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Autore: Louilalla    06/03/2017    1 recensioni
|Narrato in 2^ persona singolare, incentrato sui pensieri di Nagumo|Dedicato a Seth, che mi ha sostenuto inizialmente e ho abbandonato senza spiegazioni (chiedo venia carissima!)|
Dal testo:
"Una goccia in un oceano è come le altre centomila miliardi di gocce nel medesimo oceano, ma in un deserto una goccia è un miracolo unico e inimitabile. La stessa goccia, che evaporata dall'immenso oceano, era identica e indistinguibile dalle centomila miliardi di gocce, piovuta nell'immenso deserto è un fenomeno magico.
E i suoi occhi sono quel dispersivo oceano, ma così profondi che se non sapevi nuotare ci affogavi irrimediabilmente dentro. E i tuoi occhi sono quel disserto sabbioso tutto uguale, ma così ardenti che non stavi attento finivi per bruciarti irrimediabilmente.
Sei quel fuoco carbonizzante e distruttivo, quello che la natura teme, quello che non ha limiti, nato per distruggere.
Lui no, lui è quella quiete glaciale e pacata, quello che la natura non teme, quello che rappresenta il confine tra pazzia e buon senso, nato per creare dalle macerie."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Bryce Whitingale/Suzuno Fuusuke, Claude Beacons/Nagumo Haruya
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pætali
 
Non ti stai annoiando. Sei immobile in quella posizione da venti minuti, in piedi, in mezzo al campo da calcio, sotto la flebile luce del sole. Un venticello dispettoso ti scompiglia i capelli, coprendoti a tratti la visuale della porta che stai fissando da tempo infinito.
 
Infinito è relativo.
 
Senti un poco freddo, ma non hai la minima intenzione di spostarti; hai trovato l'equilibrio perfetto, spalle dritte e muscoli rilassati, un punto fisso da osservare da lontano. Non sai cosa stai realmente aspettando; probabilmente, all'esterno risulterai essere un idiota. Servirebbe soltanto un'anima viva. La cognizione del tempo è stata persa secoli fa, e l'unico fattore a determinare l'ora è il colore dei raggi che ti accarezzano la pelle - di un pallido arancione rosato. L'ombra proiettata sul terreno si sta allungando mano mano che quell'attesa infinita si prolunga.
 
Infinito è relativo.
 
Sarebbe ora di tornare a casa, ti dici. Quasi spontaneamente ti sorge un dubbio, che urge di risposta.
 
Cos'è casa?
 
È tante cose. È un luogo, forse? Un posto speciale, necessariamente circoscritto, altrimenti, non è casa tua, ma casa generica, di tutti. 
Potrebbe essere il muretto che hai orgogliosamente eretto quando eri uno scricciolo testardo di sei anni, quello sulla collina Nord; quello che, quando ti ci siedi sopra, domini con il solo sguardo vita e fantasia, delimitate solo dalla lontana flebile e sottile linea dell'orizzonte, estesa a perdita d'occhio.
Potrebbe anche essere il tramonto che rimarresti a fissare fino al crepuscolo, che raggiunge il suo massimo splendore dalla collina Ovest, vicino all'osservatorio; la pianura immensa dello schizzo pazzo di un qualche artista celeste, macchie ora distinte, ora offuscate, di arancione, fiere scie di indaco e distratti agglomerati di un rosato tendente al porpora che affascina la vista e la omaggia con il suo sublime spettacolo.
O anche, perché no?, il tormentato oceano che si intravede dalla collina Sud, sull'istmo estremo dell'isola, che con il suo modesto faro capeggia sulle turbolente infinite onde sottostanti; non uno scoglio interrompe il regolare, caotico infrangersi dell'acqua sulla falesia, arrivando a schizzare piacevolmente fino a quindici metri oltre la terraferma. Basta un rapido sguardo al panorama e si intravede l'opaco profilo della collina Est protendersi orgoglioso lì dove la marea è più bassa e pacata, e l'oceano altri non sembra che una piatta distesa di un cristallino blu fiabesco. 
Potrebbe persino trovarsi nell'erba proprio lì, sulla collina Est, che all'alba di sempre è bagnata di gelida rugiada, con un soffitto alle volte grigio nuvoloso, altre volte di un azzurro disarmante.
 
