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Autore: Leonhard    07/03/2017    4 recensioni
Judy si volse verso la sagoma della lontana Zootropolis. Vixen aveva detto che il cavallo era il pezzo più forte della scacchiera, Alopex aveva scelto un cavallo per guidare gli eventi: forse avevano previsto tutto, forse no, ma in fin dei conti era quasi giusto che fosse stato un cavallo a dare scacco matto e vincere la partita.
E la città, sapeva, avrebbe continuato a bruciare.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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5. Vorrei…



Bonnie era accanto a lei, con una zampa sulla sua spalla che le sussurrava parole che avrebbero dovuto tranquillizzarla, assicurarla che non sarebbe successo nulla e che nessuno avrebbe più tentato di farle del male. Erano delle belle parole, ma solo parole: sapevano entrambe che quel lupo sarebbe tornato con il suo branco, contro cui Nick non avrebbe potuto far nulla se non soccombere.

Quel pomeriggio non aveva smesso di ringhiare finché quel tipo non era scomparso all’interno della gazzella della polizia. Allora si era zittito, ma non si era mosso da lei finché non aveva visto l’auto scomparire oltre la collina. Il suo muovere la coda, liberandola dalla presa di Judy, aveva sancito lo scampato pericolo ed era stato investito dalla gioia e dalla gratitudine dei suoi fratelli che ancora in quel momento non era cessata.

Nick era al centro dell’attenzione, con una miriade di coniglietti che lo acclamavano come un supereroe e che raccontavano la scena ai testimoni mancati, arricchendola ovviamente con particolari inutili ed ingigantendola come solo gli occhi di un cucciolo potevano fare: Nick che saltava addosso al lupo e che lo atterrava, Nick che nella colluttazione perdeva una zampa ma che gli ricresceva in tempo per fermare il colpo del suo avversario con una parata da maestro karateka, Nick che guardava fisso il lupo, si frapponeva tra lui e Judy togliendosi degli occhiali da sole e chiedendo con voce fredda e figa se quell’animale sapesse chi avesse davanti perché si, lo shock di vedere la loro sorellina attaccata da un grosso lupo grigio gli aveva fatto momentaneamente tornare la parola.

Nick roteava gli occhi divertito nell’ascoltare i racconti dei piccoli e nell’osservare lo sguardo rapito degli ascoltatori che sembravano credere veramente ad ogni versione della scena, per quanto favolistica e fantasiosa fosse.

Stu Hopps era accanto alla volpe: anche lui guardava la scena con occhi divertiti, ma lo sguardo che ogni tanto riservava a Nick fu la prima cosa che strappò un sorriso a Judy. Sembrava quasi che fosse tornato anche lui cucciolo e che in quel momento avesse il privilegio di accompagnare il suo eroe. E probabilmente lo era per davvero: Nick era l’eroe della famiglia, che aveva messo a repentaglio la sua vita per proteggere lei. Insomma, quanto ci avrebbe messo quel lupo a metterlo fuori gioco se solo l’avesse voluto?

Lupi grigi…scemo e più scemo

Quella sera, nella sua stanza, Judy guardava la porta chiusa vedendo il muso ringhiante di Nick: ricordava l’effetto che aveva fatto sul suo corpo la paura di quel momento. La paura quella vera, impetuosa e profonda, ancestrale e primitiva. La paura di un bambino verso un mostro, di una preda verso un predatore.

Di un coniglio verso una volpe.

Deglutì, riconoscendo che se Nick avesse rivolto a lei quello sguardo non ci sarebbe stato niente, né in cielo né in terra, che avrebbe potuto darle l’impulso di fare qualunque cosa che non fosse farsi sbranare docilmente. In un certo senso capiva il timore che aveva intravisto negli occhi di quel lupo, quello stesso timore che la prendeva in quel momento davanti alla possibilità di essere lei al suo posto.

Ma lei non si era trovata al posto di quel lupo: lei si era trovata al suo posto, sotto il ventre di Nick ed aggrappata alla sua coda, e voleva dire che tra lei ed il poliziotto c’era una differenza di emozioni larga come quella che c’era tra le condizioni climatiche di Tundratown e Savana Centrale.

