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Autore: AnyaTheThief    08/03/2017    1 recensioni
Si conclude con quest'ultima parte la saga di Crossed Lives. Finalmente potrete dare risposta alle domande che ancora erano rimaste aperte dai capitoli precedenti. In un viaggio tra vite passati e presenti, ecco l'ultimo moschettiere affrontare i fantasmi del XVII secolo in un mondo totalmente nuovo. Il suo primo incontro con la vita passata sarà qualcosa di inaspettato.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Athos, Porthos, Queen Anne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non c’era molto che Porthos potesse fare da quella cella, ma ogni volta che la guardia se ne andava, bisbigliava una domanda all’altra prigioniera. Presto però si rese conto che era troppo rischioso continuare a parlare in quel modo del complotto ai danni del Re. Chiunque avrebbe potuto sentirli. Così iniziò a farle altri tipi di domande.

“Come stai?”

“Come sei finita qui?”

“Quando uscirai?”

Lei continuava a non rispondere, ma lui poteva vederla dal suo angolo, mentre si aggrappava alle sbarre e lo fissava coi grandi occhi verdi, pensierosa ed imbronciata.

All’ennesima domanda a vuoto, Porthos tirò un sospiro.

“Va bene, non importa. Dopotutto, hai già fatto abbastanza per me...” sorrise, malinconico. Si chiedeva continuamente se Milady sapesse tutto ciò che stava passando per aver indagato su Cinq-Mars, e se a questo punto avesse già mandato un dottore da Josèphine.

Le ore passavano, crudelmente piatte e silenziose. L’ansia rodeva lo stomaco di Porthos, incapace di mandare giù un boccone o di dormire, mentre faceva avanti e indietro nella sua cella o si sdraiava massaggiandosi le tempie per alleviare il mal di testa provocato dai troppi pensieri.

Ad un tratto, udì un clangore inaspettato. La nuova guardia era appena arrivata, ma qualcuno in cima alle scale aveva aperto di nuovo la porta e stava scendendo i gradini.

Il Moschettiere scattò in piedi appena in tempo per vedere Athos scendere le scale. Aveva una mano fasciata, e le bende erano coperte di sangue. Fissò Porthos per un lungo istante, prima che la guardia si interpose tra di loro. Nella mano non ferita stringeva un documento che porse al soldato, non appena gli si parò davanti. Poi tornò a guardare Porthos. Aveva un che di rassicurante, ma notò un certo tentennamento nel cenno che gli fece col capo.

Il soldato non proferì parola, ed aprì la cella di Porthos. Quindi era finita? Era libero di andare? Istintivamente si voltò verso l’altra cella. Che ne sarebbe stato di lei? Ma non poteva dire una parola davanti ad Athos, o avrebbe dovuto raccontargli tutto. Vide per l’ultima volta una ciocca di capelli rossi sparire dietro le sbarre, e si avviò su per la scala verso la libertà.

“Sono contento di vederti vivo.” disse, non appena fuori dalla Conciergerie.

“Ci è mancato poco. Quell’omuncolo di Cinq-Mars… Chi se lo aspettava?” scosse il capo stizzito, forse per non aver intuito lui stesso che qualcosa non andava, prima che Porthos glielo dicesse. “Aveva anche un piano ben studiato… Ha tentato di piazzarmi addosso la boccetta di veleno che il Re avrebbe dovuto bere. Una dose non sufficiente per ucciderlo, ma abbastanza per lasciarlo forse menomato. Pensava che fingendo di smascherare il colpevole, sarebbe stato ricompensato…”

“Scommetto che non era solo quello il suo obiettivo. Voleva screditarti. Perché proprio te, altrimenti? Scommetto che c’è Marcheaux sotto tutto questo.”

“Non possiamo provarlo per ora. Non so come diavolo tu abbia fatto...” iniziò, ma Porthos lo interruppe.

“Non è importante adesso. Devo sbrigare un paio di faccende urgenti. Spero che nel frattempo nessun altro attenti alla tua reputazione.” lo prese in giro, giusto per mascherare la sua reale preoccupazione.

Athos non sembrava molto convinto, ma annuì, con il suo solito broncio e gli occhi tristi. Porthos gli piazzò una manata amichevole sulla spalla e si allontanò, il cuore in gola, lo sguardo cupo.

Imboccò gli stretti vicoli della Corte dei Miracoli appena poté, e presto si ritrovò davanti a casa di Flea. Cercò di calmarsi, invano. Provò a controllare il respiro affannoso, ma non poteva aspettare un attimo di più.

Bussò alla porta. Quando si aprì, si rese conto che non c’era nessuno all’altezza dei suoi occhi, quindi abbassò lo sguardo per vedere una bambina minuta e debole sfoderare un grande sorriso in sua direzione.

