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Autore: Milla Chan    08/03/2017    1 recensioni
Akaashi capisce che c’è qualcosa di strano non appena mettono piede in università: nessuno saluta Kenma, e lui tiene gli occhi fissi sulle piastrelle su cui cammina, le sopracciglia contratte. Gli si legge in faccia che vuole uscire il prima possibile da lì, che fatica a camminare e lo fa in modo macchinoso, irrequieto. Il suo viso sembra stanco ed è abbastanza sicuro che non abbia dormito abbastanza.
Più o meno sa che tipo di persona è Kenma: lo ha incontrato al liceo, hanno giocato parecchie partite insieme, c’è stata quella vena di sana competizione a far scattare tra loro qualche scintilla.
Lo conosce, certo, ma non davvero, non abbastanza bene da rimanere in contatto o mandarsi mail, o considerarlo un vero e proprio amico.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Pick my petals off and make my heart explode
 
Kenma si gode ogni attimo delle carezze che gli vengono posate lungo la colonna vertebrale con la punta delle dita e dei leggeri tremori che gli procurano.
I loro bacini sono vicini, li sente, e vorrebbe mordersi le labbra e sprofondare sottoterra perché ora è tutto così lento, e lui si sente così irrequieto, senza un briciolo di pazienza rimasta.
Sembra passare un’eternità prima che Akaashi gli sollevi la maglietta, e Kenma strizza gli occhi e alza le braccia per aiutarlo a toglierla.
Segue un’altra scia di baci, e dei leggerissimi morsi che lo fanno trasalire di tanto in tanto. Il cuore gli uscirà dal petto da un momento all’altro, lo sa.
Tira il maglione di Akaashi per fargli capire che deve sbrigarsi a spogliarsi, perché non è giusto che lui sia l’unico a rimanere così esposto all’aria non troppo calda.
Akaashi lo accontenta, ma quasi non fa in tempo a lasciar cadere la maglia a terra che Kenma sta già trafficando coi suoi jeans.
“Ah…”
Ad Akaashi manca il fiato e le sue guance rosse sono puro oro per gli occhi di Kenma.
“Hai fretta?” chiede a voce bassa e vagamente provocatoria, fermando Kenma e spingendolo ancora indietro.
 
Sì, sì, ha fretta e vuole solo che gli metta le mani addosso, ma non glielo dice sia perché sa che è imbarazzante, sia perché il cervello e la bocca sono assolutamente scollegati, e sincronizzarli impiegherebbe troppe energie.
La schiena nuda di Kenma si adagia sulla coperta e Akaashi fa scorrere le mani lungo le sue braccia, sollevandole in alto e accarezzandogli la pelle bianchissima e liscia in un gesto di apprezzamento.
Slaccia i pantaloni di Kenma e li abbassa fino alle ginocchia, per poi liberarsi dei propri. Kenma allunga le braccia verso di lui ma Akaashi è veloce a bloccarlo di nuovo, e questa volta tiene fermamente una mano sui suoi polsi uniti sopra la sua testa.
Kenma lo guarda con livore e stringe nervosamente le labbra, ma un secondo dopo vengono baciate da Akaashi e non può davvero fingere di essere arrabbiato adesso, non quando gli piace così tanto.
Kenma fa una smorfia e calcia via i pantaloni con piccoli versi infastiditi, sotto lo sguardo divertito di Akaashi.
Allaccia le gambe attorno ai suoi fianchi e il divertimento sul volto di Akaashi diventa sincera sorpresa.
Il sangue ha decisamente abbandonato il cervello per affluire verso altri posti.
 
Kenma non sa come è finito ad avere le sue dita in bocca, ma gli piace.
Akaashi non ha idea di quando la mano di Kenma si sia appoggiata sui suoi boxer o quando i suoi respiri pesanti si siano uniti ai leggeri versi che provengono dalla gola di Kenma.
Il tempo sembra scorrere in modo totalmente diverso e Kenma arriva ad un punto in cui si accorge che i suoi versi sono diventati gemiti, ed è completamente nudo, e non capisce dov’è orientato nello spazio. Anche Akaashi è nudo. Non sa quando è successo, non gli importa, ormai si parla solo di pezzi di stoffa buttati a terra e non è importante, anzi, è meglio così, molto meglio.
La mano libera di Akaashi  preme all’interno della sua coscia, la stringe, e un attimo dopo scorre più in basso, tra le gambe.
Il caldo lo investe come un’onda ed allora, ecco, allora è davvero troppo tardi per provare una qualsiasi forma di imbarazzo.
Si porta un avambraccio sugli occhi e sospira attorno alle dita di Akaashi, che scivolano tra le sue labbra.
Ci mette qualche secondo prima che il suo cervello riesca a dare alla mano l’ordine di muoversi e raggiungere quella di Akaashi tra le sue cosce.
 
