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Autore: Kia_1981    08/03/2017    1 recensioni
Questa storia è il seguito di "Incanto di Natale". Come la precedente è ispirata alle vicende del GdR di Black Friars.
Mi è piaciuto scriverla, spero che per qualcuno risulti altrettanto piacevole leggerla.
Dal testo:
“Dottoressa Linnett, Lord ti ha chiesto un ballo, ti sta cercando e noi pensiamo che stasera dovresti accontentare quel povero ragazzo perché…”
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Julian Lord, Megan Linnet
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'We're Simply Meant To Be'
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Si era avvicinato rapidamente a Megan, accomodandosi al suo fianco e guardandola negli occhi. Il cuore aveva iniziato a battergli talmente forte che pensava lo avrebbe sentito perfino lei. Come aveva già fatto una volta, le aveva sollevato con delicatezza il viso: Megan aveva chiuso gli occhi, trattenendo il respiro.
Le aveva posato un bacio leggero sulla fronte, sulla tempia, sulle palpebre chiuse. Le loro mani si erano intrecciate spontaneamente, e Julian aveva notato con sorpresa quanto fossero fredde quelle della ragazza: era davvero così nervosa?
Dalle sale della festa proveniva una musica attutita.
Le sue labbra erano ormai vicinissime a quelle di Megan.
“Balliamo” le aveva proposto in tono sommesso facendola alzare in piedi, e lei, nonostante fosse scalza, lo aveva assecondato, lasciandosi guidare in un ballo lento al ritmo della musica ovattata della festa.
Gli aveva appoggiato la testa sul petto, sospirando. Julian si era chinato appena, dandole un bacio fra i capelli biondi.
Quando Megan aveva alzato la testa si erano guardati negli occhi per un tempo che era sembrato interminabile; interrompendo il ballo Julian l’aveva stretta a sé e, finalmente, l’aveva baciata.
Un lungo, dolcissimo bacio. Con una carezza le aveva sfiorato il viso, il collo, la nuca, e lei gli si era stretta ancora di più, abbandonandosi completamente fra le sue braccia. Si erano separati solo per riprendere fiato.
Julian avrebbe voluto dirle che quel bacio era stato il più bello di tutta la sua vita. L’aveva guardata pensando che non gli era mai sembrata così bella come in quel momento: le sue guance avevano un colore delizioso, le labbra morbide e rosse, gli occhi accesi, i capelli leggermente in disordine.
“È stato… un sogno.” Aveva sussurrato Megan, sorridendogli.
 
Un violento eccesso di tosse scosse Julian, risvegliandolo in malomodo dalla scomoda posizione in cui si era addormentato.
Un sogno. Era stato solo un sogno.
I gomiti appoggiati sul libro davanti a sé, si prese la testa fra le mani, sospirando esausto: quel turno era terribilmente noioso, non c’era praticamente nessuno, e lui stava cercando –invano – di studiare. Ci sarebbe anche riuscito se non fosse stato per quella tosse dannatamente insistente, i brividi e il mal di testa martellante che non gli davano tregua da quando si era svegliato: quello era di sicuro il peggior Natale della sua vita, soprattutto considerando come era finita la sera prima.
Mentre cercava di non riportare a galla quel ricordo, si rese conto di avere la febbre alta. Dopo il turno sarebbe andato in Ospedale, decise, sentendosi sollevato per la certezza che Megan non sarebbe stata di turno: era sicuro che, qualunque cosa lei stesse facendo in quel momento, stava anche rimuginando su come vendicarsi. Doveva essere furiosa.
 
 
“Non posso” aveva mormorato raddrizzandosi.
Tristezza, delusione.
“Non posso farlo!”
Frustrazione, rabbia. Julian si era alzato all’improvviso, quasi strappandosi da lei, e le mani del ragazzo ave-vano smesso di scaldare le sue, improvvisamente gelate.
