Anime & Manga > Detective Conan
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Autore: Laix    08/03/2017    4 recensioni
Lo scopo di questa raccolta di one-shot è di sperimentare varie coppie (non solo love couples) sia tra le più conosciute che tra le più impensabili. Alcune delle presenti sono già state suggerite da voi: con diversi personaggi e couple sperimentate, si vede cosa ne esce e si cerca di accontentare tutti! Non siete vincolati alla lettura dell'ultima shot pubblicata... Ogni shot è una storia a sé, quindi liberi di aprire la tendina dei capitoli e scegliere i duetti favoriti! ;) I contesti possono essere dei più svariati, anche passando per l'assurdo :D
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35. Mary Sera e Shuichi Akai ~ [Sei dura, donna. Dura come la pietra, il ghiaccio, sei cemento. Io con te divento calce ma tu non ti rompi mai, una corrente salata che viaggia al contrario e apre le onde. Eppure guarda cosa hai nascosto lì sotto. Dietro le botte, gli insulti, lo sguardo, l'odio, ti stai solo preoccupando per me e per il destino avverso che inseguo. Hai già visto tutto coi tuoi occhi e su un altro uomo.]
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Heiji Hattori, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Vermouth | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo, Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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30. Conan e Ai - Ten years later ~

***






Nel centro opaco della condensa


- Che ci fai qui stasera, detective? -
- Ho pensato di venire a farti compagnia, visto che ho saputo che eri sola a casa. E dopo aver saputo che avevi in credenza tutti gli ingredienti per una bella teglia di cupcake. - disse lui ad alta voce dall'atrio del salotto, mentre si toglieva la giacca dopo essere entrato nella casa di Hiroshi Agasa. Ai lo poteva udire grazie alla porta spalancata della cucina.
- Okay, bel tentativo. Sei qui essenzialmente per il secondo motivo – rispose lei ironica e alzando la voce per farsi sentire, girandosi di sbieco verso di lui e lanciandogli un sorrisetto saccente nel momento in cui lui varcò la soglia. Poi si voltò di nuovo verso il lavello, dove stata finendo di lavare gli ultimi piatti della sua cena solitaria. Agasa era fuori da qualche giorno per lavoro (o presunto tale) e lei non aveva mai avuto problemi a cenare da sola coi propri tempi e con le pietanze che più preferiva.

- No, suvvia... direi che entrambe le motivazioni si equiparano - ridacchiò Conan, entrando nella cucina e accomodandosi su una sedia al tavolo. - Ah, ho aspettato questo momento da tutta la settimana, credo...! -
- Quindi, in pratica, stai dando per scontato che io cucini dei cupcake solo perché ho gli ingredienti in credenza? -
- Ehm... sì? Perché, mi vuoi dire che non è così? Che sei disposta a spezzare in questo modo il mio fragile cuoricino? -
- Diamine, se era così semplice perché non me l'hai mai detto? Mi sarei risparmiata tante battutine spietate e frecciate gelide! -
Conan la guardò con espressione sarcastica, trattenendo se stesso dal rispondere in qualche modo sconveniente al solo scopo di avere l'ultima parola – anche perché, in ogni caso, non l'avrebbe mai avuta. Stava di fatto che, ad un certo punto della sua vita, e non ricordava neppure più quale, aveva compreso di andare pazzo per i cupcake, specie per quelli così delicati e gustosi che cucinava Ai, e davvero ci sperava che quella sera se ne sarebbe pappati almeno un paio.
- Eddai, Ai? Li prepari due o tre cupcake? Per noi due? - propose nuovamente Conan in modo più diretto, accompagnando la frase con un sorriso a trentadue denti e con un tono da animaletto del bosco.
Ai sospirò, voltandosi su se stessa e guardandolo dritto. - Sei disgustoso, lo sai? -
- E' un sì, vero? - esultò Conan, che aveva ormai imparato ampiamente a riconoscere certe frasi e atteggiamenti di Haibara. Quella che adesso chiamava Ai, che di rimando lo chiamava Conan e non più Kudo, per comune accordo e per cercare di lasciarsi altre vite alle spalle. La ragazza si rivoltò verso il lavello per asciugarsi le mani su un panno, senza ovviamente avere più bisogno di sgabelli o rialzi per arrivare all'altezza del lavandino: ormai aveva 16 anni, di nuovo, per la seconda volta in vita sua... esattamente come lui.
- No, diciamo che è... un forse. Perché stasera mi sta bene mangiare cupcake come dessert, ma vorrei che questa volta li cucinassi tu. - concluse freddamente lei, rivoltandosi verso di lui con un movimento netto che potesse sottolineare la convinzione di quella frase.
Le Parole del Terrore riecheggiarono dunque tra le cementate pareti di quella funesta dimora. Conan sbarrò gli occhi e la fissò come se lei si fosse trasformata in un orco, ma di quelli cattivi che mangiano esseri umani e incespicò nel rispondere.