Akaashi si sente attraversare da una scossa elettrica quando le dita di Kenma lo sfiorano, perché sono leggere e inaspettatamente decise. Deve concentrarsi per mantenere il controllo, deve concentrarsi sul ritmo del suo cuore, e del suo polso, e dei respiri affannati. Le sue gambe sembrano essere sul punto di cedere, e poco dopo lo fanno davvero: è puntellato sulle ginocchia e non è molto stavile, perciò finisce col sedersi sui talloni con un sospiro pesante. Ha davvero troppe cose a cui prestare attenzione, e quei tocchi lo distruggono.
Kenma non ce la fa a non guardarlo. Con la testa reclinata sul materasso, si bea di quella vista, di quell’angolazione: ancora si stupisce della forma di quegli occhi, e di quel colore e di quelle ciglia, di ogni dettaglio sul suo volto. Non se ne capacita, e se lascia scivolare lo sguardo più in basso non può che chiedersi dalle mani di quali angeli sia uscito.
 
I bacini sono vicini e si strusciano, le mani anche, e si intrecciano.
Akaashi sente le cosce tremare. Vorrebbe rimanere lucido, ma il volto di Kenma, arrossato e totalmente perso, non gli facilita il compito.
Deve chiudere gli occhi, o non ce la farà mai a restare in forma solida.
Più i secondi passano e più l’ossigeno sembra sparire dalla stanza. Gli fa girare la testa in modo tremendamente gradevole, sente un caldo anomalo ma familiare, una sorta di formicolio impaziente sul fondo dello stomaco.
Toglie la mano dalle labbra di Kenma con l’intenzione di appoggiarla al materasso e sostenersi, ma Kenma la intercetta e solleva le ginocchia e il bacino, e con un verso basso e eloquente la porta più in basso.
Il respiro di Akaashi si blocca per un attimo, ma subito dopo si china avanti per trovare una posizione più comoda e assecondare quella richiesta silenziosa ma chiara. La sua espressione, le labbra che sembrano quasi tremare e le iridi lucide e liquide mandano in corto circuito il cervello di Kenma; ancora di più quando le dita umide di Akaashi vanno esattamente dove voleva che andassero e lui si ritrova ad essere un gomitolo di mugolii indecenti.
Sfrega la testa contro la coperta sotto di sé con un sussulto sordo e soddisfatto quando il ritmo si stabilizza. Tutto profuma di lui.
 
Sono sudati, non stanno fermi, l’ossigeno  attorno scarseggia, esaurito da gemiti strascicati e senza filtri che non fanno altro che aumentare quel caldo che sentono solo loro.
Il ritmo accelera e i versi si fanno più pieni, più disperati.
Kenma lo sente, e sente le sue mani, e tutte quelle sensazioni contemporaneamente, ed è tutto troppo.
Il respiro si spezza e sussurra il suo nome, più di una volta, forse, non lo sa, non lo sa perché la voce esce dalle sue labbra dischiuse senza che lui possa avere alcun controllo. Strizza gli occhi e artiglia con la mano libera la coscia di Akaashi con uno spasmo, e i muscoli ci contraggono e la bocca si apre un po’ di più. Akaashi emette un verso strozzato che lo asseconda, decisamente. Forse anche per lui quello è il limite e vedere la scena dall’alto non dev’essere per niente male -ma ecco, ecco, i versi di Akaashi ora sono più bassi e gocce calde gli sporcano le mani.
Venire per qualcosa che sta succedendo realmente su di lui, sul suo corpo, per una situazione reale, e non per una fantasia, è nuovo e quasi sconvolgente, per Kenma.
Non ha dovuto pensare a nulla, solo lasciarsi trascinare -è Akaashi che lo tocca, è lui, è in casa sua, sul suo letto, è lui che vuole ed è nudo e mormora il suo nome con le guance rosse.
Se quello è il risultato allora, davvero, non ha intenzione di schiodarsi da lì.
 
Distende finalmente le gambe lungo il materasso con un sospiro liberatorio. Muove piano la mano che ha tra le gambe e la sente appiccicosa, e non riesce a non storcere il naso quando le dita di Akaashi escono da lui, anche se non poteva aspettarsi molto altro.
Il petto si alza e si abbassa furiosamente e non ha la forza di fare nulla tranne aprire gli occhi.
Anche Akaashi è stravolto e notarlo lo rincuora.
Akaashi risponde allo sguardo, il respiro irregolare, le labbra leggermente aperte e le palpebre socchiuse.
Kenma deglutisce e appoggia una mano sul suo fianco proprio mentre si sta chinando su di lui. La mano scivola sulla sua schiena e si ritrova a stringerlo contro di sé con un braccio mentre lo bacia ancora, e questa volta c’è un trasporto diverso, una nota di dolcezza decisamente più marcata e, forse, un po’ inaspettata.
Akaashi si stende affianco a lui con un debole lamento.
Non riescono a parlare. Non saprebbero neanche cosa dire, forse, quindi è meglio stare in quel modo, in silenzio, con le gambe intrecciate, a sfiorarsi la pelle sudata come se avessero paura di farsi male.
 
