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Autore: BebaTaylor    08/03/2017    4 recensioni
Il grosso gatto osservò con curiosità gli umani che in strada si muovevano veloci. Avrebbe voluto chiedere loro perché non potessero prendersela con più calma. Avrebbe voluto chiedere la stessa cosa alla sua padroncina, che quella mattina si era svegliata, aveva guardato la sveglia e aveva strillato, poi aveva iniziato a correre per casa e gli aveva schiacciato la coda. E non gli aveva neppure chiesto scusa.
Avrebbe voluto sapere perché quello stupido roditore passasse le sue notti a girare su quella stupida ruota; glielo avrebbe chiesto più che volentieri perché sprecasse il suo tempo a correre come un matto. Peccato non potesse.
***
«Non sappiamo il perché gli animali domestici abbiano iniziato a parlare ma vi invitiamo a mantenere la calma.» esordì la giornalista. «Sta succedendo in tutto il modo, non è una cosa isolata.» continuò.
Questa one shot è stata scritta per la seconda edizione della sfida A box full of prompts sul gruppo EFP famiglia: recensioni, consigli e discussioni
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa one shot è stata scritta per la seconda edizione della sfida A box full of prompts sul gruppo EFP famiglia: recensioni, consigli e discussioni.
Il prompt è: e se gli animali domestici iniziassero a parlare, all'improvviso?!


Quarantaquattro Gatti

Il grosso gatto osservò con curiosità gli umani che in strada si muovevano veloci. Avrebbe voluto chiedere loro perché non potessero prendersela con più calma. Avrebbe voluto chiedere la stessa cosa alla sua padroncina, che quella mattina si era svegliata, aveva guardato la sveglia e aveva strillato, poi aveva iniziato a correre per casa e gli aveva schiacciato la coda. E non gli aveva neppure chiesto scusa.
Avrebbe voluto sapere perché quello stupido roditore passasse le sue notti a girare su quella stupida ruota; glielo avrebbe chiesto più che volentieri perché sprecasse il suo tempo a correre come un matto. Peccato non potesse. 
Avrebbe voluto chiedere al cane cosa ci fosse di così interessante nel continuare a rosicchiare una vecchia pallina o perché sgranocchiasse le ossa fino a ridurle in briciole. Non era meglio una scatoletta di tonno?
Avrebbe tanto voluto chiederglielo ma anche lì non poteva, visto che poteva solo miagolare.
Passò accanto al cane, oltrepassò la gattaiola e si sdraiò nell'erba del giardino al sole e si girò pancia all'aria, godendosi il calore. Sentiva gli uccellini cinguettare e ne seguì uno con lo sguardo, fino a quando il passerotto non si posò su un ramo. Avrebbe voluto prenderlo ma era troppo stanco. Sbadigliò e si sdraiò su un fianco, osservò il cane uscire, la pallina da tennis in bocca, una volta sul prato il cane iniziò a giocare con la palla, lanciandola, riprendendola e lanciandola di nuovo, correndo in circolo nel piccolo giardino.
Il gatto sbadigliò di nuovo. «La pianti?» gracchiò e sgranò gli occhi gialli. «Io... io...»
Il cane lo fissò, la palla ai suoi piedi. «Ma parli!» esclamò, la voce profonda a dispetto della sua taglia media.
Il gatto lo guardò, mosse piano le orecchie e miagolò. «Parli anche tu.» disse.
«Oh, è vero.» replicò l'altro e abbassò il muso nero verso la pallina, la prese in bocca e la lanciò in aria.
«Perché giochi con quella cosa?»
Il cane fissò il gatto, «Perché mi piace.» rispose. «Tu perché dormi tutto il giorno?»
Il gatto sbadigliò, «Perché ho sonno.» rispose, fissò il cane che giocava con la palla, «Non smetti?» sbottò. Il cane lo ignorò così lui rientrò in casa, per poi balzare sul mobile in cucina; fissò la gabbietta e guardò il criceto che sonnecchiava nella sua casetta gialla di plastica, «Ehi, topo.» esclamò, «Topo, ci sei?»
«Piantala.» biascicò il roditore, «E non sono un topo, sono un criceto.»
«È la stessa cosa.» replicò il gatto sdraiandosi accanto alla gabbietta, lo sguardo fisso sul muso dell'altro, «Parli anche tu.» commentò.
Il criceto sollevò il musino color champagne, «Certo che parlo.» replicò, «Tutti parlano!» disse, «Ciao.» aggiunse, si rigirò sulla paglia morbida e tornò a dormire.
Il gatto sospirò e decise di seguire il suo esempio: scese dal mobile, salì sul divano e si addormentò.

