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Autore: Eppol    08/03/2017    0 recensioni
E’ possibile che due mondi totalmente opposti, contrari e inversi possano mostrarsi invece più che compatibili?
C’è chi dice che chi si assomiglia si piglia, ma c’è anche chi dice che gli opposti si attraggano.
A questo punto, le domande sono molteplici, i dubbi infiniti, e quindi non ci resta che guardare.
Sederci, metterci comodi e aspettare che tutto abbia inizio, sperando che niente abbia mai una fine.
Melanie ha 18 anni appena, e frequenta l’ultimo anno di liceo classico. E’ una ragazza attenta e perspicace, sempre pronta ad affrontare qualsiasi situazione.
A mettere in dubbio le sue scelte future è Cameron, 27 anni, insegnante di Storia dell’arte alle prime armi e alle prese con una classe più che numerosa e con il fin troppo ricorrente profumo di cannella.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO 6 - JENICE.


Voglio fare una piccola premessa, poi ci vediamo a fine capitolo.
Mi piacerebbe ascoltaste questa canzone, mentre leggete il capitolo.
La adoro, e la adora anche Cameron, o forse la odia.
Resta di fatto che è stata la colonna sonora di buona parte della sua vita.

https://www.youtube.com/watch?v=zLzturC1ZeE


Quando rientrò a casa, Cam era davvero stanco.  
Una volta accompagnata la sua alunna a casa era andato al ristorante e subito dopo ad un bar in zona.  

Era rimasto insieme ai ragazzi fino alle 4:00 circa, ed era davvero
stato contento di averli trovati perfettamente uguali a qualche anno prima.  
Quando si stese sul letto a due piazze iniziò a pensare alla serata.  

Chi si aspettava che potesse accadere una coincidenza simile? Che potesse incontrarla in quel ristorante con quell'abito e quell'aria da donna.  

Un po' rimase scioccato nel vederla così: Aveva abbandonato le sue scarpe e i suoi vestiti comodi, era costantemente priva di qualsiasi traccia di trucco, i suoi capelli erano sempre sciolti e in disordine... Ed invece quella sera se l'era trovata così bella davanti.  

Non che di solito non fosse bella, precisiamo.  

Solo che era troppo piccola per lui, troppo infantile per poterle piacere, o almeno questo era ciò che pensava.

Sapeva di aver commesso un errore madornale quando l'aveva baciata, entrambe le volte, ma fu più forte di lui. Non voleva illuderla, portarsela a letto o averci una storia. Semplicemente aveva dato voce al suo istinto che mai prima di allora, per cinque lunghi anni, gli aveva suggerito di provarci con qualcuna.

Si rendeva conto che ciò che faceva era pericoloso, avrebbe perso il posto di lavoro, sarebbe risultato come un depravato, e proprio per questo decise più volte di stargli lontano.

Ogni volta che la vedeva però, ogni volta che quell'odore prepotente entrava nei suoi polmoni, ogni volta che lei lo guardava e lui ricambiava, tutte le sue
premesse crollavano.

E di così per l'intera settimana, e quella successiva anche.

Lei lo guardava, lui la guardava.  

Lui la cercava, lei si faceva trovare.  

Si rincorrevano con lo sguardo: In aula, in cortile, al bar della scuola, nei corridoi.  

Ma mai più uno scambio di battute, se non quelle dovute all'interrogazione alla quale la signorina Turner andò più che bene.  

Le mise nove, ma non perché fosse bella e in confidenza, semplicemente perchè lo meritava.

Non si era fatta tradire dall'ansia nemmeno per un istante, non aveva lasciato che il loro trascorso influis
se sulle sue capacità espositive, non aveva permesso al suo professore di metterla in difficoltà per nemmeno un secondo.
Però lui non le aveva più rivolto la parola, tantomeno lei.

Ad entrambi bastava guardarsi e sorridersi, il resto era di contorno.  

Durante l'interrogazione Cameron aveva pensato più volte a quel bacio, alle sue labbra morbide e alla sua mano intrecciata alla sua.