Akaashi insiste perché faccia una doccia da lui e resti a mangiare, e Kenma non può rifiutare, anche se è strano, dopo quello che è successo, ed era pronto a sbattersi fuori di casa.
In effetti c’è un po’ troppo silenzio, ma la televisione accesa parla per loro.
Ad un certo punto Akaashi commenta qualcosa che passa sullo schermo e Kenma ride, e col retro della mano si copre la bocca piena di riso saltato e verdure. Le verdure un po’ le odia, ma ha imparato a mangiarle, forse grazie a lui, perché come le fa lui non sono poi tanto male. Akaashi lo guarda dall’altra parte del tavolo, sorride placido e torna a mangiare.
 
Stare a cena da Akaashi dà sempre una sensazione di sollievo. Sarà la luce calda, o il fatto che le sedie sono imbottite e sente di avere la libertà di starsene comodo, non proprio perfettamente composto, un po’ girato di lato per guardare la televisione.
Sembra quasi che non sia successo nulla, ma Kenma lo sente, lo sente e lo vede che i suoi sguardi sono diversi, ma non ne parlano, non lo tocca, non lo bacia, nemmeno, per tutto il resto della serata. A dir la verità, gli dispiace.
 
Kenma non si sente in colpa quando rimette piede nel suo appartamento, quella sera tardi. Un po’ se ne sorprende, ma ne è anche felice.
Il riscaldamento in casa sua finalmente funziona, quindi non fa neanche più freddo come prima: finalmente, pensa dando un’occhiata al calendario, perché ormai ottobre sta finendo.
Lo sguardo cade per caso sulla minuscola torta di compleanno disegnata sul 16 ottobre, e il vago sorriso che si era aperto sul suo volto sparisce tutto d’un colpo ripensando al suo compleanno, e a quello che aveva visto, e provato. A Kuroo, e al suo bacio profondo, Bokuto e il suo sorriso radioso, i suoi baci sulle guance morbide di Akaashi.
Scuote la testa per scacciare via i pensieri e si preme i palmi delle mani sugli occhi. Ha bisogno di dormire e di non pensarci -non pensarci e scappare, come sempre, non è vero?
Quelle parole lo scuotono e il cuore gli balza in gola. Quasi immediatamente si fionda sul divano letto e cerca il pigiama in quel casino di coperte e lenzuola.
 
La mattina, la sensazione che ha addosso è decisamente diversa dalla levità della sera prima. Si sente pesante come un macigno e per lunghissimi minuti contempla l’idea di non alzarsi dal letto. Non è sicuro di voler vedere un altro essere umano.
Si porta le mani alla testa e respirare si fa un po’ più difficile. Si chiede cos’ha fatto e si sente, semplicemente, uno schifo.
Sa che, dentro di sé, qualcosa vuole che parli con Kuroo: “non lo sapranno” un cavolo, non può vivere con quel masso sullo stomaco e si chiede che razza di persona fosse il se stesso del giorno prima.
Ma si vergogna troppo a chiamarlo o scrivergli. Si mordicchia le labbra, pensoso. Guarda le persiane chiuse e si rigira dall’altra parte, nel letto.
Passano minuti lunghissimi ma alla fine, con uno sforzo enorme con cui stupisce anche se stesso, sposta quelle lenzuola e si alza.
 
È difficile ingranare, iniziare la giornata, attivarsi. La situazione però cambia non appena vede Akaashi in università -quella mattina Kenma ha perso il bus che prendevano di solito insieme, solo perché ci ha messo troppo a trovare la voglia di vivere.
Il disagio e il senso di colpa gli scivola via di dosso come se gli occhi allungati e limpidi di Akaashi fossero miracolosi, purificanti. Improvvisamente ha altro a cui pensare, non ha più niente di significativo da dire nonostante avesse iniziato ad assemblare un discorso nella sua mente.
 
Continua così per due o tre giorni. Non ne parlano, non per imbarazzo ma perché sanno benissimo che non saprebbero cosa dirsi. Nell’aria che c’è qualcosa di diverso, come un’attrazione più forte, come un compiacimento reciproco, perché loro lo sanno, cos’è successo.
È il loro segreto e condividerlo ha un che di intimo, un germoglio che pianta le radici più a fondo ad ogni sguardo che si scambiano. Allunga le proprie propaggini sotto la loro pelle fino ad estinguere definitivamente il dubbio che quello che era successo quel pomeriggio fosse stato frutto di qualcosa di totalmente irragionevole e, soprattutto, fermo nel tempo.
Non era vero che sarebbe stata una frazione di tempo imprigionata in quella stanza e nei loro ricordi.
Non era vero che non avrebbero più fatto qualcosa del genere.
 