Per tutto il pomeriggio aveva giocato il suo ruolo di povera coniglietta aggredita ed aveva guardato con orgoglio Nick indossare le vesti dell’eroe ed aveva ridacchiato lievemente nel vedere con quanta riluttanza rimaneva lì, al centro dell’attenzione di un paio di centinaia di coniglietti.

“Nick, non ti ringrazierò mai abbastanza” aveva detto Stu, prendendo a braccetto una Bonnie lacrimante di felicità. “E scusaci se all’inizio ho dubitato di te: renderti parte della famiglia è poco, ma è tutto quello che posso offrirti quindi…benvenuto nella famiglia Hopps”.

Nella famiglia Hopps. Adesso Nick era un membro della sua famiglia. Un suo fratello? Un cugino, uno zio, un nipote, un genero, un suocero? Come doveva vederlo se non come il suo Nick? Era diventato parte della famiglia e se lui avesse voluto avrebbe vissuto per sempre con loro.

Ma allora perché si sentiva così demoralizzata? Perché quell’aggettivo le sembrava così dannatamente giusto da farle pensare che fosse l’unico che poteva accompagnare il suo nome?

La porta si aprì e Nick sgattaiolò dentro: il passo era felpato, le orecchie basse ed il profilo rasente terra. Camminava velocemente, dando quasi l’impressione di fluttuare e s’immobilizzò davanti alla coniglietta che lo guardava con occhi straniti.

“Che succede?” mormorò. “Non ti ho mai visto così agitato”.

A proposito di non vedersi, che ne dite di dimenticare…di aver visto…me?

Sostò per qualche istante davanti a lei, poi si volse di scatto verso la porta, con il terrore dipinto negli occhi. Veloce come un fulmine, si infilò sotto il suo letto pochi secondi prima che una ventina di fratelli di Judy facessero irruzione nella sua stanza.

“Sorellina, hai visto zio Nick?” chiese una piccola: un fiocchetto rosso ed altri oggetti imbarazzanti erano impugnati contro di lei. Trattenne a stento una risata e scosse la testa.

“No, non l’ho visto” mentì, senza tuttavia riuscire a reprimere un sorrisetto divertito al cospetto dell’immagine di Nick con una spada giocattolo tra le zampe, degli spallacci in plastica gialla accanto alla testa ed un fiocco rosso tra le orecchie. “Non lo state tormentando vero?”.

“Quando mai, sorellona?” replicò uno di essi, guidando poi il gruppo fuori dalla stanza, alla ricerca del loro eroe. Quando la porta tornò chiusa, Judy liberò finalmente la risata e Nick uscì cauto dal suo nascondiglio.

Carotina…mi hai salvato la vita!

“Certo che vestito da Guardiano della Galassia saresti stato fantastico” commentò, rivolgendogli un furbo sorrisetto. Lui rispose con un’occhiataccia nella sua direzione, rabbrividendo al solo pensiero e grattandosi il collo per evidenziare la sua insofferenza.

Il silenzio che seguì sarebbe valso un commento sagace da parte di quella stessa volpe che stava guardando il buio fuori dalla finestra con occhi vigili, quasi si aspettasse di trovare il lupo poliziotto guardarli con odio. Aleggiò quel silenzio fuori luogo che Judy sentì obbligata a riempire.

“Nick…grazie” mormorò. “Oggi, con quel lupo…io…”. Si abbracciò le zampe, rivedendo la scena, rivivendo la paura. “Non so cosa mi sia…insomma, non lo so ecco…”. La volpe balzò sul letto accanto a lei e le si affiancò, lanciandole uno sguardo complice.

Dai, vieni qui…

Sotto lo sguardo affranto della coniglietta, gli sembrò quasi giusto mordicchiarsi un ciuffo di peli sulla schiena con insistenza, probabilmente al solo scopo di strapparle un sorriso: fallì miseramente, ma non per questo interruppe la sua attività.

“Nick…” chiamò Judy; la voce mogia attirò l’attenzione della volpe. “Tu…sei felice qui?”.