- COSA? Io?! Ma sei impazzita, ti vuoi avvelenare? - glielo chiese con sentimento, come se avesse pietà per quella povera, ingenua creatura che ignorava il destino a cui andava incontro.
- Hai capito bene, sì. E' ora che impari a farli, o no? Non posso sempre fare tutto io! -
- Ma...ma questo no, ti prego!! Non ne sono capace, non esiste proprio! -
- Oh, ma piantala. Cosa diavolo mi tocca sentire! Sono degli stupidi cupcake, tutti sono capaci di cucinare dei cupcake, se ci si mette un attimo di impegno! -
- Tutti, eccetto me – confermò lui, grave.
- Zitto, ormai è deciso. O va così... o stasera non li vedi neanche col binocolo. A te la scelta. -

Da quell'ultima frase passò dunque circa un'ora, un'ora sufficiente a portare Ai all'esasperazione e Conan all'umiliazione.
Mentre Conan emetteva flebili lamenti e si grattava la nuca imbarazzato, la ragazza si guardò attorno spiazzata tra pentole bruciacchiate, grumi di farina acquosa sparsi ovunque e gusci di uova rotti ancora grondanti di liquido vischioso, il tutto coronato da un fumo puzzolente che fuoriusciva dalle fessure del forno. Era senza parole.
- Ma com'è possibile? Che razza di problemi hai? -
- Io te l'ho detto che non era una scelta plausibile! - piagnucolò il detective sedicenne, pulendosi il proprio maglione nero aderente dai residui di farina come se fossero velenosi.
- Sono dei cupcake, non ci vuole una scienza infusa a farli! Ti stavo dando anche le indicazioni, e... - scosse la testa, scocciata all'inverosimile. - Ma la vera domanda è: come fai ad avere voti alti in economia domestica, a scuola? E' una materia difficile, e per uno che non sa nemmeno infornare uno stupido tortino non dev'essere una vita facile -
- Ehm, può darsi che... che mi sia spesso dilungato a fare un po' di complimenti alla professoressa, e ad essere dolce e diligente nei suoi riguardi. Ma solo ogni tanto, eh – ammise lui, con un sorriso un po' troppo ammiccante.
Ai riassunse l'espressione di poco prima, dicendo la stessa identica frase.
- Sei disgustoso. -
- Devo pur sopravvivere in questo mondo crudele. -
- Sì, immagino. - Ai afferrò uno straccio umido e, sospirando, iniziò a pulire il piano da cucina che era messo peggio di un campo di battaglia. Notò anche una macchia di latte schizzata, non si sa come, sul proprio dolcevita che per fortuna era bianco, altrimenti l'avrebbe ammazzato. - Posso sapere a cosa diavolo stavi pensando, per sbagliare tutto così? -
- Ai, te l'ho detto... non sono in grado, non fa parte della mia natura questa roba – rispose Conan, con un tono però leggermente evasivo e accompagnato da un secco sospiro. E Ai se ne accorse.
- Per quanto uno sia impedito, e nel tuo caso sfioriamo sfaccettature cliniche, uno non può esserlo fino a questo punto. -
- E invece sì. -
- Smettila, per favore. - concluse Ai in tono definitivo, lasciando Conan piuttosto di sasso. Lui infatti alzò lo sguardo verso di lei, con attenzione, mentre lei continuava a pulire senza guardarlo. Tuttavia la sua espressione era visibilmente contrariata.
- E adesso perché te la prendi così? -
- Perché non mi piace quando ti ostini a nascondere i tuoi problemi. Te li tieni tutti dentro e non li dividi nemmeno con me, me, con cui hai già condiviso situazioni ben più drammatiche in passato. -
- Ne abbiamo già parlato, Ai... non è che ti escludo, è che mi infastidisce parlarne... -
- Però a Heiji ne parli. Si è fatto sfuggire qualcosina, con me -
Conan sbuffò a quelle parole, infilandosi una mano nei capelli. - Maledetto idiota dell'ovest... -
- E invece ha fatto bene. Sei spesso con la testa chissà dove e distratto anche nelle cose più semplici, bisogna sempre riportarti qui. Stai passando un brutto periodo e noi pochi che conosciamo la tua situazione vorremmo aiutarti, ma tu non ce ne dai modo – disse Ai con tono ancora più polemico, piazzando lo straccio tra le mani abbandonate di Conan e passandogli il messaggio sottinteso “adesso pulisci te”. Conan si alzò lentamente ed eseguì in silenzio, iniziando a passare lo straccio sui residui di farina appiccicosa ed evitando accuratamente lo sguardo di Ai.
Che fastidio quando tutti facevano così.
Con Heiji aveva ceduto perché, dannazione, quel ragazzo sapeva davvero scartavetrare le palle come pochi. Si era confidato con lui per farlo smettere di essere così pressante, non tanto per sfogarsi. E adesso ci si metteva pure Ai, che aveva cercato di immettere il discorso già parecchie volte, da lui poi abilmente sviato.