“Hai le mani gelide.” mormora Kenma con gli occhi ancora chiusi, mentre qualche ciocca di capelli biondi gli scivola sul viso.
È nel suo letto. Potrebbe aver fatto un incantesimo ad Akaashi o, più semplicemente, si sono lasciati andare, hanno sciolto le catene educate e posate con cui si erano legati nei giorni precedenti.
Cerca di calmare il petto nudo e sudato, steso su un fianco. Non vede Akaashi in faccia ma ha le sue braccia avvolte attorno al busto, le sue dita appoggiate morbidamente sullo sterno. Kenma le intreccia con le sue e ci gioca.
Questa volta è stato diverso, rispetto a quella precedente. È stato meno spensierato e un po’ più disperato. C’è stato lubrificante, e preservativi, e i gemiti soffocati nel cuscino.
Kenma avrebbe voluto tuffarsi e annegare in quel sesso, e dimenticarsi di quello che faceva, ma Akaashi è troppo dolce e l’ha tenuto a galla, lo tiene a galla e continuerà a farlo. Un po’ lo odia perché non lo lascia affogare.
Kenma ha sentito che quel sesso non era fine a se stesso in ogni spinta, in ogni cigolio del materasso, in ogni grinza della coperta che aveva stretto convulsamente tra le mani. Forse avrebbe voluto che fossero solo corpi vuoti, mero piacere: sarebbe stato molto, molto più facile così avere a che fare con le sue emozioni. Ma la verità è che quel sentimento di affetto gli scalda il cuore.
“Scusami.”
La voce di Akaashi vibra attraverso di lui e raddrizza la testa nel rendersi conto che anche la sua sembra vuota, impensierita. Forse è solo stanco.
Kenma è così sovrappensiero che ci mette un po’ a capire che si sta scusando perché ha le mani fredde, e si ricorda che ha una conversazione da mandare avanti.
“Anche le mie sono gelide.” continua Kenma, con un velo di malinconia, nascondendosi come può e prendendo coraggio perché quel discorso, nato in quei giorni dalla moralità che alberga nella sua testa, più finalmente riaffiorare, anche se forse non è il momento perfetto.
“Due persone con le mani gelide non posso stare insieme, Akaashi.”
Cala il silenzio, ma Akaashi non allontana le mani da quelle di Kenma, anzi, continua ad accarezzarle come se niente fosse.
“Qualcuno con le mani fredde dovrebbe avere qualcuno che gli scaldi le mani.”
“Per favore…” lo interrompe Akaashi mettendogli una mano sulla bocca, leggero. “Basta.”
Kenma socchiude gli occhi e vorrebbe sprofondare per l’imbarazzo.
“Se devi dirmi qualcosa dillo, Kenma. Dimmi a cosa pensi.”
Kenma deve deglutire e prendere un respiro veloce per parlare, perché si sente come se qualcuno gli avesse spremuto i polmoni. Per un attimo crede addirittura di essersi dimenticato come si parla, e i pensieri nella sua testa vorticano freneticamente, disordinati. Riesce a parlare anche con le sue dita davanti alle labbra, perché in realtà non premono, sono solo appoggiate.
“È che non può andare avanti per sempre così e io… Io non lo so.”
C’è un lungo momento di silenzio prima che Kenma torni a dar voce ai suoi pensieri.
“Non posso sopportare l’idea che tu stia tradendo Bokuto con me, non se lo merita, non trattarlo così. Non volevo che succedesse. A me piaci, ma…”
Un’altra pausa, questa decisamente più densa della precedente.
“Non ti appartengo davvero, e mi dà fastidio, ma d’altro canto vorrei non creare nessun problema, e poi c’è Kuroo e... Davvero, non lo so.”
Ecco, il suo cuore esplode. È stata una cascata di mormorii rochi e improvvisati, ma le parole sono state incredibilmente efficaci e crede di aver detto esattamente ciò che aveva in testa, anche se in maniera terribilmente riduttiva e forse un po’ confusionaria.
 
Akaashi sta in silenzio e Kenma ha paura della sua reazione, anche se sa benissimo che non dovrebbe averne, perché Akaashi non farebbe nulla per farlo sentire male. O almeno lo spera. Spera che continui ad essere gentile con lui anche se quello che ha appena detto è patetico.
“Cosa ne pensi del poliamore?”
Akaashi sembra esitante e un po’ teso, e Kenma corruga le sopracciglia con una smorfia. Sta per chiedergli cosa significhi quella parola, cosa intenda, ma con uno sforzo cerca di ricavarne l’etimologia da solo. Ci riesce e rimane a pensarci per una manciata di secondi, la fronte corrucciata per il lavorio mentale.
Si tira a sedere e si volta indietro, verso di lui.
 