Aveva interrogato poi Cooper ed aveva provato a guardarla non come insegnante ma come uomo.  

Aveva un bellissimo corpo da donna, capelli sempre ordinati e trucco impeccabile...  Ma non gli piaceva.  

Non riusciva a guardarla come una possibile donna da corteggiare, da portare a letto o semplicemente da baciare.  

La vedeva come una semplice mocciosa con un seno prosperoso e un bel visino.  

Allora aveva provato a soffermarsi su altre sue studentesse.  

Per un attimo pensò che quello dell'insegnante non era un ruolo adatto a lui, visto che perdeva la testa per le sue alunne, ma dovette ricredersi dal momento in cui non provò praticamente nulla osservando quelle ragazze.  

Se non con lei.

E allora capì di essersi irrimediabilmente preso una sbandata per quella ragazzina.

Voleva parlarne con qualcuno, ricevere consigli. Qualcuno che gli avrebbe fatto tranquillamente notare che era un coglione e che si stava mettendo nei guai, ed il suo pensiero andò diritto su di lui.  

 Erano le 22 di venerdì sera, era pronto per uscire con Abram e due ragazze che avevano incontrato il centro la mattina precedente.  
Ci sapeva fare con le ragazze, ed insieme a Cameron e ad Abram ne aveva conquistate più di quanto credesse.  

Tra i tre era quello più spigliato, quello più diretto e sfacciato. Non era uno di quei ragazzi belli da togliere il fiato, non aveva niente di particolare, niente di diverso.  

Semplicemente era maledettamente attraente.

Era a conoscenza del fatto che alle donne faceva un certo effetto, e proprio per questo sapeva come giocare con loro.  

Non si era mai impegnato con nessuna, non aveva mai dato il suo numero ad una donna ed aveva sempre fatto in modo di non rivedere mai la stessa ragazza due volte, mettendo in chiaro sempre fin da subito che non cercava relazioni.  

Quella sera si sarebbe portato a casa quella bella ragazza dai capelli
biondi, l'amica l'avrebbe lasciata ad Abram.
Ma proprio mentre pensava alla serata che si prospettava più che soddisfacente, il telefono squillò.

"Cam, fai presto che sto per uscire. Vuoi venire?" Chiese allacciandosi la cinta in pelle e tenendo il telefono tra la spalla e l'orecchio.  

"No, Tony. Perché non vieni da me? Ho le pizze." Sentì nella voce dell'amico una supplica sottintesa.

Tony sbuffò "Dai, Cameron. C'ho una puntata da giorni!" Ammise, infilandosi il portafoglio in tasca.

Si aspettava che Cameron cedesse o che gli chiedesse come fosse la tipa, così come aveva fatto sempre, ma restò in silenzio per qualche istante.  "Ho anche le birre." provò nuovamente.  

Ok, c'era qualcosa che decisamente non andava.

Non era il tipo da restare a casa il venerdì sera, tantomeno da rifiutare un uscita o costringere un amico a fargli compagnia a casa sul divano.  

Anthony sbuffò un'ennesima volta, poi sbottonò il primo bottone della camicia e si sedette svogliatamente sulla poltrona.  

"Che succede, Cameron?" chiese preoccupato.

Non lo vedeva così da troppo tempo.

L'amico però non sembrava intenzionato a dirglielo, e quindi Tony finse di arrendersi.  

"Da te tra mezz'ora, va bene?" chiese prima di staccare il telefono.

Si sfilò la camicia e indossò una semplice maglia rossa a maniche lunghe.

 Alle 22:20 era già fuori casa di Cameron, la porta era socchiusa e si decise quindi ad entrare senza bussare.
Infondo, casa di Cameron era come casa sua.
 E in passato lo era anche stata. Sapeva perfettamente dove teneva le chiavi di riserva, dove aveva i risparmi e il codice dell'allarme.
Conosceva a memoria l'ordine dei libri sugli scaffali, il numero esatto di penne nella tazza sulla scrivania e la posizione di ogni cornice sul mobiletto ad angolo.  

