Per loro
è facile, dall’alto della loro esperienza di vita,
sicuramente sanno
come comportarsi.
Io lo so, lo so che loro vogliono aiutarmi, ma li vedo i loro sguardi,
capisco
i loro pensieri: provano pietà per me, che porto in volto il
tuo marchio.
E pensare che
una volta mi piaceva sentirmi dire che
ero tua. Non potevo sapere, non potevo prevedere cosa nascondevi dietro
quella
gelosia, che pensavo fosse romantica.
Ti ho odiato, come ho odiato me stessa. Ci sono stati momenti in cui ho
desiderato poter dormire per sempre, restare nel mondo immaginario dove
tutto
era come prima.
Per te passavo
sempre troppo tempo allo specchio, a
controllare che fossi perfetta. Adesso lo evito il più
possibile, per il
disgusto. I miei trucchi li ho tutti rinchiusi in uno scatolo, sotto il
letto.
Saranno scaduti ormai, ma il coraggio di buttarli non ce
l’ho.
Lo psicologo ha
detto che il trauma che ho subito mi
ha reso fragile, attaccata al passato ma profondamente diversa dalla
donna che
ero prima. Non gli ho mai raccontato che nel riflesso, la mattina, vedo
anche
te, il tuo ghigno malefico, lo stesso di quella sera.
Hai sempre amato
il buio, lo trovavi sublime.
Parlavi di stelle, di sogni, di un futuro con me. Eppure in quel
momento, nel
posto in cui mi hai dato il primo bacio, hai rovinato tutto il mio
destino.
Per i primi tempi non ricordavo nulla. A detta del medico, era un mio
sistema
di difesa, un modo come un altro per affrontare la spiacevole
situazione.
L’occhio
destro è divenuto cieco, il padiglione
dell’orecchio è stato danneggiato, ma per fortuna
sento ancora. Al tatto, la pelle,
anche quella del collo, è così deformata che ho
passato mesi prima di riuscire
a sfiorarla senza avere la sensazione di vomitare.
Quando sentivo
delle ragazze acidificate in
televisione, pensavo al degrado della cultura nella quale erano
inserite, alla
difficoltà che rappresentava per loro l’essere
donna. Che qui, in Italia, non
si vivesse come in India, dove la femminilità è
una disgrazia, una colpa da
espiare.
Adesso sull’argomento so tutto, mi hanno coinvolto come
testimonial in una di quelle
associazioni umanitarie che salvano la vita di queste ragazze.
Io sono una di
loro, nonostante la nazionalità
diversa. Sono stata privata della possibilità di essere me
stessa, di essere
felice. Perché con una società, dove si viene
bombardati costantemente da
immagini esteticamente perfette, io sono un difetto.
Parlano di me,
hanno pietà per me, credono che mai
capiterà a loro una situazione come la mia. Era quello che
pensavo anche io.
Smetteranno di curarsi di me quando un’altra ragazza
sarà rovinata per sempre.
Dovrò
andare ad una conferenza, dovrò parlare di
cosa significa essere donna. Sono giorni che ripenso alle parole da
usare, a
cosa significa per me, per quella che sono adesso.
Ho scoperto di non avere niente in mente, se non frasi fatte
già da qualcun
altro. Sono diventata così mediocre, io che prima amavo
leggere e discutere con
gli altri.
Adesso vorrei
guardarti e chiederti se per te sono
ancora una donna. Se ancora in me trovi la bellezza che avevo prima che
mi
sfregiassi. Se ancora posso essere sensuale, accattivante. E poi
ricordo,
ricordo le parole di quella sera, la rabbia che avevi usato in quelle
orribili
frasi e nel tuo ripugnante gesto.
Hai preteso e
ottenuto tutto da me. Volevo solo
essere libera di poter lavorare, ero felice mentre ti parlavo dei miei
progetti.
Per questo avevo scelto il nostro posto, per festeggiare sotto la luna
piena.
“Per ottenere quella promozione sicuramente avrai aperto le
gambe! Sei solo una
lurida putt-” Non ti ho lasciato finire, ti ho colpito con
tutta la forza della
delusione. Ma io non sono mai stata forte, non quanto te. Il segno che
ho
lasciato sul tuo viso non è durato neanche un millesimo di
quello che hai fatto
a me.
Piangevo, dentro
ero morta e mi hai colpito, colpito
per ferirmi.
“Vivrai tutta la vita sapendo di essere mia.”
L’hai detto in tribunale, dopo esserti
dichiarato colpevole per ottenere
uno sconto di pena. Ti hanno scortato via immediatamente, ma avevi
ragione, sei
rimasto impresso, a fuoco, dentro di me.
