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Autore: revin    07/03/2017    0 recensioni
Tornare alla vita di sempre non sarà facile per Gwen. Il ricordo di Michael continua a tornarle in mente, così come quello dei mesi trascorsi a Fox River. Senza contare i due galeotti che sembrano non riuscire proprio a starle alla larga e un segreto dietro l'angolo pronto a travolgere tutto e tutti.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Michael/Sara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La notizia arrivò nel pomeriggio del giorno dopo e lasciò tutti di sasso.
Eravamo in 17, stretti nello stanzino adibito a sala relax dove le guardie concedevano a noi detenuti solo un’ora al giorno per guardare la televisione e conoscere ciò che accadeva fuori da quelle quattro mura. Alla notizia d’apertura del telegiornale delle 13, un telecronista attempato aveva salutato i telespettatori introducendo l’ultimissima da Washington, appena ricevuta dalle agenzie stampa. In basso, i titoli scorrevano sotto i nostri occhi attoniti: “Boss mafioso ucciso durante un’imboscata. E’ caccia aperta ai 7 rimasti”. Dopo aver introdotto la notizia, il giornalista aveva poi mandato in onda il servizio della conferenza stampa organizzata quella mattina. In primo piano, un Alexander Mahone compito e perfettamente a suo agio di fronte alle telecamere, aveva parlato in tono asciutto alla selva di microfoni, spiegando i fatti.
John Abruzzi, padrino della cosca mafiosa americana più sanguinaria degli ultimi cinquant’ anni, dopo essere evaso 4 giorni prima dal carcere di massima sicurezza di Fox River insieme ad altri 7 uomini, era stato attirato a Washington da un suo affiliato, un uomo che aveva lavorato segretamente con l’FBI per tendere una trappola ad Abruzzi e poterlo ricatturare.
Con notevole ipocrisia e faccia tosta, il mio federale preferitoaveva dichiarato di essere riuscito a circondare il mafioso e avergli intimato di gettare la pistola. L’uomo però si era rifiutato e aveva opposto resistenza, puntando l’arma in suo possesso contro la polizia che, per fermarlo ed evitare incidenti, era stata costretta ad aprire il fuoco per prima. La fine di John Abruzzi era stata segnata da una raffica di ben 33 colpi di pistola.
Dovevo ammetterlo, non avrei mai pensato che il primo a cadere potesse essere proprio lui. Non ero mai riuscita a vederlo sotto una luce diversa che non fosse quella del mafioso, del criminale e dell’assassino e non è che al momento provassi una particolare pena per lui, però mi dispiaceva che avesse fatto quella fine.
Chissà come se la stavano cavando gli altri.
Tutto sommato non ebbi molto modo per pensarci perché quello stesso pomeriggio, subito dopo il turno di lavoro, dovetti recarmi in infermeria per il solito controllo. Visto che la dottoressa Tancredi era ormai stata licenziata ufficialmente dati i recenti accadimenti, al suo posto era subentrato un simpatico dottorino fresco di università che si era dimostrato subito molto amichevole. 
  • Mi sembra che il tuo stato di salute tutto sommato sia buono. Hai ancora quei mal di testa che mi dicevi l’altro giorno?  -  mi chiese, dopo aver rimesso a posto gli strumenti per misurare la pressione. Era un tipo molto preciso e ordinato.
  • Si in effetti, ma non è niente di preoccupante. Piuttosto… ha avuto notizie della Tancredi? Come sta?
  • E’ stata dimessa dall’ospedale e credo si sia ripresa bene. Non potrà tornare a praticare la professione di medico tanto presto, non dopo quello che è successo, ma Sara è una ragazza forte. Se la caverà.
Glielo auguravo anch’io nonostante i nostri trascorsi.
  • Senta dottor Amber, ho una domanda da farle. Vede, è già da qualche giorno che non ho alcuna notizia del mio amico Charles e sono un po’ preoccupata. L’ultima volta che l’ho visto mi è parso affaticato per il solito dolore all’anca, dopodiché non l’ho più visto.
Il dottorino parve confuso.  -  Scusami Gwyneth, ma non ho capito di chi stiamo parlando.
  • Charles. Charles Westmoreland, cella 70, Braccio A. Mi chiedevo se per caso non fosse stato trasferito in ospedale per dei controlli…
  • Stai parlando del vecchio che ha tentato l’evasione insieme agli altri 8 qualche giorno fa?