- Non fai così schifo a cucinare i cupcake perché non sei capace. Ma perché sei dappertutto fuorché nel tuo presente, ti ho guardato bene poco fa. Vuoi continuare così, in stile automa? Perfetto. E sai cos'è peggio? Che pensi che gli altri non se ne rendano conto, che io non veda la differenza rispetto a prima! E che quindi nessuno può capire cosa provi, nessuno può aiutarti, sei solo e abbandonato! - il tono tra rancoroso e canzonatorio adottato da Ai iniziò ad innervosire lui, che sospirò gravemente mentre ascoltava a testa bassa.
- La finiresti, Ai? - disse lui con un mezzo sibilo.
- No, ho appena cominciato! -
- E va bene, okay? Vuoi proprio umiliarmi in modo completo, così la faccenda può stuzzicarti meglio? E sia! - sputò fuori lui spazientito, lanciando lo straccio nel lavello. - Devo per forza confessare, a te e al mondo intero, che essere stato esiliato e dimenticato dalla mente e dal cuore di Ran, rimpiazzato all'improvviso da un tizio a caso che ha capito il suo valore e che l'ha fatta sua, mi fa sentire un perfetto imbecille e pure un estraneo. Che questa condizione, dopo lo shock iniziale, è diventata ormai quotidiana e che quindi io vivo a stretto contatto con tutto ciò che mi ferisce. Che tento di non pensarci, di non vederli, di non sentirli, anche quando mi sono vicini e mi mangiano di fianco, quando ridono. Anche quando sento lui arrivare la sera tardi ed entrare di soppiatto in camera di lei. Ma che, ovviamente, non ce la faccio a tenermi mentalmente lontano. - disse Conan appoggiandosi con entrambe le mani al lavello, sospirando a sguardo basso. Ai lo fissava con fronte aggrottata, senza dire una parola né anche solo fiatare.
- Ma anche che voglio cambiare. Ti confesso anche questo. Che hai ragione, che mi sono reso conto anch'io di vivere coi pensieri in un limbo tutto mio, dove la mia mente trova rifugio. E' solo questo, Ai. Quando tu capisci che con la testa scappo altrove, è solo per non doverli fronteggiare. Trovo modo di fuggire. - sbuffò e ridacchiò allo stesso tempo, scuotendo la testa. - E' ironico, per anni ti ho imposto di non fuggire da te stessa, mentre adesso sono io a non fare altro che quello. - concluse lui rinchiudendosi poi in un silenzio tutto suo. Passò qualche secondo prima che Ai, con cautela, si facesse avanti verso di lui per avvolgergli il busto con un braccio e appoggiare la testa sulla sua spalla. Lo cinse poi anche con l'altro braccio, tenendolo stretto per alcuni secondi. Lui piegò la testa per appoggiarla su quella di lei, e rimasero così, fronte contro fronte, per almeno un minuto.
Ai fu la prima a sciogliere l'abbraccio, mormorando nel frattempo un flebile “mi dispiace”. Lui scosse la testa con un sorriso, voltandosi su se stesso e appoggiandosi con la schiena al piano da cucina.
- No, va bene così. In fondo hai ragione. Ed è per questo che mi scaldo tanto – ridacchiò lui, contagiando anche lei. - Però è vero che voglio cambiare. Voglio smettere di essere così assente, riprendermi... -
- Immagino che non sia facile, Conan. Convivere con questa situazione, con lei insieme ad un altro... -
- Prima o poi sapevo sarebbe capitato. Non poteva mica durare in eterno, io ho continuato a nasconderle la verità in questi anni e lei giustamente ha cambiato strada. Me lo sono sempre aspettato. Solo che quando succede davvero, beh... è diverso – mormorò lui prendendo un respiro e continuando a fissare il pavimento. - E ti mette a dura prova. Ma è ora che anche io cambi strada... proprio come ha fatto lei. -
Ai accennò ad un sorriso e annuì, allontanandosi da lui e accomodandosi ad una sedia della cucina. Giocò un po' con le dita delle proprie mani, prima di riportare lo sguardo su di lui e annullare il silenzio denso che si era creato.
- E come pensi di fare? -
- Beh, in un modo... che forse è sotto ai miei occhi da un po' di tempo. Non so. -
- E cioè? - lo incalzò lei, iniziando a ridere e a sospettare. Cielo, no, se davvero adesso ripiega su Ayumi... che sempre più somiglia a Ran... siamo giunti davvero a destinazione. Cioè, non che Ayumi non sia un buon partito, ma lui l'ha già rifiutata due volte in questi anni... e solo perché adesso ha bisogno di qualcuno che lo aiuti a riemergere dai suoi problemi, non significa che Ayumi debba diventare improvvisamente disponibile. E poi lei direbbe di sì senza pensarci due volte, checcavolo...
Ai strinse le labbra, cominciando già a cercare nella mente un paio di rimproveri da rivolgergli nel caso in cui i suoi dubbi si fossero rivelati esatti. Ayumi era davvero sua amica, non voleva vederla sfruttata così.
- E cioè che stasera, in realtà, non sono venuto solo per i cupcake. C'è un altro motivo. Sono qui per... ecco... chiederti una cosa. - disse lui con voce calma nonostante la nuova agitazione comparsa nei suoi occhi, mentre si mordeva il labbro inferiore.