La faccia che vede Akaashi è incredula e contratta, e sente un tuffo al cuore.
“Akaashi.” inizia Kenma, un po’ duro. “Siamo solo due idioti che non sanno prendere decisioni o fare scelte…”
La sua voce scema un po’ e l’espressione si fa vagamente addolorata e persa quando si rende conto di cosa sta dicendo.  “…Non è amore.”
Questa volta la mano sulla sua bocca è più decisa, decisamente meno leggera. Preme forte e Kenma si sente morire nel vedere le labbra di Akaashi che tremano. Non ha il coraggio di alzare lo sguardo per incontrare i suoi occhi.
“Lo è.” mormora Akaashi dopo secondi infiniti di silenzio pesante, mentre allontana di nuovo la mano e la fa scivolare sul suo collo.
Kenma si sente andare a fuoco.
Lo è. Non voleva sentirlo, ma dentro di sé lo sapeva già, è solo difficile da spiegare: sa come si sono sentiti in quei mesi l’uno nei confronti dell’altro, sente il tipo di chimica che c’è tra loro due ed è innegabile, e inestinguibile; non può essere nascosta sotto un tappeto come polvere.
Continua a non avere la forza di guardarlo, e cerca a tentoni la sua faccia con il capo chino. Si morde le labbra nervoso e passa i pollici sotto i suoi occhi, e sugli zigomi, e quando sente il bagnato delle lacrime serra le palpebre e si odia per essere stato brusco e impulsivo.
“Oh, no, no…”
Se lo porta contro e lo stringe forte. Akaashi non trema, non fa rumore, non singhiozza, ma ricambia l’abbraccio e affonda la faccia nell’incavo del suo collo con un’intensità emotiva che investe Kenma come un’onda gigantesca.
Accarezza piano i capelli di Akaashi e stringe le labbra.
“Akaashi, non intendevo…” mormora col tono più dolce che riesce ad assumere. “Ci hai pensato tanto, vero?”
Akaashi annuisce senza dire una parola e Kenma capisce di essere stato uno stupido a non aver dato il giusto peso alle sue parole, ad aver smontato tutto con una semplice frase non ragionata.
Gli fa una certa impressione vederlo in quello stato, e non pensava che sarebbe bastato così poco per renderlo così, ma non era sua intenzione.
“Pensi che sia sbagliato?” chiede cauto Akaashi, e la sua voce non vacilla.
“No, no, non lo è, è tutto a posto.” si affretta a rispondere Kenma, ma nella sua testa ci sono più domande che risposte. Appoggia la guancia contro i suoi capelli e si imbroncia appena, un po’ triste di non saper essere incoraggiante quanto lui.
“Bokuto sa di noi due?”
Akaashi aspetta un po’ prima di annuire di nuovo e Kenma è profondamente sorpreso e scosso da quella rivelazione. Sembra rendersi conto solo in quel momento di essere nudo nel suo letto, sotto le lenzuola e le coperte spesse.
“Sì? Cosa? Quando gliel’hai detto?”
Si sente un ladro, un ladro un po’ tradito perché era convinto che fossero solo loro due e il loro segreto.
Akaashi è serio e stupito dall’atteggiamento apprensivo di Kenma, ma lo capisce e gli deve delle spiegazioni.
“Ieri notte.”
 
Non era davvero riuscito a stare in silenzio con Bokuto, a non dirgli nulla: non poteva tenerlo all’oscuro di una cosa così importante. Akaashi ha sempre preferito le cose trasparenti e cristalline.
Aveva dovuto farlo smettere di piangere, perché aveva pianto tanto, tantissimo a dirotto, disperato: era stata la sua reazione immediata, assieme ai lunghi lamenti autocommiseratori. Aveva dovuto consolarlo, assicurargli che non lo avrebbe lasciato per nulla al mondo -ed era vero, non poteva, non voleva. Baciandogli piano la fronte e gli aveva spiegato con calma tutto quello che sentiva, tutto quello che Kenma era per lui, che Bokuto era per lui, i suoi timori, le sue certezze. Si era analizzato abbastanza a fondo per farlo, anche se le sue sicurezze erano come fragili e radi pilastri di vetro a sostenere una grande, enorme impalcatura sperimentale.
Gli aveva chiesto scusa per aver fatto ciò che aveva fatto.
La paura gli stringeva lo stomaco, il terrore di non essere capito e di essere frainteso era troppo grande per non fargli vibrare la voce, ma se amava Bokuto c’era un motivo, e quel motivo Bokuto l’aveva dimostrato ancora una volta in un modo semplicissimo e al contempo arduo: lo aveva capito. Forse non a pieno, ma si era sforzato di farlo.
Quando lo aveva scusato, Akaashi aveva pensato che fosse davvero troppo buono per esistere. Con un qualsiasi altra persona non sarebbe stato così semplice, lo sapeva benissimo e ringraziava il cielo per avergli donato proprio lui.
Certo non si era convinto subito, Bokuto: il dubbio gli scavava grosse rughe sul volto, ma non aveva mai lasciato andare le sue mani. Il suo modo di fare un po’ immaturo si era temperato e aveva ascoltato attentamente ogni sua singola parola.
Alla fine, Akaashi aveva ricevuto una risposta comprensibile: era abbastanza difficile metabolizzare l’idea che amasse (amasse, era proprio quello il termine, e un po’ gli faceva male) qualcuno che non fosse lui, ma riponeva in lui tutta la sua fiducia e avrebbero potuto fare una sorta di periodo di prova per capire cosa fare.
Quell’espressione non era piaciuta particolarmente ad Akaashi, ma capiva bene il suo impegno e apprezzava enormemente quegli sforzi che, lo capiva, non dovevano essere semplici. Lo aveva ringraziato con grossi baci sulle guance e il cuore sollevato, promettendogli che sarebbe andato tutto bene.
 