***

Rebecca tornò alle due e mezza, dopo il turno mattutino alla fabbrica dove lavorava. Prese due tramezzini al tonno e la bottiglia d'acqua dal frigo e si sedette al tavolo, la tv accesa su un canale musicale. Fissò Toby, il cane che aveva da due anni, che giocava con la sua solita palla tutta rovinata. Guardò Felix, il micio acciambellato sul divano. Jerry, il criceto, se ne stava nella sua casetta gialla di plastica.
Dieci minuti dopo la giovane tornò dal bagno dopo aver avviato la lavatrice. Fissò Felix seduto sul tavolo. «Scendi da lì.» ordinò. «Su, scendi.» ripeté. «Adesso.» disse puntando l'indice a terra.
«No.»
Rebecca spalancò gli occhi, «Tu...tu... tu...» gracchiò. Il gatto la osservò con altrettanti occhi spalancati.
«Ho fame.» esclamò Felix.
«Tu... ma... tu...» balbettò la ragazza indietreggiando, «Cielo.» soffiò e guardò Toby, che le correva incontro con la solita pallina in bocca, la lasciò cadere e si sedette agitando la coda.
«Giochiamo! Giochiamo! Giochiamo!» trillò il cane.
Rebecca lo fissò e deglutì. «Non può essere vero.» mormorò, «Sono caduta e svenuta, non è vero?» borbottò.
«No, sei sveglia.» rispose il gatto, «E adesso dammi la pappa.» ordinò.
La giovane si ritrovò seduta sul divanetto, lo sguardo che saettava dal gatto al cane. «Mi sento male.» soffiò, «Non può essere reale.» disse.
«Invece è vero!»
Rebecca sgranò gli occhi e puntò lo sguardo sulla gabbietta, «Je-Je-Jerry?» balbettò.
Il criceto uscì dalla sua casetta e si arrampicò sulle sbarre, «È vero.» ripeté, «Parliamo.» disse, «Puoi darmi altri semi?» domandò, «Li ho finiti.» disse. «Per favore.»
Rebecca emise un urlo strozzato e svenne.
«L'hai spaventata, topo.» esclamò Felix girandosi verso la gabbietta.
«Io?» fece il criceto, «Sei tu che hai parlato per primo.» 
«Oh, io ho fame.» replicò il gatto. «Allora è colpa sua.» voltò la testa bianca e nera verso Toby
«Che ho fatto?» esclamò il cane.
«Sei arrivato qui e hai preteso di giocare.» rispose il criceto, «Un po' di contegno, su.»
«Quante storie.» borbottò Felix agitando la coda. «Cosa sarà mai?»