Finsi spudoratamente il più sincero stupore.  -  No… no… Charles non avrebbe mai…
  • E invece si, il vecchio Westmoreland era insieme al gruppo che ha tentato la fuga. Non sapevo che tu e lui foste amici, mi dispiace dover essere io a dirtelo, ma Charles Westmoreland è stato trovato morto nella stanza dell’infermeria la notte dell’evasione. Era gravemente ferito al fianco. Ha perso molto sangue e quando sono arrivate le guardie lo hanno trovato già morto. Mi dispiace.
Questa volta non ci fu bisogno di fingere. Restai immobile sulla sedia a fissare il dottor Amber per qualche secondo dopo aver appreso la notizia, finché mi resi conto di faticare a respirare e l’uomo fu costretto a soccorrermi con un sacchetto di carta per limitare gli effetti della sincope.
Fu un’esperienza terribile. Terribile non avere più aria nei polmoni, come terribile era il pensiero che Charles avesse fatto quella fine e che io ne venivo a conoscenza soltanto adesso.
Sapevo che era ferito, perché non lo avevo fermato? Perché non lo avevo convinto ad andare in infermeria?
Ma la risposta la conoscevo già. Se Charles fosse andato in infermeria, non ci sarebbe stata nessuna evasione. Il vecchio sarebbe sopravvissuto probabilmente, ma Lincoln sarebbe morto. Se Charles avesse scelto di farsi curare, la dottoressa avrebbe stabilito che si trattava di una ferita che il vecchio non si era potuto procurare accidentalmente. Sarebbe andata a riferirlo al direttore che avrebbe certamente avviato un’indagine interna per scoprire il colpevole. In seguito sarebbero stati effettuati dei controlli accurati, l’assenza di Bellick sarebbe risultata più evidente, presto le guardie si sarebbero accorte che l’auto del capitano era nel parcheggio e che l’uomo avrebbe dovuto trovarsi all’interno del carcere. In un modo o nell’altro Bellick sarebbe stato ritrovato e con lui, il grosso buco al centro della stanzetta delle guardie. Inevitabilmente l’evasione sarebbe saltata e quello stesso venerdì Lincoln sarebbe stato legato alla sedia elettrica.

Quante cose si sarebbero potute evitare se quell’evasione non avesse mai avuto luogo: la morte di Charles, di John, di quel medico indiano, l’overdose della dottoressa, il ritorno di Mahone. Avevo la netta sensazione di aver barattato la vita di Charles per quella di Lincoln. Ma perché? Perché era dovuto capitare proprio a Charles? Era un uomo buono, premuroso, un simpatico vecchietto al quale mi ero affezionata. Lui, più di altri, avrebbe meritato di essere libero.
Quella sera, chiusa nella mia cella  pregai a lungo per Charles, augurandogli di poter vivere finalmente la sua vita da uomo libero, ovunque si trovasse. Ma per la verità pregai soprattutto per i vivi, per Michael che mi mancava terribilmente, per Lincoln che come me era precipitato nel caos della sua vita, incapace di trovare una via d’uscita, e per me che trascorrevo la mia ultima notte in cella e che la mattina seguente sarei tornata a vivere. Certo che a ripensare a come ero finita là dentro, a quello che avevo passato e ai pericoli ai quali ero scampata, c’era da sentirsi davvero sollevati che quella fosse la mia ultima notte di prigionia. Non potevo ancora credere di aver affrontato simili vicissitudini ed esserne sopravvissuta. Da adesso in avanti niente più balordi impegnati a farmi cadere il vassoio dalle mani a mensa, niente più sguardi inferociti o occhiate languide, niente palpatine, sorrisetti maniacali e bisbigli molesti. E sopra ogni cosa, niente più T-Bag. Mai più.
 
Fui prelevata dalla cella 93 alle 10 e 8 minuti esatti della mattina seguente. Gli agenti Patterson e Stolte questa volta risparmiarono le manette per scortarmi verso l’uscita. Mentre lasciavo il Braccio A diretta verso il cortile esterno, non potei fare a meno di dare un’ultima occhiata in giro. Volevo che si imprimesse tutto nella mia mente per ricordare per quale motivo non avrei più dovuto rimettere piede in un posto del genere per il resto della mia esistenza. A quell’ora i detenuti si trovavano fuori dalle celle per i rispettivi turni di lavoro, quindi il Braccio era semivuoto. Prima di raggiungere l’uscita riuscii a lanciare uno sguardo verso il primo piano, un rapido colpo d’occhio verso la cella 40, ma fu solo per un momento. Dopodiché le guardie mi consegnarono i miei effetti personali dentro una busta di carta e i vestiti con i quali ero entrata due mesi prima. Jeans e maglietta erano molto più confortevoli di quell’enorme casacca blu che ero stata costretta ad indossare fino a quel giorno col rischio di perderla per i corridoi di Fox River.
