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Autore: Aqua_    07/03/2017    4 recensioni
Jonathan ha trent'anni, di cui una ventina passati tra i libri, e nessun progetto per il futuro.
Emma di anni ne ha ventotto, di cui dieci passati all'estero, e di progetti ne ha tanti, forse troppi.
Francesco è il migliore amico di Jonathan, nato e cresciuto in Italia, ma sposato ad una donna inglese - che, per puro caso, è la sorella del suo migliore amico.
Giorgia in realtà si chiama Ingrid, è tedesca ed è la migliore amica di Emma; forse, e solo forse, potrebbe volere qualcosa di più.
Carys e Joan, infine, sono le sorelle di Jonathan, sempre in competizione, anche quando si tratta di salute mentale.
***
«Vediamo se ho capito bene» inizia, incerto. «Tu vorresti andare in Italia alla ricerca di questa ragazza, senza sapere assolutamente nulla di lei, giusto?»
Jonathan scuote la testa.
«In Spagna, voglio andare in Spagna, l'Italia è solo la seconda scelta» precisa. «E poi, so come si chiama.»
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sono passati cinque anni dall'ultima volta che Jonathan si è preso una vacanza, una di quelle vere. La tensione accumulata negli ultimi mesi di lavoro inizia a farsi sentire, e sa perfettamente di aver assoluto bisogno di una lunga pausa, prima di scoppiare.

Mettendo da parte i fogli che stava sfogliando fino a qualche secondo prima, si stiracchia sulla sedia, spingendosi contro lo schienale, lasciando fuoriuscire uno sbadiglio dovuto alla stanchezza – aveva passato l'intero pomeriggio a correggere compiti, per la maggior parte sbagliati, senza mai fermarsi, se non per riempire la sua tazza di caffè – e si stropiccia gli occhi, ripensando all'ultima volta in cui si era preso una giornata solo ed esclusivamente per se stesso. La sua mente torna velocemente alla primavera di sei anni prima quando, poco dopo la sua laurea, aveva deciso di partire per un viaggio in Europa. Da solo, con pochi soldi e uno zaino pieno di roba inutile, era salito sul primo treno che, da Londra, lo portasse in Francia. Da lì, poco a poco, aveva girato tutto il continente, incontrando ogni volta facce diverse, alcune delle quali erano ancora presenti nella sua vita. A Roma, in una calda giornata di Luglio, aveva incontrato Francesco: aveva appena compiuto ventiquattro anni e, come lui, si era laureato da poco; lavorava al botteghino dei Musei Vaticani e parlava inglese con un accento che, da subito, Jonathan aveva trovato esilarante – e non mancava di ricordarglielo ogni qual volta ne avesse l'occasione. Il ragazzo era stato la sua guida personale durante i pochi giorni in cui era rimasto in città, poi, senza essere stato effettivamente invitato, aveva raccolto qualche vestito e degli spiccioli e si era messo in viaggio con lui. Due mesi e tre nazioni dopo, Jonathan poteva dire con estrema sicurezza di aver trovato in lui in amico, probabilmente il migliore.

Era stato lontano da casa per un anno intero, girovagando tra hotel poco costosi e – con qualche insistenza da parte di Francesco – campeggi, lavorando ovunque trovasse posto pur di guadagnare qualche soldo. Al suo ritorno, sapeva parlare due lingue in più e conosceva la storia della maggior parte dei paesi europei come conosceva quella inglese – e, essendosi laureato in Storia Inglese, la conosceva decisamente bene.

Un'unica cosa era andata storta, durante quel periodo.

A Granada, in una ventosa notte di Ottobre, aveva conosciuto la più bella ragazza che avesse mai visto. Faceva la cameriera in un ristorante da pochi soldi – uno dei peggiori della città, si era detto, ma allo stesso tempo uno dei meno costosi – e si destreggiava con estrema abilità tra i tavoli troppo vicini, alternando una lingua a un'altra, in base al cliente a cui si stava rivolgendo. Quando si era avvicinata al suo tavolo, il ragazzo non era stato in grado di spiccicare parola. Per sua fortuna, era intervenuto Francesco, con un misto di italiano, inglese e spagnolo, al che la ragazza aveva risposto in italiano – e Jonathan poté giurare di aver visto l'amico tirare un sospiro di sollievo, anche se sapeva perfettamente che non lo avrebbe mai ammesso.

Non gli ci era voluto molto per innamorarsi di lei, due giorni al massimo, pur non sapendo assolutamente nulla di lei, se non che si chiamava Emma ed era di Firenze. Ogni sera, per cinque giorni di seguito, si era recato nel ristorante presso cui la ragazza lavorava, insieme a Francesco, e lì era rimasto fino all'ora di chiusura. Poi, senza che potesse fare qualcosa per cambiare la situazione, si era ritrovato a partire.

L'uomo scuote la testa, scacciando l'immagine della ragazza dai suoi pensieri. Prima che possa accorgersene, la sua mano sta già componendo un numero sul suo cellulare.

Uno squillo, due squilli, tre, quattro, cinque, poi, finalmente, sente uno scatto all'altro capo.

«Pronto?»

È una voce affannata a rispondere, il che porta l'uomo a chiedersi se, per caso, non abbia interrotto qualcosa. No, si dice, probabilmente ha solo dovuto correre per rispondere.

Fa un sospiro profondo, sapendo perfettamente di aver appena avuto una delle idee peggiori della sua vita.