Ecco, ci siamo. Come sospettavo. Vuole chiedermi cosa ne penserei se chiedesse ad Ayumi di iniziare a vedersi. Vuole dei consigli, certo, ma io adesso mi arrabbio se pensa di poter chiamare a rapporto Ayumi ogni qualvolta ne ha bisogn...
- Ai. Cosa ne pensi se io e te ci frequentassimo? -
Il suo cuore eseguì un combinato tuffo verso il basso per poi rimbalzare verso l'alto, con onda d'urto. Sentì ogni preciso movimento nella cassa toracica. E non trascorsero neanche due secondi da quella richiesta che già era indecisa tra l'aver udito per davvero quelle parole o l'averle formulate nella mente dal niente, inventandosele. Propendeva per la seconda, poiché la prima era impossibile.
Anche se, quando lo guardò bene, notò che lui aveva incrociato le braccia nervosamente ed era diventato un po' rigido. Tuttavia sosteneva il suo sguardo scioccato, mantenendo un'espressione seria e attenta. Voleva una risposta.
- Allora? -
- No. -
Lo sguardo ben costruito di lui parve vacillare per un secondo, prima di tornare in piena sicurezza apparente. Lei stessa fu completamente esterrefatta, sconvolta della propria risposta.
Quante volte se l'era immaginata nella sua testa, negli anni? Quante volte aveva visto quella scena, sentito quel genere di frasi rivolte a lei da parte di lui, o addirittura sognate di notte? Tutta invenzione, certo, tutto prodotto del desiderio. Ma tante volte.
E adesso che per qualche assurda coincidenza astrale le veniva rivolta realmente quella proposta... diceva di no? Così, seccamente, senza neanche pensarci su?
Nel frattempo si rese conto di star leggermente tremando. I suoi pensieri burrascosi vennero interrotti da uno sbuffo di lui, debole come un soffio d'aria.
- Me l'ero immaginata una risposta del genere, da parte tua... -
- Cosa? E perché? -
- Perché ormai ti conosco. -
- C... Conan, io... io non pensavo che... -
- Che ti avrei mai chiesto questo? -
- N... non solo. Ma che ci fosse un'eventualità fantascientifica per la quale tu... -
- Per la quale io iniziassi a provare qualcosa per te? -
- La puoi smettere di completarmi le frasi? -
Lui rise, continuando a guardarla. Lei intanto sentiva le punte di tutte le dita della mano gelide, immobili.
- Ma è questo che succede quando c'è intesa, no? - concluse lui, con un sorriso quasi beffardo ma amichevole.
- La... la nostra intesa è diversa. E' sempre stata diversa. Basata su un'amicizia solida, sulla condivisione di una stessa e tragica situazione. Ma stai attento, stai attento a non confonderla con altri tipi di intesa -
- Ah, quante storie. Non do peso a tutte queste sottigliezze. Non mi importa da dove arrivi e di che tipo sia, c'è e basta. Non è abbastanza? -
- No, non lo è! Sei troppo superficiale! -
Lui sospirò, rimanendo a braccia incrociate e abbassando lo sguardo. Ai, quasi del tutto convinta che fosse un altro di quei sogni che ogni tanto faceva su questo argomento, ne approfittò per pizzicarsi una mano senza farsi vedere. La pizzicò forte, stritolò il lembo di pelle.
Dannazione, faceva male. Non era un sogno.
- Che cos'è che ti blocca, a parte le tue fissazioni? - continuò lui, sempre tenendo lo sguardo a terra. Lei alzò il viso per guardarlo, le spalle in tremore.
- Il fatto che non sono fissazioni. Conan, devi capire che... - tentò lei, cercando le parole. Deglutì e prese un bel respiro, unendo le proprie mani fredde per riscaldarsele e trovare rassicurazione. - ...che per fare una simile proposta a qualcuno, bisognerebbe quantomeno provare qualcosa nei suoi confronti. -
Lui a quel punto rialzò il volto, e si guardarono. Lui con le labbra serrate, lei con la bocca socchiusa per fare entrare aria, tanta aria. Continuarono a guardarsi per alcuni secondi, come due impalati.
- Se non sono stata abbastanza chiara: sarebbe meglio che quella persona ti piacesse. -
- Ma tu mi piaci, Ai. - concluse lui demolendola in una sola frase, facendole percepire il sangue congelato nelle vene e lo stomaco accartocciato. - E' anche piuttosto ovvio tu mi piaccia. Abbiamo un sacco di cose in comune, ci somigliamo in molte cose e pure negli atteggiamenti. Sei una persona discreta di cui ho sempre potuto fidarmi e con cui mi confido, soprattutto sulle cose importanti. Hai un carattere forte, non ti fai mettere i piedi in testa da nessuno e nello stesso tempo sai far divertire, se ti va. Siamo amici Ai, è vero, ma tu mi piaci. -
Conan concluse la frase con un sonoro sospiro, segno che tutto quel discorso l'aveva agitato molto più di quanto lui volesse far intendere. Stava tirando fuori un tipo di coraggio che non aveva mai dovuto esporre molte volte e che creava in lui scompiglio.