Trovai Keith appoggiato al cofano della sua auto, dopo aver varcato finalmente le fredde e desolate mura del carcere.
Dopo gli accadimenti dell’ultima settimana, avevo temuto che Keith non si presentasse, ma poi lo avevo trovato lì fuori ad attendermi a braccia aperte e all’improvviso i miei polmoni si erano riempiti di gioia, oltre che d’aria pura e del dolce sapore della ritrovata libertà. Ma neanche l’eccitazione di essermi lasciata alle spalle il capitolo Fox River poteva impedirmi di notare ciò che era fin troppo evidente ai miei occhi.
Avevamo da poco lasciato Joilet, quando mi resi conto che Keith non era del suo solito umore. La radio suonava in sottofondo e lui era un po’ troppo silenzioso. 
  • Sarà stato un lungo viaggio dal New Jersey all’Illinois, sarai sicuramente stanco. Vuoi che prenda il tuo posto alla guida?  -  chiesi dopo circa 20 minuti di viaggio in assoluto silenzio.
  • No.  -  fu la sua unica risposta.
  • Come vuoi. Comunque possiamo anche fermarci da qualche parte. Nel caso volessi riposare.
Non rispose. Non era da lui adottare quel comportamento freddo e distaccato, non in una simile occasione. Se riuscivo ad immaginare qualcuno saltare dalla gioia per il mio rilascio, quel qualcuno era proprio Keith. Restai il silenzio ad osservarlo mentre guidava senza staccare gli occhi dalla strada, finché ad un certo punto mi rassegnai e decisi di passare il tempo a girare per le stazioni radiofoniche alla ricerca di musica orecchiabile.
All’improvviso la mia attenzione venne attirata dalla voce di Alexander Mahone in sottofondo. Doveva trattarsi delle ultime dichiarazioni rilasciate dal poliziotto ai media, molto probabilmente una registrazione del giorno precedente.
  • … no, non credo di avere nulla da rimproverarmi per quello che è successo…”  -  Avevo alzato il volume proprio su quelle ultime parole.  -  “… Sono state seguite le normali procedure di routine, ma purtroppo gli incidenti sono all’ordine del giorno e bisogna essere pronti a fronteggiarli. David Apolskis, per quanto fosse poco più che un ventenne, era un pericoloso criminale e un evaso e ha tentato di aggredirmi usando la mia stessa pistola. Sono stato costretto a difendermi.”
  • Che cosa succederà ai sei fuggitivi rimasti a piede libero?”  -  era stata la successiva domanda del giornalista.
  • “Nel momento in cui quegli uomini hanno scavalcato quel muro, hanno compiuto una scelta. Vivi o morti quei criminali verranno riconsegnati alla giustizia.”
L’aggiornamento era stato breve e stringato. Quelle poche parole, da sole, erano riuscite a lasciarmi con lo stomaco sottosopra pur non avendo fatto luce sui fatti.
  • Oh mio Dio… David…  -  mormorai agghiacciata.  -  … Che cos’è successo Keith, tu lo sai?
  • I tg hanno divulgato la notizia ieri sera. Si è trattato di una disgrazia.
  • Ma David… è… morto?  -  Keith annuì silenzioso.  -  Oh cielo… io conoscevo quel ragazzo, aveva solo 20 anni. Com’è successo?
  • Mahone è riuscito a beccarlo nello Utah mentre si trovava in una stazione di servizio a fare il pieno all’auto. La polizia lo ha arrestato, dopodiché il ragazzo è stato affidato a Mahone perché lo riportasse a Fox River.Sembra che durante il viaggio il ragazzino sia riuscito ad impadronirsi della polizia che Mahone portava nella fondina e che l’abbia usata contro di lui. Mahone si è difeso e il ragazzo è morto.
Ero sconvolta.  -  Mahone era solo nell’auto insieme a David?
  • Così ha raccontato.
No, ero decisamente più che sconvolta.  -  E questo sarebbe seguire le normali procedure di routine? No, non posso crederci. Mahone ha freddato un ragazzino di 20 anni. Che intenzioni ha? Catturare gli evasi o farli cadere tutti come birilli?