Senza riuscire ad articolare una sola parola, lo aveva guardato mentre si dirigeva verso il caminetto;  rapidamente lo stupore iniziale si era trasformato in rabbia, soprattutto verso se stessa: come aveva potuto mettersi in ridicolo in quel modo? Era certa che Lord lo avesse fatto apposta: doveva averlo programmato, in qualche modo (anche se lei in quel momento non riusciva a capire come avesse fatto), ma lei gliel’avrebbe fatta pagare cara.
Stava per rovesciare addosso al giovane tutti gli insulti e le minacce che sentiva di dovergli, quando lui si era voltato. Guardandola negli occhi, con la sfacciataggine che gli era abituale, aveva avuto il coraggio di pronunciare quello che a lei era suonato come un’ulteriore e imperdonabile affronto.
“Non posso baciarvi se avete quell’espressione… disgustata!”
Era incredibilmente calmo, ma aveva pronunciato l’ultima parola come se la stesse vomitando.
“Se vi siete sentita in obbligo a causa del mio regalo, vi domando scusa.”
Aveva proseguito con più dolcezza, mentre lei cercava ancora di capire il senso di quello che le stava dicendo: Julian non avrebbe dovuto avere gli occhi chiusi mentre la baciava? Lei li aveva chiusi appena lui si era avvicinato, poi li aveva stretti sempre più, per contenere la paura e l’insicurezza che crescevano man mano che le labbra del ragazzo si avvicinavano alle sue.
L’aveva baciata sulla fronte, e il formicolio che aveva sentito  allo stomaco le aveva fatto dimaenticare che voleva fermarlo: aveva deciso di concedergli un bacio, uno soltanto e lui lo aveva appena sprecato in quel modo. Ma le parole non erano uscite.
Ormai sentiva il suo respiro fra i capelli, un altro bacio, sulla tempia. Gli aveva preso le mani, stringendole forte, in cerca di un coraggio che forse solo lui poteva darle. 
Ancora un bacio, leggerissimo, sulle palpebre chiuse: una strana paura le aveva tolto il respiro e forse… ecco, forse in quel momento si era ritratta. Aveva avuto paura di quello che sarebbe potuto accadere dopo: la prima volta che “per errore” c’era stato un bacio le era sembrato bello; questo bacio, però, rischiava di essere qualcosa di più… e se le fosse piaciuto di nuovo?
Ma Julian si era tirato indietro di fronte alla sua esitazione e lei si era infuriata non appena si era resa conto di quanto si sentisse delusa da quel gesto.
Le aveva lasciato le mani procurandole un irritante senso di smarrimento. Perché si sentiva così?
Non voleva più pensarci, doveva solo trovare le parole adatte per ribattere alla pacata affermazione di Julian e mandarlo al diavolo una volta per tutte.
Dal corridoio semibuio provenivano risate e schiamazzi. Adesso aveveva voglia di mandare al diavolo anche chiunque stesse per arrivare.
“Meeeeeeg! Dove sei, Megan?”
 
“Megan?”
Eloise osservò l’amica con una certa apprensione: era dalla sera prima che si comportava in un modo strano e si era chiusa in un silenzio ostinato e pressochè completo.
Si ritrovò di nuovo a pensare alla piccola irruzione che lei e Lara avevano fatto nel salottino in cui Megan si era rifugiata “per scaldarsi e riposarsi un po’” -le aveva detto quest’ultima-. In realtà Eloise era sicura che l’amica volesse semplicemente nascondersi da Julian che le aveva chiesto un ballo.
 
Forse avevano brindato un po’ troppo, forse era stata l’atmosfera, ad un certo punto avevano deciso che potevano essere generose con il giovane Cavaliere: in fondo, era la Vigilia di Natale.
Così era andata con Lara a prendere un paio di scarpe per sostituire quelle bagnate di Megan, poi, ridendo e sorreggendosi a vicenda, avevano cominciato a chiamare a gran voce l’amica mentre avanzavano lungo i corridoi semibui della Reggenza.