Rebecca sentì una lingua che le leccava il viso. Aprì piano gli occhi, trovando quelli grandi e scuri di Toby, «Ehi, ciao.» soffiò, «Ho fatto uno strano sogno.» disse, «Dai, adesso vi do la pappa.» aggiunse e si alzò in piedi, recuperò le scatolette per cane e gatto e riempì le loro ciotole. Andò vicino alla gabbia del criceto e notò che i semi erano finiti, così gliene diede un po'.
«Grazie.» esclamò Felix, «Ma io volevo quella al salmone, non la pappa al manzo.»
Rebecca sgranò gli occhi, lasciò cadere la confezione dei semi e corse fuori di casa. Una volta in giardino prese un respiro profondo. "Sto ancora sognando." pensò, "Gli animali non parlano!" si disse.
Inspirò ancora, poi sentì un urlo e vide la porta della casa di fronte spalancarsi con forza. Un attimo dopo, la signora Gianna uscì di corsa urlando: «Parlano! Parlano! Parlano!»
Attraversò la strada senza guardare, sfilò davanti a Rebecca senza smettere di urlare e proseguì lungo il marciapiede. Rebecca si avvicinò alla strada e la vide entrare nella chiesa, che si trovava proprio alla fine di quell'isolato.
«Che ha?» domandò un signore che portava a spasso un bassotto.
«Non ne ho idea.» rispose Rebecca, anche se una vaga idea di cosa fosse successo alla sua vicina ce l'aveva ma non l'avrebbe mai ammesso neppure a se stessa, figuriamoci dirlo a voce alta.
«Sembrava matta.»
Due paia di occhi si puntarono sul cane.
«Ma tu...» mormorò l'uomo, «Oh, Cielo.» ansimò.
«Bhe, che c'è?» fece ancora il cane.
Rebecca si voltò, corse in casa, spalancò la porta e si rifugiò in cucina. «Vuoi non potete parlare.» gracchiò, «No.» disse scuotendo la testa, «No.» ripeté
«Certo che parliamo.» replicò Felix. «E io voglio la pappa al salmone e la voglio adesso.» aggiunse.
Rebecca si accasciò contro il divano e svenne di nuovo.

***

Guendalina accarezzò il pelo bianco di Angelica, la sua barboncina di taglia media di tre anni, che proveniva da un allevamento parigino.
«Oh, ma è bellissima con il tutù!» cinguettò Maria, la conduttrice di "Tutti gli animali ma meglio i cani".
Guendalina sorrise, «Oh, sì è bellissima.» disse e ammiccò alla telecamera, «Ed felice di mettersi i vestitini che le faccio fare su misura da un sarto francese.» continuò, dopo aver elogiato le buone maniere di Angelica per quasi dieci minuti. Lanciò appena un'occhiataccia all'altro cane presente in studio: un semplicissimo e banalissimo cane meticcio dal pelo fulvo.
«Veramente mi sento una cogliona.»
Nello studio tv tutto tacque. «Co-co-co-» balbettò Maria fissando il cane.
«Sei una gallina?» sbottò Angelica scendendo dalle ginocchia di Guendalina, che la fissava con occhi sbarrati. La cagnolina girò attorno alle poltroncine, annusò brevemente il piccolo recinto dove stavano tranquilli sei cuccioli di gatto. «Tu.» si rivolse all'aiuto cameraman, «Levami sto coso.»
Il ragazzo la fissò pieno di paura.
«Allora, ti dai una stra cavolo di mossa o devo azzannarti le palle?» continuò Angelica. Il ragazzo scosse la testa, si inginocchiò e tolse il fiocco rosa dalla testa del cane, aprì il tutù che per fortuna si chiudeva con una striscia di velcro e le tolse le scarpine, pensando che fosse da imbecilli mettere le scarpe a un cane. «Libertà!» urlò Angelica scorrazzando per lo studio.
«Nella cantina di un palazzone tutti i gattini senza padrone organizzarono una riunione per precisare la situazione.»
Una decina di teste si voltarono verso il recinto dei gattini, che se ne stavano disposti ordinatamente in fila, tutti vicini, i musini rivolti al cielo e ondeggiavano a destra e sinistra a ritmo della canzone.
«Quarantaquattro gatti in fila per sei con il resto di due, si unirono compatti in fila per sei con il resto di due, con i baffi allineati in fila per sei con il resto di due, le code attorcigliate in fila per sei con il resto di due. Sei per sette quarantadue, più due quarantaquattro!»
La loro allevatrice lanciò uno strillo e si sedette per terra, mentre li fissava cantare.
«Loro chiedevano a tutti i bambini, che sono amici di tutti i gattini, un pasto al giorno e all'occasione, poter dormire sulle poltrone!»
Maria si accasciò sulla poltrona, facendosi aria con la cartelletta blu.
«Ehi, tu!» esclamò Angelica dopo aver fatto pipì contro una parete, «Bel maschione!» si rivolse all'altro cane, «Come ti chiami?» chiese.
«Io?» fece l'altro, «Chaos.» disse.
Angelica fissò i gatti cantare e pensò che fossero stupidi. «Bene, andiamo.» esclamò, «Ho voglia di darci dentro!» urlò e corse verso la porta più vicina.
L'aiuto regista non resse: scappò via urlando, si buttò contro la porta d'emergenza e uscì all'aria aperta. Trafficò con il cellulare e compose il numero del suo vecchio psichiatra. «Tu devi vedermi subito!» strillò. «Gli animali parlano! Parlano!» urlò.
«No, qua in cura ci vado io.» replicò l'altro uomo, poi urlò che non era possibile che il suo serpente parlasse e riattaccò — o forse svenne.
Un coniglietto nano sbucò da sotto un cespuglio, balzò davanti all'aiuto regista e lo fissò. «Che succede, amico?» squittì. L'uomo svenne.
«Quarantaquattro gatti in fila per sei con il resto di due, si unirono compatti in fila per sei con il resto di due, con i baffi allineati in fila per sei con il resto di due, le code attorcigliate in fila per sei con il resto di due. Sei per sette quarantadue, più due quarantaquattro!»
«Più due quarantaquattro!» cantò il gattino più piccolo di tutti.
«Tu non puoi fare la voce solista!» esclamò uno dei gatti, fissando il più piccolo.
«Sì.»
«No.»
«Sì.»
«No.»
«E allora lo faccio io.»
«No io!»
«Io.»
«No.»
I gatti iniziarono a litigare.
Guendalina riuscì a trovare la forza di alzarsi, andò nella direzione dove era sparita la sua adorabile cagnolina. Svoltò un angolo e quello che vide la raggelò: Angelica si stava accoppiando con quel cane senza pedigree. Con fare teatrale, svenne anche lei.

