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Autore: sour_greentea    08/03/2017    0 recensioni
“[...] Lei crede di esserne innamorata. Vede" fece, prendendo un sorso di caffè dalla propria tazza. "nel momento in cui viene a conoscenza dei lati peggiori di quello che crede sia il proprio principe, finisce per darsi tutta la colpa. Sta solo seguendo l’amore della sua vita, pensa. Dove può andare? Non è colpa del ragazzo se la picchia. È lei a comportarsi male. Lo merita, no? È fortemente convinta che l'intera situazione sia avvenuta a causa sua. Quel ragazzo, che dopotutto la sopporta e le sta in qualche malsano modo accanto, la picchia e la tratta male, malissimo. Ma non è forse il minimo? Si prende comunque cura di lei. Deve solo considerarsi fortunata. Ma il suo cuoricino innocente non vuole proprio saperne. Così ogni volta che lui esce, va a drogarsi e a farsi qualche ragazza senza volto fuori un qualsiasi locale, lei viene travolta. E' tutta colpa sua, no? Eppure non capisce."
Beatrice, una ragazza ironicamente mediocre, è alle prese con quello che crede sia il suo primo amore. Jay le fa aprire gli occhi, ma Bea è una ragazza forte - non ha bisogno di essere salvata...da nessun altro all'infuori di sé stessa.
Genere: Angst, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Era una fresca mattinata di Settembre e il sole faceva capolino nella stanzetta umida e scura. Una ragazza dal sonno irrequieto si agitava nel letto, stringendosi nelle lenzuola leggere e rigirandosi, più e più volte. -Bea.- chiamò piano qualcuno dall’altro lato della porta, dopo aver bussato. Non ricevendo risposta, il proprietario di quella voce, un ragazzo alto, moro e dall’espressione gentile, impallidì. Aprì la porta ed entrò, impaurito da quello che avrebbe potuto trovare. Afferrò quindi le lenzuola e le strattonò con veemenza, rivelando la ragazza in posizione fetale. -Diamine- mormorò, quando lei sollevò piano le palpebre, assonnata, solo per trovarsi davanti il volto di lui che sospirava. -Mi hai spaventato...- finì il ragazzo. Dopo qualche istante lei si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi. -Che ci fai qui...?- gli chiese, con la bocca impastata. -Sono venuto per portarti a casa.-

-H-hey!- balbettò lei, seguendolo in cucina. -Che intendi?- -Esattamente quello che ho detto.- rispose il moro, voltandosi e sorridendole calorosamente. “Faresti meglio a vestirti e preparare la tua roba, perché partiamo subitissimo.- finì. La ragazza lo guardò di sottecchi per un attimo, poi andò in bagno e, dopo una doccia veloce, tornò in camera a vestirsi. Indossò il suo maglioncino preferito, di un giallo pallidissimo, abbastanza lungo da sfiorarle le cosce, sopra un paio di collant nere e spesse. Dopo aver allacciato le scarpe, nere anch'esse, si alzò e fissò la propria immagine riflessa nello specchio. La ragazza che le restituì lo sguardo non aveva più i capelli lunghi e di color rosso fuoco, ma invece acconciati in un semplice caschetto castano fino alle spalle, che le incorniciavano il viso. Aveva ancora gli occhi gonfi e le occhiaie causate dal sonno agitato, ma non se ne preoccupò.

Dopo aver stimato ogni sorta di oggetto in un paio di borsoni da palestra, a loro volta sistemati nel bagagliaio dell’auto del ragazzo, lei salì a bordo. -Non hai intenzione di chiedermi dove ti sto portando, vero?- fece lui, sorridendole e avviando l’auto. -Non hai intenzione di dirmelo in ogni caso!- ribattè lei, tentando di nascondere un sorriso. Qualsiasi sorpresa le avesse preparato, la rendeva felice. Dopo un paio d’ore, lui parcheggiò la macchina nel vialetto di fianco ad una villetta. “Ed eccoci qui, signorina Beatrice!” fece ridendo lui, mentre spegneva il motore e apriva il bagagliaio per tirare fuori le borse. Lei scese e fissò la casa, spalancando gli occhi.