C'era una foto che ritraeva i tre felici.  
E poi c'era quella foto. Quella più bella, l'unica posizionata frontale rispetto all'entrata, l'unica sempre senza traccia di polvere. Chissà quante volte la guardava, la spostava, la toccava.  
Chissà quante volte pensava a lei, forse tante quante quelle in cui
era lui a pensarla.  
Ossia di continuo. Non c'era attimo in cui non le tornava in mente, tutto sapeva di lei.  

Tutto in quella casa era stato toccato da lei, così come tutto nella loro casa le apparteneva.

Il suo ricordo veniva a bussare alla sua porta ogni notte, anche mentre dormiva. Il suo sorriso illuminava ogni suo sogno, la sua risata risuonava cristallina nella sua mente.  

Un groppo in gola, le mani sudate, gli occhi lucidi.  

Era lì per consolare Cameron, non per lasciarsi tirare su da lui.  

Si fece forza ancora una volta e scacciando quella brutta sensazione salì le scale che lo portavano alla sua camera.  

 "Dai, Anthony! Non puoi finire la tua pizza e mangiare anche la mia!" esclamò esasperato Cameron guardando la fetta di pizza che veniva velocemente divorata da quel forno umano.  
Come aveva previsto era corso subito da lui. Aveva capito che c'era qualcosa che non andasse, ma Cameron non sapeva proprio come iniziare a parlarne.  

Dirgli che semplicemente era interessato ad una ragazza era troppo banale, e aveva paura che il suo amico la prendesse non propriamente bene, vista l'età della ragazza in questione.

Per questo decise di rimandare il discorso a dopo il film che stavano guardando.

Però Tony non sembrava voler rinunciare a sapere cosa passasse per la testa del suo migliore amico, e quindi prese a parlare.  

"Senti Cam... Se è per Jenice,  lo sai che puoi sempre parlarmene.. " Azzardò guardandolo diritto negli occhi.  

Cameron sobbalzò leggermente e sc
osse piano la testa. "No, non è di Jenice che voglio parlare.." deglutì. "Ho conosciuto una ragazza, Tony."
Gli occhi del biondo si illuminarono di gioia.  

Non sentiva pronunciare quelle parole da anni, non credeva nemmeno fosse più possibile che lui si interessasse ad un' altra.

"Dio, amico!
 E me lo dici così?" si posizionò più comodo sul divano, i popcorn sulle gambe e lo sguardo di un bambino che ha appena ricevuto il regalo che
desiderava.  

"Ha 18 anni. Sono nei casini... È una mia alunna." sputò tutto di getto, quasi come se quelle parole lo stessero mangiando da dentro.  

Il suo sguardo era basso, le sue mani si torturavano l'una con l'altra.  

Anthony rimase in silenzio. Ecco, stava per succedere.  

Stava per ricevere quelle parole che tanto aspettava. Gli avrebbe dato del coglione, stupido, imbecille e persino immaturo. Gli avrebbe detto che avrebbe perso il lavoro, che avrebbe rovinato la vita di quella ragazza e anche la sua.

"È fantastico." disse semplicemente.

Cosa, fantastico?  

Il fatto che fosse un depravato o che fosse un vigliacco? Cameron rimase a bocca aperta, voleva dire qualcosa ma proprio non sapeva cosa.  

"È fantastico che tu ti stia legando a qualcuna. Sì è piccola, sì è una tua alunna. Ma è maggiorenne e tra un po' non sarà nemmeno più una studentessa."

Lo stava incoraggiando. Cazzo!  Non erano quelle le parole di cui aveva bisogno, non così che lui si sarebbe staccato da lei e dal suo profumo.
 Ma in cuor suo si sentiva sollevato. Forse, in realtà erano quelle le parole di cui aveva tanto bisogno.
Cameron gli parlò di lei, di quei baci, del suo profumo, delle sue mani. Gli parlò di quella sera e del suo abito, delle sue labbra e del suo reggiseno nero.  