È così, al cento per cento

“Sai…un po’ mi mancano i tempi alla ZPD” confessò lei. “Quel poliziotto mi ha fatto ricordare quanto fosse bello lavorare per far diventare il mondo un posto migliore…so che a te basta poter correre e giocare con i miei fratelli ed anche io sono felice che tu ti senta a casa qui…ma quei tempi mi mancano, sai?”. Nick scese dal letto mettendo tra loro una distanza che lei scoprì non poter tollerare, si avvicinò alla finestra e tese le orecchie, scrutando il vetro con occhi attenti.

…magari è grandine?

“Io…non so cosa dire, Nick; io vorrei che tu…non ce l’avessi con me” mormorò Judy, prossima al pianto. “Ho paura che tu possa essere arrabbiato con me…è stata colpa mia…il caos in città e tu in questo stato…e mi mancano soprattutto…le tue battute stupide ed i tuoi discorsi senza senso”. Nick volse un orecchio poi uno sguardo torvo nella sua direzione.

Madame!

La coniglietta spaziò per qualche secondo, in cui il suo corpo dichiarò autogestione: si lanciò al collo della volpe, in un abbraccio che ebbe la forza di sbilanciarlo. Inspirò a fondo il suo odore, sentendolo così familiare che ebbe per un istante il pensiero che ci si sarebbe potuta abituare, se già non era successo. Cancellò l’ultimo freno imposto alle lacrime e singhiozzò contro il suo collo, senza vedere lo sguardo confuso con cui fissava la sua testa.

“Vorrei tanto che tu…tornassi a parlarmi…” singhiozzò con voce umida di lacrime. “Ti prego, Nick…dimmi qualcosa…dimmi che sono una coniglietta ottusa, dimmi che i miei sogni si sono infranti: non mi interessa cosa dici basta che mi parli!”. Sentì la volpe sedersi ed una zampa cingerle le spalle con movimenti impacciati.

Avanti, fai un bel respiro…

Dal pelo del collo si levò un singhiozzo che somigliava ad una risatina e Judy alzò gli occhi: grondavano lacrime ed erano spalancati sui suoi. Con movimenti lenti, passò una zampa sul muso di Nick in una delicata carezza.

“Non so nemmeno io cosa mi prende…” confessò con un sorriso triste. “Non so se posso definirla amicizia questa…questa cosa che sento…”. Le orecchie di Nick scattarono sull’attenti, mentre un’espressione confusa ed sbigottita si palesò in tutta la sua incredulità. “Posso mai essere così…così presa da un mio amico? Sono un coniglio strano se ti dico che…?”.

Lasciò la frase in sospeso, ma la conclusione era nell’aria: aleggiava silenziosa ed incorporea eppure così palpabile ed enorme. Trasmetteva un senso di giustizia ed una innegabile forza che incollava gli occhi di Nick nel viola lucido che non lo lasciava nemmeno per un secondo.

Puoi essere solo ciò che sei

L’orecchio deviò verso la finestra, ma il suo sguardo non riuscì a muoversi dal suo muso. Vide il suo naso fremere ed una lacrima congiungersi con le altre nel pelo umido del muso; ubbidendo ad un richiamo che non poteva essere del tutto naturale, passò la lingua sul suo pelo. Avvertì il lieve sapore salato delle sue lacrime e scoprì l’urgenza di separarla da lui: era stato un gesto stupido, di cui sentiva che se ne sarebbe pentito o peggio ancora che non l'avrebbe fatto.

Si alzò e la depose nuovamente a terra, sospingendola poi verso il letto con occhi gentili. Judy riuscì a distogliere lo sguardo da lui e fissò la sveglia con occhi stupiti e confusi, ma vivi e che brillavano di felicità: le undici e quarantacinque.

So che da qualche parte c’è un negozio di giocattoli che aspetta che tu ritorni nella tua confezione

“Ah…” mormorò lei, subendo il richiamo alla realtà a cui le lancette dell’orologio l’avevano richiamata. “Ehm…beh…io andrei…a dormire, ecco…sì, credo proprio che andrò a dormire”.

Pochi minuti dopo, nel buio della sua camera, si chiese in quale angolo nella sua mente, ottusa a livelli mai raggiunti prima, avesse pensato di poter dormire dopo quello sfogo. Da quanto tempo era che si teneva dentro quelle parole? Quando erano nate e maturate? E perché erano diventate così insostenibili nel giro di pochi secondi? Sentiva la presenza di Nick nella stanza, che la faceva sentire…come? A disagio? Nervosa? Confusa?

