».
«Di che cosa stai parlando?»
«Del duca Pietrarossa, ovviamente. Marchesa, avete appena detto che è stato meraviglioso».
Rosalina iniziava a credere che la sua padrona fosse talmente stanca da non ricordare ciò che aveva detto un istante prima. Ipotizzò anche che avesse alzato il gomito, il viso della nobile era rosso come un peperoncino e sprizzava una gran euforia. Non l’aveva mai vista in quello stato. Doveva essere stato per forza il vino!
«Oh, no! Intendevo dire che ammirare l’alba è stato meraviglioso».
«Con il duca. Avete ammirato l’alba con il duca».
«Esatto».
Rosalina era abbastanza pensierosa, ma scosse in fretta il capo. «Vi siete divertita al ricevimento?»
«Moltissimo! Ho conosciuto un po’ di persone e ho ballato per quasi tutta la notte. Mi ha ricordato quando mi recavo ai ricevimenti di Raffaello e ammetto di aver sentito la sua mancanza…» poi sospirò spensierata. Sembrò riprendersi da quella leggera malinconia. Sorrise e prese la sua cameriera per le mani, facendole fare una giravolta. «È stata una serata meravigliosa!»
«Come l’alba. Certo. Marchesa, senza offesa, ma è stato il vino a farvi così felice?» azzardò Rosalina osservando la nobile con lieve preoccupazione. «Non che io vi stia dando dell’ubriacona. Non mi permetterei mai. Vi rispetto e vi voglio bene, però…»
Giulia rise, lasciandola andare e cominciò a volteggiare per la stanza. Non si era mai sentita così euforica e Rosalina iniziava veramente a credere alla sua ipotesi.
«C’è da ammettere che vostra nonna è stata geniale!»
«Come, scusa?» domandò la marchesina fermandosi.
«Ieri sera, poco dopo che siete andata via, Mattia mi ha riferito che la marchesa Adelaide ha consigliato vostro padre di chiedere al duca di accompagnarvi al ricevimento. Non lo sapevate?»
«No. Ciò però non mi sorprende. È un comportamento tipico di mia nonna. Gli intrighi sono sempre stati il suo forte» rispose sinceramente e non ne sembrava affatto dispiaciuta. «Quando era giovane ne ha combinate parecchie. So qualche storia, narratomi da lei stessa, che ti lascerebbero spiazzata. È una donna che non si lascia sopraffare dalla negatività e tenta sempre di raggiungere il suo scopo. Raramente fallisce. Onestamente, credevo che fosse troppo anziana per continuare nelle sue macchinazioni, specialmente dopo che non la vidi batter ciglio nel sapere che Adriano doveva accompagnarmi ad un ricevimento. E invece non si è smentita minimamente. Mi ha fatto proprio una bella sorpresa».
«Bella sorpresa, eh?»
«Sì, il duca non è una compagnia spiacevole».
«Ho notato che vi piace la sua compagnia. Oramai non vi infastidisce più come tempo addietro» continuò Rosalina, utilizzando una velata ironia e una punta di malizia. Un comportamento che solitamente una cameriera dovrebbe astenersi di fronte alla propria padrona, ma il rapporto costruito con quella ragazza le permetteva di essere più confidenziale del dovuto. Ovviamente tutto ciò avveniva quando erano in privato.
«Credo che sia un brav’uomo» affermò Giulia.
«Senza dubbio».
«E partirà tra pochi giorni».
«O forse no» canticchiò Rosalina, attirando la curiosità della nobile. «Sapete… io e Mattia abbiamo sentito che forse vuole fermarsi. Non qui alla tenuta ovviamente, ma in Piemonte».
«Davvero?» chiese Giulia speranzosa.
La cameriera annuì.
«Mi suona un po’ strano, sebbene non nascondo la mia contentezza. Be’ sarà per qualche affare».
«Forse un affare di cuore».
Sulle labbra di Giulia si dipinse un sorriso divertito. «Rosalina, stai diventando davvero impertinente!»
«Oh lo sono sempre stata, mia signora».
«Uhm… sì, concordo. Diciamo, quindi, che stai aumentando in larga misura questa tua caratteristica».
«Ed è un sommo piacere! Parlando del duca…»
Un cenno della mano di Giulia la bloccò.
«Rosalina, è mattina e ho bisogno di un giorno di riposo per riprendermi dalla bellissima serata. Prometto che ne riparleremo, ma tra un bel po’ di ore».
«Avete ragione» reputò la cameriera.
Rosalina l’aiutò a svestirsi e ad indossare la vestaglia di lino bianco per mettersi a letto. Serrò le tende, le rimboccò le coperte e notò che Morfeo l’aveva già accolta tra le sue braccia.
La cameriera notò un’espressione serena sul viso di Giulia. Era tranquilla e gioiosa. Non la vedeva in quello stato da quando entrambe risiedevano a Verona. Rosalina non poteva che esserne sollevata. Quella nobile non era solamente la sua padrona. Era una ragazza, per la quale provava un vero rispetto e un sincero affetto.

 

 

Mrs. Montgomery
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, è stato molto incentrato sui personaggi di Giulia e Andrea, sulle loro somiglianze e sul rapporto che stanno condividendo.
Man mano sentono che si stanno legando, ma questo non significa che si riscopriranno follemente innamorati. Il loro percorso sta andando in salita a piccoli passi.
Spendendo qualche parola per Giacomo, che tra l'altro è uno dei miei preferiti, posso dirvi che lo vedrete ancora rischiare per Giulia e questo perché condividono un rapporto speciale che in un capitolo futuro sarà completamente svelato.  Inoltre l'impulsività che ha in comune con Giulia lo porterà a rischiare veramente grosso.

Vi ringrazio per aver letto. Grazie a chi inserirà la storia nelle varie categorie e chi vorrà recensire.
Se volete seguirmi su facebook ecco il mio profilo. Nelle foto troverete i prestavolto dei protagonisti -- > Charlotte Montgomery
-Baci

 

   
 
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