Ci tenne a specificare che non era nemmeno lontanamente cotto di lei, che la sua era semplice attrazione e curiosità, e lui sembrò capire tranquillamente.  

Quando Tony andò via, verso le 02:00, Cameron si sentì decisamente più sicuro e meno preoccupato.

"Ragazzi, lo dico esclusivamente per voi. Tra poco sarà Natale, da gennaio in poi la vostra attenzione andrà tutta sulle materie da recuperare, e i vostri voti positivi si azzereranno. Il programma del secondo quadrimestre è duro, non prendete sotto gamba questo quinto anno. Entro la settimana prossima, massimo per il 18, pretendo che tutti abbiate una mappa concettuale dove mi esponente almeno i collegamenti che volete fare per la vostra tesina." Parlò tutto d'un fiato, Cameron.
Non voleva fare nessuna paternale, né tantomeno mettere loro ansia; Voleva semplicemente aiutarli e prepararli.
Molti di loro iniziarono a dire che avevano già pronto tutto, che i collegamenti erano una sciocchezza, altri pensarono bene di dire che la tesina non l'avrebbero proprio portata.
 "Troppo sbatti" a detta loro.
Li guardò uno ad uno, e negli occhi di tutti, compresi quelli che si fingevano poco interessati, scorse un sentimento che personalmente conosceva benissimo: L'ansia. Non dell'esame, quello era solo una circostanza. L'ansia di crescere, di iniziare una nuova vita, di staccarsi dai compagni di sempre con la quale si è cresciuti e iniziarne a frequentare di nuovi, in un ambiente totalmente differente come l'università o il lavoro.

L'ansia di lasciarsi andare, di spingersi a vivere davvero, lontano dalla scuola. L'ansia di essere consapevoli che non si è più piccoli, ma adulti. Adulti che non potranno andare più dalla madre a chiedere aiuto, economico e non, che non potranno più uscire tutte le sere con gli amici o con il fidanzato, che non avranno più la spensieratezza di un tempo. Adulti che dovranno pensare al loro futuro, perché il tempo dei giochi finiva lì. Oppure era lui che era cresciuto troppo in fretta. Che non aveva mai avuto una madre ad aiutarlo, non era mai stato spensierato e che aveva imparato a vivere con mille preoccupazioni. Che piccolo non lo era mai stato, che il tempo dei giochi era finito senza mai iniziare.
Forse era lui che aveva avuto più paura di finire la scuola che di un esame, perché questo implicava non avere più scusanti per non prendere la propria vita tra le mani, per cambiare. E lui un cambiamento lo fece, uno drastico. A 19 anni, undici mesi dopo il diploma al liceo classico, Cameron prese in mano le redini della sua vita. Non aveva più un padre a cui badare, una madre a cui annuire, non aveva più un fratello da invidiare. Il maggio del 2009, tra insicurezze e i primi rimpianti, Cameron lasciò casa dei suoi.
Trovò un appartamento in centro, vicino alla scuola dove insegnava attualmente, e ci si trasferì. Con i pochi soldi che aveva racimolato riuscì a vivere autonomamente per tre mesi e mezzo, poi ad inizio settembre affondò letteralmente.
Tony e Jenice lo aiutarono, e insieme i tre presero una casa più grande, un po' più lontana dal centro. La sua attuale casa, quella in cui ha lasciato entrare una sua alunna. I tre stettero insieme per un anno, fino ai 20 anni di Jenice, l'estate successiva. Li lei si ammalò gravemente, leucemia. Le caddero pian piano tutti i capelli, la sua chiamata nera scomparve. Il suo sorriso si spense, le sue mani si fecero sempre più fredde.