Come i suoi occhi. 
 
Decisamente, sarebbe comodo se i suoi occhi fossero casa. Basterebbe una semplice occhiata per sentirsi al proprio posto. Ma ora quella non è casa tua, non lo sarà né ora né mai. Sarà quell'utopia che narrano gli astri mentre sorgono nel cielo; sarà quel sogno tormentoso di continua ricerca di sicurezza che assillerà ogni secondo di incoscienza; sarà quel viaggio infinito verso la vetta, verso il raggiungimento della felicità - finalmente!, quella innocente felicità tanto agognata quanto mancata.
 
Ma infinito è relativo.
 
Si dice che gli occhi siano lo specchio dell'anima. Si presuppone, quindi, che gli occhi siano la chiave del cuore. 
Ed è disagevole rendersi conto della potenza che un comune cuore può avere. Può spaccarsi in pochi attimi e urlare di dolore, può scaraventarsi acciecato d'ira contro le costole, può guidarti alla pazzia  - bum, bum, bum - e può anche trascinarti in un sonno senza sogni nella pura tenebra infinita.
 
Però infinito è relativo.
 
Ma relativo a cosa?
Alla vita?, alla morte?, ad una settimana?, non sarebbe cambiato nulla.
L'attesa dilania lo spirito, e le toppe sono le speranze, false o fondate che siano.
Aspettiamo. Aspettiamo cosa
La felicità passeggera, l'attimo fuggente, il momento propizio, il bacio illudente, la debole verità e la schiacciante menzogna? 
Aspettiamo quel qualcosa che non arriverà mai. Ci illudiamo che sia dietro l'angolo, lì davanti, e che stia aspettando a sua volta noi. Bisogna solo svoltare strada, e lui è lì, pronto, che finalmente può compiersi. Delusione ci accoglierà quando proveremo che lì dietro non c'è altro che polvere, polvere e schegge di speranze infrante. Niente ci aspettava, se non la mera rassegnazione. 
E allora aspettiamo chi?
L'amico di una vita, il compagno che ci salva dall'interrogazione, lo sconosciuto che ci ritrova gli auricolari persi la settimana prima, il vicino che sorride e ci porge la mano?
Anche loro sono lì, dietro quel fottuto angolo. E anche loro fuggono leggeri da noi, lasciando solo l'ombra di un ricordo a farci compagnia.
 
Ma la verità è che abbiamo terribilmente paura di essere felici. Crediamo di poter vivere una sola volta la felicità, e il sospetto che ella possa in qualche modo sfuggirci ci lascia incerti e sperduti in una coltre di nebbia, a brancolare nei nostri dubbi. 
Temiamo l'astinenza di sorrisi, per cui ci priviamo del piacere per evitare di desiderarne altro senza mai ottenerlo veramente. Bramiamo da lontano ciò che non potremo mai avere, e ci struggiamo per quel desiderio così distante, e ci ammaliamo di sindrome dei sognatori, e inseguiamo le farfalle piuttosto che la felicità. 
Così primordiale, quell'istinto di gridare fino a lacerarsi le corde e vocali, così forte da far esplodere i polmoni e far schizzare via il cuore; gridare e sputare via tutta la spazzatura repressa, la rassegnazione, la privazione, l'astinenza, il bisogno. 
 
Maledetto.
 