«Che ne dici di un'avventura?»

 

***

 

Nello stesso momento, in un'altra città, una ragazza dai lunghi capelli castani si prepara per uscire, girovagando per la casa alla ricerca della scarpa sinistra.

Non è decisamente il momento adatto per giocare a Cenerentola, si dice, inginocchiandosi per dare un'ultima occhiata sotto il letto. Sconfitta, senza aver trovato ciò che cercava, decide di rinunciare ai suoi tentativi e, dopo aver guardato l'orologio, di cambiare scarpe. Infila un paio di stivaletti che sa perfettamente non essere adatti al suo lavoro, maledicendo il giorno in cui ha deciso che un paio di trainers sarebbe stato più che sufficiente. Si infila velocemente la giacca, mentre con una mano afferra la borsa e inizia a rovistare all'interno, tentando di trovare le chiavi, poi, una volta pronta, dà un ultimo sguardo alla casa, incrociando per un momento lo sguardo del suo gatto, che la osserva dal divano, ed esce. Mentre si chiude la porta alle spalle, ripensa velocemente alle cose che avrebbe dovuto fare prima di uscire: dare da mangiare al gatto, fatto; chiudere il gas, fatto; chiudere le finestre e abbassare le serrande: fatto. Dà un ultimo giro di chiave, per poi fiondarsi giù dalle scale del condominio, cercando di scendere il più velocemente possibile, senza inciampare. Arriva davanti al suo garage nel giro di pochi minuti, sale in macchina – ringraziando il fatto di avere un cancello automatico – e, dopo un paio di minuti si ritrova sulla strada, diretta verso il locale in cui lavora. Per sua fortuna, il traffico non è intenso come in altri orari e, in poco meno di mezz'ora, è giunta a destinazione.

Entra nel locale, lanciando un'occhiata di scuse al proprietario, nonostante sappia di essere in anticipo di almeno cinque minuti, e si dirige in cucina.

«Hola, Emma!» la saluta il cuoco, facendo un cenno di saluto con la mano.

«Hola, Javier» risponde lei, avvicinandosi all'uomo.

«Sei in ritardo» le fa notare, con un sorriso.

Emma fa un cenno di assenso: in fondo, l'uomo ha ragione. È sempre arrivata sul posto di lavoro con una mezz'ora abbondante di anticipo, un po' per paura di essere in ritardo e un po' per abitudine.

«Non trovavo le scarpe» dice, come a volersi scusare.

«E adesso le hai trovate, sì?»

«Uhm... no.»

«Ahi, niña, non va bene» la riprende, dandole una leggera pacca sulla spalla.

La ragazza non risponde, limitandosi a guardarsi attorno. I suoi colleghi sono indaffarati nella preparazione di alcuni pietanze da servire quella sera, e nessuno sembra prestarle particolare attenzione. Gli altri camerieri – i suoi veri colleghi – sono quasi sicuramente nel cortile sul retro, l'unico non accessibile ai clienti, probabilmente intenti a fumare le ultime sigarette prima dell'inizio del turno. Dopo anni di lavoro in quel locale, Emma è giunta alla conclusione che, tra lo staff di sala e quello della cucina, non ci sia un buon rapporto. Lo si nota dal tono con cui i colleghi si parlano, ognuno convinto di essere superiore all'altro. Lei e Javier sono le uniche eccezioni: sempre gentili e disponibili con tutti, sia che si tratti di camerieri, sia che si tratti di cuochi o aiuto-cuochi. Javier è anche l'unica persona con lui vada davvero d'accordo, l'unico che l'abbia trattata con rispetto durante i suoi primi giorni, quando ancora non era a conoscenza delle dinamiche di quel locale. È un omone enorme, alto due metri e largo quattro, con la pelle nera, i capelli neri e gli occhi ancora più neri; è nato a Barcellona, dove ha vissuto fino a pochi anni prima, quando si è trasferito insieme a quella che amava definire “la donna mandata dal destino”, sua moglie. Ha due bambini, di cinque e tre anni, Carlos e Ricardo, e sta per averne un terzo. Una volta, scherzando, aveva promesso a Emma che sarebbe stata la madrina del suo bambino, ma adesso, ripensandoci, non è più sicura che stesse scherzando.

«Javier?» lo chiama «Vuoi davvero che io sia la madrina di tuo figlio?»

Prima che l'uomo possa rispondere, la ragazza sente la porta della cucina aprirsi e vede il volto del proprietario affacciarsi dallo stipite.

«Si inizia, tutti al lavoro!» esclama, guardandoli uno ad uno.

Emma si fionda fuori dalla cucina, più veloce del solito, e, nel giro di qualche istante, viene inghiottita dalla massa di clienti che, per ore, ha atteso fuori dal locale, con la speranza di trovare un ultimo tavolo libero.



 

Angolino Autrice:

Ebbene sì, eccomi qua con una storia nuova di zecca.
Forse completamente diversa dalle precedenti - o forse no.
(il prestavolto per il protagonista maschile non cambia mai, questo è certo)
Dico subito che, purtroppo, la mia costanza nell'aggiornare regolarmente è pari a zero, il che vuol dire che potrei postare un nuovo capitolo domani così come tra due mesi; è un brutto vizio, lo so.
Bene, non so che altro dire, quindi vi invito a farmi sapere cosa ne pensate, se questo inizio vi è piaciuto o meno.
Non mordo nessuno, promesso.
Alla prossima!

Aqua_


 

   
 
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