Arrivò il momento in cui i tre dovettero separarsi, Jenice in ospedale, Tony -sotto richiesta di Cameron- a casa di quella che era allora la sua ragazza, più grande di loro di 7 anni. Doveva svagare. Vedere tutti i giorni sua sorella star male, e morire, non era ciò che poteva aiutarlo con gli studi e con la sua vita. Valerìa, una barista di origini polacche, abitava in periferia, lontanissima da dove Tony aveva trascorso gli ultimi anni. Quando Jenice morì, Cameron era solo. Era seduto sul divano a guardare un film senza seguirlo, quando ricevette la chiamata di Tony. Tony piangeva, senza versare una lacrima, ma piangeva. Lo senti a dal suo tono, da come le mano gli tremavano quando Cam raggiunse l'ospedale. La malattia l'aveva sconfitta, aveva vinto.
Jenice aveva smesso di lottare dopo un anno. Un anno di agonia, un anno di pianti, di finti sorrisi e di parrucche nere. Un anno di sofferenza, per Anthony, per Jenice e per Cameron. I tre che erano inseparabili, i tre che erano sempre stati insieme fin da quando avevano 15 anni e i due fratelli si avvicinarono a quel ragazzo così silenzioso e seduto in disparte. I tre che vissero insieme, che affittarono quell'enorme appartamento per sentirsi più indipendenti e vivi. I tre, quella sera, si separarono. La prima ad andarsene fu Jenice, il secondo Cameron. Tony restò sempre lì, ad aspettare che il suo amico tornasse, per un abbraccio, per uno sfogo. Ma Cameron per tre mesi non uscì di casa. I genitori, per provare a comprare un po' della sua felicità gli regalarono un auto e la casa nella quale abitava.
Ma non servì a nulla. Non aveva senso quella casa senza Jenice. Non aveva senso quell'auto senza Jenice. Non aveva senso la vita senza Jenice.

Tony però non si lasciò abbattere, tranne che nei primi mesi. Valerìa partì per le Polonia dopo che Tony scoprì che era madre di due gemelli nella città natale.
Non aveva più nessuno Tony, se non i suoi ricordi. Però c'era ancora Cameron, ed insieme promise che sarebbero tornati quelli di prima. Tutto cambiò ai suoi 22 anni. Tony e i compagni delle scuole superiori pensarono bene di fargli una sorpresa.

Molti si chiedevano com'è che Anthony fosse così.. Ancora vivo. Ma la risposta era semplice "Vivo per Jenice." e da allora nessuno chiese più nulla. Vivere per Jenice significava essere i suoi occhi, il suo corpo. Attraversare ostacoli e imbattersi in nuove avventure per far vedere a Jenice cosa si era persa arrendendosi. In realtà quella era solo una scusa per convincere Cameron a tornare quello di prima. Quella sera i suoi compagni di classe gli regalarono una torta su cui c'era scritto "Vivi." e Cameron pianse. Pianse davanti a Stefanie, la ragazza che gli piaceva i primi anni di liceo, pianse davanti agli amici con cui faceva baldoria in classe, pianse davanti a quelli che lui chiamava secchioni, pianse davanti a suo fratello Tony, e pianse davanti alla sua amata Jenice. Quel pianto aveva nascoste tante parole non dette, pensate, massacranti, malinconiche. Tutti sapevano che quelle parole erano per Jenice, e lei le sentì.

Da allora Cameron Carter rinacque.


Angolino
~
Allora, mi scuso subito per non aver pubblicato per due settimane, sono stata a letto malata e non sono riuscita a combinare niente con il pc ç_ç
Almeno però mi sono portata molto avanti con la storia, e ho scritto più o meno altri due capitoli che conto di pubblicare in settimana, per fami perdonare u.u
Stavolta,sempre causa forze maggiorni, non ho portato nemmeno un disegno, e spero di riuscirne a fare almeno uno per il prossimo capitolo.
Adesso sapete di Jenice. Conoscete il passato di Cameron, conoscete Tony e il suo buon cuore (Di cui scriverò sicuramente qualcosa!)
Spero che vi piaccia quanto avete letto, a presto!
Bacini baciotti :*

  
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