Certamente, ma non era la sua presenza a farle provare tutto quello. Lo chiamò piano: non riuscì a vederlo in tutto quel buio, ma si sentiva osservata. Tanto bastava.

“Domani…” mormorò. “Domani mi sarà passata: è solo…stanchezza credo…e malinconia…”.

Ah, voi coniglietti: siete così emotivi…

“Penseremo al da farsi” continuò lei, parlando per far tacere la mente. “Troveremo una quadra e risolveremo questa cosa”. Il silenzio che seguì le fece lo stesso strano effetto che le aveva fatto per tutto il mese l’assenza della battuta pronta della volpe. Ebbe il tempo sufficiente per chiedersi dove fosse la sua coda, per pensare che avrebbe tanto voluto abbracciarla, che si sarebbe sicuramente tranquillizzata con tutto quel pelo a solleticarle il muso, poi si addormentò come se si sentisse esausta e non elettrica per l’imbarazzo delle parole dette pochi minuti prima, per l’angoscia delle parole dette il mese prima e ripetute il minuto passato a cui non aveva la più pallida idea di come tener fede.

La Tana dei Conigli piombò finalmente nel silenzio; Nick alzò nuovamente l’orecchio verso la finestra e osservò il buio oltre i vetri con occhi attenti, incuriositi. Spostò lo guardo sull’orologio, si alzò e, con un sospiro, si avvicinò alla porta. Sostò per qualche momento e si volse: guardò per pochi, interminabili secondi il piccolo rigonfiamento delle coperte che pulsava sotto il ritmo dei respiri di Judy con occhi affranti. Avrebbe preferito rimanere in quello stato per sempre piuttosto che fare quello che doveva.

Forse è un bene che tu non abbia un predatore come collega
 

 
Mira Hopps, a differenza dei due fratelli con cui aveva fondato i temuti Trerribili Hopps, era particolarmente sveglia e ancor più precoce: era stata tra i primi a muovere i primi passi per la casa, a mangiare da sola e ovviamente a sentire la vocazione per i guai, procurati attivamente o subiti passivamente che fossero, ed alimentarla fino a trasformarla in un talento.

E che risate nel vedere le orecchie della madre farsi scure quando ad un certo punto aveva fatto quella domanda, la domanda che tutti i genitori ed i fratelli maggiori temono. Non aveva mai capito se faceva paura più la domanda della risposta, ma pregustandosi il trambusto che avrebbe creato almeno la prima, l’aveva naturalmente fatta nell’unico modo che, sapeva, avrebbe scatenato il panico per i primi spassosi secondi: di getto, senza prendere fiato e con voce innocente.

In quel caso, la domanda era cambiata ma, sapeva, avrebbe avuto lo stesso medesimo effetto. L’idea che il panico conseguente sarebbe durato più di qualche secondo tuttavia non le disegnò il proverbiale ghigno da capo del gruppo sul muso, anzi: le regalò un’espressione con il potere di preannunciare una domanda a dir poco orrida, l’ultima domanda che tutti i presenti in quella casa, a cominciare dai genitori ed a finire ai fratelli più piccoli, avrebbero voluto sentire.

Scoprì a sue spese che non era stata una grande idea piombare nella camera di Judy per fare quella domanda: dal basso della sua eccezionale precocità aveva osservato e tratto le sue conclusioni in quel mese, mentre dava il tormento allo zio Nick.
La sua sorellina, quella stramba di Judy non Deludi, definiva con il termine ‘amicizia’ un rapporto molto particolare; insomma anche lei aveva amichetti, ma era sicura che non guardava nessuno di loro con quello sguardo.

Mira Hopps era straordinariamente precoce e riconosceva negli occhi della sorella l’aspettativa. E la speranza. I dettagli tuttavia non li capiva: era precoce ma non così tanto. E poi, nessuno le aveva mai risposto alla prima domanda.
Piombò nella camera come un tornato e si avventò sulle coperte rigonfie con tutto il suo esiguo peso: Judy sussultò e si mise seduta, riconoscendola e mutando la sua espressione urgente con un rimprovero negli occhi velati dal sonno.