Sei come un
tumore, mi consumi lentamente. Sei parte
di me che vuole fagocitarmi l’esistenza per lasciarmi esanime
e implorante. Fino
ad ora non sono mai venuta a trovarti, anche se secondo lo psicologo
avrei
dovuto; per affrontarti e occultarti dalla mia vita. Ma non
può sapere, non capisce
cosa provo io. Non comprende che tutto l’amore che ho provato
per te mi fa
sentire costantemente in colpa, perché ero cieca,
instupidita.
Però
oggi questa forza l’ho trovata, sono qui ad
aspettare che arrivi l’orario delle visite. Alcune guardie mi
fissano, non sono
una donna che necessita di presentazioni. La pelle tirata, liscia come
la plastica,
è il prezzo da pagare; i dottori hanno fatto di tutto per
salvarmi il movimento
dei muscoli facciali e garantirmi autonomia. Ti farà piacere
sapermi in questo
stato?
Vedendoti ho
sentito l’aria mancarmi; avrei dovuto
chiamare lo psicologo e chiedergli cosa fare quando sento il panico
sopraggiungere.
Quando mi guardi cosa pensi? In tutto questo tempo, ti sei mai
accostato al
pensiero di aver sbagliato?
Una parte di me
vuole nascondersi, per non farsi più
trovare dai tuoi occhi, quelli che ho tanto amato. Ma lascio che tu mi
guardi.
Voglio essere la donna che affronta la sua vita, non quella che se la
lascia scivolare
addosso. Avevo intenzione di chiederti molte cose, ma, vedendoti, non
sembri
più essere quel mostro enorme che prende ogni spazio di me.
Sei piccolo e anche
un po’ pietoso.
Il tempo passa
in silenzio e la zavorra che porto
dentro, che mi ancorava alla paura, diventa più leggera.
Ma, vendendoti
adesso, capisco cosa significa
davvero essere donna.
Essere donna
è dirsi che non si è colpevoli. Che
l’amore vero non tappa le ali, ma fa spiccare il volo, verso
posti lontani.
Essere donna è essere capaci di amare, di amarsi, anche
quando di amabile non
c’è più niente, quando le ferite sono
così grandi da non riconoscersi più. Io
non lo sono stata, non più, per così tanto tempo
che credevo non fosse più
possibile salvarsi.
Ma poi ho capito
di essere viva, di esserlo ancora e
anche se lo sei tu, non importa. Che puoi avermi tolto la bellezza, ma
non potrai
mai privarmi della mia intelligenza. Essere donna significa anche
accettare di
non poter essere perfette, ma di dare il massimo in ogni situazione.
Essere donna
è essere umani, portare dentro un
bagaglio di ombre e traumi che ci rendono diversi, eppure non per forza
forti.
Essere donna non significa essere capaci di salvare anche il marcio, e
io
adesso so che non potevo salvare te, che sei morto dentro, un mostro
senz’anima. L’ho letto nei tuoi occhi.
E
così me ne vado, senza proferire parola, senza
lasciarti il tempo di dirmi nulla. Hai già rubato
così tanto tempo della mia
vita, che non posso più sprecarne neanche un secondo. Non
dimentico il passato,
quello che ci vede assieme. Ma non mi colpevolizzerò
più per aver provato
qualcosa per te, per il sentimento grande che mi legava a doppio filo a
te.
Così
non dimentico neanche l’esperienza orribile di
cui mi hai reso protagonista, dei mesi in agonia dove non volevo altro
che cancellare
tutto dalla mente. Voglio essere la forza, dare un messaggio al mondo,
alle
donne e agli uomini che hanno bisogno di aprire gli occhi. La violenza
non è
amore, così come non lo è il desiderio di
possedere l’altro.
La vita mi ha messo alla prova, facendomi scoprire una parte nuova del mio carattere. Sono cambiata, mi sento più sicura di me. Sono decisa a partire da zero, senza cercare negli altri la fonte della mia felicità. Ora sono pronta a ricominciare da me.
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Storia: Originale;
Rating: libero
Coppia: nessuna
Prompt: Cosa significa essere donna?
Questa
storia partecipa alla sfida dei prompt indetta dal gruppo facebook
"EFP: recensioni, consigli e discussioni"
Spero che il modo in cui ho voluto sviluppare la traccia vi sia
piaciuto, senza risultare troppo pesante o, viceversa, troppo
superficiale.
Grazie a tutti per aver letto.