Ai avrebbe voluto tapparsi le orecchie e abbassare la testa fin sotto le ginocchia. Non perché quelle parole le dispiacessero, ma perché era troppo. Troppo e tutto in una volta, troppo perché il suo cuore potesse assimilare le informazioni e le emozioni senza confondere tutto in un vortice forsennato. Si portò una mano alla bocca, poi la spostò alla tempia e iniziò a fissare un punto vuoto davanti a sé.
- Ho come la sensazione che ti stia mettendo a disagio... - azzardò lui a bassa voce, senza togliere lo sguardo da lei. Era ormai partito in pista, difficilmente ne sarebbe uscito.
- Ah, guarda, nel mettere a disagio io sono campionessa. Se ogni tanto succede anche a me, può essermi solo d'insegnamento – biascicò lei, facendo ridacchiare lui di gusto.
- Non voglio insistere, non è nella mia natura. Ma posso almeno chiederti di pensarci un po' su, senza darmi questo due di picche tanto flash quanto clamoroso? -
- Oddio... - sussurrò lei col cuore in fiamme, continuando a massaggiarsi la tempia e schiarendosi la gola. - Non può funzionare tra noi. -
Le faceva male rispondergli in quel modo, un male quasi fisico. Ma per qualche ragione, sicuramente di matrice razionale, non riusciva a fermarsi.
- E perché no? -
- Ci odieremmo. Ci odieremmo dopo una settimana, credimi -
- No, non ti credo. Non potrei mai odiarti -
- Io ti odierei. Perché, piano piano, capirei sempre meglio che non sono io. Non sono io... la persona che pensi. Ti stai confondendo e tu per me non provi quelle cose, quei sentimenti... -
- E tu, invece? Per me li provi? -
Lei alzò la testa di scatto, con le dita della mano sinistra ancora incollate alla fronte. Lo fissò con occhi sbarrati, prima di alzarsi e dirigersi verso la finestra della cucina.
- Perché a me sembra proprio di sì. - azzardò lui parlando nella sua direzione. Lei scosse la testa senza girarsi a guardarlo, e si appoggiò al vetro della finestra guardando il giardino fuori casa.
Che bastardo. Vero bastardo. Vuoi rigirare la frittata, eh? Far confessare a me tutto quello che puoi, usandolo poi per rafforzare le tue richieste? Hai proprio sbagliato rotta.
Il problema era che lei, adesso, doveva misurare le sue risposte anche a costo di mentire. Perché aveva tanta, tanta voglia di dirgli di sì, di buttare fuori tutto ciò che fino a quel momento si era soltanto immaginata. Sospirò contro il vetro, fissando la condensa creata.
- Lascia almeno che sia io a giudicarlo, Ai. Non considerarti già da sola come persona sbagliata e non adatta a quel sentimento. Mettimi alla prova, okay? -
- Per farmi dire chiaro e tondo da te che non sono quella che pensavi? Oh, grandioso, e chi non lo vorrebbe subito! -
- Per dirti esattamente il contrario e smettere di farti essere così pessimista! -
- Sono soltanto... -
- Fammi indovinare, “realista”? Blablabla! E' vero che io ti conosco come amica e nient'altro, ma non sono così scemo, posso cambiare la mia concezione di te e tu sei libera di fare lo stesso con me! -
Lei sospirò di nuovo, creando una condensa più ampia. Si voltò su se stessa, rimanendo ancorata con la schiena alla finestra.
- Sai cosa penso? - iniziò a bassa voce, guardandolo dritto negli occhi. Era l'atteggiamento che abitualmente adottava quando doveva usare una certa dose di franchezza. - Che questa cosa del “cambiare strada come ha fatto Ran” ti stia leggermente sfuggendo di mano. Penso che lei ti manchi, e che tu debba coprire la mancanza. Penso tu stia cercando un modo per svagare la mente su qualcun altro che non sia lei, e non perché vuoi davvero cambiare, ma perché devi smettere di pensare a lei e non sai più come fare. E penso che, almeno in cuor tuo, questo possa rappresentare una ripicca nei suoi confronti. Ecco a cosa ti serve, la tua amica Ai: a distrarti un po' e a tappare i piccoli vuoti lasciati da altri! - concluse lei battendo un pugno sul davanzale della finestra. Soltanto quelle idee la facevano imbestialire.
- Non ho mai nemmeno pensato che tu dovessi “servire” a qualcosa, Ai. Ebbene sì, voglio ricominciare, ma non nel senso così negativo descritto da te! Mi sproni tanto a migliorare e a riemergere, e appena cerco di farlo mi demolisci così? Ho scelto di farlo con te, di farmi aiutare da te ma in modo attivo, non come semplice amica che mi sopporta! E' tanto difficile da capire? -
Ai rilassò la mano chiusa a pugno, percependo il freddo marmo del davanzale sulle dita. Socchiuse la bocca per inspirare un paio di boccate d'aria, sentendosi sempre più alle strette in quel discorso. Le ginocchia le sembravano molli.