  • Doveva pur difendersi, quel ragazzino voleva sparargli.
  • Questo secondo la sua versione, immagino.  -  sbottai arrabbiata.
  • Non gli credi?
  • No, assolutamente no.  Non riesco ad immaginare David prendere la pistola di un poliziotto per sparargli, lui non era un assassino… scommetto che non sapeva neanche come usarla una pistola. No… non è giusto. So che quegli uomini sono colpevoli e dovrebbero tornare a Fox River, ma Mahone li sta sterminando e non è giusto.
All’improvviso mi resi conto che l’espressione sul viso del mio patrigno era cambiata. Teneva ancora gli occhi serrati sulla strada, ma gli angoli della bocca adesso erano tesi verso il basso e la sua postura si era di colpo irrigidita.
  • Se quegli uomini fossero rimasti al loro posto, tutto questo non sarebbe successo.  -  iniziò duro, cercando il più possibile di moderare la voce.  -  Quei delinquenti si trovavano dentro per una ragione e, per quanto io non nutra una particolare simpatia per Mahone, apprezzo che si stai impegnando tanto in questa causa.
  • Quel ragazzino al quale quello “stinco di santo” ha sparato senza pietà era stato condannato per uno stupido furto. Non meritava certo di morire per questo.  -  replicai stizzita.
  • No, non lo meritava, però se fosse rimasto al suo posto a scontare la propria pena, adesso sarebbe ancora vivo. Mi dispiace Gwen, ma nella vita si fanno delle scelte e la scelta che è stata fatta da quei ragazzi non può essere giustificata. Tra loro ci sono dei criminali che potrebbero fare del male, quel tale… Bagwell, ha già ucciso una persona e aggredito altre due a distanza di una sola settimana dall’evasione e se… se penso che tu sei in qualche modo coinvolta in tutto questo…io…
Ecco qual era il problema. Non c’entravano gli evasi, il problema ero io. 
  • Adesso siamo soli Keith.  -  Si doveva arrivare a quel chiarimento prima o poi, lo sapevamo entrambi.  -  Almeno che Mahone non abbia fatto impiantare delle cimici nella tua auto o tra le cuciture dei miei vestiti, non credo che qualcun altro possa sentirci, quindi forza e coraggio. Puoi chiedermelo.
L’uomo si voltò un momento per guardarmi negli occhi, prima di tornare a fissare la strada.
  • Purtroppo credo di sapere già la risposta.  -  borbottò.
  • Chiedimelo lo stesso.  -  Non si decideva a parlare.  -  Keith, chiedimelo!
  • D’accordo.  -  Prese un respiro.  -  Hai aiutato quegli 8 detenuti ad evadere?
Aveva quello stesso, inconfondibile tono del padre arrabbiato che scopre il figlio con della marijuana nel cassetto e gli chiede se è sua.
Volevo essere sincera con Keith. Lui non era il mio vero padre, ma avevo imparato a volergli bene come se lo fosse. La verità gliela dovevo.
  • Si, l’ho fatto.  -  risposi senza rimorsi.  -  Ho mentito. Sapevo cosa avevano in mente di fare e li ho aiutati. Mi dispiace Keith. So che sei deluso e arrabbiato, ma resta il fatto che un uomo innocente stava per essere ucciso e io non potevo permetterlo.
Contai esattamente due minuti e mezzo di silenzio prima che una brusca frenata bloccasse all’improvviso l’auto, facendo stridere le gomme contro l’asfalto. Per un pelo la mia faccia non si ritrovò spiaccicata sul parabrezza.
  • Hai davvero aiutato quei tizi ad evadere?!!  -  sbraitò in preda ad una rabbia assassina che mi fece trasalire.  -  Non solo hai scoperto cosa stavano architettando e te ne sei rimasta zitta, ma hai addirittura contribuito a rimetterli in libertà? Non ci posso pensare. Quindi tutto quello che ha detto quel poliziotto è vero… Oddio Gwyneth!!!  -  In pieno sfogo, Keith prese a colpire il volante dell’auto con entrambe le mani. Era a dir poco imbestialito.  -  Non ho mai obiettato nulla sulle tue scelte, non ti ho mai imposto le mie decisioni e ho persino accettato quella stupida idea che venissi ammessa in una sezione maschile di detenuti, e tu mi ripaghi così? Mentendomi per far evadere dei criminali? Cristo Santo, io sono stato un funzionario della legge fino a qualche anno fa, lo sai che sarei obbligato ad avvertire le autorità e denunciarti per favoreggiamento e concorso in evasione?!