***

Il negozio di animali della città si chiamava "Il modo degli animali".
Oltre a cibo, cucce e accessori vari, nel grande negozio c'erano anche cani, gatti, pesci e tartarughe d'acqua, sistemati in diverse gabbie e acquari, che guardavano gli umani sperando di essere scelti.
Il bambino di otto anni si avvicinò a una gabbietta dal fondo azzurro e fissò i due gatti siamesi. «Sono belli!» trillò guardando la madre. «Ehi, micio! Vieni qui!» disse infilando un dito fra le sbarre.
I due gatti si alzarono sulle quattro zampe, gli occhi azzurri fissi sul piccolo umano, «Siam siam siam del Siam, siam siamesi, siam fratelli ma non siamesi.» cominciarono a cantare, la madre del bambino lanciò un urlo, si girò e uscì di corsa dal negozio, si gettò in strada rischiando di essere investita e si accasciò sulla prima panchina disponibile. Il bambino, invece, guardò i gatti ridendo. Erano così buffi!
«Tu lo vedi in quella palla un pesciolin?» uno dei gatti indicò uno dei vari acquari.
«Sì! L'hanno messo sotto vetro, povelin. Ola noi lo libeliamo e digli addio.» cantò l'altro in risposta.
«Ci giochiamo a testa e coda tu ed io?»
Il bambino batté le mani, felice. In quel momento entrò una donna con i suoi cinque figli che si diressero verso i cuccioli di cane. «Sta bene?» domandò la donna al commesso dal volto pallido.
«Cantano! Cantano!» gracchiò quello, indicando la gabbia dei siamesi.
La donna lo fissò come se fosse scemo e guardò i sei cagnolini neri. «Prendi me!» esclamò uno di loro.
«No, me!» esclamò un altro dei cuccioli.
«Io!»
«Me!»
«No, io!»
«Scelgono me perché sono una femminuccia.» esclamò l'unica cagnolina del gruppo, «Scegli me, predi me, ama me.» disse allungando il musino verso le sbarre.
I bambini risero divertiti, la loro madre svenne, il commesso fuggì via, lasciando la porta del negozio spalancata.
«Che idioti.» gracchiò l'unico cacatua cresta gialla del negozio, «Ehi, bimbo!» chiamò il bambino che se ne stava davanti la gabbia dei due gatti, «Liberami.» ordinò. E il piccolo lo fece: slegò la catenella che lo teneva imprigionato.
«Grazie!» il cacatua volò via dal trespolo, imboccò la porta e sparì dalla vista dei presenti.
Volò per qualche minuto, godendosi l'aria e il sole che gli scaldava le penne.
Fissò un coniglietto che brucava l'erba e, accanto a lui, steso sull'asfalto, si trovava un uomo. Il volatile planò. «Buona giornata.» si rivolse al coniglio.
«'giorno.» biascicò quello, una ciuffo d'erba fra i denti. 
«Dorme per terra?» il cacatua indicò con l'ala l'uomo.
«Bho.» rispose l'altro e continuò a mangiare.
Il cacatua si alzò in volo ed entrò nell'edificio da una stretta finestrella, fissò dei gattini che cantavano, due cani che si inseguivano e una donna che correva loro dietro.
«Angelica, amore della mamma!» pianse la donna, «Lascia stare quel cagnaccio! Hai Filippo che ti aspetta!» strillò fra le lacrime, «Lui ha il pedigree!»
Il volatile uscì da un'altra finestrella, tornando all'aria aperta, per poi infilarsi in un'altra finestrella, volò in un lungo corridoio ed entrò in una grande stanza.