- Voglio voltare pagina. E te lo richiedo di nuovo. Ti va di essere al mio fianco, nella prossima...? - riprovò lui, abbassando la voce e riacquistando negli occhi tutta l'agitazione iniziale. Perché in realtà fare quella proposta lo emozionava, era difficile anche per lui. E sembrava essere impaurito all'idea di un altro rifiuto da lei. - Non voglio farti sentire in colpa, però... ci sono davvero rimasto male, prima. Ti prego solo di pensarci su. Per favore. - continuò lui, abbassando lo sguardo con quella che sembrava autentica timidezza. - Dammi questa possibilità di giudicare da me... di poterti dire che sì, provo qualcosa per te. -
- Lo sai, vero, che io posso dimostrarti tutto il tuo sbaglio già adesso? - dichiarò lei, risoluta.
Lui sbuffò, perdendo visibilmente la pazienza. - E va bene! Visto che a quanto sembra sei nata imparata, e che sai già tutto di me, sentiamo cosa esce dalla tua sfera di cristallo! -
E Ai, senza farselo ripetere due volte, abbandonò la postazione alla finestra e si avviò a passo spedito verso di lui. Attraversò il tratto di cucina che li divideva fissandolo negli occhi, mentre lui, con sguardo stupito e confuso, se la vedeva arrivare contro a quella velocità. Voleva mica picchiarlo?
Non appena Ai gli fu di fronte, lui aprì la bocca per ribattere qualcosa e soprattutto molte scuse, visto che ormai si era convinto lei volesse colpirlo o spintonarlo - ma non poté farlo, perché lei posò le proprie labbra sulle sue e con una certa convinzione, tanta da destabilizzarlo. Mentre lui vacillava, lei allungò le braccia oltre il suo collo tenendolo stretto a sé. Era ancora con occhi sbarrati e confusi, senza fiato, e grazie a questo notò che lei gli occhi li aveva chiusi, gustandosi il momento.
Quindi era questa la prova del nove che Ai intendeva proporgli? Capire se lui avrebbe provato qualcosa tramite un bacio? Beh, una di quelle soluzioni risolute e senza scrupoli che lei era sempre stata in grado di prendere. Sorrise mentre la baciava, decidendo di stare al suo gioco. Ormai erano dentro, tanto valeva proseguirlo. Chiuse gli occhi e, lentamente, portò le mani in alto per posargliele sui fianchi.
Quel bacio forse durò un tantino troppo, aumentando di ritmo ad ogni secondo e portando i loro corpi ad aderire sempre più. Ad un tratto fu Ai a spezzare il momento, staccandosi con leggerezza dalle sue labbra e aprendo gli occhi per guadarlo a quella distanza.
- Allora...? Cosa provi? - sussurrò lei, febbrile. Nella carica di sfida che aveva infuso in quell'atto, si era quasi scordata che quello era un momento che si era immaginata parecchie volte.
- Provo che non capisco perché perdi tempo in questo modo... - rispose lui con lo stesso sussurro e mantenendo gli occhi chiusi, per poi tapparle nuovamente la bocca con la propria. Fu il turno di lei di rimanere sorpresa e, per quanto la cosa le stesse piacendo alquanto, non aveva però scordato il motivo primario.
- A... aspetta... - riprovò lei biascicando e tentando di prendere fiato, spingendolo dalle spalle. - Mi ascolti, per favore? E' una cosa seria – riuscì a mormorargli, senza smettere di ridacchiare vedendo il suo comportamento. Non riusciva più a scollarselo.
- Ai, che ne dici se ne parliamo più tardi...? Giuro, giuro che ne parliamo... -
- No, ascolta... - rispose lei, ma mentre diceva la parola “no” si accorse di averlo nel frattempo riagganciato tra le sue braccia, istintivamente. Tornò anche lei a baciarlo, coinvolta da quel vortice emotivo che sfociò in qualcosa di più: lui avanzò sospingendola in avanti, finché lei non si ritrovò con la schiena stesa sul tavolo e con lui che le aderiva contro.
- Conan! Conan, sei qui? -
Fu un attimo sospeso nell'aria che parve fermare il tempo. I due, con i visi ancora uniti nel bacio, aprirono di scatto gli occhi guardandosi. Rimasero così alcuni secondi mentre riconoscevano la voce di chi era appena apparso sulla soglia della cucina.
Ran si coprì il volto imbarazzata, muovendo la mano in agitazione e scusandosi tramite versi non comprensibili.
- Aaaah! Oddio, oddio, scusate... non lo sapevo, non immaginavo che... aaaaah! - mugugnò, cercando di allontanarsi da lì e tornando in salotto.
- Ah-haaaaaa! Io invece lo sospettavo eccome!! - squittì vivacemente Sonoko, che aveva accompagnato fin lì Ran per chissà quale diamine di motivo. E che, come fosse la spettatrice di un film, restava a guadare la scena entusiasta.