Per tutto il tempo rimasi in silenzio, mentre Keith si sfogava, imprecava e continuava a ripetere inesorabilmente le stesse cose. Per dieci minuti o giù di lì non fece altro che prendersela con me. Dopodiché se la prese con se stesso, con gli evasi, con la sfortuna, per poi tornare a prendersela con se stesso per aver acconsentito a parlare con Pope del mio ingresso a Fox River e con me, per essermi lasciata impietosire da Lincoln Burrows. Ogni tanto rispondevo con qualche “Hai ragione” e anche “Si, lo so”, ma per il più del tempo in quello stretto abitacolo si sentirono soltanto le urla e le imprecazioni del mio patrigno tanto che, dopo più di un’ora, eravamo ancora fermi sul ciglio della strada poco fuori da Joilet.
  • Va meglio?  -  chiesi, quando mi resi conto che il silenzio era tornato e che l’uomo accanto a me aveva esaurito le sue corde vocali.
  • Non direi proprio. Dovrei raccontare tutto a tua madre. Se sapesse quello che hai fatto…
  • … mi lascerebbe marcire in una cella desolata per il resto dei miei giorni.  -  lo precedetti.
Keith non si lasciò impietosire.  -  E’ quello che dovrei fare anch’io.  -  bofonchiò, guardando dritto davanti a sé e sforzandosi questa volta di tenere a bada la rabbia.  -  Io ci provo a mettermi nei tuoi panni e lo so, eri spinta da buone intenzioni verso quell’uomo, ma ti sei resa conto che col tuo gesto hai contribuito a rimettere in libertà anche degli assassini?
  • Solo tre di loro, dei quali uno è morto.
  • E vogliamo parlare di quello che hai fatto a Henry? Lui ti ha accolto nel suo carcere perché ero stato io a chiederglielo. Ha cercato di venirti incontro, di concederti delle precauzioni per preservare la tua incolumità e tu in cambio lo hai minacciato.
  • Se può farti sentire meglio posso dirti che Pope non è stato licenziato per avermi permesso di vedere Burrows quella volta.
  • Non è questo il punto! Quell’uomo ha cercato di aiutarti, io ho cercato di aiutarti e che cosa abbiamo ricevuto in cambio? Menzogne e minacce?
  • D’accordo, mi dispiace, ok? Mi dispiace immensamente.  -  sbuffai, incrociando le braccia al petto.
Quel discorso mi era stato ripetuto più che a sufficienza.
  • E poi c’è la questione relativa a Mahone. Per il momento non ha scoperto nulla di concreto sul tuo coinvolgimento nell’evasione, ma il fatto che abbia dei sospetti è preoccupante. Dobbiamo solo sperare che quel dannato federale perda per la strada un po’ della propria perspicacia e che la caccia agli evasi lo tenga occupato per il resto della vita. A proposito, chi sa del tuo coinvolgimento in questa storia? Nel caso qualcuno voglia provare ad incastrarti, dobbiamo tenerci pronti.
Keith aveva ragione. Il fatto che fossi stata attenta a nascondere le mie tracce non significava che fossi fuori da ogni sospetto. Chiunque conoscesse la verità rappresentava un pericolo.

Ci riflettei un momento.  -  Tutti i detenuti coinvolti nell’evasione sanno che ho collaborato e che ero a conoscenza dei fatti. So che cosa stai pensando: pur di assicurarsi un compromesso al posto della prigione, ognuno di loro potrebbe decidere di fare il mio nome. Ma al momento gli unici che mi preoccupano sono Bagwell e C-Note. C’è da sperare che quei due non vengano mai presi perché non ci penserebbero due volte a tirarmi in ballo.
 
Vidi Keith sprofondare sul sedile con un sospiro.  -  Ok, ti viene in mente qualcun altro? Pensaci bene Gwen, è molto importante.
  • Solo Charles Westmoreland e Manche Sanchez. Sono i due uomini che non sono riusciti ad evadere insieme agli altri. Manche è l’unico di cui preoccuparsi, anche se fino ad ora non ha parlato.
  • Beh, non significa che non potrebbe vuotare il sacco in futuro. A tempo debito ce ne occuperemo, per il momento non vale la pena bagnarsi prima che piova. Sarai anche scapestrata, irresponsabile e irriconoscente, ma sei pur sempre mia figlia.