Fissò l'uomo dietro un tavolo e lo riconobbe: era quello che faceva la pubblicità di una marca di acqua. La vedeva sempre nella tv che c'era in negozio. Lui era un calciatore, o un ex calciatore. Al pennuto non importava poi molto cosa facesse quello nella vita. Odiava l'uccellino che lo accompagnava, con quella vocetta stridula che gli faceva venire i brividi. Decise che lo avrebbe sostituito lui.
«E tu da dove spunti?» domandò il regista.
«Dal negozio di animali.» rispose l'uccello e si appollaiò sulla spalla del protagonista dello spot, che lo fissava con gli occhi sgranati.
«Ma... ma parli!» gracchiò quello.
«E certo!» rispose il cacatua e si schiarì la voce, «Prendete il la.» cantò, la voce stonata, «O canta usignol, canta usignol.» continuò. Si fermò sentendo che tutti lo stavano osservando. «Non era questa la battuta?» fece, voltò la testa verso l'umano e lo guardò piegando la testa di lato, «Su, suggerisci!» sbottò.
L'uomo traballò e il cacatua volò via un attimo prima che l'altro rovinasse a terra. «Che scemo.» commentò zampettando sul tavolo bianco. «Allora, da adesso sono io la star.» disse e spiegò una delle ali bianche, abbracciando la bottiglia di plastica verde accanto a lui. «Qual è la mia battuta?» domandò, «Posso cantare e ballare, se volete.» continuò. «Allora?» gracchiò, «Canto ancora?» chiese, «Eh, io canto!» disse, «Oh canta usignol, oh canta usignol!» cantò, alzando la voce e stonando.
Ci fu un fuggi-fuggi generale. Il regista dello spot televisivo corse fuori dallo studio, entrò in quello di fronte, vide i gattini cantare e una cagnolina bianca che dava della "brutta cessa" a una donna. Corse via anche da lì e rischiò di inciampare nel suo amico steso per terra. Gli domandò cosa ci facesse lì.
«Gli animali parlano.» rispose il regista della trasmissione sugli animali.
«È un sogno, vero?» replicò l'altro.
«Ma quale sogno!» sbottò il coniglietto, «È tutto vero.» disse, «Avete una carota?» chiese e fissò l'uomo che se ne stava sdraio urlare, mentre quello in piedi si sedette con un tonfo, gli occhi sgranati e la bocca aperta. «Maleducati.» sbottò e zampettò via, alla ricerca di qualcuno che gli desse quelle carota.
Qualche minuto dopo arrivò davanti a un negozio di frutta e verdura, entrò e annusò l'aria: le carote c'erano.
Saltellò vicino a una cassetta verde, si issò sulle zampette posteriori e guardò quelle due dozzine di carote.
«E tu da dove spunti?» domandò l'anziana proprietaria del negozio, si chinò e grattò fra le orecchie del coniglietto, che gradì molto. «Vuoi una carota?» domandò ancora e ne prese una, la allungò verso il coniglietto che l'annusò, poi la strinse fra le zampine anteriore. Affondò i denti nell'ortaggio.
«È buona.» commentò, «Grazie, signora.» disse.
Quella lo guardò, «Tu... tu...» balbettò, «Parli!» urlò, «Aiuto, c'è un coniglio che parla!» gridò, «Aiuto! Aiuto!» strillò ancora.
Il coniglietto la fissò sorpreso, domandandosi perché stesse urlando in quel modo, infilò la carota in bocca e saltellò via, lontano da quella che urlava e disturbava il suo spuntino.