Entrando nel piccolo salotto aveva prontamente allungato le scarpe verso la bionda dottoressa che la stava guardando scioccata. Assumendo un tono forzatamente solenne, che poco si accordava con quella situazione assurda, Eloise si era schiarita la voce e aveva iniziato a perorare la sua causa.
“Dottoressa Linnett, Lord ti ha chiesto un ballo, ti sta cercando e noi pensiamo che stasera dovresti accontentare quel povero ragazzo perché…”
Si era interrotta per prendersela con Lara che le tirava con insistenza la manica. Mentre stava per voltarsi verso di lei, aveva notato che l’espressione sbalordita di Megan si era trasformata in un sorriso trionfante. Colpita da quel repentino cambiamento, Eloise non riusciva a staccare gli occhi da Megan mentre Lara continuava a tirarla, richiamandola a bassa voce.
“Credo che Lord sia troppo stanco per ballare. Vero, Lord?”
Finalmente Eloise si era voltata, seguendo lo sguardo di Megan,verso il punto su cui anche Lara aveva inutilmente cercato di attirare la sua attenzione: Julian, appoggiato al caminetto, stava rispondendo con un sorriso freddo all’affermazione di Megan.
“Vero, Onorabile Megan.”
Le aveva rivolto un cerimonioso inchino, poi si era avvicinato a loro e le aveva salutate con un perfetto baciamano.
“Mi stavo giusto congedando prima di tornare in Collegio. Buonanotte Onorabile Lara. Lady Eloise, grazie per la bella serata.”
Aveva rivolto a Megan un silenzioso cenno di saluto ed era uscito senza aggiungere altro.
Colta alla sprovvista, Eloise si era affacciata alla porta, alzando la voce per richiamarlo.
“Julian, aspetta. Sarai nostro ospite domani, vero?”
Il ragazzo aveva risposto scrollando la testa.
“No, mi spiace. Me lo aveva chiesto anche Jordan, ma domani mi sono offerto per il turno in caserma. Grazie lo stesso per l’invito. Dormi bene, Lady Eloise. A presto!”
Si era allontanato nel corridoio ormai buio, lasciando la principessa con una strana sensazione di tristezza.
“Dio, che vergogna!” aveva borbottato Lara, dando in parte voce anche ai suoi pensieri, poi si era rivolta a Megan in tono vagamente accusatorio.
“Non è normale vederlo tanto abbattuto.Si può sapere cosa gli hai detto per ridurlo così?”
 
“Niente!”
La risposta veemente della bionda dottoressa non era cambiata dalla sera prima, nonostante continuassero a domandarglielo. Con un debole lamento, Eloise chiuse gli occhi, nella vana speranza di arginare il dolore causato dal tono di voce decisamente alta dell’amica. Cominciava a rimpiangere di aver bevuto troppo la sera prima e anche di essersi alzata dal letto prima dell’ora di pranzo. Un pensiero la colpì all’improvviso: forse stava facendo la domanda sbagliata.
“Ti ha… fatto qualcosa lui?” domandò titubante, sperando, per il bene di Julian, in una risposta negativa.
“No! Assolutamente no!”
La risposta di Megan, ancora più secca e rabbiosa della precedente, fu accompagnata da un insolito rossore che le colorì le guance. Eloise aveva creduto di percepire una nota di delusione, ma doveva essersi sbagliata. L’amica era solo infuriata: qualunque errore avesse commesso Julian, stava per pagarlo a caro prezzo.
“Scusa per la domanda, ma mi sentivo in dovere di chiedertelo. Dove hai intenzione di andare adesso?”
“In ospedale, a controllare che i quattro idioti che ho messo in punizione ieri si presentino puntuali.”
Eloise evitò saggiamente di far notare all’amica che nessuno studente sarebbe mai stato tanto folle da disobbedire ad un suo ordine. E non puntualizzò neppure che mancavano diverse ore alla mezzanotte, ora in cui, a detta di Megan, i quattro malcapitati avrebbero dovuto iniziare la punizione.