“Mira...” borbottò. “Si può sapere che...”.

“Sorellina” esclamò, prevedendo la sua reazione a quella domanda in modo nitido e scoprendo in quel momento che, a differenza dell'altra, non si sarebbe divertita neanche un po'. “Sorellina,

come nascono i conigli?

zio Nick è sparito”. Judy la guardò per qualche secondo con la stessa espressione assonnata, probabilmente lenta ad associare a quella domanda tutto ciò che la riguardava, significato ed implicazioni incluse. Quando poi il collegamento fu fatto, gli occhi si dilatarono e le orecchie saettarono sull'attenti. Mira finì quasi a terra spinta dall'impeto con cui Judy si alzò.

“Cosa?” commentò. “Nick è...”.

Una consapevolezza sconosciuta la fece voltare verso il suo comodino. La sua abat-jour a forma di orchidea puntava la lampadina spenta sul libro che aveva cominciato a leggere: poco sotto la scritta Piccole Donnole era poggiata la sua penna a forma di carota. Ubbidendo a quella stessa consapevolezza, la afferrò e pigiò il pulsante laterale: quella penna era rimasta a Nick e se era lì un motivo sicuramente c'era.

-Wowow ow-

Niente altro: la registrazione era un semplice latrato. Judy rimase immobile a fissare la penna, il naso fremette per l'agitazione e la perplessità. Riavvolse la registrazione e la riascoltò, come per accertarsi del fatto di non capirci un tubo.

Nella sua camera piombarono i suoi genitori assieme ad una decina di fratelli, tutti con il panico negli occhi, il pelo arruffato e le zampe annerite dalla terra fresca di vanga.

“Nick non c'è” informò Bonnie. “L'abbiamo cercato dappertutto, ma non si trova”. Judy prese in mano la situazione, nonostante la forte voglia di abbandonarsi al panico e correre per la campagna urlando il nome della volpe per tutto il giorno.

“Ha lasciato un messaggio” disse, sventolando a mezz'aria la penna. “Fate venire immediatamente Gideon”.
 

 
“I latrati?” commentò un'ora dopo Gideon: la voce esprimeva il disagio di trovarsi seduto nel soggiorno della famiglia Hopps, con una tazza di the in una zampa, la penna a forma di carota nell'altra ed uno stuolo di orecchie davanti a sé che non avrebbe fatto invidia al pubblico che richiamava un concerto dei Metallicani*.

“Hai conosciuto Nick, no?” puntualizzò Bonnie. “La volpe che si era stabilita con noi”.

“Sì certo” annuì lui. “Non l'ho visto oggi: non sta bene?”. Judy gli spiegò la situazione, cercando di tenere la voce sotto controllo.

“Ha lasciato un messaggio in questa penna, ma sono solo latrati: noi non possiamo capirli e quindi ho pensato che magari tu, essendo una volpe...” disse. Gideon sorrise nervoso.

“Oh” commentò. “Beh si, certo che li capisco: i latrati sono una specie di Esperanto per noi volpi, li capiamo in maniera istintiva, è il modo in cui comunichiamo con i cuccioli quando ancora non sono in grado di parlare, figurati che mio cugino quando era cucciolo...”.

“Me lo racconterai un'altra volta, Gideon” intervenne la coniglietta, interrompendo sul nascere l'ennesimo assalto logorroico della volpe. “Cosa dice?”. La volpe fece partire la registrazione.

-Wowow ow-

il predatore aggrottò le sopracciglia poi fece ripartire la voce registrata, riascoltandola ancora e ancora. Infine scosse la testa.

“Non capisco...” disse. “Non ha senso quello che vuole dire, sembra una specie di codice...”.

“Cosa dice?” chiese Judy, tamburellando nervosamente con la zampa sul tappeto. Gideon le lanciò un'espressione confusa e disorientata, poi parlò.

“Caso Tujunga” borbottò. “Dice solo questo: caso Tujunga”.

Si dice Tujunga!



*Ovviamente esistono anche fuori da Zootropolis, ma si chiamano Metallica
   
 
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