***

«Non è possibile.» ripeté Rebecca abbracciandosi le ginocchia.
«E invece sì.» replicò Felix balzando sul divano, «Allora, mi dai la pappa?»
Lei lo fissò, guardò i grandi occhi gialli che la guardavano di rimando, «No.» rispose, «Hai già mangiato.» soffiò, «Stai diventando obeso.» aggiunse.
Il gatto la fissò e soffiò mentre le puntava le unghie nel polso, «Io non sono obeso.» ribatté
Lei scosse la testa e scostò la zampa del gatto, fissò la tv vedendo la sigla dell'edizione straordinaria del telegiornale.
«Non sappiamo il perché gli animali domestici abbiano iniziato a parlare ma vi invitiamo a mantenere la calma.» esordì la giornalista. «Sta succedendo in tutto il modo, non è una cosa isolata.» continuò.
«Meno male.» soffiò Rebecca. Mezz'ora prima aveva ripreso i sensi, si era resa conto che gli animali parlavano sul serio, che non era solo la sua immaginazione ed era uscita di casa, accorgendosi che tutti gli animali domestici avevano iniziato a parlare all'improvviso, scatenando il panico in tutti quanti, così era rientrata in casa, aveva preso un respiro profondo e aveva aperto il frigorifero, aveva afferrato una bottiglia di birra e, dopo averla stappata, se ne era scolata quasi la metà in un solo sorso.
Poi si era seduta sul divano, la bottiglia stretta in mano e aveva iniziato a guardare la tv, saltando da un'edizione straordinaria all'altra.
Aveva saputo che c'erano stati problemi durante la diretta di un programma che parlava di animali, che un commesso era fuggito da un negozio di animali... quella cosa aveva mandato fuori di testa un sacco di persone.
«Giochiamo?» esclamò Toby, lasciando cadere la solita pallina sul divano.
Rebecca la raccolse e la lanciò dall'altra parte della stanza, «Te ne compro un'altra.» disse, «Quella è tutta rovinata.» sospirò.
«Ma a me piace.» replicò Toby.
Rebecca sospirò e bevve ancora, mentre fissava la tv. Un giornalista stava intervistando un veterinario che elencava le varie cause di quel fenomeno, parlando di faglie d'acqua inquinate, dell'inquinamento in generale, finendo con il blaterare delle scie chimiche. Rebecca spense la tv.
Inspirò a fondo, «Allora... cosa volete?» domandò.
«La pappa al salmone.» rispose Felix, «Anzi, un trancio di salmone ai ferri sarebbe meglio.» esclamò strusciando la testa contro il braccio di lei.
«Un osso nuovo.» esclamò Toby allungando la testa per farsi coccolare.
«Una gabbietta più grande e bella.» rispose Jerry, «Con tubi colorati, scivoli e altre ruote.» squittì.
«Ah.» commentò la giovane. «Okay.» esclamò, «Io... adesso vado.» disse e si alzò in piedi, «Voi non fate casino, okay?» si raccomandò.