Akaashi è nel suo letto ora, è insieme a Kenma, eppure gli sembra ancora di avere Bokuto vicino. Rivivere la conversazione della sera prima è un’esperienza piacevole e incoraggiante per il discorso che sta affrontando.
“È vero che abbiamo le mani fredde, ma Bokuto le ha calde, e Kuroo-san le ha calde. So che per te è difficile, ma vorrei davvero che conoscessi Bokuto. Vorrei davvero che uscissimo tutti e quattro insieme, un giorno. Solo uscire. Ne sarei davvero felice e penso che sarebbe piacevole per tutti e quattro.”
Kenma lo guarda con le labbra socchiuse e si sente perso. “Perché metti in mezzo anche Kuro?”
“Perché so quanto tieni a lui, e credo di aver capito quanto lui tiene a te. E lui e Bokuto si conoscono così bene, potrebbe essere divertente passare un pomeriggio insieme.”
Kenma è stranito. Gli sembra quasi di avere davanti un nuovo lato di Akaashi. Non l’aveva ancora visto e lo sorprende. Ha una luce negli occhi, è pieno di aspettativa e speranza e Kenma si chiede disperatamente quanto debba aver pensato a tutte quelle cose, come abbia fatto a processarle tutte e quando.
“Non mi piacciono le cose complicate…” mormora incassandosi un po’ nelle proprie spalle e guardando altrove.
“Non lo è.” lo incalza Akaashi, col chiaro intento di tranquillizzarlo e convincerlo a fidarsi di lui. “Lo so che lo sembra, ma è molto più semplice di come appare nella tua testa, davvero.” gli sorride debolmente e intreccia le dita con le sue con lentezza.
“Non provi… gelosia, o qualcosa del genere. Tipo, non lo so, possesso? Nei confronti di Bokuto, intendo.” chiede titubante. “…O nei miei.” aggiunge alla fine, con un soffio.
Akaashi si porta le sue mani alle labbra e ne bacia il palmi. Non lo guarda negli occhi, forse perché un po’ fremono per l’agitazione di star tirando fuori tutto quello che sente dentro, finalmente, una volta per tutte.
“Voglio solo stare con le persone a cui voglio bene e voglio che anche voi stiate bene, e se so che insieme potreste andare d’accordo, allora perché non dovrei essere felice di vedervi vicini? Questo non significa che io non vi voglia per me, comunque.”
 
Kenma si scioglie davanti a quella limpidezza. Per l’ennesima volta in quei mesi, si chiede se Akaashi Keiji sia davvero umano, se non sia disceso dal cielo, plasmato da qualche entità ultraterrena. Se lo chiede perché non sembra possibile, non sembra vera, tutta quella perfezione.
All’inizio una parte di lui pensava che gli stesse nascondendo qualcosa, ma più passava il tempo più capiva che era davvero così, era davvero altruista e bellissimo e bravo in ogni cosa, e l’unico difetto che aveva visto in lui era quello di essere, a volte, particolarmente schietto, rischiando così di risultare un po’ troppo severo e rude.
Ma in quel momento davanti a lui c’è solo luce.
Stringe le sue spalle e si sporge per baciarlo.
Avranno anche le mani fredde, ma le coperte sono calde e i brividi sono così intensi da essere piacevoli.
 
Le nuvole vaporose si appoggiano sul cielo scuro come se fossero adagiate su un ripiano di vetro. L’aria è frizzante e pizzica il naso, l’asfalto del marciapiede sembra ancora più grigio e le luci dei negozi sono l’unica nota piacevole in quella sera di autunno inoltrato.
Kuroo deve strizzare un paio di volte gli occhi per assicurarsi che quello davanti a sé non sia un miraggio.
“Kenma!”
Kenma, avvolto in una sciarpa enorme, è davanti al portone del suo condominio, con un dito sul citofono. Volta la testa e i suoi occhi ambrati, nei quali si riflettono i lampioni gialli, si fanno grandi e sorpresi.
Le nuvolette create dal respiro condensato gli svolazzano attorno alla faccia e al naso arrossato, e Kuroo affretta il passo per andargli incontro e travolgerlo con un abbraccio.
“Cosa ci fai qui? È tardissimo!”
“Kuro-”
Kenma quasi ansima e appoggia le mani sui suoi avambracci, e sembra che abbia l’impellente bisogno di dire qualcosa di urgente.
Kuroo sprofonda in quelle pupille dilatate ed è confuso da quella premura, quell’agitazione. Pensa che sia successo qualcosa di grave, di terribile.
“Cosa siamo?”
La voce di Kenma lo punge proprio come sta facendo il gelo, lo colpisce inaspettatamente come farebbe uno schiaffo.
Per un attimo rimangono avvolti solo dai loro respiri condensati.
 