“Posso almeno cercare di convincerti a prendere la carrozza?”
Megan interruppe la lotta che aveva ingaggiato con il proprio mantello ( Eloise era convinta che avrebbe finito per danneggiarlo) e guardò l’altra illuminandosi in volto.
“La carrozza? Dici davvero? Grazie, grazie infinite. Ne approfitto volentieri, questa volta.”
Si abbracciarono e si salutarono. Quando la carrozza partì, Eloise rimase con l’impressione che l’amica intendesse andare a regolare dei conti in sospeso.
 
Julian aveva definitivamente rinunciato all’idea di studiare: gli occhi bruciavano troppo, così li aveva chiusi e aveva appoggiato la testa sulle braccia conserte. Tra un colpo di tosse e l’altro, doveva essersi di nuovo addormentato.
Percepì dei passi rapidi e decisi che si avvicinavano a lui, ma proprio non riuscì a sollevare la testa per vedere chi fosse. Decise di averli sognati.
“Lord!”
Un richiamo secco, pronunciato a voce fin troppo alta dalla voce di… Megan? Di sicuro stava di nuovo sognando, ma quel sogno lo contrariava abbastanza, quindi lo avrebbe ignorato nella speranza che ricominciasse il sogno del bacio.
“Insomma, Lord! Svegliati, dannazione!”
Sì, quello non poteva essere altro che un incubo.
Dopo essere stato scrollato in malomodo per una spalla, si tirò faticosamente su e, tra un eccesso di tosse e l’altro, riuscì ad esalare un debole saluto per Megan che - a quanto pareva- non era un incubo. L’espressione di quest’ultima si trasformò rapidamente da indispettita in preoccupata.
“Hai un aspetto terribile. E una brutta tosse. Andiamo.”
Lo afferrò per il polso, cercando di tirarlo in piedi.
“Siete sempre molto gentile. E premurosa. Ma devo finire il mio turno, se non vi dispiace.”
“Sì? Dormendo su un libro?” gli domandò ironica. “Muoviti, o mi imploreranno di portarti via prima che tu faccia ammalare mezzo Ordine della Croce.”
Julian obbedì riluttante, si preparò e seguì Megan sulla carrozza diretta verso l’ospedale.
Appena saliti il giovane si lasciò cadere pesantemente sul sedile e chiuse gli occhi abbandonando la testa all’indietro. Fu Megan a rompere il silenzio, dopo averlo osservato attentamente per qualche minuto.
“Da quanto tempo sei in queste condizioni?” domandò dopo l’ennesimo eccesso di tosse.
“Da questa mattina” rispose faticosamente il giovane. “Mi dispiace.”
Lei lo guardò perplessa.
“Mi dispiace di avervi messa in difficoltà ieri sera. Non volevo farvi sentire in imbarazzo.”
La dottoressa liquidò la faccenda con un gesto noncurante della mano poi si voltò verso il finestrino, ma Julian ebbe l’impressione di notare un’espressione turbata.Non dissero altro per il resto del viaggio.
 
Al loro arrivo alla Misericordia, Megan diede istruzioni perché gli venisse assegnata una camera, poi sparì in direzione degli spogliatoi.  
Entrato in camera, Julian si rese conto di essere l’unico occupante: probabilmente Megan sospettava qualcosa di grave e aveva preferito metterlo in isolamento. Cercando di contenere gli eccessi di tosse, si buttò a peso morto sul letto, lieto di potersi finalmente distendere. Doveva essersi nuovamente appisolato, pensò, quando la voce rabbiosa di Megan si fece strada tra i suoi pensieri annebbiati da una febbre sempre più bruciante. Fuori dalla stanza, la dottoressa più temuta della Misericordia apostrofava con coloriti epiteti alcune tirocinanti che, a quanto pare, si erano assiepate lì davanti invece di fare il loro dovere. Ovviamente il rosario di insulti era stato corredato dalle immancabili punizioni, poi era seguito un fuggi fuggi generale e, infine, la calma.