***

Una mezz'ora dopo arrivò nel negozio di animali nella città vicina. Afferrò uno dei carrelli e lo spinse nell'edificio; si fermò un attimo, frastornata dal gran vociare: erano i cani che parlavano fra di loro o con i loro padroni, ordinando loro quale cibo preferissero, che volevano delle cucce nuove, che avevano assolutamente bisogno di un nuovo gioco e che i biscotti erano finiti.
Inspirò a fondo e spinse il carrello in avanti, lo riempì con ossa di bufalo, scatolette di cibo al salmone, afferrò qualche nuovo gioco per Toby e Felix e si fermò davanti le gabbie dei criceti.
C'erano così tanti modelli che non sapeva quale scegliere.
«Stai intralciando il passo.»
Rebecca quasi saltò in aria quando si accorse che era stato un Jack Russel a parlare. «Io... scusa.» gracchiò e si spostò.
«Mi dispiace.» mormorò la donna che portava al guinzaglio il cane. Rebecca scrollò le spalle, afferrò una scatola contenente la gabbietta e tutto quello che aveva chiesto Jerry e spinse il carrello alla cassa. Rimase immobile nel sentire i cani che si lamentavano perché non avevano ricevuto il cibo che desideravo, persone che si urlavano addosso perché il loro cani parlavano fra di loro e non avevano nessuna intenzione di smettere e muoversi da lì.
Prima di tornare a casa si fermò al primo supermercato che trovò, dove comprò altre birre e qualche trancio al salmone.

«Salmone!» esclamò Felix scendendo dal divano, «Me ne dai un po', eh?» domandò strusciandosi contro le gambe di Rebecca, «Allora? Me lo dai? Ti muovi?»
«Smettila.» replicò lei posando il sacchetto sul tavolo e iniziò a sistemare nel frigo la spesa. Uscì di nuovo per tornare subito dopo con quello che aveva comprato nel negozio di animali. Prese uno degli ossi, lo scartò e Toby arrivò subito. «Non consumarlo subito.» si raccomandò e osservò il cane che se ne andava nella sua cuccia.
«Il mio salmone?» esclamò Felix.
«Smettila.» sbuffò Rebecca, «Ti ho preso questa.» disse sollevando una pallina blu e gialla legata a una cordicella.
«Cosa?» sbottò il gatto, «Io non voglio una stupida pallina, io voglio la mia cena.» protestò mentre Rebecca legava un capo della cordicella alla ringhiera della scala che portava al piano superiore.
«Guarda qui, Felix.» Rebecca fece ondeggiare la pallina, «Non è divertente?» domandò. 
Felix arricciò il naso e osservò la pallina che andava da una parte all'altra. «No.» rispose ma si avvicinò lo stesso, colpì la pallina con la zampina. Un attimo dopo stava giocando, dimenticandosi quello che aveva detto poco prima.
«Stupido gatto.» commentò Jerry. «Oh, ma è per me?» domandò osservando Rebecca che tirava fuori dalla scatola la gabbietta nuova.
«Sì.» rispose lei.
«Ma è bellissima!» trillò il criceto e iniziò a correre da una parta all'altra della gabbietta.
«Stai calmo.» sospirò Rebecca mentre montava la nuova gabbietta.
«E la mia cena?» esclamò Felix allontanandosi dal nuovo gioco, «Lascia stare il topo e dammi da mangiare.» ordinò strusciandosi contro la schiena di Rebecca, seduta a gambe incrociate sul pavimento.
«Perché non giochiamo?» replicò Toby, «Dai!» esclamò saltellando da una parte all'altra.
«Piantatela, subito.» esclamò Rebecca incastrando un pezzo di tubo, «ALtrimenti dormite tutte e due fuori.»
«No, fuori no.» esclamò Felix, «Per favore.» fece le fusa.
Lei lo fissò, «E allora lasciami fare.» commentò.
In pochi minuti Rebecca montò tutto quanto, ricoprì il fondo con la sabbietta, riempì le varie ciotoline con acqua e semi. Si alzò in piedi, prese la vecchia gabbietta e la posò a terra, sorridendo nel vedere l'impazienza di Jerry. Aprì la gabbietta e il criceto salì sulla mano di lei; Rebecca lo trasferì in quella nuova, poi la sistemò sul mobile.
«Ti piace?» domandò.
«Sì!» squittì Jerry correndo da una parte all'altra, «È bellissima!» esclamò, si arrampicò su una scaletta, entrò in un tubo e scivolò. «Grazie!» esclamò felice.
Rebecca sorrise, felice.