Conan e Ai si raddrizzarono nell'immediato e si ricomposero, lui sistemandosi i vestiti e lei i capelli. Lui capendo che avrebbe voluto farsi sorprendere da chiunque fuorché da Ran, lei tremando già al pensiero di quanto lui si sarebbe pentito.
- C... Conan, scusami, ma non rispondevi al telefono da ore e volevo capire dove ti fossi cacciato... la porta di casa era aperta, e quindi... - borbottò Ran dalla sala, ancora chiaramente imbarazzata. - Giuro che la prossima volta busso...! Aaah... -
Ai sbuffò ridacchiando, con un'ingente dose di amarezza. Si voltò in silenzio verso Conan, il quale aveva uno sguardo fisso e abbastanza spento. Cattivo segno.
- Ragaaaazzi... adesso noi ce ne andiamo e voi farete come se non fossimo mai venute!! Mi raccomando, eh?! - esultò nuovamente Sonoko battendo le mani e guardando prima Conan come se fosse un devastante latin lover, e poi Ai facendole l'occhiolino.
Ma quale occhiolino.
Ran mormorò un'altra breve ondata di scuse sconclusionate, prima di uscire di corsa con Sonoko da quella casa. Il silenzio piombò allora su di loro, solcato dal rumore di alcune gocce d'acqua nel lavello che il rubinetto rotto perdeva, finché Conan non si voltò verso di lei.
- Allora, do... dove eravamo rimasti...? - mormorò, senza guardarla negli occhi e con una voce quasi inudibile.
- Non fa niente, Conan. Ho capito. Altrimenti non avrei fatto questa prova -
- No, aspetta... stava andando tutto bene, finché... -
- Finché non hai capito che hai bisogno ancora di un po' di tempo. -
Lui sospirò affranto, abbassando lo sguardo come se una roccia gli fosse piombata sul collo.
- Non voglio più aspettare... risolverò questa cosa, e al tuo fianco io... -
- Al mio fianco ci vieni quando l'avrai risolta. Non posso sopportare ogni volta questa situazione. Potrà succedere chissà quante altre volte, anche solo con una telefonata che ancora è in grado di abbatterti così. No, non ci sto. Ti starò vicino fino a quel momento, ma come amica. -
- Hai ragione. Hai ragione su tutto. - disse lui diretto. - Non puoi essere il mio supporto morale in un quadro romantico. Io... mi dispiace. -
Ai si sedette sulla sedia iniziando a sentire una sgradevole oppressione, e lui le si avvicinò accarezzandole i capelli e abbassandosi per arrivare al suo orecchio.
- Anche se mi è piaciuto tutto. E non vedo l'ora... di rifarlo con la mente più sgombra, come tu vorresti. - le sussurrò questo, prima di lasciarle un silenzioso e lento bacio sulla fronte. - Volevo che questo lo sapessi. -
- Okay. - rispose lei in un sussurro quasi spento, atona.
Lui si raddrizzò, dandole un'altra carezza fugace e allontanandosi di mezzo passo. Lei, dopo ciò che aveva fatto, aveva già messo in conto l'impossibilità di tornare indietro - nel bene o nel male, da adesso le cose con lui sarebbero cambiate.
- Io... adesso vado. Preferirei rimanere qua con te, ma non mi pare... il caso. - mormorò lui schiarendosi la gola. - Ci sentiamo. Quando vuoi tu, non voglio disturbare. -
Lei annuì impercettibilmente, senza guardarlo più. Rimaneva seduta sulla sedia tenendo lo sguardo ancorato al pavimento, e Conan si morse il labbro fissandola, prima di sospirare appena e uscire dalla cucina con passi silenziosi.
Quando Ai udì la porta d'ingresso aprirsi e richiudersi, lasciandolo uscire da casa, si inarcò verso il basso reggendosi la fronte con una mano e cingendosi la pancia con l'altra.
- Vaffanculo, idiota... -
Chiuse gli occhi e lasciò uscire quei due singhiozzi che, in tempo zero, avviarono un pianto silenzioso tra sé e sé.

***

- Pronto? Ai? -
- Eh, no, cocco. Sono il professore. -
- Oh! Oh... ehm... professor Agasa? Che p-piacere sentirti! - e il fatto che Hiroshi avesse risposto al cellulare di Ai gli diede uno strano e terribile presentimento. - Per c-caso... Ai non può rispondere? -
- Beh, ma certo che può. E' solo che non vuole. -
Eccolo, il presentimento concretizzato. Se poi ci assommava il tono indicibilmente accusatorio che aveva appena adottato Agasa, i suoi terrori trovavano conferma.