Megan entrò nella camera con una giovane infermiera sul cui volto era dipinta l’espressione di chi rabbia appena ricevuto una notizia inaspettatamente buona. La visita fu breve ma accurata e Julian si accorse immediatamente del sollievo di Megan nel diagnosticargli una “semplice” bronchite.
Gli somministrò una medicina per abbassare la febbre e un calmante per la tosse; diede istruzione all’infermiera di fargli degli impacchi freddi per abbassare più rapidamente la temperatura, quindi uscì.
Julian sopportò le fin troppo amorevoli premure della ragazza alle cui cure era stato affidato con estrema pazienza. Quando non ne potè più le chiese, nel modo più cortese che gli fu possibile, di andarsene per lasciarlo riposare. La giovane, visibilmente risentita, uscì accusandolo di essere un ingrato e avvertendolo minacciosamente che avrebbe riferito alla dottoressa Linnett in persona che lui aveva rifiutato le cure. Il cavaliere accolse la notizia con uno sbadiglio, si girò sul fianco e si mise a dormire.
Lo svegliò la sensazione di una mano fresca posata prima sulla sua fronte e poi sul polso per misurare le pulsazioni.
“Hai mandato via l’infermiera.”
Il tono tenue di Megan aveva una nota vagamente divertita. Julian aprì gli occhi e la osservò mentre riempiva una siringa.
“Era asfissiante. Mi avrà sistemato i cuscini e rimboccato le coperte almeno un centinaio di volte. E non parliamo di quanto spesso abbia cambiato la pezza per gli impacchi. Ho sopportato finchè ho potuto.”
“È una ragazza solerte, attenta e precisa nel suo lavoro.”
Megan ormai faceva fatica a trattenersi dal ridere. Gli arrotolò la manica, disinfettò il braccio e fece l’iniezione.
Julian sospirò esasperato cercando di non pensare al dolore della puntura.
“Vedo che la cosa vi diverte molto: è stata più appicicosa della pece, la vostra solerte infermiera. E sono pronto a scommettere che l’avete fatto apposta.”
Concluse, lasciando trasparire una nota divertita nelle sue rimostranze.
“Via, Lord! Non vorrai farmi credere che ti abbia dato tanto fastidio ricevere qualche attenzione. Da una ragazza carina, perdipiù.”
“Ho capito l’antifona: vi siete presa una piccola rivincita.”
Megan appoggiò la siringa su un vassoio, avvicinò una sedia e controllò di nuovo le pulsazioni.
“Sai, sono abituata agli idioti che si presentano qui per un semplice raffreddore, ma tu sei il primo idiota che rischia una polmonite per finire un turno che non riesce nemmeno a sostenere. Non farlo mai più.”
Julian le rivolse un cenno di assenso e le sorrise guardandola negli occhi.
“Dunque, in fondo, è stato un bene che ieri sera non sia successo niente: avreste rischiato di ammalarvi anche voi. E non vorrei mai procurarvi qualche sofferenza.”
Sostenendo lo sguardo di Julian, Megan cercò di ricordare in quale occasine avesse cominciato a trovare meno irritanti quei sorrisi, gli sguardi diretti, le continue provocazioni. Come quella che le aveva appena rivolto. Evidentemente il ragazzo non aveva ancora capito la lezone: meglio mettere le cose in chiaro per evitare di sentir rivangare quella faccenda all’infinito.
Con un gesto inconscio afferò la catenina e strinse il fiocco di neve, realizzando all’improvviso di non averla ancora tolta da quando Julian gliel’aveva messa al collo. Vide il giovane seguire il suo gesto, impallidire e serrare la mandibola trattenendo il respiro.