«Felix, scendi dal tavolo.» ordinò Rebecca.
«Ne voglio ancora.» ribatté il gatto.
Lei lo guardò, «Te ne ho già dato metà.» ricordò, «Adesso giù.» lo prese e lo sistemò sul pavimento, fissò Toby che sgranocchiava l'osso e tornò a mangiare.
«Felix...» sospirò qualche attimo dopo. «Vai giù.»
«Ne voglio ancora.» ripeté lui, «Per favore.» disse avvicinando il musino bianco e nero al piatto di lei.
«Okay.» sorrise Rebecca, «Ma domani andiamo dal veterinario.» commentò.
Il gatto spalancò gli occhi, «Veterinario?» gracchiò, «No, ti prego.» mormorò, le balzò in grembo e si alzò sulle zampe posteriori, posando le altre sulla spalla di lei. «Per favore no.» disse strusciando la testa contro il mento della giovane. «Scusa.» aggiunse e le leccò una guancia, «Il veterinario no.» disse facendo le fusa, «Ti prego.» aggiunse e le toccò il viso con una zampetta, «Scusa.» strusciò la testa contro il mento di lei.
«E va bene.» sospirò Rebecca accarezzandogli la testa, «Ma adesso scendi, subito.» disse. «Te ne do un altro pezzetto, basta che la smetti di rompere le palle.»
Felix miagolò, saltò sul pavimento e corse alla sua ciotola rossa, dove attese che Rebecca gli desse un altro pezzo di salmone. «Sei un ruffiano.» commentò Rebecca mentre lui tuffava il muso nel piatto. 

Rebecca accese di nuovo la tv, fissando l'ennesima edizione straordinaria che ripeteva le stesse cose da quel pomeriggio, così la spense. «Io vado a farmi una doccia e poi a dormire, voi fate i bravi.» disse.
Toby la guardò appena e tornò a rosicchiare l'osso. Jerry afferrò un seme e lo mangiò mentre Felix se ne stava acciambellato sul divano.
La ragazza li fissò con un sorriso e andò in bagno.
Una mezz'ora più tardi, mentre se ne stava sotto le coperte, sentì la porta della camera aprirsi, un attimo dopo Felix balzò sul letto, le si avvicinò e iniziò a fare le fusa, Rebecca gli grattò la testa mentre lui le saliva sul petto per poi iniziare a spingere le zampine in modo ritmico contro le sue spalle. Lei continuò a coccolarlo, affondando le dita nel pelo folto. Poco dopo sentì i passi di Toby sul pavimento, poi il cane si accucciò sul tappeto ai piedi del letto. Udì Jerry che correva sulla sua ruota.
Pensò che forse non era così terribile se gli animali domestici avessero iniziato a parlare così all'improvviso. 


Okay, sta roba sembra più demenziale che comica.
E niente, mi uscita praticamente di getto.
Canzoni usate: "Quarantaquattro gatti", che dà anche il titolo alla storia.
"Siam siamesi" da Lilly e il vagabondo.
"Prendi me, scemi me, ama me" Citazione da Grey's Anatomy "Canta usignol" da Cenerentola.

   
 
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