- Ah, o-okay... beh, peccato! Richiamerò, eheh! -
- No, tu non richiamerai, eheh! - lo canzonò lui, lasciando Conan un attimino di sasso. - Semmai richiama lei, solo se e quando avrà voglia! -
- P... professore... mi spieghi che succede...? - provò titubante Conan, già pentendosi della propria domanda. Era ovvio cosa stesse passando per la testa di Agasa... - Sono tre giorni che non sento Ai e mi sono preoccupato. Provo a chiamarla e mi rispondi tu, per di più con questo tono... -
- Spiegamelo invece tu cosa succede. Spiegami perché tre sere fa, dopo essere tornato a casa tardi, l'ho trovata da sola sul divano a piangere. - udendo quelle parole rancorose Conan si schiaffò un palmo sulla fronte, più che mai a disagio. - Non è facile tirare fuori le cose da Ai, ma dopo avere insistito un po' mi ha raccontato il necessario per capire chi fosse il responsabile. -
- Professore, mi... mi dispiace così tanto! Non intendevo farlo, è successa tutta una cosa per la quale... -
- Sì, sì, sì. Lo so. Basta così. - concluse Agasa sospirando, riacquistando solo in quel momento un poco del tono familiare e affabile che tutti conoscevano di lui. - Ti chiedo solo di aspettare che sia lei a chiamarti. In questo momento non ha proprio voglia, per questo mi ha pregato di rispondere adesso. -
- Sono un deficiente... -
- Eh, magari un po' sì. -
- Le puoi dire da parte mia che mi dispiace? Che ne possiamo parlare quando vuole? Che sono disponibile per lei 24h su 24? -
- Vedrò, Conan. Non voglio illuderla e ferirla, sai bene quanto su questo argomento io sia cauto... - rispose lui, innestando in Conan uno spontaneo e dolce sorriso.
Sapeva eccome che Agasa, negli anni, aveva sentito Ai crescere in casa sua come fosse una figlia. L'aveva assistita in tante cose, era sempre stato presente e lei, per lui, era diventata il tesoro più importante. Chi osava volerla toccare e farle del male doveva prima passare sul suo cadavere. Anche per questo Conan capì subito che in quel momento era normale che Agasa ce l'avesse un po' con lui: trovare Ai piangente e comprendere che la colpa era sua non lo metteva certo in buona luce agli occhi dell'uomo.
- Cercherò di parlarle su questo, comunque. Lo faccio solo perché sono affezionato anche a te... fossi stato chiunque altro, ti avrei mandato a quel paese intimandoti di non telefonare mai più -
- Ahahah... addirittura? - chiese Conan sbuffando. - Sicuro che Ai sia d'accordo con questo tuo modo di fare...? -
- Ah, non lo so. Sta di fatto che nessuno si può permettere di urtare la sensibilità della mia piccola. -
- Piccola? - osò sfidarlo Conan, rimanendo interdetto di fronte a simili esternazioni. - Prof, ehm. Così mi inquieti. Ti sei accorto che Ai ha 16 anni fisicamente e 26 mentalmente...? -
- Non mi interessa. Per me è sempre piccola. - rispose lui senza ammettere repliche.
Conan se la rise sotto i baffi stando bene attento a non farsi scoprire da lui, il cui lato da paparino protettivo era in fondo adorabile. Un lato che di sicuro Ai non apprezzava così tanto come forse lui credeva, ma preferì non dirglielo. Quando si accorse che Agasa era giunto ai saluti finali, si affrettò però a interromperlo per un'ultima cosa che gli continuava a rimbalzare in mente.
- Professore, mi prometti di dirle almeno quest'unica cosa, stasera? -
- E cosa sarebbe? -
- Le puoi dire... - prese un respiro e si raddrizzò bene, prima di finire la frase. - Le puoi dire che sono tre giorni che penso continuamente a quel momento? -







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Ah! Che difficile sta shot!
La difficoltà è stata soprattutto nel fatto che ho sofferto sul finale! D: La mia dolce Ai ç___ç
A parte gli scherzi, sono stata moooolto indecisa su come finirla... da un lato voleva prevalere il lieto fine, dall'altro il rispetto dei personaggi (almeno il più possibile, considerato il contesto). E non so neanche se ho azzeccato una di queste due opzioni :D Perciò a questo giro mi servono le vostre opinioni! Il trafiletto finale di Agasa, come avrete capito, è servito anche a dimostrare qualche “effetto collaterale” che si è verificato sul detective. E vi dirò un'altra cosa, ad un tratto non ho più sopportato né lui né lei XD (e voi direte, perché allora non li hai fatti fuori entrambi che in una tua fanfiction niente ti vieterebbe di farlo? In fondo il trash attira anche un certo numero di view!) Lei perché troppo cocciuta e pessimista, lui perché anima in pena che fino alla fine rimane nella sua catalessi emotiva. Mi sono usciti così, e così sono rimasti XD Mi direte voi come la pensate, se concordate con questo andamento o se in fondo poteva succedere altro.
Comunque sia, era un botto che non ci si vedeva! ^___^ E colgo l'occasione per ringraziare chi ancora sta seguendo e commentando questa raccolta! Per la prossima shot ho in mente una coppia così crack, ma così crack che non ci si ricorderà nemmeno chi diavolo fossero i personaggi in origine. Nggghhh
Alla prossima! ^.- e grazie per essere arrivati fin qui!

  
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