Gli sorrisi grata.  -  Grazie Keith.
 
Dopo un po’ rimise in moto senza aggiungere altro e con una manovra sicura puntò di nuovo verso l’autostrada. 
  • Keith, c’è un’altra cosa che devo dirti.  -  dissi qualche minuto più tardi.
L’uomo, subito prevenuto, mi lanciò un’occhiataccia.  -  Che altro c’è?
  • Tranquillo, le notizie sconvolgenti sono finite. In realtà si tratta del nostro viaggio di ritorno… spero che tu non te la prenda, ma io avrei deciso di non tornare a casa con te… si, vorrei tornare a Los Angeles.
  • E per quale motivo?
  • Devo tornare a vivere la mia vita prima che tutto questo iniziasse, prima di Fox River, del caso delle intercettazioni e tutto il resto. Ho bisogno di tempo, ho bisogno dei miei spazi e di starmene un po’ per conto mio, capisci?  -  Con la testa appoggiata al sedile, fissai il tettuccio dell’auto cercando le parole più giuste da dire.  -  La verità è che ho fatto un errore e solo adesso me ne rendo conto. Non avrei dovuto chiederti di intercedere con Pope per me, non sarei dovuta finire a Fox River. Sono stata una stupida Keith, non avevo idea che sarebbe stata così dura… in quel posto ho vissuto l’inferno…
  • E’ proprio per questo che non puoi restare da sola. E’ stata un’esperienza traumatica, hai bisogno dell’aiuto di qualcuno.
  • No, ho bisogno di ricominciare senza avere intorno persone che mi ricordino dove ho trascorso gli ultimi 2 mesi della mia vita.
  • E devi farlo proprio in California?
Bastò il tono provocatorio a farmi intuire cosa stesse pensando.
  • Perché no?
  • Sicura che questa decisione non abbia qualcosa a che fare con quei delinquenti che ti sei lasciata alle spalle? Se vuoi tornare a Los Angeles per frequentare il college mi sta bene, ma sappiamo che gran parte degli evasi adesso si trova a ovest, perciò se per caso hai intenzione di incontrare qualcuno di loro o ti aspettano da qualche parte convinti di riorganizzare una rimpatriata…
  • Keith, la mia decisione non ha nulla a che fare con quegli uomini, te lo giuro. Ho chiuso con questa storia.
Era una mezza verità, ma per il momento sarebbe andata bene. In realtà, contavo di raggiungere Michael in Messico una volta che le acque si fossero acquietate e la faccenda evasione si fosse sgonfiata un po’, però non avevo mentito sul voler tornare in California per rimettere in sesto la mia vita. Non avevo nessunissima intenzione di rintracciare gli evasi per finire di nuovo nei guai.
  • Mmm…non so se devo crederti.  -  sbuffò.
  • Dico sul serio. Basta evasi, basta Lincoln Burrows, basta cospirazioni governative e vendette personali. Basta tutto. Benvenuta nuova Gwyneth, studentessa modello, ragazza assennata e figlia obbediente.
Keith sollevò un sopracciglio nella mia direzione. Non sembrava molto convinto.
  • Ehi, so che non ti ho dato molti motivi per fidarti, ma questa volta ti sto dicendo la verità.
  • Davvero?
  • Puoi scommetterci.
  • Bene, allora mi assicurerò che tu salga sull’aereo giusto e che possa giungere sana e salva Los Angeles, così potrai cominciare a dare fastidio a qualcun altro.
A quelle parole, sorrisi soddisfatta e gli gettai le braccia al collo per dimostrargli quanto fossi felice che avesse capito e che non se la fosse presa per la mia decisione di non tornare nell’Illinois con lui.
  • Piantala, adesso basta esultare.  -  borbottò, sgusciando dal mio abbraccio.  -  Gentilmente questa volta vedi di non fare danni. Non mettermi nella condizione di decidere se farti interdire o meno, perché ti giuro che la prossima volta che combini un simile casino lo farò.
  • No, non lo farai.  -  ribattei, rimettendomi al mio posto.
  • Si invece.
  • No invece.
  • Lo farò.
  • Non lo farai Keith, mi vuoi troppo bene e te ne voglio anch’io.
  • Ti farò interdire, ci puoi scommettere.
Avevamo fatto pace, questo era l’importante. Non riuscivo quasi a crederci, ma ero finalmente libera e molto felice di esserlo.
   
 
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