“Josèphine!” esclamò, prendendola in braccio. “Lo sapevo… Lo sapevo...” e la fece volteggiare in aria, mentre lei rideva divertita, quella risata che ormai Porthos non sentiva più da molto tempo…

Ma infine si ritrovò di nuovo davanti a quella porta, chiusa, la mano a mezz’aria, indecisa se battere sul legno.

Se quella era la sua aspettativa, forse avrebbe dovuto ridimensionarla. Non era in una favola, era a Parigi. E a Parigi i bambini morivano in continuazione, senza che nessuno si curasse troppo di loro. Deglutì, ma quando si decise finalmente a bussare, una voce alle sue spalle glielo impedì.

“Te lo risparmio.”

Si voltò per vedere Milady venire verso di lui.

“Tu…!” scosse il capo, maledicendola per essere una donna: avrebbe voluto strozzarla in quel momento, nonostante avesse appena salvato la vita di Athos. “Non credi di aver tralasciato qualche informazione, quando mi hai detto che Cinq-Mars era amico ‘intimo’ del Re?” domandò indispettito.

“Avevo soltanto dei sospetti, non ne ero certa.”

Quando stava per replicare, Porthos finalmente elaborò la prima cosa che le aveva sentito dire.

“Cosa… Cosa vorresti risparmiarmi?” le chiese, non sicuro di voler udire la risposta.

Milady sospirò, guardandolo con una certa pietà. Aveva già letto nei suoi occhi tutto ciò che c’era da dire, ma voleva sentirlo, voleva esserne completamente sicuro, voleva farsi del male.

“Il dottore è arrivato due giorni fa. Ma anche se fosse arrivato una settimana prima, non ci sarebbe comunque stato niente da fare. Il vaiolo era in forma maligna, diversa da quella che...” si interruppe, resasi conto che Porthos non era più con lei. Vagava con la mente in un luogo remoto, lontano da lì; una realtà parallela, ma stranamente razionale, che non riusciva ad incolpare nessun altro se non il destino per quella fatalità.

Aveva perso Josèphine, ma era un pensiero che andava al di là di quanto potesse concepire la sua mente. Tornò indietro, nella prigione, si rinchiuse nella cella a spiare le ciocche di capelli rossi e a camminare ossessivamente in quel buco sottoterra. “La ragazza...” biascicò, con una strana calma. “La ragazza in prigione...”

“Liz.” disse Milady. “Sarà presto libera.” aggiunse con sicurezza.

“E’ stata lei a dirmelo… A dirmi che volevano incastrare Athos. L’ha salvato.”

Milady sogghignò. “Se non si fosse fatta cogliere con le mani nel sacco da Cinq-Mars, dopo tutto il tempo che ha passato fingendo di amarlo, non avrei avuto bisogno del tuo aiuto.”

Porthos la guardò confuso e un po’ sconcertato. La stava incolpando, dopo tutto ciò che aveva fatto per lei? Il Moschettiere non aveva idea che avesse dovuto passare mesi come amante di Cinq-Mars, prima di farsi incastrare; se lo avesse saputo, l’avrebbe sicuramente aiutata ad uscire immediatamente.

“Ma devo dire che ho fatto un buon lavoro come mentore.” aggiunse poi Milady, con leggerezza.

“Salutami Athos e la sua nuova...” fece un ghigno sarcastico “...signora.” concluse, sputando quell’ultima parola come se fosse aria velenosa. E lo lasciò in mezzo alla strada, a mani vuote, a braccia vuote, a cuore vuoto, ma con la mente traboccante di pensieri.

Aveva perso tutti. D’Artagnan, Aramis, Athos, Flea… Josèphine…

Aveva perso tutti e se lo era meritato. Aveva fatto scelte da vigliacco, era scappato dalla donna che amava per poi intromettersi nella relazione del suo amico. Per proteggerlo. No. Quella era soltanto la scusa che non faceva che ripetersi per non restare disgustato dal suo stesso comportamento. Lo aveva fatto semplicemente per egoismo.

Athos era l’unica persona che gli era rimasta, e non voleva perdere anche lui, non voleva vederlo realizzarsi in una vita felice con qualcun altro, mentre lui rimaneva ancora a guardare. E quello era il risultato: lo aveva perso comunque.

Rimase solo con se stesso, a fissare impotente i mendicanti che gli passavano davanti.

Si ritrovò ad invidiare il narquois che smetteva di fingere il passo zoppo appena entrava nei vicoli della Corte: almeno lui non aveva mai avuto niente.

Non poteva capire cosa si provava ad avere tutto e perderlo in un attimo.

  
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