“Non l’ho fatto perché sentissi di “doverti” qualcosa” precisò riferendosi a quello che le aveva detto lui la sera precedente. Lo vide rilassarsi leggermente. “Mi andava così e basta, in quel momento. Non farti strane idee.”
Abbassò lo sguardo per non incontrare quello di Julian e si accorse con stupore che, come aveva già fatto una volta, aveva di nuovo cercato la mano di Lord. Anche lui era rimasto sorpreso da quel gesto, ma ne aveva subito approfittato, visto che le stava sfiorando la mano con delle carezze leggerissime.
“Va bene. Niente idee strane.”
Acconsentì a bassa voce. Senza smettere di guardarla negli occhi, si portò la mano di Megan alle labbra e sfiorò con un bacio delicato il punto che stava accarezzando un istante prima.
“Sfacciato!”
Sibilò la ragazza ritirando immediatamente la mano.
Julian sembrava soddisfatto: i suoi occhi erano accesi di gioia e riuscì a ridere finchè non ricominciò a tossire.
Megan si alzò, dirigendosi verso la porta. Dal corridoio si sentiva provenire un piccolo trambusto.
“Ti voglio fuori dall’ospedale entro un paio di giorni. Poi potrai tornare in collegio, ma non dovrai uscire per almeno una settimana.”
Lo scrutò intensamente.
“Sette giorni non sono molti, Lord. Spero che almeno stavolta tu abbia intenzione di fare come dico.”
Julian capì al volo a cosa si stesse riferendo Megan. Per tutta risposta scoppiò di nuovo a ridere e soffiò un bacio verso di lei.
“Ai vostri ordini, Milady.”
Fino a quel momento Megan era stata disposta ad attribuire il comportamento di Lord al  delirio della febbre. Ma aveva appena deciso di fargli pagare cara la faccia tosta che stava dimostrando.
Sfoderò un sorriso diabolico, preparandosi a sferrare il colpo finale.
“Oh, quasi dimenticavo: quello che ti ho iniettato prima è una nuova cura ideata da Stephen. Ovviamente è già stata ampiamente sperimentata, ma tu sei un soggetto “particolare” visto che sei un Cavaliere della Croce… Eldrige ci teneva ad ampliare la sua sperimentazione. Verrà a trovarti nei prossimi giorni per controllare di persona se hai avuto qualche effetto collaterale.”
Julian sbiancò di colpo, portandosi una mano al petto, nel punto in cui si trovava il suo marchio. Megan trattenne una risata.
“Cos’ hai? Se ti senti male posso chiamare di nuovo l’infermiera…”
“No! Per carità! È necessario che Eldrige venga a visitarmi? A volte mi guarda come se volesse sezionarmi.”
Davanti all’angoscia di Julian, Megan scoppiò a ridere.
“Non fare il bambino! Hai combattuto le creature del Presidio e ti spaventa vedere un medico?”
Lord sogghignò.
“Non è un medico qualsiasi. E voi fareste meglio ad andare a mettere in riga le signorine dietro la porta.”
Accennò in direzione della confusione che proveniva di nuovo da lì. La ragazza illividì per la rabbia.
“Due giorni, Lord, non uno di più. Stai già creando troppo scompiglio!”
Aprì la porta come una furia e due matricole saltarono indietro spaventate.
“Vedo che almeno vi siete presentate puntuali! E i due idioti che erano con voi ieri, dove sono? Andiamo, vi troverò qualcosa di utile da fare.”
 
La porta si richiuse piano.
Julian spense con un soffio il lume ancora acceso sul comodino, sistemò i cuscini e chiuse gli occhi.
Non le aveva nemmeno fatto gli auguri di buon Natale, non l’aveva nemmeno ringraziata per essersi presa cura di lui per l’ennesima volta.
Le avrebbe mandato di nuovo dei fiori, decise mentre scivolava lentamente nel sonno.
Tulipani, questa volta.
Sì: i tulipani sarebbero stati perfetti.  
   
 
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