Bisogno maledetto. Un vuoto persistente nell'animo. Una continua ricerca della pienezza e della soddisfazione, nella vana speranza di completare così il complesso puzzle che siamo. Fosse così facile! Tutti hanno bisogno. Di qualcosa, di qualcuno. 
Che li renda felici.
È un ciclo continuo, ripetitivo, monotono, grigio, automatico.
Tu senti quel bisogno, lo cerchi, lo trovi, lui svanisce in una nuvola di consapevolezza.
'Che quel ciclo maledetto non avrà mai fine, che dopo tutto, dopo tutti, nonostante tutto, nonostante tutti, la delusione verrà a bussarti alla porta del cuore, e un'incosciente senso di sconfitta e di vuoto alimenterà un nuovo bisogno. 
Così, all'infinito, nelle spire maledette del tempo.
 
Ma infinito non era relativo?
 
Si, lo era, lo è e lo sarà. E no, può anche non esserlo. 
Una goccia in un oceano è come le altre centomila miliardi di gocce nel medesimo oceano, ma in un deserto una goccia è un miracolo unico e inimitabile. La stessa goccia che, evaporata dall'immenso oceano, era identica e indistinguibile dalle altre centomila miliardi di gocce, piovuta nell'immenso deserto è un fenomeno magico. 
 
 
E i suoi occhi sono quel dispersivo oceano, ma così profondi che se non sapevi nuotare ci affogavi irrimediabilmente dentro. E i tuoi occhi sono quel deserto sabbioso tutto uguale, ma così ardenti che se non sapevi stare attento finivi per bruciarti sicuramente.
Sei quel fuoco carbonizzante e distruttivo, quello che la natura teme, quello che non ha limiti, nato per distruggere.
Lui no, lui è quella quiete glaciale e pacata, quello che la natura non teme, quello che rappresenta il confine tra pazzia e buon senso, nato per creare dalle macerie.
 
Non fai altro che cadere a pezzi ogni giorno, e lui quotidianamente ti ricostruisce. Non fai che incendiare di odio irrefrenabile la tua vita, e lui è sempre lì, a frenare la tua furia con un semplice sguardo. Non fai nulla per tentare di domare il fuoco che brucia nel petto e nelle vene, ma ti basta solo stargli accanto che un gelo nivale ti invade il cervello, annebbiandolo di stanchezza e rimorso perenni. 
Bruci da solo, lasciandoti consumare dalla fiamma alimentata dalle circostanze senza impedirti di farlo, e mentre tu soffri, lui sta già ricucendo l'ennesima anima, paziente e imperturbabile. 
 
Hai solo bisogno di spegnere definitivamente quell'orgoglio assassino che ti sta incenerendo straziante l'esistenza.
Hai solo bisogno di alleviare quel costante e insistente dolore atroce al cuore ferito, ancora testardo nel non accettare la delusione. 
Hai solo bisogno di estinguere quella fiamma suicida che ti brucia la mente, oppure scollegare la testa, per una volta, e lasciare che quel fuoco interiore bruci tutto senza distinzioni, senza rimpianto, e dalle ceneri di un passato carbonizzato ricominciare daccapo. Senza paura, né timore. 
Hai solo bisogno di affogare per un po' in quelle iridi chiare, respirando l'acre vita di un eterno debitore. Senza rimorsi.
Hai solo bisogno di bearti del soave ma intenso profumo dei petali di quel bocciolo cobalto.
E da lì far crescere la tua corolla ardente e fiera.
 
Trovare conforto nella calma per spegnere l'ira bollente che sta scavando nelle cavità più oscure e celate della tua anima. 
 
È di questo che hai bisogno.
 
Di amare.
 
 
 
 
 
*Microscopico spazietto di un'euforica autrice*
Ed eccola, la tanto attesa fic della Lou.
*grilli in lontananza*
Un parto, più o meno - solitamente inizio a scrivere con tutte le buone intenzioni dell'universo, però poi al momento di pubblicare mi metto a spulciare tutti i possibili difetti immaginabili e ne trovo a bizzeffe, quindi rinuncio. Ma ehi, sono contenta di esserci finalmente riuscita. Una recensione è sempre gradita... E niente, grazie di essere arrivate fin qua sotto. ;)
P.S. Perdonatemi vari errori di "corsivo" o "grassetto", sono una frana con questo dannato html :(
   
 
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