-

“Ci stai mettendo troppo!” urlò il ragazzo sbattendo un pugno sulla porta della propria stanza. Una Bea leggermente più bassa, con i capelli tinti di un rosso fuoco che le sfioravano il sedere e col trucco sbavato, all’interno della stanza, fremette. Si tolse la maglietta e la lanciò sul letto, poi, col torso nudo, aprì l’armadio e tirò fuori una felpa del ragazzo. La infilò e aprì la porta, trovandoselo davanti. Era altissimo e piuttosto muscoloso. Il volto era costellato di cicatrici dovute all’acne e a varie risse. Le più grandi erano sotto la mascella, grande e ben definita, e su un sopracciglio. I capelli neri, rasati da un lato, erano legati in una codina disordinata e i suoi occhi, neri, attraversarono la ragazza. I piercings -snake bites, medusa, septum e eyebrow- riempivano pesantemente il volto del ragazzo. Lui si girò e andò dritto verso la porta dell’appartamento, seguito da Beatrice. “Dave...!” fece lei, esitando. Lui si fermò e le lanciò un’occhiataccia. “M-Mi dispiace! Ma non-” “Smettila, non voglio sentire le tue stronzate!” urlò lui, tirandole un manrovescio dritto in volto. Bea soffocò un grido, portandosi le mani sulla guancia e piegando le ginocchia, facendo un passo indietro. Così facendo sbattè il capo contro il muro. Gli occhi le si riempirono di lacrime e morse il proprio labbro inferiore con abbastanza veemenza da farlo sanguinare. Dave la guardò dall’alto della sua statura per poi schioccare la lingua, andandosene, e sbattendo la porta dell’ appartamento. “Quanto cazzo puoi essere cretina?” fece una voce dalla cucina. La proprietaria della voce si avvicinò. Era alta e magra, davvero troppo magra, e indossava solo una camicia logora, ovviamente presa da uno dei ragazzi. Aveva almeno tre centimetri di ricrescita nei capelli biondi sporchi e legati male, alcuni dei quali ricadevano sulla fronte e sul viso, annegato nel trucco pesante e sbavato. “Smetti di resistergli e di fare la cogliona o ti lascerà per strada.” fece, allungandole del ghiaccio. Il nome della ragazza era Marica...o forse Maria. La rossa non lo ricordava bene, nonostante fosse l’unica che poteva quasi considerare sua amica lì dentro. Bea accettò il ghiaccio senza rispondere, alzandosi e dirigendosi verso il balcone. Se lo tenne sul volto mentre apriva un pacchetto di sigarette e ne sfilava una. “Hey! Ne sono rimaste solo tre! La smettete di fottermele?” fece, rivolgendosi a un paio di ragazzi che limonavano tranquillamente seduti a terra, fra la povere, il tabacco e chissà quali altre schifezze. Il ragazzo si fermò e si girò verso Ariel ridendo. “Ma smettila, noi ti lasciamo tutta l’erba che vuoi.” Beatrice si accese la sigaretta ignorandolo. “Ecco di nuovo che rompe le palle e poi non risponde, la troietta.” commentò la ragazza, per poi riprendere da dove era stata interrotta.

Dave tornò nel bel mezzo della notte, ancora più fatto di com’era uscito. Entrò nella propria camera, dove Bea, stesa sul letto, sigaretta rollata in mano, usava il cellulare. Lui non disse una parola e si spogliò, restando in boxer, per poi tirare fuori da una tasca un barattolino e aprendolo, poggiandolo quindi su uno scaffale. “Hey...” fece lei dopo un po’, poggiando il telefono e voltandosi di poco a guardarlo. “Che vuoi?” rispose quello, stropicciandosi gli occhi rossissimi. Lei si spostò più a lato per farlo sedere, quindi lui si gettò sul letto. “Non ricominciare.” continuò poi con la bocca impastata, abbracciandola e affondando il volto nel suo seno prosperoso. “Lo sai che ti amo, cogliona.” aggiunse, addormentandosi prima che la ragazza potesse anche solo accennare una parola.

La mattina dopo Bea si preparò, diretta a scuola. “Che palle!” fece Dave, seguendo con gli occhi il corpo nudo per la stanza. “Puoi anche saltare quella scuola di merda, sai..” continuò. “Sai che non posso farlo, Dave. E poi mio padre è tornato a casa e sente il bisogno impellente di vedermi.” rispose lei, amareggiata. “Quindi? Quando torni?” chiese il ragazzo, sospirando. “Spero presto. A meno che, beh, questa volta non sia davvero arrivata la polizia mandata dal tribunale..”. Bea non era neppure sicura di cosa significasse, sapeva solo che era in atto un processo per togliere lei e sua sorella dalla tutela della madre. Di fatto, però, né Ariel né la sua sorellina di appena sei anni tornavano a casa da un bel po’. Quest’ultima era stata presa con sé dalla zia paterna, una persona rigida ed estremamente severa, mentre Bea viveva praticamente nell’appartamento del suo ragazzo e dei suoi amici. Dave la squadrò un attimo, per poi riprendere in mano il telefono e focalizzare tutte le sue attenzioni su di esso. Lei, adesso vestita, si voltò verso il ragazzo, prendendo la propria borsa. “Ci vediamo...?” sussurrò incerta. Non ricevendo risposta da lui strinse le labbra, si voltò e uscì.

   
 
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