“Cosa?”
“Io e te.” continua Kenma, e ora guardarlo negli occhi è difficile, ma non abbandona il contatto fisico. “Che cosa siamo io e te?”
Kuroo corruga la fronte e si umetta le labbra guardandosi velocemente attorno.
“Vieni.” lo sprona ad entrare, posandogli una mano sulla schiena. Prendono l’ascensore e entrano nel suo appartamento, silenziosi ma con una certa fretta.
Kuroo chiude la porta della sua stanza dietro di lui, lasciando i coinquilini a parlare in salotto.
“Sei venuto fin qui per chiedermi questo?” chiede con un tono che Kenma non sa decifrare. Si avvicina a Kenma, già seduto sul suo letto, e si accovaccia davanti a lui prendendo le sue mani nelle proprie.
Kenma annuisce e gli stringe le dita. Akaashi ha ragione, Kuroo ha le mani calde e vorrebbe tanto buttargli le braccia al collo e abbracciarlo.
“Kenma, io… non lo so. Lo sai benissimo anche tu.” inizia con una mezza risata, nervosa. Ripercorre mentalmente tutti gli attimi passati accanto a lui, anche se sembra impossibile. Forse sta per morire e la sua vita gli sta passando davanti. “Siamo solo… noi. È molto più facile non dargli un nome, non trovi?”
“No, non lo è.”
Le parole di Kenma lo spiazzano. Sono sicure e dirette e per un attimo gli sembra di avere davanti un’altra persona.
“Te l’ho voluto chiedere perché…” Kenma si interrompe e boccheggia un attimo, perché quelle parole sembrano così imbarazzanti, ora, anche se se le era ripetute in testa per tutto il viaggio. “Perché…”
Kuroo lo guarda con attenzione e si siede accanto a lui, aspetta paziente, all’erta.
“È successo qualcosa tra me e Akaashi. C’è qualcosa ma è una situazione strana e non so neanche spiegartelo come si deve, e tu mi dai...” sussurra poi, come se la voce bassa rendesse meno doloroso dirlo. “Tu mi dai per scontato, non è vero?”
Kuroo rimane una statua di pietra per una manciata di secondi.
Kenma è convinto che il sorriso teso che gli si scolpisce in faccia subito dopo basterebbe a farlo sgretolare, tanto è forzato. Poi la sua guancia di ritrova appoggiata al palmo di Kuroo e non può non inclinare la testa per inseguire la carezza.
“Siamo qualsiasi cosa ti renda felice.”
Gli occhi di Kuroo sono più dolci, ora. Forse doveva solamente incassare il colpo? No, Kenma non ci casca.
“No.”
Kenma si incupisce e Kuroo sussulta.
“No, smettetela di dire solo cose per far stare bene me. Io voglio che voi stiate bene, e che siate felici, e che mi diciate cosa sentite davvero. Sacrificate tutto quanto per me e non capite che questo mi fa sentire molto, molto peggio, perché non capisco assolutamente niente e fluttuo in una massa informe di opinioni vaghe.”
Si alza in piedi e prende il viso di Kuroo tra le mani, deciso, guardandolo fisso negli occhi.
Deve sapere cosa prova Kuroo per lui, cosa sono quei baci, se non semplice divertimento o tutto quell’affetto è vero, se tutti gli anni passati assieme sono stati le fondamenta su cui costruire un rapporto veramente simbiotico e indissolubile. Kenma spera sia così, lo spera con tutto il cuore perché non riesce ad immaginare il dolore che proverebbe nel sentirsi dire da Kuroo che non è speciale, ma è pronto a qualsiasi risposta, vuole solo spazzare via ogni supposizione opaca.
“Dimmi cosa sono per te. Cosa sono davvero, Tetsurou.”
Questa volta è Kuroo ad essere spaesato e vagamente impaurito, e Kenma è sicuro che si ricorderà l’espressione di quegli occhi per tantissimo tempo.
La risposta di Kuroo, mormorata, lo spiazza e gli fa saltare qualche battito anche se si era preparato al peggio. Lo fa sentire come se fosse appena esplosa una bomba accanto a loro, e un fischio nelle orecchie gli attraversa insistentemente il cervello.
“Sei tutto.”
 
Kenma non sa perché Bokuto gli abbia portato un’enorme scatola di cioccolatini. Non lo sa davvero, e neanche Kuroo lo sa, e nemmeno Akaashi; ma perlomeno Akaashi non ne è sorpreso.
Kenma prende la scatola tra le mani e se la porta davanti alla faccia per nascondersi da quel sorriso enorme e gentile che Bokuto sta rivolgendo proprio a lui. Appoggia la fronte contro il coperchio e il suono sordo e talmente carino da far morire un po’ dentro gli altri tre ragazzi.
Sono in un bar, domenica pomeriggio, tutti e quattro. Kenma era un po’ agitato all’idea di andarci; aveva tante aspettative, pensava che anche gli altri ne avessero altrettante nei suoi confronti, ma in realtà è tutto rilassato e tranquillo.
Nessuno lo sforza a fare nulla e nessuno si sforza di fare nulla. Parlano, e ridono, e tra le lamentele di Bokuto mangiano i cioccolatini che in teoria sarebbero dovuti essere solamente di Kenma.
Kenma vede che Akaashi è felice, e lo è davvero tanto, più di quanto lo abbia mai visto.
Gli si riempie il cuore di gioia a sua volta, ed è sicuro che non si sentirebbe così completo se non ci fosse anche Kuroo, lì con lui, e Bokuto, così rilassato e cordiale -temeva che lo avrebbe odiato, sapendo quello che era successo con Akaashi, ma invece è così radioso!
Si sente un po’ più tranquillo nel sapere che tutti sanno tutto. Sa che Kuroo ha parlato sia con Bokuto che con Akaashi e non gli sembra vero che nessuno abbia litigato, che tutto sia ancora lì, integro, e tutti siano pronti e aperti a provare qualcosa che Kenma spera con tutto il cuore vada a buon fine. Sembra un’utopia, in effetti, ma c’è una possibile serie di incastri perfetti che, effettivamente, non aveva mai considerato.
Si chiede perché non abbiano mai pensato di fare una cosa del genere, perché non siano mai usciti tutti insieme, perché non abbiano mai deciso di conoscersi meglio l’un l’altro, tutti e quattro.
Sente la potenzialità di un equilibrio incredibile, ma non vuole giungere a conclusioni affrettate. Sa solo che la sua ansia sembra svanita nel nulla, in quel momento, e lo stomaco non gli fa male, non è chiuso. Fino a pochi mesi prima non avrebbe mai potuto nemmeno immaginarlo.
Si sente cresciuto, si sente meglio. Si chiede se sarà permanente, e non lo sa, ma Kuroo c’è. Akaashi c’è. Bokuto gli ha appena regalato dei cioccolatini e sembra avere tutte le buone intenzioni del mondo e la volontà di conoscerlo di più, a giudicare dalla quantità di domande che gli sta rivolgendo -senza contare che lui e i suoi capelli stupidi e il suo tono enfatico stanno attirando l’attenzione su di lui, e non su Kenma, il che è ottimo.
 
Vagamente, sì, si sente in imbarazzo, ma si sente anche avvolto in un enorme abbraccio e vorrebbe davvero ringraziare Akaashi per aver innescato tutto quel meccanismo, per aver iniziato quella svolta, per averlo instradato in quella direzione, perché da solo mai e poi mai si sarebbe avventurato in quella giungla, iniziata con il semplice mettere piede in università e terminata con la concezione della possibilità di avere tre fidanzati.
Non pensava di essere capace di fare tanto. Gli viene un po’ da piangere, ma sono lacrime felici.
Non si sente obbligato a dover rinunciare a qualcuno e per questo la vita sembra un po’ migliore; e anche se l’inverno è alle porte, ci sono mani calde e mani fredde appoggiate al tavolino, assieme alle sue.
Non c’è più niente di insormontabile perché non è da solo, e l’estate è un ricordo paradossalmente gelido e desolato come un ghiacciaio.

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Angolo autrice
Eccomi! L'ultimo capitolo! Da dove inizio?
Prima di tutto mi scuso per l'immenso, disumano, tremendo ritardo: sono successe molte cose, e poi gli esami, tutta la sessione invernale, e quando poi finalmente è finita e avevo intenzione di pubblicare... puff, non ho più internet da pc. Quindi ora sto sfruttando i quattro giga gentilmente regalati da Vodafone per la festa della donna (a proposito, auguri donzelle! <3)
Passando alla storia: spero di non aver deluso nessuno, so che è una situazione non convenzionale e non tutti possono apprezzare a pieno, ma sarei felice di sapere che almeno un po' vi sia piaciuta!
Spero anche che il finale non vi sembri troppo raffazzonato, mi rendo conto che possa risultare un po' veloce e semplificato, quindi se lo avete odiato perdonatemi e vedetela come una scelta stilistica: ho preferito tenere le cose semplici e lineari, per quanto possibile.
Era nata come AkaKen ma il mio amore per Kuroo e Bokuto, oltre che per i due palleggiatori, è troppo grande e non ce l'ho fatta a finirla senza lasciare uno spiraglio di speranza per la mia OT4... pace e bene, sorelle. Tenere la mente aperta alle possibilità è cosa buona e giusta. Also, polyamorous Akaashi is my shit 100/100 *eyes emoji* (ma in realtà polyamorous tutti e quattro, oh, solo che Akaashi ha una self-awareness da far spavento)
Comunque, ecco che il titolo della storia ora assume un senso: il "you" che Kenma ha aspettato per tutte le estati si riferisce a tutti e tre i ragazzi, e la sua ultima, gelida estate è ormai solo qualcosa da lasciarsi alle spalle.
Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno seguito la storia e che l'hanno recensita, spero che continuerete a seguirmi (e prima o poi risponderò a tutti i vostri messaggi lo giuro)!
Un bacio!
 
   
 
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